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La nuova transazione ambientale: il legislatore spariglia le carte?

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Sul n. 4/2016 della rivista "Ambiente & Sluppo" (IPSOA), è stato pubblicato un articolo che analizza la nuova transazione ambientale, così come modificata dall'ex collegato ambientale alla legge di stabilità del 2014.
Sul sito di Natura Giuridica si riporta uno stralcio dell'articolo, senza le numerose note di approfondimento, con particolare risalto alle conclusioni.
Per un approfondimento del contenuto della bozza di DPCM, si rimanda all'intero articolo, "La nuova transazione ambientale: il legislatore spariglia le carte?"

La nuova transazione ambientale: il legislatore spariglia le carte?
di Andrea Quaranta e Valoentina Cavanna

L’Agenda verde del Governo
A distanza di due anni dagli sfarzosi annunci con i quali il Governo comunicava di aver approvato “quella che può essere definita «l’Agenda Verde» del governo”, durante i quali si sono susseguiti (e soprapposti) interminabili dibattiti, frettolose correzioni, aggiunte, espunzioni, rinvii, nuovi annunci, restyling (e approfondimenti?), finalmente alla fine del 2015 è stato pubblicato in G.U. l’ex collegato ambientale alla legge di stabilità 2014, divenuto medio tempore “disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali”.
Con il presente contributo intendiamo analizzare, in particolare, le novità introdotte dal legislatore in merito alla “determinazione delle misure per il risarcimento del danno ambientale e il ripristino dei siti di interesse nazionale”, di cui al nuovo articolo 306-bis del Testo Unico Ambientale (il Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006), al fine di valutare in quale misura le novità introdotte dal legislatore in materia di “transazione ambientale” possano eff
ettivamente servire ad accelerare i procedimenti de quibus, a garantire la certezza del diritto in relazione al diffuso contenzioso in materia di danno ambientale con riferimento ai Siti di Interesse Nazionale (“SIN”) e a tutelare più efficacemente l’ambiente. Oppure no.

La galassia degli strumenti transattivi
Prima di addentrarci nei meandri dell’ultima riforma, occorre fare un sia pur sintetico riassunto dell’evoluzione della normativa concernente lo strumento latu sensu della transazione ambientale, che non rappresenta una novità assoluta nel panorama normativo italiano e nella relativa prassi applicativa.
Verso la fine degli anni ’90, infatti, il legislatore ha cominciato a legiferare su specifici procedimenti, oggetto anche in passato di una prassi volta ad accelerare i procedimenti di bonifica e a diminuire gli adempimenti istruttori in capo all’amministrazione, in relazione all’accertamento della responsabilità: con la legge n. 239 del 16 luglio 1998 il legislatore ha adottato il modulo convenzionale per la definizione, in via stragiudiziale, con atti transattivi, della vicenda concernente l'esplosione e l'affondamento della motocisterna Haven, dettando una disciplina specifica delle modalità con le quali la transazione si sarebbe dovuta svolgere.
Due anni più tardi, con la finanziaria per il 2001, il legislatore ha previsto (art. 114, comma 7) una clausola di non punibilità – non solo per “chiunque abbia adottato o adotti le procedure” previste dall’allora vigente “decreto Ronchi” e dal DM 471/99, ma anche per chi “abbia stipulato o stipuli accordi di programma previsti nell'ambito delle medesime normative” – per “i reati direttamente connessi all'inquinamento del sito posti in essere anteriormente alla data di entrata in vigore [del “decreto Ronchi”] che siano accertati a seguito dell'attività svolta, su notifica dell'interessato […] qualora la realizzazione e il completamento degli interventi ambientali si realizzino in conformità alle predette procedure o ai predetti accordi di programma ed alla normativa vigente in materia”. Il programma nazionale di bonifica di cui al DM 468/2001 ha stabilito, pochi mesi più tardi, i criteri per l’erogazione dei finanziamenti ivi previsti, che “sono regolamentati mediante il ricorso agli Accordi di programma da sottoscrivere tra lo Stato, le regioni, gli enti locali territorialmente competenti”.
[…]

La “transazione globale” e la nuova transazione ambientale a confronto
Le due discipline differiscono per una serie di aspetti, sintetizzati di seguito nel seguente punto elenco e schematizzati nel successivo diagramma di flusso:
1) iniziativa: […]
2) contenuto: nella transazione definita “globale” dal D.L. n. 208/2008 lo schema di contratto ha ad oggetto la spettanza e la quantificazione degli oneri di bonifica, degli oneri di ripristino, del danno ambientale e di altri eventuali danni di Stato/enti pubblici territoriali. Il contenuto della nuova transazione è parzialmente difforme, attesa l’impossibilità (almeno a priori) di un ristoro meramente economico del danno ambientale. Innanzitutto, l’art. 306-bis stabilisce la necessità di tenere conto del quadro comune di cui all’Allegato 3 della Parte Sesta del TUA. La proposta individua gli interventi di riparazione primaria, complementare e compensativa; qualora sia formulata per la riparazione compensativa, tiene conto del tempo necessario per conseguire l’obiettivo della riparazione primaria o della riparazione primaria e complementare. […]
3) conseguenze in caso di inadempimento: […]
4) conseguenze della stipula della transazione: […]

