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Un sistema alimentare sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico è possibile.

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Sul portale Teknoring sono tornato ad affrontare il tema del sistema alimentare: un sistema alimentare sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico è fondamentale per attuare pienamente la transizione ecologica, perché il sistema agro alimentare così com'è inquina parecchio; non solo: è fortemente iniquo dal punto di vista sociale ed ha, in alcuni contesti, effetti negativi sulla salute umana. Infine, a seguito di eventi quali la pandemia da Covid 19, l'invasione dell'Ucraina e la crisi energetica, che in parte ha preceduto la guerra, hanno accresciuto le difficoltà economiche del settore. 

Eppure, come potrete leggere negli articoli che ho dedicato al sistema del cibo, qualcosa si sta facendo, sotto molteplici punti di vista. Il primo passo per risolvere i problemi, anche quelli ad elevato tasso di complessità ed interconnessione quali le criticità del sistema alimentare globale, è sempre conoscere le cose sotto tutti i punti di vista, per capire da una parte come orientare le politiche pubbliche e dall'altra diventare consapevoli di cosa possiamo fare non consumatori. 

L'obiettivo è un sistema agro-alimentare più efficiente, equo, sicuro, sostenibile

Articoli sul tema che potrete leggere sul portale Teknoring: 

Foto di Agata da Pixabay



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UNI EN ISO 14026:2018 su etichettatura e dichiarazioni ambientali per una comunicazione ambientale veritiera

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È passato quasi un anno dal 6 dicembre 2018, giorno di entrata in vigore della norma UNI EN ISO 14026:2018 sull’etichettatura e dichiarazioni ambientali – Principî, requisiti e linee guida per la comunicazione delle informazioni sull’impronta ambientale (footprint).

Il nuovo standard internazionale nasce per garantire a imprese e consumatori una comunicazione ambientale che trasmetta una reale impronta ecologica. Partendo dal dato normativo, Andrea Quaranta analizza i possibili impatti che la nuova norma potrebbe avere sulla comunicazione ambientale. Questi gli argomenti affrontati nell'articolo dal titolo Comunicazione ambientale, guerra al greenwashing e norma UNI pubblicato sul portale teknoring.com
  1. 1. Domande fondamentali e comunicazione ambientale
  2. 2. Quanto abbiamo bisogno di una comunicazione ambientale corretta?
  3. 3. Dalla lotta al greenwashing ai requisiti del programma di comunicazione
  4. 4. Una rivoluzione non solo nella comunicazione ambientale (!?)
La pubblicazione del nuovo standard sancisce il diritto di consumatori e imprese a ricevere informazioni sull’impronta ambientale dei prodotti che siano chiare, non fuorvianti, facilmente accessibili e di qualità.

Si tratta di un modo di concepire la comunicazione ambientale lontano anni luce dal c.d. greenwashing, neologismo composto dalle parole green e whitewash, ossia imbiancare e, in senso figurato, insabbiare o mascherare qualcosa. Fu coniato in America nei primi anni Novanta per descrivere il comportamento di alcune grandi aziende che avevano associato la propria immagine alle tematiche ambientali, al fine di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle responsabilità derivanti dall’inquinamento causato dalle proprie attività produttive.

Ora è troppo presto per tracciare un primo bilancio sugli effetti prodotti da questa norma sulla comunicazione ambientale. Tuttavia, si può affermare che per certi versi si tratta di una norma ambiziosa, che si pone l’obiettivo di rivoluzionare dalle fondamenta il settore della comunicazione ambientale. Scardinando un meccanismo composto da: segretezza dei brevetti, comunicazione non sempre limpida verso terze parti e consumatori, e confusione terminologica.

Da una parte si richiede uno sforzo alle organizzazioni per adeguare le proprie comunicazioni ambientali ai nuovi principî e linee guida. All’interno del testo della norma per esempio, in diversi punti, ricorre il termine ‘semplificare‘, nonché la necessità che le organizzazioni si assicurino che le informazioni comunicate siano comprensibili, chiare e non fuorvianti, con particolare riferimento a dati e grafici.

Ma c’è anche una richiesta di analogo sforzo ai consumatori. Sempre di più dovranno essere in grado di leggere e comprendere comunicazioni dell’impronta ambientale basate su principî e linee guida rigorosi. Ed orientare poi di conseguenza le proprie scelte di consumo, praticando nella quotidianeità un vero e proprio consumo critico. 


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Spesa alla spina: la rivoluzione consapevole del consumo

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Una volta, prima ancora che si cominciasse a parlare di raccolta differenziata, e che il c.d. “decreto Ronchi” dettasse le “prime regole” per la gestione dei rifiuti e degli imballaggi, c’era, appunto, la sana abitudine – quando si andavano a comprare le bevande, prime fra tutte il latte – di portarsi dietro il vuoto a rendere, che potremmo definire l'antenato della più moderna spesa alla spina.
Il vuoto a rendere era un semplice sistema di gestione, dei consumi e degli sprechi, che permetteva di limitare l'impatto della nostra presenza sull’ambiente; un sistema sintomatico di un certo modo di rapportarsi con la natura.
Con il tempo, tuttavia, per un misconosciuto senso che ci porta a complicare sempre le cose (un errato concetto di efficienza, divenuto troppo simile a quello di approvvigionamento e consumo veloce dei beni, che ci ha portato a sacrificare la sostenibilità ambientale dei nostri acquisti), abbiamo mandato in soffitta questo strumento, sostituito dalla spasmodica ricerca di un rapido consumo fine a se stesso, caratterizzato dall’usa e getta, che non permette più di innestare nel processo di acquisto - e consumo - di un prodotto la fase di riciclo dell'imballaggio.
E quello che era uno dei sistemi di gestione del viver civile si è trasformato in un problema di gestione dei rifiuti.
Non è questa la sede per approfondire le problematiche connesse alle mille sfaccettature e alle difficoltà pratiche che si incontrano nella gestione (che dovrebbe essere integrata) dei rifiuti (urbani, industriali, speciali, pericolosi, non pericolosi, ingombranti, elettrici ed elettronici, …): voglio invece porre l’accento su un “nuovo” modo di consumare, figlio forse più delle ristrettezze economiche che di una chiara coscienza ambientale, che può tuttavia costituire un’ottima base sulla quale far rinascere una nuova consapevolezza sociale ed ambientale, cambiando l’attuale paradigma di insostenibilità.

