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Greenwashing e marketing: l'altra faccia dell'ambiente

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Sempre più spesso il marketing moderno insegue il “miraggio del green”, non perché intimamente convinto della necessità di cambiare la rotta all’attuale modello (di crescita? e) di consumo, ma più prosaicamente perché lusingato dai maggiori ricavi che il richiamo alla natura, all’ambiente, all’ecologia, al biologico può generare…

E così sempre più sovente i supermercati vengono letteralmente “invasi” di prodotti sedicenti sani, naturali, ecologici, che si richiamano ad antiche tradizioni…

Spesso, però, si tratta solo di una questione di immagine, di facciata, perché di verde questi prodotti hanno solo il colore dell’etichetta.

In gergo questo comportamento viene definito Greenwashing, di cui ho cominciato a parlare nel post del 4 settembre 2008.
Il pericolo di questo “lifting markettaro” è quello di confondere le idee al “consumatore medio”, non sufficientemente informato sui fatti (e, anzi, spesso disinformato) e sempre più in difficoltà nel distinguere le millanterie dai fatti reali.

Ora però, come segnalano GigaOm e Visionpost sono arrivati due siti che intendono portare un po' di chiarezza nella giungla del green.
Due siti web vogliono riportare i consumatori coi piedi per terra, fornendo loro informazioni pratiche e utili su quello che è veramente verde, sano ed ecologico.

Del primo – Green Wikia, basato sul principio del crowdsourcing, della partecipazione dal basso – ho già parlato nelle pagine di Natura Giuridica.

Il secondo, GoodGuide si propone di classificare – un po’ come fa la guida al consumo critico – una quantità crescente di prodotti di largo consumo sulla base di oltre un centinaio di criteri.

L'idea – si legge su Visionpost – è di Dara O'Rourke, un professore del Mit e di Berkeley, che un giorno si chiese cosa contenesse la crema solare che stava spalmando alla figlia. Quando scoprì che uno dei suoi ingredienti era tossico capì quanto i consumatori sappiano poco dei prodotti che utilizzano e come sia difficile trovare informazioni al riguardo.
Allora, mettendo insieme un gruppo di professori e professionisti della tecnologia (da Amazon a Google), ha messo in piedi GoodGuide, che, nella pagina di presentazione, esordisce così:
Increasingly, you want to know about the impacts of the products you buy. On your health. On the environment. On society. But unless you’ve got a Ph.D, it is almost impossible to find out the impacts of the products you buy. Until now...
Il giudizio su ogni prodotto costituisce l'espressione di tre parametri, tre performance: la salute (del consumatore), l'ambiente e il sociale.
L'utente può quindi confrontare marche diverse, avere un aiuto nella lettura dei loro ingredienti (che altrimenti restano imperscrutabili a chiunque non sia un chimico), farsi una lista di preferiti da consultare quando va a fare la spesa…

Inoltre, GoodGuide cerca di coinvolgere quanto più possibile il consumatore, chiamato ad esprimere la proprie idee al riguardo, contribuendo a costruire una community consapevole che la vera forza risiede nel consumatore, il quale, se opportunamente e costantemente informato e consapevolizzato, può orientare per davvero i comportamenti delle multinazionali del consumo.
E questo loro lo sanno….

Al riguardo, vi consiglio vivamente di guardare il film-documentario “The Corporation”, tratto dal libro di Joel Bakan.


Nel documentario – come brillantemente sintetizzato sul sito film.it – non v’è
nessuna retorica sarcastica, né tracce di propaganda ideologica.
Piuttosto gusto sottile ed ironia brillante nello scardinare punto per punto le più sofisticate strategie di marketing e brand communication, quel “mondo rassicurante”, che sa di tradizione, tante volte profuso dal cinema stesso.
Con gli stessi mezzi, un linguaggio nuovo.
Immagini di repertorio anni 50, del sogno americano, video didattici, educativi al perfetto consumatore, cartoon, il tutto in un “blob” incandescente che rompe gli schemi, amplia la nostra visione, per sollecitarci sì, ma non al consumo. E nel finale importanti fessure, come spiragli, puntano dritto verso di noi, “spettatori”, sprofondati nelle poltrone.