La (perenne) transizione ambientale
Se ci si limitasse ad un’analisi sincopata “da TG” – spesso poco più che un insieme di slogan pro o contro – invece che ad un’attenta lettura del dato normativo, scevra da pregiudizi ideologici, la transazione ambientale (quella “globale” e a maggior ragione quella novellata, si suppone in meglio) potrebbe essere considerata – a torto – come la soluzione in grado di risolvere problemi (e le problematiche) ambientali da troppo tempo irrisolti, o al contrario come il “male assoluto”, in grado di vanificare anni di lotte (?) ambientaliste, e in quanto tale da osteggiare a prescindere.
La realtà – molto più prosaica – è che siamo, continuiamo ad essere, in una fase di transizione (ambientale, in questo caso), che visti i presupposti sembra destinata a durare ancora per molto.
Non sono bastate riforme, codificazioni, integrazioni, decretazioni d’urgenza: ogni riforma viene emanata o sulla base dell’emergenza (come avvenuto per la “transazione globale”), o a valle di lunghe “cavalcate normative”, fatte di veti incrociati, attese, riesami, raffazzonamenti “attorno contenuti purchessia, magari pescando a piene mani da appunti, segnalazioni, mezze idee e annotazioni, stratificatisi come fondi di magazzino nei cassetti delle scrivanie dei […] funzionari […] presso i vari ministeri coinvolti” (come avvenuto per l’ex collegato alla legge di stabilità per il 2014 e, di conseguenza, per la transazione novellata).
La transizione da uno schema transattivo all’altro costituisce un’ennesima riprova di questo infausto modus operandi: molti i dubbi sollevati dalla transazione globale, molti gli interrogativi ai quali la nuova riforma non ha dato una risposta.
Certo, in questo passaggio non sembrano mancare – oltre alle buone intenzioni, ampiamente comunicate – anche elementi in qualche modo positivi (anche se…), ma sono molto più numerosi gli elementi critici – gli interrogativi lasciati irrisolti – che rischiano di minare dall’interno il paradigma.
Il primo riguarda l’equilibrio fra interessi economici ed ambientali, che l’accordo transattivo dovrebbe comporre. Fermo restando che tali accordi possono costituire, almeno teoricamente, un prezioso strumento a favore delle imprese, volto a definire la propria posizione in relazione a tutti gli aspetti ambientali e ad evitare un contenzioso giudiziario, dalla durata e dagli esiti incerti, ma anche una deroga ai procedimenti ordinari – altrimenti non avrebbero ragion d’essere – occorre chiedersi se un loro eventuale utilizzo sistematico, sicuramente utile ai fini della riduzione dei costi ambientali, non possa essere, nel medio-lungo periodo, controproducente per il bene-ambiente, che è un bene pubblico ed estraneo agli interessi economici.
Qual è il limite alla negoziabilità, fra le parti, dei livelli di accettabilità che dovranno essere rispettati nel caso in cui debba essere adottato un piano di monitoraggio e controllo, qualora all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un inquinamento residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente?
Più in generale, qual è il limite alla discrezionalità della P.A. nella verifica dei requisiti (formali o sostanziali?) elencati nel comma 2?
La seconda categoria di criticità riguarda l’interesse, da parte dei soggetti privati, alla stipula di tali accordi, da un lato, e più in generale la coerenza del sistema ideato dal legislatore.
Fermo restando che, in linea generale transare dovrebbe in ogni caso essere in una qualche misura conveniente, non fosse che per venire incontro ad esigenze di celerità e di certezza, non si può non notare che nel passaggio dalla transazione globale a quella novellata sono stati soppressi tre commi (5, 5-bis e 7), forse nell’ottica di superare alcuni aspetti critici della precedente disciplina (che avevano fatto storcere il naso ai più intransigenti ambientalisti), la cui mancanza ora rischia, almeno sulla carta, di spostare l’equilibrio (instabile) dalla parte del ministero che, sempre sulla carta, può permettersi di (far vedere di) fare la voce grossa (di fronte ai microfoni del “TG”), salvo poi comportarsi pragmaticamente nelle opportune sedi…
L’abolizione del comma 5 della “transazione globale” – quello secondo il quale la stipula del contratto di transazione comportava l’abbandono del contenzioso pendente e precludeva ogni ulteriore azione per rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino ed ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale – rischia (almeno sulla carta), di rendere meno appetibile la nuova transazione (non globale) e, di conseguenza, sembra essere inconciliabile con l’obiettivo perseguito dal legislatore.
Che dire, poi, della soppressione del comma 5-bis, in base al quale la stipula del contratto comportava anche la facoltà di utilizzo dei terreni in conformità con la loro destinazione urbanistica, e nel rispetto dei criteri ivi stabiliti?
Qual è la ratio di questo “fermi tutti”, non mitigato dalla previsione di un termine non perentorio?
Ma soprattutto, qual è il significato della soppressione del comma 7, relativo all’utilizzo “dei soli proventi di spettanza dello Stato, derivanti dalle transazioni”? Dove affluiranno, una volta abolito il riferimento “al fondo di cui all’articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33”?
Un ulteriore interrogativo – cui neanche la riforma è riuscita a dare una risposta – riguarda il parere dell’Avvocatura di Stato, che tiene conto anche dei presumibili tempi processuali e dei prevedibili esiti del giudizio pendente o da instaurare: al di là della obiettiva difficoltà di siffatta previsione, perché non prevedere il parere obbligatorio del Consiglio di Stato?
Cosa potrebbe succedere, poi, nel caso in cui la proposta transattiva venga formulata da uno solo dei soggetti obbligati con riferimento all’intera obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli altri? Dal momento che l’art. 1304, comma 1, del Codice Civile dispone che la transazione non produce effetto nei confronti dei condebitori che non dichiarano di volerne profittare, quali sono le conseguenze nel caso in cui una delle imprese stipuli una transazione sull’intero e le altre imprese, invece, decidano di proseguire in un eventuale contenzioso con il MATTM?
Qualcuno potrebbe obiettare che la novella apportata dall’ex collegato ambientale apra una (nuova!) fase transitoria, e che soltanto il tempo ci consentirà di comprenderne l’effettiva portata e di scoprire se gli interrogativi posti in questa sede siano destituiti di fondamento, o meno.
È vero.
Ma questa sarebbe, in ogni caso, una giustificazione che non fa venire meno la reale necessità di dare un nuovo corso alle cose, in modo strutturale e strutturato, coordinato e di prospettiva, che consenta nel contempo di tutelare l’ambiente e la salute umana, nonché l’iniziativa economica privata, attraverso una chiara definizione della “posta in gioco” e delle “carte” da poter “giocare”.


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Il disastro ambientale della Concordia

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A pochi giorni dalla tragedia umana e dal pontenziale disastro ambientale causato dallo schianto della nave da crociera Concordia su uno scoglio davanti all'Isola del Giglio, vorrei soffermarmi, in questo articolo, sul concetto giuridico di disastro ambientale.
L'incidente verificatosi sulla nave comandata dal chiacchierato Schettino potrebbe infatti provocare, in seguito alla fuoriuscita incontrollata di carburante sulla costa antistante l'isola, danni incalcolabili all'ecosistema circostante. In queste ore si sta tentando con ogni mezzo di impedire una tale catastrofica eventualità, che potrebbe verificarsi a causa dell'inabissamento della nave.

Cos'è, dal punto di vista giuridico, un disastro ambientale? E, soprattutto, per configurare il reato di disastro è necessario che l'evento abbia luogo oppure è sufficiente che una condotta avventata o un dolo ne provochino un rischio potenziale?

Il punto di partenza è costituito dall'articolo 434 del c.p. (crollo di costruzioni o altri disastri dolosi), in base al quale “chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti – fra i quali rientrano gli attentati alla sicurezza dei trasporti e degli impianti di energia elettrica e del gas, disastro ferroviario e altri disastri – commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene”.

In più occasioni la Cassazione ha avuto modo di sottolineare che per configurare il reato di “disastro” è sufficiente che il nocumento metta in pericolo, anche solo potenzialmente, un numero indeterminato di persone: infatti, il requisito che connota la nozione di "disastro" ambientale, delitto previsto dall'art.434 c.p., è la "potenza espansiva del nocumento" anche se non irreversibile, e l'"attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità".
Il termine “disastro” (nella specie ambientale) implica che esso sia cagione di un evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità "straordinariamente grave e complesso", ma non "eccezionalmente immane" (Cassazione Sez. V, n. 40330/2006): pertanto,"è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone". 

Strettamente connessa alla nozione disastro ambientale è la problematica relativa alle conseguenze risarcitorie/patrimoniali dello stesso: di recente, la Cassazione (11059/09, relativa al disastro ambientale di Seveso; sentenza che potete scaricare sul sito di Natura Giuridica, dopo esservi registrati gratuitamente; per cercare la sentenza utilizzate il motore di ricerca interno del sito) ha affermato che anche il “semplice” - si fa per dire – “patema d'animo” sofferto dai cittadini, preoccupati per le ripercussioni sulla salute, causate dal disastro ambientale, deve essere risarcito come danno morale.


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Legittimazione ad agire in giudizio per associazioni non riconosciute?

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La settimana scorsa, nel parlare della legittimazione ad agire in giudizio per le articolazioni regionali delle associazioni nazionali, abbiamo visto che “la legittimazione ad intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi spetta alla sola associazione ambientalistica nazionale e non alle sue strutture territoriali, le quali non possono ritenersi munite di autonoma legittimazione neppure per l'impugnazione di un provvedimento ad efficacia territorialmente limitata.


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Giudizio universale nel caso di danno ambientale?

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Quella relativa alla legittimazione all'azione in giudizio nei casi di danno ambientale è una delle questioni più scottanti del diritto ambientale, specie in momenti in cui, in certe regioni d’Italia, a causa della dissennata politica ambientale dei decenni passati – disorganica, scoordinata, emergenziale, decontestualizzata – di danni ambientali se ne contano a centinaia, e molte persone si sono ammalate, a causa delle inesistenti bonifiche dei siti contaminati.

Una delle questioni più scottanti, e tuttavia per nulla chiare: per nulla chiare agli occhi dei cittadini che, nel grigiore della devastazione ambientale con cui hanno a che fare, non capiscono il significato di quelli che considerano cavilli da azzeccagarbugli.