Mi riferisco alla c.d. “spesa alla spina”, un nuovo modello di consumo critico (nei confronti della società dei consumi usa e getta), ecocompatibile, e sostenibile anche per le tasche delle famiglie (perché permette di acquistare il contenitore una sola volta o addirittura di riciclarlo, riducendo l'impatto ambientale dei rifiuti “da imballaggio” e contemporaneamente abbattendo i costi sostenuti dal consumatore per il packaging dei prodotti).

Si tratta di una “novità che sapevamo già”: una presa di coscienza che finalmente sembra diffondersi rapidamente, come testimoniato dai blog dedicati (Abagnomaria, Ecoblog, Ecoalfabeta, per citarne solo alcuni...)
e, soprattutto, dalle sempre più numerose e mirate iniziative imprenditoriali.

Come quella relativa alla distribuzione del latte (con numerosi punti self service, alcuni “addirittura” ad energia solare), ai detersivi (Ecologos, Mille Bolle),

ai cereali, anche al anche caffé, alla pasta, al riso, alle caramelle, ai legumi, alle spezie, e alla frutta secca. Numerose, poi, le grandi catene di distribuzione che stanno orientando in questo senso le proprie iniziative commerciali (Coop, Auchan, Crai). Seguiranno post di maggiore dettaglio: nel frattempo, cliccando qui, si può firmare la petizione per la presenza di distrubutori alla spina presso i centri commerciali.


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L'eco smart consumer: il consumatore vincente

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Il post che segue offre una sintesi di Eco-smart: il consumatore vincente di Renato Mannheimer all'interno della rivista Oxygen - La scienza per tutti del 02. 2012,  rivista trimestrale edita da Codice Edizioni, Torino.
L'articolo traccia un ritratto del c.d. smart consumer, il consumatore intelligente, e fiero di esserlo, emerso dalla tremenda crisi economica che ci affligge da qualche anno. La differenza principale rispetto al precedente modello di consumo con cui imprese e agenzie di comunicazione erano abituate a trattare è questa: il consumatore intelligente ragiona applicando il motto: "Sono, dunque consumo", consumo solo e soltanto certi beni in funzione delle cose in cui credo. 
Se il consumatore del passato andava indottrinato, lusingato - e anche un po' istupidito - quello attuale pretende di essere informato e trattato da pari a pari. Inoltre, lo smart consumer ha una spiccata coscienza verde, ed ecco perché può essere chiamato eco-smart consumer.
Questo consumatore "apprezza le aziende che impegnano una parte delle proprie revenues nel campo della solidarietà sociale o della protezione ambientale". In altri termini, si tratta di consumatori che prediligono le aziende capaci di produrre senza inquinare e senza sfruttare i lavoratori e le figure più indifese, come i bambini.
Nel 2009, quando della crisi si parlava senza tuttavia sentirne troppo gli effetti, l'IPO (Istituto per gli studi sulla pubblica opinione) ha condotto un sondaggio a livello nazionale intervistando un campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne: dall'indagine è emerso che un consumatore su 2 mostrava di aver sviluppato l'attitudine a distinguere e scegliere le aziende con le caratteristiche prima citate, rispetto a tutte le altre. Questo per dire che l'eco smart consumer non è il nome di una specie rara di consumatore, ma è l'etichetta che accomuna un esercito di persone, che alimenta e coltiva le proprie convinzioni attraverso le relazioni "di rete": ecco un altro tratto di questo consumatore. Si informa e condivide informazioni attraverso il web, attraverso i social network e le reti locali, come i gruppi di acquisto (GAS). 
Le imprese e le agenzie di comunicazione hanno dal canto loro cercato di rispondere ai bisogni di questo nuovo e potente mercato, spesso con esiti catastrofici. E' nato per esempio il termine greenwashing per indicare il repulisti di immagine cui molte aziende si sottopongono proprio per agganciare questo genere di consumatore. Si cerca di associare il proprio marchio o i propri brand a campagne ed iniziative volte alla tutela e al rispetto per l'ambiente ma, come dicevo, non sempre si centra il risultato, come nel caso di Ferrarelle.


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Caro-libri: soluzioni per il risparmio

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A settembre si torna tutti a scuola, ma per farlo occorre che ogni studente si munisca del "corredo scolastico" prescritto da insegnanti e professori. L'acquisto dei libri, degli zaini, dei diari e di tutto ciò che serve comporta ogni anno per le famiglie un notevole impegno economico, da moltiplicare per il numero dei figli. 
Per indicare la stangatina di settembre per le famiglie con figli in età scolastica si parla di carolibri o caro - libri.
Ogni anno, le famiglie cercano di correre ai ripari per risparmiare qualcosa, ricorrendo per esempio ai mercatini dei libri usati, oppure ai siti internet dove gli acquisti possono essere fatti direttamente on line.


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Detrazione 55% story

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Per chi si accinge a ristruttare la propria casa nell'anno 2011, e per gli artigiani chiamati a realizzare tali lavori, queste sono ore convulse: si attende il comunicato ufficiale del Governo - e soprattutto il testo - relativo alla proroga per il 2011 della detrazione del 55% per interventi di riqualificazione energetica degli edifici.

In un primo tempo, la notizia della bocciatura degli emendamenti di FLI e PD volti ad ottenere la proroga delle misura nella Finanziaria (ora Legge di Stabilità) per il 2011, aveva destato scalpore e le polemiche di diverse associazioni di categoria.

La detrazione del 55% ha infatti creato una serie di importanti effetti positivi sull'economia: la crescita di posti di lavoro in comparti quali quello dei serramenti (in misura maggiore) e delle ristrutturazioni di involucro degli edifici (in misura minore, perché si tratta di interventi più complessi per i consumatori); la riqualificazione energetica di una ingente quantità del parco immobili italiano, un ottimo strumento per il raggiungimento degli obiettivi europei sulle riduzioni di CO2.

Qualcuno dice, senza mezzi termini, che l'iniziale chiusura del Governo verso la proroga della detrazione sia stato un éscamotage per non rallentare la corsa alle riqualificazioni negli ultimi mesi del 2010. 



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Perché comprare green ?

Come spiegare ai consumatori perché è meglio comprare green? E quali sono le leve da spingere per un green marketing di successo?