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Economia sostenibile: in Francia ci provano

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L’economia può essere (ri)orientata in modo sostenibile: in Francia il ministro dell’Ambiente Jean Luois Borloo ha deciso di proporre quella che qualcuno ha già ribattezzato “tassa picnic”…

L’idea è quella di “tassare” tutti i prodotti usa e getta (quelli di cui fanno incetta la grande distribuzione e i fast food, tanto per intenderci), per il fatto che, dal punto di vista ambientale, il loro utilizzo ha un costo decisamente superiore rispetto ai prodotti riutilizzabili

Così tutti i vari tipi di imballaggi, gli imballaggi degli imballaggi, le posate di plastica e via discorrendo diventerebbero meno “comodi”, meno accattivanti, e il grido d’assalto del consumismo fine a se stesso, destinato unicamente a vendere vendere vendere (ripetuto come un mantra, come faceva la Sandrelli in “Non ci resta che piangere”…) si smorzerebbe un po’…

In questo modo si riesce, da un lato, ad educare ecologicamente il cittadino e, dall’altro, a coprire, almeno in parte, i costi legati alla raccolta differenziata e del recupero.

Staremo a vedere se come e quando questa tassa verrà varata (ed applicata…): ma si tratta di un buon punto di partenza, innanzitutto perché si muove per riportare il cittadino nell’alveo di comportamenti più ecosostenibili (sensibilizzandolo all’utilizzo di prodotti riutilizzabili) e, in secondo luogo, perché costringe i colossi del consumismo sfrenato a correggere il tiro, rivedendo politiche dannose per l’ambiente (adottando, ad esempio, sulla scia dei comportamenti eco sostenibili dei consumatori consapevolizzati). Un’idea, insomma, nel senso della sostenibilità, che segue altre iniziative del Governo francese: il bonus malus ecologico per determinate categorie di rifiuti (frigoriferi, scooter, pneumatici, computer, televisori,…); la campagna di sensibilizzazione negli asili per convincere i genitori della bontà dell’utilizzo dei pannolini lavabili in luogo di quelli usa e getta (portata avanti dal sottosegretario all’ambiente Nathalie Kosciusko-Morizet); la tassa sul passaggio dei mezzi pesanti; i prestiti a tasso zero per le aziende verd; gli sgravi fiscali a favore dei cittadini che intendono ristrutturare le proprie abitazioni utilizzando tecnologie volte al risparmio energetico, fino alla discussa tassa sull’obesità, che ha creato più di qualche malumore in aziende che adottano slogan pubblicitari tanti seducenti quanto poco aferenti alla realtà...

Mai sentito parlare di Greenwashing?



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Truffa ai danni dei Consumatori nel nome del claim pubblicitario

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Galbani vuol dire fiducia”.
Già, proprio così recitava un claim pubblicitario

Un altro, a proposito del formaggio Bel Paese, nomen omen… sottolinea che “il bello è che si scioglie in bocca”…

Slurp, gnam gnam…

Sono sempre stato un strenuo sostenitore del consumo critico e consapevole: anche in campo alimentare, l’InFormazione è essenziale per scegliere, e capire.

Spesso, dietro gli slogan accattivanti delle multinazionali, e alle réclame patinate di prodotti “che vogliono dire fiducia”, si celano comportamenti incuranti delle più elementari regole sociali, ambientali..igienico-sanitarie.
Dev’essere la mano invisibile del mercato, vai a sapere…

Non si tratta delle “solite farneticazioni” dei “soliti disfattisti”, nemici giurati del progresso e rompipalle per vocazione…

Sentite qua: un “imprenditore” siciliano, con alcuni “compagni di merende”, riciclava scarti alimentari avariati, contaminati da muffe, plastiche, ferro ed escrementi di topo, per rivenderli a discount ed anche marchi della grande distribuzione...il tutto,con il placet dell’ASL…e l’odiosa connivenza di operai e impiegati.


Il faccendiere siciliano – tale Domenico Russo, 46 anni, originario di Partinico e residente a Oleggio, si legge su “La Repubblica” di venerdì 4 luglio 2008 – è l’“uomo” chiave attorno al quale ruota l'inchiesta, il punto di riferimento di marchi come Galbani, ma anche Granarolo, Cademartori (però!), Brescialat, Medeghini, Igor, Centrale del Latte di Firenze, Frescolat, Euroformaggi, Mauri, Prealpi, e altre multinazionali europee…
Una vera bomba ecologica per la salute dei consumatori

Nel formaggio avariato e putrefatto c'era di tutto: comincia così l’ottimo articolo di Paolo Berizzi…

“Vermi, escrementi di topi, residui di plastica tritata, pezzi di ferro. Muffe, inchiostro.
Era merce che doveva essere smaltita, destinata ad uso zootecnico.
E invece i banditi della tavola la riciclavano.
La lavoravano come prodotto "buono", di prima qualità.