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Le responsabilità della curatela fallimentare nella bonifica dei siti contaminati

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Contaminazioni storiche e fallimento: la curatela fallimentare deve mettere in sicurezza?

Cambiano i destinatari dell’obbligo di effettuare la messa in sicurezza di un’area, nel caso le contaminazioni storiche provochino, o meno, un rischio immediato per l’ambiente?

La domanda nasce spontanea, dopo che ad un curatore fallimentare un Comune brianzolo aveva ordinato di effettuare la messa in sicurezza di un’area, nonché di rimuovere i rifiuti posti sull’area dello stabilimento dell’impresa fallita.
Oltre al difetto di legittimazione passiva della curatela fallimentare, e all’incompetenza, la curatela fallimentare eccepiva il difetto di motivazione in merito ai rischi di contaminazione che legittimano l’emanazione dell’ordine di effettuare la messa in sicurezza.
Com’è possibile, infatti, dichiarare l’imminenza di un rischio grave, imminente ed irreparabile che legittimi il Comune ad adottare provvedimento, come quello impugnato nel caso di specie (sentenza del TAR Milano n. 408/2010, liberamente scaricabile dal sito di Natura Giuridica, per utenti registrati), quando è dal 1995 che lo stesso Comune diffida la proprietà ad effettuare le opere di messa in sicurezza senza mai provvedere all’esecuzione d’ufficio?


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Ruolo e responsabilità del curatore fallimentare nella bonifica dei siti contaminati

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Di recente, il TAR Firenze (sentenza n. 910/10, gratuitamente scaricabile sul sito Natura Giuridica, nella sezione bonifica dei siti inquinati, una volta  che ci si è registrati al sito) è tornato ad occuparsi delle posizione particolare che riveste il curatore fallimentare rispetto all'ordine di smaltimento dei rifiuti: in linea di principio, sottolinea il Collegio, i rifiuti prodotti dall'imprenditore fallito non costituiscono beni da acquisire alla procedura fallimentare e, quindi, non formano oggetto di apprensione da parte del curatore.

In ogni caso, posto che – a fondamento dell’obbligo di ripristino e messa in sicurezza conseguente alla contaminazione del suolo e dell’ambiente – il nostro ordinamento pone il principio della responsabilità, l'esercizio dei poteri è subordinato alla circostanza che il destinatario dell'ordine risulti responsabile dello smaltimento abusivo o dell’inquinamento, almeno a titolo di colpa, non potendosi configurare a suo carico una responsabilità di tipo oggettivo: di conseguenza, anche nei confronti del curatore fallimentare non è configurabile alcun obbligo ripristinatorio in ordine all'abbandono dei rifiuti “in assenza dell’accertamento univoco di un’autonoma responsabilità del medesimo conseguente alla presupposta ricognizione di comportamenti commissivi, ovvero meramente omissivi che abbiano dato luogo al fatto antigiuridico”.



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Ogni tanto c'è qualcuno che si assume le proprie responsabilità....ma a tutto c'è un limite!

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Come si dimostra la responsabilità per danno ambientale?

Nel frastuono delle dichiarazioni dei supponenti politici nostrani; fra un’intervista a peso d’oro ad un noto attentatore e dichiarazioni stucchevoli di giovani e attempate showgirls; nel nulla ideologico e culturale che ci propinano quotidianamente alla televisione, ogni tanto si sentono anche notizie relative al danno ambientale.
Benché "argomento secondario" per gli scodinzolini di turno, più propensi a omaggiarci di un mondo idealizzato ad immagine e somiglianza del padrone, ogni tanto è, ahi loro, inevitabile parlarne: di questi giorni è la notizia della piattaforma petrolifera al largo delle coste della Louisiana, il mese scorso il disastro del fiume Lambro, un paio di anni fa alla ribalta sono stati, per qualche giorno, i casi Exxon Valdez ed Erika.

Ma al di là del sensazionalismo, nessun tipo di approfondimento, nessuna parola sulle responsabilità, sulle prove, sui rapporti esistenti fra il danno ambientale e la bonifica dei siti contaminati, argomento, quest’ultimo, strettamente correlato al primo.

Natura Giuridica, data l’estrema importanza dei temi relativi al danno ambientale e alla bonifica dei siti contaminati, nella pagine del blog ha parlato spesso del danno all’ambiente, delle responsabilità in caso di inquinamento e contaminazione di siti, anche di interesse nazionale, dei rapporti fra le discipline sul danno ambientale e sulla bonifica dei siti inquinati.

Oggi vi segnalo una sentenza del Tribunale di Venezia (304/2010) in tema di rapporti fra art. 2051 del codice civile e danno ambientale.


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Danni all’ambiente: ipotesi di colpa

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In estrema sintesi: le norme dettate dalla direttiva 2004/35/CE sul danno ambientale non si applicano ai danni all’ambiente causati da attività realizzatesi prima del 30 aprile del 2007, e pertanto non osta a norme nazionali disciplinanti la riparazione di tali danni.

La direttiva 2004/35, inoltre, non impedisce che vengano emanate norme che prevedano una responsabilità per danni all’ambiente svincolata dall’esistenza di un dolo o di una colpa.

Ciò che invece la direttiva 2004/35/CE impedisce è la previsione di una responsabilità per danni ambientali che sia del tutto indipendente da un contributo causale del danno ambientale: la direttiva sul danno ambientale osta ad una responsabilità per danni ambientali indipendente da un contributo alla causazione dei medesimi soltanto se ed in quanto essa abbia l’effetto di elidere quella incombente a titolo prioritario sull’operatore che ha causato i danni in questione.


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Danno ambientale: di chi è la colpa?

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Sul sito di Natura Giuridica sono state pubblicate le conclusioni dell’Avv. Generale della Corte di Giustizia Juliane Kokott, che riguardano una materia di grande interesse, oltre che di estrema attualità: come ci si deve comportare di fronte ad inquinamenti pregressi?

Quale normativa occorre applicare in caso di inquinamento diffuso, risalente nel tempo?
E quale, invece, per i danni di nuova formazione prodottisi per propagazione di danni preesistenti?
Di chi è la colpa dell’inquinamento?
È concepibile una responsabilità da posizione, che viene addossata, cioè, al soggetto in virtù del solo rapporto di posizione nel quale si trova (ad esempio perché si tratta di un operatore che svolge la propria attività all’interno del sito)?
Quali sono i confini del principio “chi inquina paga”?

Come avrete notato, si tratta di problematiche di un certo spessore, la cui risoluzione è fondamentale per mettere ordine ad un sistema in cui il rischio è di non punire i reali responsabili di danni ambientali, da un lato, e di prendersela con “il primo che capita”, dall’altro.


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Il caso Acna di Cengio e la responsabilità del proprietario del sito contaminato: conclusioni del convegno su Bonifica e Danno ambientale del 2 luglio 2009 a Roma

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La sessione pomeridiana è stata inaugurata dal
Prof. Dell’Anno, che ha analizzato i profili giuridici della responsabilità del proprietario di un sito contaminato, attraverso una rapida ricognizione delle “nozioni d’apice” di danno o pericolo ambientale, sito contaminato, prevenzione, risarcimento del danno (in forma specifica o per equivalente).
Qual è la responsabilità, e qual è il ruolo del proprietario (ovvero “operatore”)?
Quando occorre intervenire?
Quali sono i profili di responsabilità?
Chi è tenuto a procedere alle operazioni di bonifica?
Quali sono i criteri di imputazione?
Sono alcune delle domande di cui ha delineato le risposte il relatore, che ha evidenziato i profili soggettivi della responsabilità (diversi a seconda che si tratti del proprietario, di un operatore professionale o di un operatore non professionale) e elencato gli eventi esclusi dalla responsabilità, per finire il suo intervento con i punti di contatto fra la normativa sulle bonifiche e quella sul danno ambientale, nozioni diverse, sottoposte a discipline giuridiche diverse (il danno ambientale presuppone una lesione attuale dei beni giuridici, mentre la bonifica può essere imposta anche in caso di pericolo; il danno ambientale deve essere ingiusto, mentre la bonifica può anche avvenire senza colpa o condotta).
Prima delle conclusioni finali, il Prof. Dell’Anno ha anche accennato alla sindrome dell’arto fantasma, in relazione alla discontinuità normativa dell’apparato sanzionatorio, conservato nel Testo Unico Ambientale, il quale, tuttavia, ne interrompe la continuità.