C'è una scena molto simpatica del film Stregata dalla Luna, con Cher e Nicolas Cage, dove il papà della protagonista, idraulico italo americano di successo a New York, racconta alla sua amante come fa a convincere i clienti a pagargli onorari non proprio economici. Vincent Gardenia - che italiano lo era sul serio - dice più o meno così: "Io ai miei clienti dico sempre: ci sono i tubi di zinco, come quelli che avete voi, che causano grossi problemi, ci sono quelli di piombo, che si sono buoni ma a lungo andare possono causare problemi, ci sono poi quelli di rame, che io utilizzo perché sono i migliori e non causano nessun problema, è per questo che costano un po' di più. Allora, che tubi volete utilizzare?".
Questa simpatica scena decrive la sfida che le imprese italiane, che vogliono cogliere tutte le opportunità legate al green business, dovrebbero raccogliere: convincere i propri acquirenti che è più furbo e intelligente pagare di più, e che questo si traduce in un risparmio per il futuro.
Lo spunto per questa riflessione viene da una interessante ricerca di Sda Bocconi, curata da Silvia Vianello e Davide Reina, che sarà presentata a un workshop sul green marketing a Milano il 7 ottobre prossimo.


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Imprese e Ambiente: quale relazione?

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Il direttore della filiale italiana del WWF, Michele Candotti, spiega - in un' intervista rilasciata al Sole24ore -  come sta cambiando il rapporto delle imprese con l'ambiente e lo sviluppo sostenibile. L'occasione è data dalla firma dei nuovi accordi con Electrolux Zanussi e Federlegno Arredo per una nuova politica di sensibilizzazione di imprese e consumatori.
Nel corso degli anni, WWF ha scelto con le imprese un atteggiamento collaborativo, avviando campagne di comunicazione pionieristiche che collegavano per la prima volta alcuni brand a tematiche ambientali: vi ricordate la difesa dell'orso bianco collegata con il marchio delle caramelle per la gola? All'epoca, come spiega Candotti, si trattava di attività squisitamente comunicative "e non di tipo trasformativo", nel senso che non agivano effettivamente sui comportamenti dell'impresa o dell'utilizzatore, diversamente dagli obiettivi che oggi si porrebbe una campagna di comunicazione ambientale.


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eco famiglia in eco amministrazione

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C'è un modo di vivere che qualcuno chiama "stile di vita sostenibile", che può essere applicato sia all'interno delle famiglie, si parla di eco-famiglia, sia a livello di amministrazioni pubbliche, eco-amministrazione. Scrivo questo articolo ispirandomi ad un articolo de La Stampa del 12 marzo scorso, Un giorno da eco-famiglia di Sara Ricotta Voza, e riprendendo un mio articolo pubblicato proprio su questa rubrica a settembre del 2008, il paese che rispetta l'ambiente.

Alcuni tendono a leggere il fenomeno del life style ecosostenibile in termini minimi, considerando il rispetto per l'ambiente come un mero fenomeno economico, un po' dettato dalla crisi (compro la verdura dal contadino perché costa meno), un po' dettato da qualche markettaro intelligente, che ha creato una nuova serie di leve di marketing per stimolare il consumo di una certa tipologia di prodotti che altrimenti, difficilmente, avrebbero trovato un mercato (le lavatrici e gli elettrodomestici che costano di più perché consumano meno).

Hanno tutti ragione, nel senso che 30 anni fa, nei mitici, ricchissimi e spensierati anni 80, messaggi di questo tipo sarebbero caduti nel vuoto. Eppure, quello a cui oggi assistiamo è il risultato di una serie di fenomeni convergenti che pochissimi avrebbero potuto prevedere. 

La crisi economica ha, per molti, spazzato via l'illusione di entrare a far parte del ceto medio conseguendo un titolo di studio. C'è una generazione di trentenni / quarantenni che ha passato anni a studiare, dunque è colta, e che ad un certo punto si è trovata con lavori eternamente precari, mutui impazziti, banche strozzine e governi nazionali inconcludenti. 



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Grid Parity ed equilibrio giornalistico

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di Naide Della Pelle

Leggo abitualmente l’inserto Nova del Sole24ore, soprattutto per aggiornarmi sulle nuove frontiere del web e della banda larga (abito in un paesino di montagna e so qualcosa di “digital divide”…) ebbene, gli occhi mi cadono su un termine, grid parity che non conosco e che voglio approfondire.

Il termine si trova citato in un articolo di Marco Magrini dell’11 giugno 09 sul Sole24ore e dal testo emerge che la grid parity è il punto di equilibrio in cui produrre elettricità dal sole con pannelli fotovoltaici costa quanto produrla dai combustibili fossili.
In sostanza, la Grid Parity o GP è un insieme di condizioni economiche caratterizzate dalla coincidenza del costo del kWh fotovoltaico con il costo del kWh prodotto da fonti convenzionali, per tutte le categorie di utenti e per tutte le fasce orarie.

La grid parity è anche conosciuta come legge di Hoffmann (presidente dell’Epia – European Photovoltaics Industry Association), dal nome di colui che per primo coniò questo termine nel 1998.
Hoffmann, intervistato dal Sole24ore, a proposito della grid parity in Sicilia, dice che se si considerano tre fattori - l’irraggiamento solare di cui gode, gli incentivi governativi in vigore e i prezzi delle forniture di energia elettrica - in Sicilia si è già arrivati alla grid parity.
Hoffmann riferisce che, nel giro di pochi anni (5 o 6), l’evoluzione tecnologica porterà il fotovoltaico al punto di parità anche senza l’aiuto degli incentivi statali, e che il punto di equilibrio si estenderà anche al resto d’Italia.



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Chi paga la tecnologia verde?

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di Naide Della Pelle

La domanda m’è sorta spontanea leggendo un articolo, apparso sul Sole24ore on line, dal titolo più che eloquente: L'impresa guadagna a essere più ecologica.

Per certi versi, sono proprio i consumatori a sostenere i costi dell’innovazione tecnologica, la c.d. tecnologia verde.

La sostenibilità ambientale è una nuova leva del marketing: sempre più acquirenti sono disposti a spendere di più, se sanno che il prodotto rispetta l’ambiente.
Per le imprese, questo vuol dire margini migliori, oltre che la possibilità di comunicare prodotti e attività in modo nuovo, distinguendoli dalla mischia.

Il passaggio è semplice: affinché sullo scaffale del supermercato arrivi un prodotto che rispetta l’ambiente, chi produce deve investire in tecnologia, e l’innovazione è un costo, si sa.