Quegli scarti, nella filiera della contraffazione, (ri)diventavano fette per toast, formaggio fuso, formaggio grattugiato, mozzarelle, provola, stracchino, gorgonzola. Materia "genuina" - nelle celle frigorifere c'erano fettine datate…1980! - ripulita, mischiata e pronta per le nostre tavole. Venduta in Italia e in Europa.

In alcuni casi, rivenduta a quelle stesse aziende - multinazionali, marchi importanti, grosse centrali del latte – che, anziché smaltire regolarmente i prodotti ormai immangiabili li piazzavano, senza spendere un centesimo ma guadagnandoci, a quattro imprese con sede a Cremona, Novara, Biella e Woringen (Germania)”.

Del resto, noi siamo il paese in cui (fino all’attesa sentenza della Corte di Giustizia dello scorso 18 dicembre 2008 (causa C-195/05), che ci ha, guarda caso, condannati per essere venuti meno agli obblighi che ci incombono in forza della direttiva sui rifiuti, e fino all'adeguamento, ancora non avvenuto...) gli scarti alimentari originati dall’industria agroalimentare destinati alla produzione di mangimi erano per legge esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti
L'indagine sulla maxitruffa ai danni dei consumatori è partita nel novembre del 2006, quando gli uomini delle fiamme gialle fermarono un Tir il cui carico aveva un odore nauseabondo…

I successivi controlli e le intercettazioni telefoniche hanno permesso di ricostruire l'intera organizzazione, il cui giro d'affari è stimato in svariati milioni di euro.

“Non possono ancora immaginare gli investigatori, che quello stabilimento dove si miscela prodotto avariato con altro prodotto pronto è lo snodo di una vera e propria filiera europea del riciclaggio. Mettono sotto controllo i telefoni.

Scoprono che i pirati della contraffazione sono "coperti" dal servizio di prevenzione veterinaria dell'Asl di Cremona (omessa vigilanza, ispezioni preannunciate; denunciati e sospesi il direttore, Riccardo Crotti, e due tecnici)”

Dalle intercettazioni emerge la “totale assenza di scrupoli da parte degli indagati:
"La merce che stiamo lavorando, come tu sai, è totalmente scaduta... ", dice Luciano Bosio, il responsabile dello stabilimento della Tradel, al suo capo (Domenico Russo).
Che gli risponde: "Saranno cazzi suoi... " (delle aziende fornitrici, in questo caso Brescialat e Centrale del Latte di Firenze, ndr).

Il formaggio comprato e messo in lavorazione è definito - senza mezzi termini - "merda". Ma non importa, "... perché se la merce ha dei difetti. .. io poi aggiusto, pulisco, metto a posto... questo rimane un discorso fra me e te... " (Russo a un imprenditore campano, si tratta la vendita di sottilette "scadute un anno e mezzo prima").

Nell'ordinanza (decine le persone indagate e denunciate: rappresentanti legali, responsabili degli stabilimenti, impiegati, altre se ne aggiungeranno presto) compaiono i nomi delle aziende per le quali il pm Francesco Messina configura "precise responsabilità".

Perché, "a vario titolo e al fine di trarre un ingiusto profitto patrimoniale, hanno concorso nella adulterazione e nella contraffazione di sostanze alimentari lattiero-casearie rendendole pericolose per la salute pubblica".

Il marchio maggiormente coinvolto - spiegano gli investigatori - è Galbani, controllato dal gruppo Lactalis Italia che controlla anche Big srl.
"Sono loro i principali fornitori della Tradel. Anche clienti", si legge nell'ordinanza. Per i magistrati il sistema di riciclaggio della merce si basa proprio sui legami commerciali tra le aziende fornitrici e la Tradel. Con consistenti vantaggi reciproci. Un business enorme: 11 mila tonnellate di merce lavorata in due anni. Finita sugli scaffali dei discount e dei negozi di tutta Europa. Tremila le tonnellate vendute in nero. E gli operai e gli impiegati? Erano consapevoli. Lo hanno messo a verbale. Domanda a un'amministrativa: "Ha mai riferito a qualcuno che la merce era scaduta o con i vermi?".