Dopo l’intervento dell’Ing Vittorio Giampietro – volto ad evidenziare gli aspetti fondamentali della valutazione tecnica del danno ambientale – l’Ing. Paolo Boitani, dell’Ecotherm Site Assessment, ha illustrato le esperienze e le prassi amministrative e tecniche della bonifica di aree industriali dismesse (i c.d brownfields), mentre il Direttore tecnico del CSM ERM Italia ha sottolineato le difficoltà di procedere alla misurazione del danno.

Angelo Taraborelli, infine, AD e DG della Syndial ha effettuato un interessantissimo excursus storico della vicenda dell’ACNA di Cengio, che rappresenta il primo importante progetto di recupero ambientale portato al quasi totale compimento.
Nella sua relazione, l’AD della Syndial non ha nascosto la frustrazione di chi lavora nel settore ambientale, perennemente pressato da una normativa scritta male e gestita peggio.
La vicenda del sito di Cengio, conclude, “solleva non poche questioni in relazione al danno ambientale e alla sua quantificazione, questioni che la prassi italiana dimostra essere irrisolte e, quindi, intaccano in misura rilevante la certezza del quadro normativo di cui l’attività di impresa necessita”.

Chi volesse approfondire la materia trattata nel corso del convegno, può visitare:
Se sei interessato ad una consulenza legale ambientale in materia di bonifiche dei siti contaminati, ad assistenza legale in materia di risarcimento del danno ambientale, o ad un parere legale in materia di diritto ambientale, inviami la tua richiesta al seguente indirizzo di posta elettronica: andrea.quaranta@naturagiuridica.com

Convegno del 2 luglio 2009 su bonifica e danno ambientale nei SIN.
Ecco i post:

Foto: “Il caso Acna” originally uploaded by thicofilm



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Danno ambientale e bonifica nei SIN

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L’intervento del Prof Giampietro ha, quindi, messo in rilievo il mutato rilievo dell’ambiente nella giurisprudenza costituzionale che, dopo l’iniziale considerazione dell’ambiente come valore immateriale, ha cominciato a considerarlo come una res, in cui l’ecosistema e le sue componenti interagiscono e sono utilizzate dall’uomo.

Dopo aver delineato i motivi per cui parte della dottrina, a proposito dell’art. 18 della legge n. 349/86, ha parlato di pasticciaccio, ed analizzato i rapporti fra i due regimi giuridici, che vede la bonifica come una disciplina la “pubblicistica” di tipo preventivo, effettivamente applicata sotto il controllo della P.A., e quella per danno ambientale come disciplina residuale, il Prof. Giampietro si è soffermato sugli aspetti principali della direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale, che ha prodotto una rottura, attraverso un pragmatismo volto al miglior contemperamento della tutela delle imprese e del mercato con le esigenze ambientali.


Quest’ultima, in estrema sintesi, ha:
definito una soglia giuridica del danno ambientale (significativo, misurabile) e dell’oggetto della tutela, ha escluso l’inquinamento atmosferico (apriti cielo!);
distinto, in relazione al tipo di responsabilità, fra ipotesi di responsabilità oggettiva per attività professionali pericolose e responsabilità per colpa per danno alle specie e habitat naturali da attività diverse;
dettato regole tecniche sulla tipologia del ripristino;
previsto l’assicurabilità del danno ambientale (ma non il risarcimento monetario);
sancito l’irretroattività del nuovo regime;
stabilito obblighi di informazione della P.A. a carico del responsabile e controlli della medesima.

In definitiva, è stato sottolineato che l’“impostazione “procedimentale” del regime comunitario, il riferimento al pericolo di danno ambientale, nonché il perseguimento di obiettivi di riparazione effettiva hanno avvicinato il medesimo regime a quello sulla bonifica.

In Italia, nel frattempo, è stata modificata la normativa sulla bonifica dei siti contaminati (analisi di rischio) e, in relazione al danno ambientale, è stata effettuata la solita scelta compromissoria, nella quale tanto per fare solo alcuni esempi – spiccano ben tre diversi significati di ambiente, (che si contraddicono a vicenda) e una forma di quantificazione del danno presunta (art. 314, c.3) che, sia pure prevista come ipotesi marginale, rischia, nel concreto, di diventare il principale sistema di risarcimento del danno, per convenienza sia del ministero dell’Ambiente, sia degli operatori del settore.

Quanto è cambiata l’impostazione dell’art. 18 della L. 349/86?

Dopo la scelta che sarebbe dovuta essere definitiva, operata dal TUA, il D.Lgs n. 4/08 ha introdotto, con l’art. 252-bis, un ulteriore ed autonomo regime della bonifica e del danno ambientale.
E il successivo art. 2 della legge n. 13/2009, ha previsto una transazione “globale” nell’ambito degli interventi di bonifica con apposito e formale procedimento.

In definitiva, col tempo sono stati creati sistemi e sottoinsiemi che “rischiano” di complicare ulteriormente il già non pacifico quadro normativo nel quale annaspiamo…
Nelle sue conclusioni, il Prof. Giampietro ha sottolineato che tutte le questioni affrontate nel corso del suo intervento riemergono, sotto vari profili, nelle Conferenze di servizi sui siti di interesse nazionale e nel relativo contenzioso, oltre che nei procedimenti di transazione in corso sulla base di accordi di programma già stipulati.

In particolare, occorre chiedersi se se siano ancora applicabili gli artt. 2043, 2050 e 2051, c.c. nel periodo anteriore all’entrata in vigore del cit. art. 18 dal momento che quest’ultima disciplina si qualifica come regime speciale rispetto a quello codicistico….

La nuova delega del Governo ex art. 12, legge 18 giugno 2009, n. 69, riuscirà a rendere effettivi gli obiettivi di razionalizzazione e semplificazione dettati dell’originaria legge-delega n. 308/2004, nel ristretto termine di un solo anno?
La precedente esperienza del T.U.A. non ha insegnato nulla ? ...

Foto: “IL BISONTE” originally uploaded by pangio81



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Bonifica & Danno Ambientale nei siti di interesse nazionale

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Ecco cos’è successo nel convegno sulla bonifica & Danno ambientale nei siti di interesse nazionale del 2 luglio 2009 a Roma

Come vi ho anticipato in un posto di più di due mesi fa (Siti di interesse nazionale: convegno a Roma (“Bonifica e danno ambientale nei SIN”) il 2 luglio 2009 si è tenuto a Roma, presso il Centro Congressi Melià, un convegno sulla “Bonifica & Danno ambientale nei SIN”, Siti di Interesse Nazionale.

Il convegno – organizzato dallo Studio Legale del Prof. Avv. Franco Giampietro e da Giampietro Ingegneria, con i quali ho l’onore di collaborare, e dall’Associazione Giuristi Ambientali, di cui sono membro dal 2004 – ha visto susseguirsi interessanti interventi giuridici e tecnici degli operatori del settore (giuristi e ingegneri ambientali, esperti dell’Istituto Superiore di Sanità) il cui spessore e rigore scientifico è stato messo in risalto dall’intervento di Massimiliano Atelli, catapultato dalla Corte dei Conti all’Ufficio Legislativo del Ministero dell’Ambiente, il cui intervento – pacato, forbito, ma forse un po’ troppo politichese… – ha evidenziato che il nostro legislatore, ancora una volta, non ha le idee chiare come vorrebbe far credere.