Modificare una filiera produttiva, riducendo nei vari passaggi le emissioni di CO2 non è una passeggiata: per le imprese di taluni settori merceologici – in primis l’agro-alimentare – investire in innovazione costituisce uno stimolo non da poco…


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Stop al consumo di territorio

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Sul sito del movimento Stop al consumo di territorio i promotori sottolineano che
l’Italia è un paese meraviglioso. Ricco di storia, arte, cultura, gusto, paesaggio.Ma ha una malattia molto grave: il consumo di territorio.
Un cancro che avanza ogni giorno, al ritmo di quasi 250 mila ettari all’anno.
Dal 1950 ad oggi, un’area grande quanto tutto il nord Italia è stata Seppellita sotto il cemento.
Il c.d. “limite di non ritorno”, è sempre più vicino.
Ma – per italica abitudine (o convenienza….e in alcuni casi anche per assuefazione al peggio…) nessuno ne parla…

Il mix “mortale “ fatto di mancanza di informazione e di pilotata disinformazione costituiscono uno dei peggiori mali di un consumismo (che consuma anche territorio) al quale, se non viene posto un freno, rischiamo di soccombere…“quasi” senza accorgercene…

Per fortuna che c’è chi lotta, in nome di valori che riguardano tutti, e che tutti dovrebbero, pro quota, contribuire a salvaguardare…

Pervasi di cultura sostenibile, i promotori di “Stop al consumo di territorio” stanno utilizzando ogni tipo di mezzo per diffondere i sacrosanti principi di cui si sono fatti portatori.

Oltre alla tradizionale partecipazione ai numerosi eventi organizzati in materia di ambiente (io li ho conosciuti a Bra, durante la premiazione AICA), il loro canale di informazione privilegiato è la rete

Hanno appena fondato un gruppo su Facebook, che conta ormai già 3288 iscritti; e 1668 sono coloro che si sono registrati sul sito del movimento.

Sabato 14 febbraio 2009 è stata organizzata la presentazione del movimento di opinione per salvare i suoli rimasti agricoli e boschivi: perche' si costruisca, si conservi e si ristrutturi nell'ambito del patrimonio edilizio esistente.

Di seguito riporto il programma della manifestazione: "Stop al consumo di territorio"

Assemblea-dibattito di Alba
Sabato 14 Febbraio 2009, ore 16
presso la Sala Beppe Fenoglio
in via Maestra
(Via Vittorio Emanuele,19)


Modera Roberto Cavallo della Coop. Erica

Parteciperanno:

Elio Sabena, Gino Scarsi, Beppe Marasso, Gianni Rinaudo e
Flavia Bianchi, Responsabile del Settore Territorio di Legambiente Piem.
Primi firmatari del manifesto nazionale del neonato Movimento “Stop al Consumo di Territorio”;

Francesco Vallerani docente di Geografia presso l'Università di Venezia Ca' Foscari si è occupato recentemente non solo delle relazioni tra il declino dei paesaggi e l'angoscia sociale, ma anche di strategie per il recupero ambientale

Giorgio Ferrero - Ex Presidente Coldiretti Piemonte, Componente CNEL Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

Tutta la cittadinanza e’ invitata a partecipare

Maggiori informazioni su: www.stopalconsumoditerritorio.it - www.altritasti.it




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Strategia rifiuti Zero: Paul Connet a Cuneo

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Ieri, 3 febbraio 2009, nel centro incontri della Provincia di Cuneo si è tenuta un’interessantissima conferenza sulla “Strategia rifiuti zero”, tenuta dal Dr Paul Connett, Professore Emerito di Chimica presso la St Lawrence University di Canton, New York.

Finalmente una buona notizia, non solo per l’intervento in sé del Prof. Connett – interessante, coinvolgente, dettagliato, appassionato, comunicativo, a tratti esilarante – ma anche per l’attenta partecipazione del pubblico, numeroso, informato, curioso, pronto a fare domande precise (che a volte lasciavano intravedere conoscenze di dettaglio degne di nota) e a protestare vibratamente quanto il politico di turno ha cominciato ad allargarsi un po’ troppo, inanellando una serie di…“castronerie”, poi prontamente negate, rettificate e seppellite dall’uso di un pedante politichese, infarcito di toni da propaganda elettorale.

Fra qualche mese in provincia di Cuneo si vota per il rinnovo della giunta provinciale, e l’assessore all’ambiente in carica – che ricorda vagamente nell’aspetto un noto esponente di Confindustria, e nei modi, un “po’ troppo” sopra le righe, il suo “maestro di rettifiche” – non ha mancato di polemizzare, a volte anche a sproposito, con il responsabile rifiuti di Legambiente Piemonte, Michele Bertolino…il quale, punzecchiato anche da un ragazzo del pubblico per essersi “reso colpevole” di aver fatto da traduttore all’ottima relazione del Prof. Paul Connett, a mio avviso è stato lucido nell’esposizione, sciorinando dati e, parlando senza peli sulla lingua, ha soprattutto detto “cose” sensate, in relazione ai due argomenti tema della serata: strategia rifiuti zero come alternativa unica e credibile all’insostenibilità delle discariche e all’assoluto “non-sense” dell’incenerimento.

Dimostrando, anche in questo caso, di sapere “qualcosa” in più sull’argomento rispetto al politico che, al di là della facciata, e senza l’aiuto dei suoi collaboratori (più volte invocati, ma misteriosamente dileguatisi a metà serata), si è dovuto arrampicare sugli specchi per sostenere l’insostenibile (e negare l’evidenza), e nascondere il fatto che non conosce la differenza fra l’utilizzo di un combustibile non convenzionale in un inceneritore piuttosto che in un cementificio….ma su questo punto ritornerò nei prossimi post….


La relazione del Prof. Paul Connett, dopo una panoramica generale, partita dall’analisi sulle diverse sfide che l’uomo dovrà sostenere nel XXI secolo, rispetto a quello precedente (si è passati da una gestione dei rifiuti ad una gestione delle risorse; il “punto chiave” oggi non è più la sicurezza, ma la sostenibilità; il modello lineare della società – estrazione, produzione, consumo, rifiuti – si scontra con il mondo che invece segue una logica circolare), ha cominciato la sua puntuale requisitoria contro il modo di sotterrare (discariche) o bruciare (inceneritori) le prove del fallimento del modello iperconsumistico di una società progettata per crescere macchine da consumo, pronte a disfarsi dell’oggetto dei propri desideri per inseguirne sempre nuove, ed effimere, chimere di (in)felicità…

L’unica soluzione credibile, che si fonda sulla responsabilità di ogni cittadino, è quella che affronta i problemi, e cerca di risolverli in modo coerente e sostenibile, evitando inutili sprechi di risorse, denaro, opportunità…

A questo riguardo, il Prof. Paul Connett ha sottolineato che l’incenerimento dei rifiuti è uno spreco di denaro pubblico, di preziose risorse materiali, di energia, di un’opportunita’ di combattere il riscaldamento globale del pianeta.