Risposta: "No, tutti lo sapevano".

Quante strade deve percorrere un uomo
prima di essere chiamato uomo?
E quanti orecchie deve avere un uomo
prima che ascolti la gente piangere?
E per quanti anni può la gente esistere
prima di avere il permesso di essere libera?
E per quanto tempo può un uomo girare la sua testa
fingendo di non vedere?


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Regione Lazio: primo distributore di detersivi alla spina nella grande distribuzione

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Mercoledì scorso, navigando sul sito della Regione Lazio – stavo cercando la versione “consolidata” della legge n. 27 del 1998, in materia di rifiuti – mi sono imbattuto su questa pagina, in cui si parla del primo distributore di detersivi alla spina nella grande distribuzione nel Lazio.

Non ci ho pensato due volte: in pausa pranzo sono andato al Panorama di Via Tiburtina, e ho fatto il mio primo acquisto di detersivo all
a spina: era ora che anche a Roma si cominciasse a diffondere questa modalità di acquisto consapevole nella grande distribuzione.

Filiberto Baratti, Assessore all’Ambiente e Cooperazione tra i Popoli, ha affermato, durante l’inaugurazione, che “ridurre imballaggi e risparmiare energia utilizzando i detersivi alla spin
a non solo è possibile, ma doveroso”.

Il distributore di detersivi alla spina è frutto di una collaborazione fra Ecologos e Sviluppo Lazio,

“Con questa iniziativa – prosegue Zaratti – iniziamo un percorso virtuoso, per utilizzare meno energia, meno acqua e meno risorse ambientali.
Per realizzare un singolo contenitore per detersivi del peso di 75 grammi, per esempio, si utilizzano 239 litri d’acqua, 1,46 kWh d’energia e si emettono ben 133,9 grammi di anidride carbonica. Il sistema che attiviamo oggi consente ai cittadini di abbattere questi consumi riutilizzando il contenitore decine di volte diminuendo, inoltre, in maniera drastica il volume dei rifiuti direttamente alla fonte […]

L’utilizzo di sistemi per il riuso dei contenitori nella grande distribuzione ha anche un’alta valenza comunicativa.
Con questa iniziativa, infatti, siamo riusciti a dimostrare che è possibile razionalizzare i consumi, senza rinunciare al proprio stile di vita e consentendo ai cittadini anche un risparmio economico. A parità di qualità, concentrazione e potere di detergenza, infatti, il detersivo alla spina costa circa un 30% in meno, rispetto al prodotto confezionato”
.

“Oltre al riutilizzo del contenitore siamo stati attenti anche alla qualità dei detersivi sul fronte ambientale che sono tutti ad alta biodegradabilità, composti da tensioattivi di origine vegetale e non testati su animali. In totale il nostro progetto prevede la creazione di dieci punti di distribuzione di detersivi alla spina, ma arriveremo in breve tempo a più di quaranta sistemi di distribuzione, in tutta la nostra Regione”.

Ogni macchina è dotata di un contatore che visualizza immediatamente, dopo ogni utilizzo, il bilancio delle materie prime risparmiate e dell’anidride carbonica non emessa.
Cosa questa che permetterà ai cittadini di visualizzare in tempo reale i risparmi ambientali prodotti dalle loro azioni.

I centri di prossima apertura sono i seguenti:

Carrefour di Tor Vergata
Auchan di Casalbertone
Auchan di Porta di Roma
Panorama di Lunghezza
Crai di via Tiburtina
Di seguito, riporto un estratto del materiale illustrativo disponibile sul sito della Regione Lazio.

[…]
Si tratta di un progetto concreto, che vuole sviluppare politiche e comportamenti che favoriscono la protezione dell’ambiente nel quale tutti viviamo.
Riutilizzare i contenitori dei detersivi significa utilizzare meglio l’energia, diminuire le emissioni di gas a effetto serra e ridurre i rifiuti.
Quando ricarichiamo un flacone di detersivo risparmiamo, infatti, materie prime, energia e acqua necessarie per la produz
ione degli imballaggi.

[…]
Si è voluto mettere in comunicazione fra loro le grandi catene di distribuzione e i produttori attraverso la creazione di uno spazio di confronto per favorire l’interazione e la collaborazione fra essi, abituando i soggetti coinvolti ad agire insieme per realizzare un obiettivo comune e un cambiamento culturale.