Lo hanno sottolineato, negli interventi successivi, anche la Dott.ssa Loredana Musmeci, dell’ISS – che ha lanciato un “grido di dolore” per l’incessante e sterile opera di perenne modifica legislativa – e la Proff.ssa Alberta Leonarda Vergine, dell’Università di Pavia, che – con la verve, l’ironia e la precisione che contraddistingue, da sempre, i suoi interventi – dopo la “preghiera della Montagna” (Montagna è il nome del moderatore della sessione mattutina, ndr) ha rivolto la “preghiera della Vergine”…

Ma procediamo con ordine.

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Alfredo Montagna, ha sottolineato l’importanza di momenti di riflessione come quelli affrontati nel Convegno.
Specie in una materia come quella sulla bonifica e sul danno ambientale nei siti di interesse nazionale, in cui le problematiche scaturenti dall’incerto rapporto fra bonifica-omessa bonifica-mancata comunicazione, dalla problematica gestione delle acque emunte, dall’ambito di applicazione della disciplina del danno ambientale (solo per citarne alcune fra le più rilevanti…) creano un’infinità di problemi applicativi agli operatori del settore, e rendono quanto mai urgente una rivisitazione dell’attuale impalcatura normativa.

Le relazione del Prof. Avv. Franco Giampietro – il (mio) Maestro di diritto ambientale, che mi ha insegnato tanto, trasmettendomi la sua passione per il diritto dell’ambiente – è stata, comme d’habitudide, il clou della giornata lavorativa.

A volte ritornano, verrebbe da dire.

Nella sua relazione, infatti, il Prof. Franco Giampietro ha messo in risalto il fatto che oggi, a più di vent’anni di distanza, e con tutta la produzione legislativa susseguitasi, la giurisprudenza ha creato un circuito di ritorno alle origini, non solo attraverso il richiamo all’art. 18 della legge n. 349/86, ma anche riproponendo le disposizioni del codice civile (2043 e ss.), ritenute a volte “concorrenti” con quelle di legislazione speciale.

Dopo un richiamo ad una relazione della Corte dei Conti nel 2003 – relazione le cui conclusioni, valide anche oggi, mettevano in risalto l’assoluta necessità di una maggiore organicità nella disciplina sulle bonifiche e sul danno ambientale, e di una semplificazione delle procedure amministrative relative ai procedimenti di bonifica, in specie nei siti di interesse nazionale – il Prof. Giampietro ha iniziato una disamina storica della giurisprudenza in materia di danno ambientale, che affonda le sue radici nel periodo anteriore all’emanazione della legge n. 349/86.
Periodo in cui la giurisprudenza ordinaria e quella costituzionale affermavano l’applicabilità degli artt. 2043-2050-2051 del c.c.

Dopo l’entrata in vigore della legge 349/1986 e dai successivi D.Lgs n. 22/97 e D.Lgs n. 152/99, che hanno introdotto ulteriori disciplina particolare sul danno ambientale (art. 17 del decreto Ronchi; art. 58 del D.Lgs n. 152/99), la disciplina della responsabilità per danno ambientale può essere schematizzata come segue:
  • riguarda beni di uso collettivo (e la salubrità ambientale);
  • concerne qualunque alterazione del bene-ambiente;
  • l’imputazione della responsabilità avviene per colpa o dolo;
  • l’applicazione della normativa è retroattiva (ex art. 2043 c.c.), (Cass. Civ. 1995, n. 3211);
  • è previsto l’obbligo di ripristino e/o di risarcimento del danno ambientale in termini monetari secondo equità (commisurato alla gravità colpa e al profitto illecito);
  • con l’art. 58, comma 1, del D.Lgs. n. 152/99 viene sancita l’irretroattività della disciplina, ma anche un’ipotesi di danno presunto;
In relazione all’art. 18, cit., la disciplina sulla bonifica (art. 17 del decreto Ronchi) costituisce norma speciale:
  • pericolo concreto ed attuale di inquinamento ( e non evento di danno) al suolo, sottosuolo, acque sotterranee, secondo parametri tabellari per zone (destinazione d’uso);
  • responsabilità oggettiva (“anche in via accidentale”);
  • responsabilità parziaria, in caso di concorso;
  • obblighi procedimentali (obbligo di autodenuncia; misure di sicurezza di emergenza (immediate e a carico del responsabile);
  • approvazione piani (di caratterizzazione, progetto preliminare e definitivo) (v. regole tecniche: D.M. 471/1999), (Cons. di Stato 05/12/2008, n. 6055)
  • responsabilità penale: art. 51-bis (applicazione retroattiva ?)


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Danno morale per patema d’animo: risarcimento per il disastro ambientale di Seveso

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La Cassazione Civile (sentenza n. 11059/09) ha affrontato un tema molto delicato, relativo alle conseguenze risarcitorie/patrimoniali del disastro ambientale di Seveso (i tags principali, per riassumere, sono: danno ambientale, risarcimento del danno non patrimoniale, mezzi di prova, risarcibilità, diossina, disastro ambientale, danno esistenziale, Class action).

Il “patema d’animo” dei cittadini, preoccupati per le ripercussioni sulla salute, causate dalle sostanze tossiche sprigionatesi in seguito al disastro ambientale di Seveso, deve essere risarcito come danno morale, nonostante le tesi sostenute, a gran voce, dall’Icmesa nel ricorso presentato in Cassazione per l’annullamento della sentenza di secondo grado che, confermando quanto già statuito dal Tribunale di Milano, aveva condannato a società ad un risarcimento pari a 5.000 € per ciascun ricorrente.

Tesi che ruotavano tutte intorno a questo concetto: non esistono i presupposti per il danno morale perché, inter alia, non c’è la prova che i residenti della “zona della nube tossica” avessero avuto delle ripercussioni nella vita sociale o anche di relazione…

La Cassazione, con un sentenza che vi consiglio vivamente di leggere d’un fiato (potere liberamente scaricare la sentenza della Corte di Cassazione Civile n. 11059/09 sul sito di Natura Giuridica, consulenza ambientale per imprese e pubbliche amministrazioni) ha statuito, invece, e per fortuna giuridico-ambientale, che è giuridicamente corretto inferire l’esistenza di un danno non patrimoniale, ravvisato nel patema d’animo indotto dalla preoccupazione per il proprio stato di salute e per quello dei propri cari, ove tale turbamento psichico sia provato in via documentale.

Il danno non patrimoniale può essere provato anche per presunzioni e la prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l’unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell’uno in dipendenza dell’altro, secondo criteri di regolarità causale.

Si tratta, del resto di principi affermati già in passato (Cass. Sez. Un. civ. n. 2515/2002, in caso di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro colposo - art. 449 c.p.) nel caso del verificarsi di un delitto di pericolo presunto a carattere plurioffensivo: qui la Cassazione sottolineava che alla lesione dell’interesse adespota all’ambiente ed alla pubblica incolumità, si affianca il pregiudizio causato alla sfera individuale dei singoli soggetti che si trovano in concreta relazione con i luoghi interessati dall’evento dannoso, in ragione della loro residenza o frequentazione abituale. Ove sia dimostrato che tale relazione è stata causa di uno stato di preoccupazione è configurato il danno non patrimoniale in capo a detti soggetti, danno risarcibile in quanto derivato da reato.

In armonia con un’altra decisione della Cassazione (Cass. Sez. Un. civ. n. 26972/2008) il giudice di legittimità delle leggi ha, inoltre, stabilito che va esclusa l’autonomia del c.d. danno esistenziale, il quale non rappresenta altro che una delle voci del danno non patrimoniale.
Nel caso in cui il fatto illecito, da cui è derivato il danno, si configuri come reato, il danno non patrimoniale è risarcibile nella sua più ampia accezione di danno determinato da lesioni di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica.