È passato, quindi, ad una disamina delle conseguenze dannose per la salute umana delle c.d. nanoparticelle e all’attacco frontale (e personale) nei confronti del nostro ex ministro della Sanità, Veronesi, il quale di recente si è lanciato in affermazioni quantomeno discutibili, non solo in relazione al “rischio zero” (cancro…) dell’incenerimento dei rifiuti, ma anche con riguardo alle problematiche connesse all’utilizzo degli OGM…
In definitiva, “l’inceneritore è un tentativo di perfezionare una pessima idea”

Effettuata questa doverosa premessa, volta a contestualizzare le problematiche connesse alla gestione dei rifiuti, la sua relazione, a questo punto, è entrata nel merito della questione principale: cos’è la strategia rifiuti zero e come attuarla nel concreto?

La considerazione iniziale è la seguente: il trattamento dei rifiuti non è un problema tecnologico, ma di strategia, organizzazione, educazione e progettazione industriale.

Per inseguire e realizzare la strategia zero rifiuti occorrono:
1. (a monte) responsabilità industriale (progetto industriale di sostenibilità; produzione pulita; responsabilità della catena di produzione ,
2. (a valle) responsabilità della comunità (separazione alla sorgente; raccolta porta a porta, che costituisce il trampolino per la realizzazione della strategia rifiuti zero) e
3. una buona leadership politica (per saldare insieme le prime due)
Non sono mancati esempi concreti di attuazione di questi comportamenti (fabbrica di birra nell’Ontario, Xerox con i componenti dei prodotti elettronici).
Infine, prime delle conclusioni, Paul Connett si è soffermato sull’importanza dei centri di ricerca – laboratori di sostenibilità – sull’analisi di quanto sta avvenendo a Capannori (Lucca), primo comune italiano ad aver dichiarato di voler realizzare la strategia rifiuti zero e sulle interazioni delle interazioni che quest’ultima produce (un sistema di migliaia di “green boxes”).


L’invito finale al pubblico è: “divertitevi”, nella "battaglia" contro i consulenti pagatia peso d'oro, sulle note di un’inaspettata, quanto divertente canzoncina, intonata da un comunicatore formidabile, capace di parlare con leggerezza di temi cupi e drammaticamente importanti…

We don’t want incineration
We don’t want incineration
We don’t want incineration
We know there’s a better way!
Mine eyes have seen the garbage
That’s a smoldering on the grate
We must stop incineration
Before it is too late
Unless we wish the dangers
We had better separate
And we must do it now!

Tutt’altra musica, rispetto a quanto (non) avvenuto venerdì 30 gennaio 2009 a Bra, dove il convegno pubblicizzato dall’associazione internazionale di comunicazione ambientale si è risolto in un autoreferenziale spot pubblicitario di iniziative vaghe, insussistenti, a volte fastidiose, un po’ snob, che non rimarrà nella memoria neanche di quei quattro gatti (fra i quali ero presente anch’io…) che hanno deciso, in assoluta buona fede, di dedicare parte del proprio tempo libero per cercare di comprendere e comunicare meglio l’ambiente.

Nel prossimo post dirò la mia su quanto avvenuto nel dibattito che ha seguito la relazione del Prof. Paul Connett “Strategia rifiuti zero”, nella quale, accanto a puntuali interventi da parte del pubblico, è emersa una certa “confusione semantica” (oltre che nozionistica, politica, civica) da parte di alcuni cittadini, ma soprattutto di quegli amministratori che dovrebbero prendere decisioni molto importanti, ma si riducono a perpetrare, in modo noioso, una perenne, vuota, inutile e dannosa campagna elettorale.

Paul Connet - Cuneo, 3 febbraio 2009 - Slides



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Sono gli altri che non ci capiscono…

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Il titolo del post di oggi, che prosegue la vicenda emission impossibile mi è stato ispirato dal re del “detto, non detto, mal capito, non capito, frainteso, interpretato faziosamente, riportato ad uso e consumo di una certa parte politica…….”, e da un arguto “Buongiorno” di Massimo Gramellini del 02 dicembre 2008, intitolato Lost in translation.

L’Italia è un Paese incastrato nella sua disonestà, incapace di dotarsi di una seria politica ambientale strutturata e lungimirante, e finisce con l'occuparsi di ambiente solo per caso, perché la cultura ambientale non esiste, neanche per caso. Però, ogni tanto, qualche guizzo ce l’ha….


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Vivere a impatto zero

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di Naide Della Pelle

L’impatto zero è un modello di vita che punta verso l’azzeramento delle emissioni di CO2.
Le attività umane sono uno dei fattori che influenzeranno i futuri cambiamenti climatici. Questo è un dato accettato - come riporto nell'articolo Piccola Lezione sul clima - anche se, data la complessità e la molteplicità dei fattori che influenzano il clima, non siamo ancora in grado di capire che cosa succederà al nostro clima nei prossimi anni. Possiamo ragionare in termini probabilistici ed ipotizzare una serie di scenari.

Questo però non è un buon motivo per non agire fin da subito, concentrandoci su come ridurre gli effetti dannosi derivanti dalle attività umane, industriali e civili. Fare la spesa o comprare il giornale, prendere l’auto o produrre un bene: tutto quello che facciamo consuma energia.

Le materie prime più usate per produrre energia, attualmente, sono, per lo più, petrolio, carbone e metano che, bruciando, emettono anche anidride carbonica, oggi troppa per il nostro pianeta.
L’anidride carbonica è quella sostanza responsabile principale dell’effetto serra. La CO2 di per se non è un male, perché serve al nostro pianeta per trattenere il calore del sole, impedendo che la temperatura diventi troppo bassa per la nostra sopravvivenza. 
Il punto è che noi ne produciamo troppa, più di quanta noi e il pianeta riusciamo a sopportarne.