[…]
L’obiettivo è di realizzare all’interno degli ipermercati e dei supermercati un sistema di vendita sfusa di detergenti, in cui si acquista soltanto il contenuto e si riutilizza il contenitore.
Ogni consumatore acquista il contenitore con il detergente solo la prima volta. Le volte successive si reca nel punto vendita con il contenitore vuoto e lo riempie direttamente dai distributori collocati negli ipermercati.
In questo modo il contenitore torna ad avere la sua funzione, non è più un elemento usa e getta, ma un oggetto da ri-utilizzare periodicamente, riempiendolo di nuovo prodotto.

Il mancato acquisto del flacone permette anche di avere un risparmio economico, il cittadino troverà infatti nelle macchine erogatrici prodotti a basso impatto ambientale ad un prezzo di vendita di circa 1€.

Su ogni distributore di detersivi alla spina sarà installato un calcolatore dei risparmi ambientali.

E’ uno strumento di comunicazione diretta che permette al cittadino di conoscere al momento stesso dell’acquisto il proprio apporto all’iniziativa e di verificare l’andamento progettuale.
I dati presenti sul calcolatore riportano il numero di flaconi ricaricati, la mancata emissione di CO2, i kWh di energia risparmiata e i m3 di acqua non utilizzata.

Come funziona?
Per il primo acquisto il consumatore deve comprare un flacone in distribuzione a lato della macchina: non e’ possibile effettuare riempimenti con flaconi diversi da quelli erogati dalla macchina.
Il flacone con apposita etichetta rende semplice il riconoscimento del prodotto e quindi evita di incorrere in errori di utilizzo.
Il flacone è studiato per essere compatibile con la macchina, sia per la dimensione che per la forma. Altre tipologie non verrebbero riconosciute e non ci sarebbe l’erogazione del prodotto.

Come acquistare la prima volta il flacone?
Il flacone viene preso a lato macchina, riempito e pagato direttamente alle casse, sommando il valore del detersivo al valore del flacone vuoto. I/le cassieri/e faranno pagare il flacone solo se visibile un’etichetta catarifrangente. Tale etichetta sarà coperta dagli addetti alle casse con un adesivo, in questo modo le volte successive non verrà più pagato il contenitore.
Il flacone vuoto è gia etichettato dalla ditta produttrice di detersivi, ciò significa che l’utente dovrà prendere il flacone con l’etichetta corrispondente al prodotto che vuole acquistare.

Il cittadino prende il flacone e lo posiziona sotto l’erogatore di detersivi prescelto.
I prodotti a disposizione sono lavapiatti, ammorbidente, bucato e lana.

A questo punto è sufficiente premere il bottone per avviare il riempimento. Il sistema è automatizzato, il flacone verrà riempito al livello corretto senza che sia necessario intervenire. 3 litri per il bucato, 1 litro per la Lana, 2 litri ammorbidente ed 1 litro piatti.


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Report, 13 aprile 2008: buon appetito! (IV)

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(segue da)

Prosegue l’analisi dell’approfondita puntata di Report di domenica 13 aprile 2008, intitolata “Buon appetito!

Il
post precedente si
concludeva con una domanda: il modello di consumo…imposto dalla Grande distribuzione ci fa effettivamente risparmiare?

Milena Gabanelli
riassume, con il suo solito stile, conciso e denso, quanto detto fin qui:
“Abbiamo visto che le carote, per esempio, al produttore vengono pagate 7 centesimi al c
hilo (tra parentesi poi ci chiediamo perché chi raccoglie frutta e verdura viene pagato una miseria e in nero), e poi le carote arrivano al negozio ad un prezzo 20 volte superiore.
Ma chi lo stabilisce il prezzo?

Dovrebbe essere il mercato, ma quale mercato non si è capito, perché al mercato tutti dicono "il prezzo lo fa la Grande Distribuzione", che controlla il 70% del venduto...
Quindi dovrebbero essere prezzi bassi, invece l’indagine conoscitiva dell’autorità garante per la concorrenza e il mercato dice " i prezzi al consumo nei supermercati, comparti
ortofrutticolo, risultano sensibilmente superiori a quelli del mercati di quartiere".