In questo contesto, la sofferenza morale può ben protrarsi anche per lungo tempo e la sua durata assume rilievo ai fini della quantificazione del risarcimento, e il Giudice ha il compito di accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome ad esso attribuito.

Altri post pubblicati sul blog di Natura Giuridica, relativi al risarcimento per danno ambientale:


Evoluzione del danno ambientale nella politica europea (1, 2, 3, 4, 5, 6)

Siti di interesse nazionale: convegno a Roma (“Bonifica e danno ambientale nei SIN”)



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Siti di interesse nazionale: convegno a Roma (“Bonifica e danno ambientale nei SIN”)

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Il 2 luglio 2009 si terrà a Roma, presso il Centro Congressi Melià, in Via degli Aldobrandeschi n. 223, un convegno sulla “Bonifica & danno ambientale nei SIN”, Siti di Interesse Nazionale.
Il convegno è organizzato dallo Studio Legale del Prof. Avv. Franco Giampietro e da Giampietro Ingegneria, con i quali ho l’onore di collaborare, e dall’Associazione Giuristi Ambientali, di cui sono membro dal 2004.

Durante lo svolgimento dei lavori – che si propongono d’illustrare le più rilevanti novità tecnico-normativo relative alla bonifica dei siti contaminati e al danno ambientale nei Siti d’Interesse Nazionale – saranno esaminati, in particolare, i rapporti tra le due discipline, i diversi profili tecnico-operativi e di responsabilità prospettati a carico dei proprietari e/o dei responsabili dell’inquinamento, gli accordi di programma per il risanamento dei SIN, sino all’art. 2 della legge n. 13/2009, con la quale il legislatore è nuovamente intervenuto in materia di risarcimento del danno ambientale.

L’approccio metodologico prevede l’intervento di esperti giuridici e tecnici, degli organi istituzionali e delle aziende interessate.

Nella sessione mattutina, presieduta dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione Alfredo Montagna, prenderanno la parola il Prof. Avv. Franco Giampietro, Presidente dell’Associazione Giuristi Ambientali, che illustrerà i rapporti tra bonifica e danno ambientale nel Testo Unico Ambientale e successive modifiche ed integrazioni.
Quindi Massimiliano Atelli, Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero dell’Ambiente, delineerà criticità e prospettive dei SIN.

Dopo il coffee break saranno Loredana Musmeci, dell’Istituto Superiore di Sanità, e Paolo Dell’Anno, Avvocato e Professore dell’Università de L’Aquila, a illustrare l’evoluzione dell’analisi di rischio nella caratterizzazione dei SIN e le responsabilità del proprietario incolpevole dell’inquinamento.



Nella sessione pomeridiana, presieduta da Francesca Quercia dell’ISPRA, la Proff.ssa Alberta Leonarda Vergine, dell’Università di Pavia, parlerà del reato di omessa bonifica e del recente orientamento della Suprema Corte.
L’Ing. Vittorio Giampietro, a seguire, ci spiegherà la valutazione tecnica del danno ambientale.
Prima del dibattito e della chiusura dei lavori, verranno illustrati alcuni casi pratici: Eni-Syndial quelli relativi alla bonifica dell’ACNA di Cengio, Erm Italia srl quelli concernenti la valutazione tecnica del danno ambientale ed Ecotherm quelli sull’esperienza e sulla prassi tecnico-amministrativa maturate nel campo della bonifica.

Programma completo del Convegno
Scarica la scheda di adesione

Foto 2: "beautiful wildlife" (taken in Brindisi) originally uploaded by gicol



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Proprietario incolpevole dell'inquinamento: TAR Torino 2928/2008

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La sentenza di oggi (TAR Piemonte, n. 2928 del 21 novembre 2008) riguarda lo scottante tema della responsabilità del proprietario incolpevole di un sito risultato inquinato.

Per un approfondimento della parte in fatto, e dei ragionamenti giuridici del Giudice, rinvio al testo completo della sentenza del TAR Torino 2928 del 2008.

In questa sede mi limito a segnalarvi i punti fondamentali della sentenza.

Innanzitutto, il Collegio ha affermato che l’esecuzione degli interventi di bonifica prescritti dall’amministrazione rappresentano, per il proprietario estraneo all'inquinamento, un onere, finalizzato a rimuovere il pregiudizio costituito dall'onere reale e dal connesso privilegio immobiliare gravante sul bene.
L’evizione del bene che il proprietario può subire a causa dell'inerzia dell'inquinatore non costituisce una sanzione per non aver bonificato il sito, ma una conseguenza dell'attività di ripristino ambientale realizzata dall'Ente pubblico nell'interesse della collettività, tramite un meccanismo che presenta similitudini più con l'esproprio che con il risarcimento del danno ambientale.

Nei casi in cui ci sia una successione di soggetti distinti su una fonte attiva di inquinamento che il titolare dell'attività di impresa abbia l'obbligo di controllare in base alla normativa vigente, i vari soggetti succedutisi, che abbiano effettivamente il potere di intervenire sulla fonte di rischio senza che sia necessario il ricorso a strumenti eccezionali, danno luogo ad una pluralità di garanti, nessuno dei quali può liberarsi dal proprio obbligo di intervento invocando l'analoga posizione di garanzia di altri soggetti, inclusi i propri predecessori nella gestione del sito.

L'art. 17, D.Lgs. n. 22 del 1997 (come confermato e specificato dagli artt. 240 e ss. del Testo Unico Ambientale), impone l'esecuzione di interventi di recupero ambientale anche di natura emergenziale al responsabile dell'inquinamento che può non coincidere con il proprietario ovvero con il gestore dell'area interessata.

Ciò che occorre sottolineare, è che a carico del proprietario dell'area inquinata non responsabile della contaminazione non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in argomento, ma l’onere di eseguirli al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite, invece, da privilegio speciale immobiliare.
Di conseguenza, il proprietario, qualora non coincida con il responsabile dell'inquinamento e questi non sia identificabile - finisce comunque per essere il soggetto gravato dal punto di vista economico, poiché l'Ente pubblico che ha provveduto all'esecuzione dell'intervento può recuperare le spese sostenute nei limiti del valore dell'area bonificata, anche in suo pregiudizio: ne deriva che il proprietario incolpevole ha l'onere di provvedere alla bonifica e alla messa in sicurezza se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull'area di onere reale e di privilegio speciale immobiliare, salva l'azione di regresso nei confronti del responsabile dell'inquinamento.

Natura Giuridica ha già affrontato diverse volte il tema della responsabilità in materia di bonifica dei siti contaminati.

Foto: “Torino - Piazza San Carlo - Il "TORO RAMPANTE" simbolo della città” originally uploaded by Man Drake

Questo post è stato revisionato nel gennaio 2019 dallo staff di Natura Giuridica sas di Quaranta Andrea - società di consulenza ambientale. Visita il nuovo sito naturagiuridica.com e scopri come possiamo esserti utili!


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Syndial: sentenza 4991/08. Tribunale di Torino. Massime finali

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Nei post precedenti ho cominciato a pubblicare le massime della sentenza del Tribunale di Torino n. 4991 (Ministero dell’ambiente contro Syndial), che ha condannato la società a 1,9 miliardi di euro, in relazione ai profili processuali, e a quelli concernenti il danno ambientale.

Con quello di oggi si conclude la “trilogia” di post dedicati alle massime della sentenza 4991 dell’8 luglio 2008, che si articolano nel seguente modo.

In relazione ai "rapporti" della disciplina sul danno all'ambiente con l'art. 2043 del codice civile:

La responsabilità ex art. 18 della legge 349/1986 non assorbe quella di cui agli artt. 2043 e 2050 c.c. in quanto le norme possono concorrere tra loro, tenuto conto che la prima tutela l’ambiente in sè considerato, mentre gli artt. 2043 e 2050 tutelano i singoli beni ambientali.