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Greenwashing e marketing: l'altra faccia dell'ambiente

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Sempre più spesso il marketing moderno insegue il “miraggio del green”, non perché intimamente convinto della necessità di cambiare la rotta all’attuale modello (di crescita? e) di consumo, ma più prosaicamente perché lusingato dai maggiori ricavi che il richiamo alla natura, all’ambiente, all’ecologia, al biologico può generare…

E così sempre più sovente i supermercati vengono letteralmente “invasi” di prodotti sedicenti sani, naturali, ecologici, che si richiamano ad antiche tradizioni…

Spesso, però, si tratta solo di una questione di immagine, di facciata, perché di verde questi prodotti hanno solo il colore dell’etichetta.

In gergo questo comportamento viene definito Greenwashing, di cui ho cominciato a parlare nel post del 4 settembre 2008.
Il pericolo di questo “lifting markettaro” è quello di confondere le idee al “consumatore medio”, non sufficientemente informato sui fatti (e, anzi, spesso disinformato) e sempre più in difficoltà nel distinguere le millanterie dai fatti reali.

Ora però, come segnalano GigaOm e Visionpost sono arrivati due siti che intendono portare un po' di chiarezza nella giungla del green.
Due siti web vogliono riportare i consumatori coi piedi per terra, fornendo loro informazioni pratiche e utili su quello che è veramente verde, sano ed ecologico.

Del primo – Green Wikia, basato sul principio del crowdsourcing, della partecipazione dal basso – ho già parlato nelle pagine di Natura Giuridica.

Il secondo, GoodGuide si propone di classificare – un po’ come fa la guida al consumo critico – una quantità crescente di prodotti di largo consumo sulla base di oltre un centinaio di criteri.

L'idea – si legge su Visionpost – è di Dara O'Rourke, un professore del Mit e di Berkeley, che un giorno si chiese cosa contenesse la crema solare che stava spalmando alla figlia. Quando scoprì che uno dei suoi ingredienti era tossico capì quanto i consumatori sappiano poco dei prodotti che utilizzano e come sia difficile trovare informazioni al riguardo.
Allora, mettendo insieme un gruppo di professori e professionisti della tecnologia (da Amazon a Google), ha messo in piedi GoodGuide, che, nella pagina di presentazione, esordisce così:
Increasingly, you want to know about the impacts of the products you buy. On your health. On the environment. On society. But unless you’ve got a Ph.D, it is almost impossible to find out the impacts of the products you buy. Until now...
Il giudizio su ogni prodotto costituisce l'espressione di tre parametri, tre performance: la salute (del consumatore), l'ambiente e il sociale.
L'utente può quindi confrontare marche diverse, avere un aiuto nella lettura dei loro ingredienti (che altrimenti restano imperscrutabili a chiunque non sia un chimico), farsi una lista di preferiti da consultare quando va a fare la spesa…

Inoltre, GoodGuide cerca di coinvolgere quanto più possibile il consumatore, chiamato ad esprimere la proprie idee al riguardo, contribuendo a costruire una community consapevole che la vera forza risiede nel consumatore, il quale, se opportunamente e costantemente informato e consapevolizzato, può orientare per davvero i comportamenti delle multinazionali del consumo.
E questo loro lo sanno….

Al riguardo, vi consiglio vivamente di guardare il film-documentario “The Corporation”, tratto dal libro di Joel Bakan.


Nel documentario – come brillantemente sintetizzato sul sito film.it – non v’è
nessuna retorica sarcastica, né tracce di propaganda ideologica.
Piuttosto gusto sottile ed ironia brillante nello scardinare punto per punto le più sofisticate strategie di marketing e brand communication, quel “mondo rassicurante”, che sa di tradizione, tante volte profuso dal cinema stesso.
Con gli stessi mezzi, un linguaggio nuovo.
Immagini di repertorio anni 50, del sogno americano, video didattici, educativi al perfetto consumatore, cartoon, il tutto in un “blob” incandescente che rompe gli schemi, amplia la nostra visione, per sollecitarci sì, ma non al consumo. E nel finale importanti fessure, come spiragli, puntano dritto verso di noi, “spettatori”, sprofondati nelle poltrone.



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Earth Overshoot Day: l'escalation senza regole e senza freni dei capricci insostenibili dell'uomo

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Quando in anticipo sul tuo stupore
verranno a crederti del nostro amore
a quella gente consumata nel farsi dar retta
un amore così lungo
tu non darglielo in fretta

non spalancare le labbra ad un ingorgo di parole
le tue labbra così frenate nelle fantasie dell'amore
dopo l'amore così sicure a rifugiarsi nei "sempre"
nell'ipocrisia dei "mai"


Mentre leggevo il post sull’Earth Overshoot Day sul blog di Beppe Grillo, le immagini che scorrevano nella mia mente erano accompagnate dalle note di questa splendida canzone di Fabrizio De Andrè…"Verranno a chiederti del nostro amore"

Un’associazione di immagini, niente di più, probabilmente legata al fatto che gente consumata a farsi dar retta (l’uomo moderno, volendo generalizzare) sta cedendo l’amore (per la natura) un po’ troppo in fretta, tanto per dirne una.

Il 23 settembre 2008, infatti, è stato l’Earth Overshoot Day di quest’anno: il giorno, cioè, in cui (una parte de) l’umanità ha finito di consumare tutte le risorse che la natura è in grado di produrre in un anno solare.

Come a dire che da quella data stiamo già consumando le risorse future, con buona pace dello sviluppo sostenibile, e dell’ingorgo di parole che si spendono per ribadire i soliti mai (mai più comportamenti scellerati, mai più politiche insostenibili, mai più …), e rifugiarsi nell’ipocrisia dei sempre (d’ora in poi lotteremo sempre contro gli sprechi, le ingiustizie, bla bla bla…).

In definitiva: siamo sulla "buona strada" per la bancarotta ecologica.

Il 23 settembre 2008 è la data indicata dal Global Footprint Network fondato da Mathis Wackernagel, l'inventore del concetto di impronta ecologica, un indice statistico utilizzato per misurare la richiesta umana nei confronti della natura, mettendo in relazione il consumo umano di risorse naturali con la capacità della Terra di rigenerarle.

Il Global Footprint network ha sintetizzato il concetto di Overshoot.