LA CREAZIONE DI ASPETTATIVE (E DI PREZZI)
Paolo Barberini, presidente di Federdistribuzione, pone l’accento sul “problema culturale”, legato al fatto che, dopo aver creato delle aspettative nei clienti, “loro” si propongono di assecondarli:
“il non voler mangiare per forza o consumare le fragole a Natale non è un discorso che può essere imputato alla Grande Distribuzione – ultimo anello della catena – che vende le fragole”.
È un problema che riguarda il desiderio delle fragole che vengono prodotte o in serra o in altri paese europeo oppure mondiale quindi noi diamo il prodotto al nostro cliente […]
Noi lo facciamo perché è nel nostro dna, il nostro oggetto sociale, noi facciamo i commercianti, per cui, d’altra parte non è che possiamo disciplinare per legge quelli che sono i desideri….”

Discorso culturale a parte, e ritornando ai prezzi, Pietro Riccardi fa notare al suo interlocutore che “queste carote costano 8 e 76 al chilo, siamo andati qui vicino a Latina e le carote al produttore vengono pagate 7 centesimi. Come fa ad aumentare così tanto da 7 centesimi alla produzione a 8 e 70 al chilo”?

La risposta, laconica, tende a sottolineare l’importanza del servizio insito nel prodotto stesso, assolutamente enorme, e va dalla “quantità di tempo che non fa spendere alla massaia nell’acquisto, alla quantità di tempo c
he non fa spendere alla massaia nel lavaggio, nel tagliarle e nel fare tutti quelli che sono gli atti quotidiani. Adesso purtroppo il tempo è tiranno per cui si preferisce, in alcuni casi, spendere più in servizio che non nel prodotto”.

La differenza in un gesto: “a noi il gesto di grattugiare ci prende qualche istante.
Quello che c’è dietro la scatola di carote grattugiate invece sono trasporti, plastica, energia e infine pure lo smaltimento della confezione nel termovalorizzatore.

Qual è la logica economica di tutto questo?”

LA “LOGICA” DIETRO L’INCREDIBILE SPRECO
Della logica che sta dietro a questo incredibile spreco abbiamo già parlato nel primo di questa serie doi post….
Paolo Barberini, parlando di "logica", "tira fuori" il consumo intelligente, evidenziando che “non è vietando il consumo che si da la possibilità al pianeta di sostenersi, secondo me è incentivando i consumi intelligenti che abbiamo la possibilità di sostenerci”.
Tuttavia, incalzato da domande sempre più stringenti, ammette che, nel palcoscenico nel quale tutti recitiamo un copione “assolutamente dettato”, lui “questo” (si riferisce al fatto che utilizza la passata di pomodoro, in inverno, anziché mangiare i pomodori d’inverno) non glielo posso dire, se no ammazzo il mercato!”

LA PRECARIA DISINFORMAZIONE
"Le riviste che ci danno indicazioni sulle proprietà di questo o quello per mantenerci sani, o per ritardare i segni dell’età – riassume la Gabanelli vendono parecchio, quindi la salute ci è cara.
Le carote
fanno bene alla pelle, i pomodori contengono il licopene che combatte i radicali liberi.
E noi giù a comprare
carote e pomodori.
Quello che non si scrive mai è in quali condizioni il prodotto mantiene le sue
caratteristiche.
Le carote grattugiate vendute nella vaschetta di plastica o l’insalata già lavata e in busta hanno perso le loro proprietà, è quasi come mangiare niente.

Presso il centro di scienze dell’invecchiamento dell’Università di Chieti è stata fatta una ricerca per quantificare la presenza in frutta e ortaggi di polifenoli e flavonoidi, quegli antiossidanti dalle proprietà antitumorali per i quali bisogna mangiare frutta e verdura.
Cosa hanno fatto? Sono andati al mercato e hanno fatto la spesa, cioè hanno analizzato gli stessi prodotti che poi finiscono sulla nostra tavola, per vedere che cosa c’è dentro.

Per esempio hanno preso i pomodori, dalla catena corta, cioè quelli raccol
ti oggi maturi, e venduti domani o dopodomani nei mercati rionale, e i pomodori verdi”.
Qual è il risultato della ricerca?


(continua)


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Report, 13 aprile 2008: buon appetito! (III)

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(segue da)

Prosegue l’analisi dell’approfondita puntata di Report di domenica 13 aprile 2008, intitolata “Buon appetito!