La condotta di una società che gestisce uno stabilimento di produzione del DDT che immetta in fiumi e in un lago DDT ed altri composti chimici, danneggiando l’alveo, le acque e la fauna ittica, integra sia la fattispecie di cui all’art. 2043 c.c., a fronte di una accertata condotta contraria alle norme di comune esperienza (omessa verifica dello stato dei macchinari e degli scarichi, mancata osservanza di linee guida aziendali), sia quella di cui all’art. 2050 c.c. laddove non si provi che siano stati adottati tutti gli accorgimenti idonei ad evitare l’inquinamento dei corsi d’acqua.

Quanto, infine, alle connessioni con la normativa sulla tutela delle acque dall’inquinamento e sulla gestione dei rifiuti:

a) Il danno all’ambiente è ristorabile anche ai sensi degli artt. 2043 e 2050 c.c. trattandosi di danno patrimoniale ancorché afferente beni non aventi un valore di mercato in quanto facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato, con la possibilità di riconoscere anche il danno da lucro cessante, con la conseguenza che i responsabili sono tenuti in solido al pagamento del debito ex art. 2055 c.c. (a meno che tale risarcimento non venga richiesto solo in via alternativa all’accoglimento della domanda ex art. 18 della legge 349/1986).

b) La miscelazione di acque di processo e di acque di raffreddamento allo scopo di rendere lo scarico dell’impianto industriale conforme ai limiti di legge, con la possibilità di eseguire controlli sullo scarico solo a valle di tale miscelazione, costituisce violazione dell’art. 9 della legge 10 maggio 1976, n. 319 sul divieto di diluizione, per cui il conseguente danno all’ambiente integra la fattispecie di cui all’art. 18 della legge 349/1986.

Sulla base della disciplina attuale, le acque contaminate da DDT non possono essere considerate un rifiuto tossico nocivo, per cui in caso di illecito sversamento nell’ambiente trova applicazione la disciplina sanzionatoria in materia di tutela delle acque dall’inquinamento e non quella in materia di gestione dei rifiuti.




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Syndial: sentenza 4991/08. Tribunale di Torino. Massime sul danno ambientale

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Nel post precedente (Syndial: sentenza 4991/08. Tribunale di Torino. Massime "processuali") ho cominciato a pubblicare le massime della sentenza del Tribunale di Torino n. 4991 (Ministero dell’ambiente contro Syndial), che ha condannato la società a 1,9 miliardi di euro, in relazione ai profili processuali.

Adesso continuo con quelle concernenti il danno ambientale, che si articolano nel seguente modo:

a) oggetto del risarcimento: il danno ambientale risarcibile (sia ai sensi dell’art. 18 della legge 349/1986 sia ai sensi degli artt. 300 e 311 del d.lgs. 152/2006), può consistere in una semplice alterazione, anche transitoria, dell’ambiente, che quale sussiste quando quest’ultimo, anche se non distrutto o danneggiato, viene modificato nelle sue componenti (come la qualità dell’aria, dell’acqua, della flora e della fauna), in modo da non poter assolvere, se non in misura minore, alla sua funzione propria (nel caso di specie, il Tribunale di Torino ha ritenuto che integri la fattispecie una diminuzione di qualità ambientale desumibile dalla comunità di microinvertebrati bentonici e della presenza di DDT nei pesci del fiume e del lago).

b) nesso causale: sussiste il nesso causale tra condotta e danno ambientale laddove non risultino cause alternative di contaminazione e laddove il danno non si sarebbe verificato qualora l’azienda avesse operato in conformità dell’ordinamento per quanto riguarda le modalità di scarico (ossia, nel caso di specie, senza diluire il DDT, mettendo in sicurezza l’impianto, ivi comprese le fognature, oltre che operando una costante manutenzione).

c) Ulteriori danni ambientali: il danno ambientale, diverso ed ulteriore rispetto al danno alle singole componenti dell’ambiente, rientra nell’ambito del danno patrimoniale, ma non può considerarsi una fattispecie di danno punitivo, cosicché per il relativo risarcimento non è sufficiente una condotta criminosa, ma è necessario che tale condotta sia caratterizzata da colpa o dolo “specifici” e che da quest’ultima sia derivato un danno.

d) elemento soggettivo: nella valutazione del grado della colpa ai fini della quantificazione del danno ambientale ex art. 18 della legge 349/1986 si deve tener conto della consapevolezza dell’impresa responsabile della pericolosità del proprio prodotto e degli effetti della propria condotta sull’ambiente, nonché del ruolo dell’impresa nel sistema imprenditoriale nazionale e quindi della circostanza che una società controllata dalla ministero del tesoro avrebbe dovuto agire anche nell’interesse pubblico.

e) quantificazione del danno: nella valutazione del criterio di quantificazione del danno ambientale ex art. 18 della legge 349/1986 rappresentato dai “costi per il ripristino” si deve tener conto dei costi per depurare le acque superficiali e le acque di falda e per le operazioni di drenaggio, essiccazione e smaltimento dei sedimenti accumulati nel periodo considerato.

La valutazione dei danni all’ambiente circostante, ai terreni, alla fauna e alla flora, anche con effetti di alterazione significativa, di cui tuttavia non se ne possano quantificare i costi di ripristino per l’impossibilità di eliminarne gli effetti, non può che essere puramente equitativa (nel caso di specie si trattava in particolare del danno ambientale conseguente alle emissioni in atmosfera di DDT che, in considerazione dell’effetto cd. “a cavalletta” dei POPs Inquinanti Organici Persistenti, aveva provocato inquinamenti riscontrati nell’ambiente circostante all’impianto industriale ma anche sul ghiacciaio del Lys).

La prova del “profitto del trasgressore” ai fini della quantificazione del danno ambientale, in mancanza del deposito in giudizio dei bilanci da parte dell’azienda, può desumersi dalla valutazione dei ricavi aziendali, con un congruo abbattimento per costi di personale, materie prime e attività di produzione, cui deve aggiungersi il risparmio per non aver provveduto all’effettuazione dei necessari lavori sull’impianto di depurazione, fognario e delle opere di contenimento degli inquinanti.

La quantificazione del risarcimento per equivalente del danno ambientale non può essere ridotta in ragione delle spese sostenute dal trasgressore per un progetto di bonifica ove questo intervento non riduca il danno ambientale cagionato, ma si limiti ad evitare ulteriori danni (nella specie erano state realizzate “barriere idrauliche” per impedire che i contaminanti presenti nella falda continuassero a defluire nel lago).



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Syndial: sentenza 4991/08. Tribunale di Torino. Massime “processuali”

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Nel post dello scorso 21 luglio 2008 (Danno ambientale per inquinamento da DDT: Tribunale Torino condanna Syndiala 1,9 miliardi di euro) vi ho parlato della sentenza del Tribunale di Torino n. 4991, Ministero dell’ambiente contro Syndial, che ha condannato la società a 1,9 miliardi di euro.


Di seguito vi riporto le massime, “articolate” nel seguente modo:
1. Profilo processuale: ricusazione, azione giudiziaria, art. 444 cpp, eccezione di incostituzionalità;

2. Danno ambientale: oggetto del risarcimento, nesso causale, Ulteriori danni ambientali, elemento soggettivo, quantificazione del danno;

3. “rapporti” con l’art. 2043 del codice civile;

4. connessioni con la normativa sulla tutela delle acque dall’inquinamento e sulla gestione dei rifiuti.