Dopo aver paragonato la natura ad una società che, come una società, possiede un proprio budget, l’accento viene posto sul fatto che ogni anno possono essere prodotte solo un tot di risorse e solo una certa quantità di rifiuti può essere assorbita.
Il problema è rappresentato dal fatto che la nostra domanda di “servizi naturali” eccede l’offerta…
Nel 2008 (una parte de) l’umanità ha consumato ben il 40 % in più di quello che la natura era in grado di generare.
In definitiva
this problem -- using resources faster than they can regenerate and creating waste faster than it can be absorbed -- is called ecological overshoot.
e loro si stupiranno
che tu non mi bastavi

Sul sito di You Tube è stata inserita l’intervista a Wackernagel, il quale evidenzia, in estrema sintesi, l’escalation senza regole e senza freni che i consumi hanno avuto negli ultimi decenni, cui è corrisposto il progressivo assottigliarsi delle capacità della Terra di rigenerare le risorse tanto insensatamente delapidate

Sono tre le aree nelle quali – sottolinea Wackernagel – ci dobbiamo concentrare:
La prima è che, come per l'economia, dobbiamo essere coscienti di quanto spendiamo e quanto utilizziamo. Una buona contabilità non salva dalla bancarotta, ma aiuta a capire quanto ci siamo vicini.
La seconda: se si guarda alle infrastrutture costruite oggi o nel passato... le infrastrutture rimangono per decenni. Pensate a come sono costruite le vostre città: questo determina come vivete in queste città, determina per decenni quanto le case consumano.
La terza, è orientare l'innovazione nella giusta direzione. L'innovazione è il miglior strumento per risolvere i problemi, ma se non è concentrata sui problemi giusti questi non verranno risolti. Se abbiamo chiare le questioni da risolvere possiamo raggiungere gli obiettivi dell'innovazione più facilmente e iniziare a investire in questi obiettivi.
L’intervista prosegue ponendo l’accento sull’importanza di riconsiderare i rifiuti non solo dal punto di vista culturale (i rifiuti sono l’inizio, e non la fine, del ciclo), ma anche da quello economico (i rifiuti sono una risorsa) e organizzativo (fondamentale è il recupero attraverso un’adeguata separazione.

L’era dell’Overshoot è cominciata nel 1986, anche se allora ci siamo salvati in zona Cesarini (31 dicembre 1986): di lì in avanti ogni anno la situazione è andata via via peggiorando…

Solamente dopo 9 anni, nel 1995, già a partire dal 21 novembre, la quantità di risorse andava oltre la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi.
Nel 2005 l’Earth Overshoot Day è caduto il 2 ottobre.
Quest’anno, come anticipato, la data è stata anticipata al 23 settembre.
Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, di questo passo nel 2050 si arriverà alla scadenza anticipata del 1° Luglio, ovvero si avrà bisogno di un secondo pianeta per soddisfare i capricci insostenibili degli esseri umani.

I responsabili di questo scempio ecologico sono, naturalmente, i paesi più industrializzati.

Dai dati emerge che se tutto il mondo avesse lo stile di vita Stati Uniti ci vorrebbero 5,4 terre, mentre con quelli del Regno Unito e Germania si scenderebbe rispettivamente a 3,1 e 2,5 terre.
Il dato per L’Italia è di 2,2 pianeti, ci servirebbe cioè Marte e un quinto di Venere per continuare a portare avanti le nostre scellerate abitudini.
Trasferimento su Marte?
Il panorama è desolante.
Tuttavia voglio concludere il post con una bella notizia: una delle tante campagne di sensibilizzazione ad un uso più sostenibile delle risorse.
Si chiama “Sing before the shower”…


Foto n. 1 originally uploaded by willc2



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Greenwashing: l’ambiente utilizzato a scopo pubblicitario

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EnviroMedia,un´impresa di Austin, Texas, che si occupa di marketing sociale, ha promosso – in collaborazione con la University of Oregon School of Journalism and Communication – il “Greenwashing Index”, un interessante sito che si occupa delle pubblicità che utilizzano nei loro claims argomenti che riguardano l’ambiente e la natura.
Il Greenwashing è un neologismo che indica l'ingiustificata appropriazione di virtù ambientaliste da parte di aziende, industrie, entità politiche o organizzazioni finalizzata alla creazione di un'immagine positiva di proprie attività (o prodotti) o di un'immagine mistificatoria per distogliere l'attenzione da proprie responsabilità nei confronti di impatti ambientali negativi.
Il termine è una sincrasi delle parole inglesi green (verde, colore dell'ambientalismo) e washing (lavare) e potrebbe essere tradotto con "lavare col verde" o, più ironicamente, con "il verde lava più bianco".
Fu probabilmente coniato in un articolo del 1991 della rivista indipendente statunitense Mother Jones.

Lo scopo dichiarato del sito è quello di:
  • Aiutare i consumatori a diventare più oculati nel valutare l’attendibilità dei claims pubblicitari che utilizzano la natura come grimaldello per veicolare i propri prodotti;
  • Fare in modo che i responsabili del business si attengano a quanto “proclamato” nei loro claims;
  • Stimolare lo sviluppo di pratiche sostenibili in modo da ridurre veramente – e non solo a parole – l’impatto ambientale.
Potete visionare i cinque criteri utilizzati per giudicare l’”AD mislead” collegandovi al sito del Greenwashing index.
In estrema sintesi, i consumatori-internauti devono domandarsi se la pubblicità:
  • induca in errore attraverso il linguaggio o le immagini o i grafici utilizzati;
  • vanti attributi ecologici vaghi o difficilmente dimostrabili;
  • esageri gli attributi ecologici dell’impresa o del prodotto;
  • nasconda alcune informazioni a beneficio degli attributi ecologici.
obiettivo è, naturalmente quello di sensibilizzare i consumatori di fronte agli inganni pubblicitari in materia ambientale, stimolando il loro senso critico rispetto alla massa crescente dei messaggi "ecologici" delle industrie.
Un’ottima iniziativa, in sintonia con gli obiettivi di InFormazione e Comunicazione che Natura Giuridica si propone di perseguire.
Vi segnalo, a proposito di GreenWashing, la mostra di arte contemporanea che si tiene a Laurino (Salerno) dal 20 luglio al 20 settembre 2008, intitolata “Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse e perplessità”.
Per maggiori informazioni collegati al sito di Cilento d’amare e Cilento e Diano

Nelle pagine di Natura Giuridica abbiamo già parlato di un clamoroso episodio di maxitruffa a danno dei consumatori




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Truffa ai danni dei Consumatori nel nome del claim pubblicitario

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Galbani vuol dire fiducia”.
Già, proprio così recitava un claim pubblicitario

Un altro, a proposito del formaggio Bel Paese, nomen omen… sottolinea che “il bello è che si scioglie in bocca”…

Slurp, gnam gnam…

Sono sempre stato un strenuo sostenitore del consumo critico e consapevole: anche in campo alimentare, l’InFormazione è essenziale per scegliere, e capire.