Nel post precedente
si concludeva evidenziando i risultati di uno studio statunitense, il quale ha
dimostrato che “spesso” il prodotto è soltanto un pretesto per venderti un imballaggio.

I COSTI “NASCOSTI”

Più analiticamente, precisa Pietro Riccardi, “per produrre un chilo di questa plastica con cui ci han
no venduto una manciata di prezzemolo tritato o 500 grammi di pomodori si consumano 17 chili e mezzo di acqua, un po’ di petrolio, una spruzzata di zolfo, una di monossido di carbonio e 2 chili e mezzo di CO2, quella che fa crescere il gas serra.
Ma prima ancora dobbiamo calcolare i costi di estrazione del petrolio, il trasporto in raffineria, le varie lavorazioni in fabbriche diverse e ad ogni fase un nuovo trasporto. E poi quella plastica diventa subito un rifiuto e bisogna smaltirla. E allora prodotti che sono un pretesto per vendere un imballaggio".


I “PREZZI DI MERCATO”…

Ma quanto vale il prodotto?
"Ad esempio, di questa confezione di carote grattugiate che ho pagato 8 euro e mezzo al chilo, quanto va a chi lo ha prodotto nel campo, al contadino?”

Da un’indagine condotta in una delle zone agricole più fertili, a sud di Roma, è emerso che le carote,
ad esempio, vengono pagate all’incirca 7 centesimi al Kg…prezzo stabilito dal “mercato” in modo insindacabile…(il “mantra della legge di mercato”…che stabilisce, oltre al prezzo, anche le modalità e i tempi di produzione; cfr. prima parte)

…E LE CONSEGUENZE DELL’AGRICOLTURA CONVENZIONALE
Nei terreni, a forza di fare monocoltura – dettata da esigenze di mercato, per
aumentare la produttività… – l’elemento naturale ha reagito, “riempiendo il terreno di nematodi, i pionieri della vita, cioè quelli che dopo la colata lavica o dopo il disastro vanno a colonizzare”.
Il problema è che si nutrono delle radici delle piante, e la chimica si rivela un’arma non così efficace, oltre che dannosa…
In definitiva: massicce dosi di dicloropropene; sterilizzazione della terra; nematocidi sempre più resistenti; ulteriore aumento delle dosi di fumiganti…
Per produrre: carote. Carote a un certo prezzo.
Ma, alla fine, chi è questo “mercato” che stabilisce i prezzi?

I “PREZZI DI MERCATO”…E IL RUOLO DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
Il prezzo come si fa?
Risponde Giuseppe La Rocca, Presidente del MOF
, il più grande mercato orto frutta d’Europa
“Diciamo il mercato non è più il luogo come 20 anni fa, 30 anni fa, dove effettivamente si faceva il prezzo” ...
Certo il prezzo lo si fa quotidianamente nel mercato, però…
Però, in un “clima di globalizzazione”, è ovvio che il prezzo non sia più fatto, specificatamente, all’interno del mercato…

Un lungo giro di parole per dire che
il prezzo viene stabilito anche dalla Grande Distribuzione quando fa dei contratti direttamente con i fornitori.
Pietro Riccardi cerca di “mettere ordine” a questo vortice di “parole vuote”…
"Insomma, cerchiamo di capire chi stabilisce il prezzo e tutti ci dicono il mercato, ma nel più grand
e mercato orto frutta d’Europa invece, il presidente ci dice imbarazzato che sì, il prezzo dovrebbero farlo loro, perché sono appunto il mercato, ma in effetti a farlo è la Grande Distribuzione"...
Mai “toccata” - si lamenta il Presidente del MOF, dalle inchieste televisive.


Report lo accontenta, ed entra.

Per verificare.

“La Grande Distribuzione, abbiamo capito – prosegue la Gabanelli dallo studio – non passa dai mercati generali, che vendono sempre meno […], ma fa accordi con il produttore, che deve essere in grado di produrre sempre, tutto l’anno, le stesse cose e in grandi quantità. Anche nelle nostre serre si produco tutto l’anno pomodori, peperoni o fragole ma molto spesso nei supermercati vediamo che questi prodotti arrivano dall’Egitto, dalla Spagna o dal Marocco, cioè da quei paesi dove il processo di industrializzazione dell’agricoltura è più spinto”


Ma si risparmia?

(continua)


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