Sotto il profilo processuale, la sentenza del Tribunale di Torino n. 4991 dell’8 luglio 2008 ha stabilito che
  • Ricusazione: in un processo per danno ambientale proposto dal Ministero dell’ambiente non costituisce motivo di ricusazione del CTU (consulente tecnico d’ufficio) la circostanza che il consulente stesso sia stato incaricato in passato di effettuare alcune attività di consulenza tecnica di parte nell’interesse del dicastero medesimo, in quanto ciò non fa del CTU un “commensale abituale” del Ministero.
  • Azione giudiziaria: l’azione giudiziaria e la pendenza del relativo processo penale per reati ambientali a carico di dipendenti di una società determinano, ai sensi degli artt. 1310 e 2945 c.c., anche per quest’ultima l’interruzione permanente della prescrizione dell’azione risarcitoria dei conseguenti danni cagionati all’ ambiente, anche quanto la stessa società sia rimasta estranea al processo penale, in quanto condebitore solidale con i propri dipendenti che abbiano commesso gli illeciti per dare esecuzione all’attività d’impresa.
  • Art. 444 cpp: la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito della causa civile il quale può, parimenti, trarre elementi di prova dagli atti del giudizio penale, anche quando non vi abbiano partecipato le parti del giudizio civile, tra cui le dichiarazioni rese ad organi di polizia giudiziaria.
  • Eccezione di incostituzionalità: è manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 18 della legge 349/1986 con riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 42 della Costituzione laddove prevede il risarcimento del danno ambientale per equivalente, anche quando il danno da liquidare sia nell’ordine di grandezza di milioni di euro ed anche quando un risarcimento di tale importo rischi di comportare il fallimento della società responsabile dell’illecito


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Ce l'hanno data a bere...

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Recensione del libro inchiesta, scritto nonostante la "regola non scritta" che recita "Acqua in bocca", diktat di una casta politica che fa acqua da tutte le parti...
Ci sono alcuni eventi che per la loro portata si definiscono spesso, a volte anche in maniera affrettata, "sconvolgenti".
Tra questi, la maggior parte sono in grado di cambiare il futuro di un gruppo, di un insieme di persone, di un territorio.
Ci sono, invece, altri tipi di eventi che, oltre ad incidere pesantemente sul presente e sul futuro della società civile, riescono in qualche modo a cambiare anche il passato. 
Meglio: l'idea di un certo passato che l'opinione pubblica aveva fino ad un dato momento.

Inizia così “Ce L’hanno data a bere”, il libro-inchiesta di due giornalisti abruzzesi del quotidiano on line PrimaDaNoi.it, pubblicato da Il mio libro.

Un libro che cerca di ricostruire, attraverso documenti e testimonianze, quanto accaduto nell’“isola felice” – l'Abruzzo, "un posto che oggi appare sempre più come una terra stuprata dalla mano incivile dell’uomo" – per avere uno sguardo di insieme sulla complessa vicenda e per capire cosa fosse realmente successo. 
E perché.

Il libro è ben costruito, e a parte qualche imprecisione normativa (il D.Lgs n. 152/06 – il c.d. “Testo Unico Ambientale” – non è l’ex DM 471/99…), si legge con piacere.
Ma anche con tanta amarezza…

Ogni capitolo si apre con una citazione, che riassume, in qualche modo, il successivo contenuto.

La storia inizia con un altro “modo di dire” che, dopo il titolo, sembra sottolineare in modo beffardo ciò che silenziosamente gli abruzzesi hanno mandato giù…
In “Acqua in bocca”, infatti, sono raccolte alcune frasi celebri, da quella del sindaco di Bussi, che nel maggio del 2007 affermò che 
«I nostri cittadini sono le prime vittime. Noi paghiamo lo scotto di cento anni di chimica. Siamo fieri perché grazie allo stabilimento ci siamo fatti anche un nome, ma le stesse industrie hanno portato molti problemi e morti» 
fino al 
«Non siamo il carrozzone mangia soldi che descrivono»
con la quale Bruno Catena, presidente dell’Aca – Azienda Comprensoriale Acquedottistica – rispondeva, in politichese, alle critiche che piovevano a destra e a manca, passando per il pilatesco e triste 
«Io vivo a Teramo…»
con il quale Dante Caserta, presidente Wwf Abruzzo, chiosava alla domanda se fosse opportuno bere l’acqua dei rubinetti in Val Pescara...

Il primo capitolo, Il polo chimico delle libertà (“In natura non ci sono né ricompense né punizioni: ci sono conseguenze”: R. G. Ingersoll), racconta una storia che tutti, in realtà, sapevano già…
Una storia fatta di silenzi omertosi, di interessi economici troppo forti per poter essere combattuti, di mobbing ante litteram, a tratti di un’ingenuità disarmante (“allora il discrimine era uno solo: puzza, non puzza. Il mercurio, per esempio, non puzzava, e costituiva un consolidato passatempo per i giovani degli anni ‘60”…) e di implicazioni sociali che hanno condizionato le stesse vittime dell’inquinamento provocato dalla discarica di Bussi sul Tirino. 
“Tutti possono cadere dalle nuvole, tranne noi, e per una ragione semplicissima”, dice ai giornalisti di PrimaDaNoi Pino Greco. “Perché noi abbiamo visto, abbiamo ascoltato, abbiamo respirato. Perché noi siamo stati testimoni. E forse anche complici. La discarica della vergogna, quel deposito di centinai di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici sparsi fra la ferrovia ed il fiume Pescara, non ha niente di abusivo. Essa è semplicemente la discarica della nostra fabbrica”…
Nelle pagine di Natura Giuridica ho già parlato di una situazione analoga, in cui sottolineavo che "la perdurante accettazione sociale, politica ed economica di grandi siti inquinati in ragione della salvaguardia del posto di lavoro sia stata ingannevole e si sia svelata, nel tempo, come un compromesso sbagliato […] ed abbia distorto la realtà creando una situazione di grave connivenza tra controllore e controllato, quasi una perversa simbiosi, tale da allentare qualsiasi forma efficiente di monitoraggio ambientale”.
In “Un fiume e un commissario straordinari” (“Gli uomini discutono, la natura agisce”: F. Voltaire) vengono delineate le cause del silenzio creatosi attorno a tale omertà, e i nebulosi contorni dello spirito di casta, mentre ne “In principio fu la mega discarica di Bussi” (“Il mondo è cambiato…lo sento nell’acqua…lo sento nella terra…lo avverto nell’aria…molto di ciò che era si è perduto”: da “Il signore degli anelli”) viene ripercorsa, per sommi capi, la storia dell’industrialismo sviluppista del polo chimico di Bussi-Popoli, corredato da annotazioni sul generale lassismo abruzzese rispetto l’applicazione delle normative ambientali, e dell’atteggiamento spesso troppo semplicistico con cui la politica ha trattato il problema, e non lo ha comunicato…

Seguono, inevitabili, le “Soluzioni tampone tra rassicurazioni e paure” (“Le bugie più crudeli sono spesso dette in silenzio”: R. Stevenson), dove i due giornalisti di PrimaDaNoi sottolineano che, a parole, Governo e Commissione bicamerale, si dicevano pronti a fare la propria parte, salvo poi, nei fatti, secretare l’audizione presso quest’ultima del PM Aceto (pag. 35)…operazione, quest’ultima, che ha sollevato qualche dubbio in proposito…

Il tutto, in un quadro generale di forti commistioni fra professionisti esterni e l’ACA (“ACA e ATO: così andavano le cose”: “I guai sono come i fogli di carta igienica: ne prendi uno, ne vengono dieci”. W. Allen), fatte di continue richieste di consulenze esterne, i cui costi, e le cui modalità…attuative lasciano pochi dubbi sullo strisciante clientelismo, e sulle sue inevitabili inefficienze…
I numeri spiattellati da “Ce l’hanno data a bere” dovrebbero “far riflettere dopo le polemiche legate al “partito dell’acqua”, agli scandali legati alle inchieste sull’acqua avvelenata e alla depurazione (Fangopoli)”.
Mentre il piano industriale presentato da ACA per la risoluzione dei problemi, fa acqua da tutte le parti



Foto: “..:GlassOfWater:.. *108/365*” originally uploaded by amnesiak1978


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