Spesso, dietro gli slogan accattivanti delle multinazionali, e alle réclame patinate di prodotti “che vogliono dire fiducia”, si celano comportamenti incuranti delle più elementari regole sociali, ambientali..igienico-sanitarie.
Dev’essere la mano invisibile del mercato, vai a sapere…

Non si tratta delle “solite farneticazioni” dei “soliti disfattisti”, nemici giurati del progresso e rompipalle per vocazione…

Sentite qua: un “imprenditore” siciliano, con alcuni “compagni di merende”, riciclava scarti alimentari avariati, contaminati da muffe, plastiche, ferro ed escrementi di topo, per rivenderli a discount ed anche marchi della grande distribuzione...il tutto,con il placet dell’ASL…e l’odiosa connivenza di operai e impiegati.


Il faccendiere siciliano – tale Domenico Russo, 46 anni, originario di Partinico e residente a Oleggio, si legge su “La Repubblica” di venerdì 4 luglio 2008 – è l’“uomo” chiave attorno al quale ruota l'inchiesta, il punto di riferimento di marchi come Galbani, ma anche Granarolo, Cademartori (però!), Brescialat, Medeghini, Igor, Centrale del Latte di Firenze, Frescolat, Euroformaggi, Mauri, Prealpi, e altre multinazionali europee…
Una vera bomba ecologica per la salute dei consumatori

Nel formaggio avariato e putrefatto c'era di tutto: comincia così l’ottimo articolo di Paolo Berizzi…

“Vermi, escrementi di topi, residui di plastica tritata, pezzi di ferro. Muffe, inchiostro.
Era merce che doveva essere smaltita, destinata ad uso zootecnico.
E invece i banditi della tavola la riciclavano.
La lavoravano come prodotto "buono", di prima qualità.

Quegli scarti, nella filiera della contraffazione, (ri)diventavano fette per toast, formaggio fuso, formaggio grattugiato, mozzarelle, provola, stracchino, gorgonzola. Materia "genuina" - nelle celle frigorifere c'erano fettine datate…1980! - ripulita, mischiata e pronta per le nostre tavole. Venduta in Italia e in Europa.

In alcuni casi, rivenduta a quelle stesse aziende - multinazionali, marchi importanti, grosse centrali del latte – che, anziché smaltire regolarmente i prodotti ormai immangiabili li piazzavano, senza spendere un centesimo ma guadagnandoci, a quattro imprese con sede a Cremona, Novara, Biella e Woringen (Germania)”.

Del resto, noi siamo il paese in cui (fino all’attesa sentenza della Corte di Giustizia dello scorso 18 dicembre 2008 (causa C-195/05), che ci ha, guarda caso, condannati per essere venuti meno agli obblighi che ci incombono in forza della direttiva sui rifiuti, e fino all'adeguamento, ancora non avvenuto...) gli scarti alimentari originati dall’industria agroalimentare destinati alla produzione di mangimi erano per legge esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti
L'indagine sulla maxitruffa ai danni dei consumatori è partita nel novembre del 2006, quando gli uomini delle fiamme gialle fermarono un Tir il cui carico aveva un odore nauseabondo…

I successivi controlli e le intercettazioni telefoniche hanno permesso di ricostruire l'intera organizzazione, il cui giro d'affari è stimato in svariati milioni di euro.

“Non possono ancora immaginare gli investigatori, che quello stabilimento dove si miscela prodotto avariato con altro prodotto pronto è lo snodo di una vera e propria filiera europea del riciclaggio. Mettono sotto controllo i telefoni.

Scoprono che i pirati della contraffazione sono "coperti" dal servizio di prevenzione veterinaria dell'Asl di Cremona (omessa vigilanza, ispezioni preannunciate; denunciati e sospesi il direttore, Riccardo Crotti, e due tecnici)”

Dalle intercettazioni emerge la “totale assenza di scrupoli da parte degli indagati:
"La merce che stiamo lavorando, come tu sai, è totalmente scaduta... ", dice Luciano Bosio, il responsabile dello stabilimento della Tradel, al suo capo (Domenico Russo).
Che gli risponde: "Saranno cazzi suoi... " (delle aziende fornitrici, in questo caso Brescialat e Centrale del Latte di Firenze, ndr).

Il formaggio comprato e messo in lavorazione è definito - senza mezzi termini - "merda". Ma non importa, "... perché se la merce ha dei difetti. .. io poi aggiusto, pulisco, metto a posto... questo rimane un discorso fra me e te... " (Russo a un imprenditore campano, si tratta la vendita di sottilette "scadute un anno e mezzo prima").

Nell'ordinanza (decine le persone indagate e denunciate: rappresentanti legali, responsabili degli stabilimenti, impiegati, altre se ne aggiungeranno presto) compaiono i nomi delle aziende per le quali il pm Francesco Messina configura "precise responsabilità".

Perché, "a vario titolo e al fine di trarre un ingiusto profitto patrimoniale, hanno concorso nella adulterazione e nella contraffazione di sostanze alimentari lattiero-casearie rendendole pericolose per la salute pubblica".

Il marchio maggiormente coinvolto - spiegano gli investigatori - è Galbani, controllato dal gruppo Lactalis Italia che controlla anche Big srl.
"Sono loro i principali fornitori della Tradel. Anche clienti", si legge nell'ordinanza. Per i magistrati il sistema di riciclaggio della merce si basa proprio sui legami commerciali tra le aziende fornitrici e la Tradel. Con consistenti vantaggi reciproci. Un business enorme: 11 mila tonnellate di merce lavorata in due anni. Finita sugli scaffali dei discount e dei negozi di tutta Europa. Tremila le tonnellate vendute in nero. E gli operai e gli impiegati? Erano consapevoli. Lo hanno messo a verbale. Domanda a un'amministrativa: "Ha mai riferito a qualcuno che la merce era scaduta o con i vermi?".


Risposta: "No, tutti lo sapevano".

Quante strade deve percorrere un uomo
prima di essere chiamato uomo?
E quanti orecchie deve avere un uomo
prima che ascolti la gente piangere?
E per quanti anni può la gente esistere
prima di avere il permesso di essere libera?
E per quanto tempo può un uomo girare la sua testa
fingendo di non vedere?


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