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Riutilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura

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La Provincia può demandare al Dirigente dell’Area Ambiente la verifica di tutte le autorizzazioni in vigore sul territorio provinciale “al fine di definire i quantitativi di fango di depurazione applicabili sui terreni agricoli, in particolare per quanto riguarda l’apporto di azoto necessario alle colture previste?
Il Commissario Straordinario può assegnare temporaneamente all’A.R.P.A. il servizio di istruttoria tecnica dei procedimenti amministrativi per il rilascio e rinnovo delle autorizzazioni all’utilizzazione dei fanghi di depurazione?
Quali poteri ha il Dirigente dell’Area Ambiente di disporre i quantitativi di fango applicabili che devono fare riferimento al fabbisogno complessivo di azoto delle colture?
Sono gli interrogativi cui si è trovato a dover rispondere il TAR Friuli Venezia Giulia nella sentenza n. 299/10 (scaricatela dalla pagina Natura Giuridica - Gestione dei rifiuti) e al quale ha risposto nei seguenti termini, riassunti per ovvi motivi di tempo.


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Scorie di acciaieria: l’Ecogravel è un sottoprodotto

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Nella sentenza che vi propongo oggi (Cassazione penale, Sez. III, n. 31462/08) la Cassazione si è pronunciata sul delicato tema relativo al luogo del riutilizzo del materiale, ai fini della sua qualificazione come sottoprodotto.

La vicenda, oggetto della sentenza, trae origine da un decreto del G.I.P. del Tribunale di Udine, che aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo dell’area di una società (la Globalblue S.r.L) nella quale, secondo l’ipotesi accusatoria, era in corso un'attività non autorizzata di cessione e recupero di rifiuti, costituiti dalle scorie di fonderia provenienti da una vicina acciaieria, (ABS) utilizzate per produrre il c.d. Ecogravel, un inerte industriale d’acciaieria, sviluppato per sostituire ghiaia e basalto nelle costruzioni e nell’asfaltatura delle strade.


Il PM fondava la sua tesi partendo dalla considerazione che, dagli accertamenti espletati dal N.O.E., era emerso che:
  • il ciclo produttivo dell'Ecogravel non era menzionato nella documentazione relativa alla richiesta di Autorizzazione Integrata Ambientale presentata dalla società ABS;
  • la Globalblue S.r.l. aveva mai richiesto alcuna autorizzazione al recupero delle scorie della fonderia.
Di conseguenza, tale attività era da considerarsi illecita.
Nel contestare tale ricostruzione, il Tribunale della libertà ha, da un lato, sottolineato che – anche alla luce del disposto di cui all'art. 183, primo comma lett. p), del Testo Unico Ambientale (D.Lgs n. 152/06, come sostituito dall'art. 2 del D.Lgs 16.1.2008 n. 4) – le scorie di fonderia dovevano essere qualificate sottoprodotto, perché:
  • sono originate da un processo non direttamente destinato alla loro produzione;
  • il loro impiego è certo ed integrale ed avviene in un processo di produzione preventivamente individuato ed integrato;
  • il loro impiego non determina emissioni o un impatto ambientale diversi da quelli per cui l'impianto è autorizzato, né le stesse devono essere sottoposte a trattamenti preventivi o trasformazioni poliformi.
Dall’altro, ha messo in evidenza che l'impostazione accusatoria (le scorie de quibus sono rifiuti)
cozza con le determinazione dell'ARPA contenute nell'autorizzazione concessa alla Globalblue S.r.L. per l'avvio del procedimento diretto alla produzione dell'Ecogravel, essendo stato evidenziato […] che l'impianto della Globalblue costituisce un reparto produttivo del ciclo dell'acciaieria e non un impianto di trattamento dei rifiuti, in quanto destinato ad utilizzare esclusivamente i materiali provenienti dalla ABS.
Di conseguenza, l'attività posta in essere dalla Globalblue doveva ritenersi lecita.
La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto non fondato il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Udine, il quale sosteneva:
  • la qualifica come rifiuto delle scorie prodotte dall’acciaieria
  • che l’utilizzo delle stesse non avveniva nello stesso ciclo produttivo della ABS e che, di conseguenza, la successiva gestione delle stesse da parte di altra società doveva necessariamente sottostare all'iter autorizzativo previsto dalla legge in materia di rifiuti.
La Cassazione, dopo aver rinviato alla puntuale elencazione di tutti i requisiti prescritti richiesti dall’art. 183, comma 1, lett. p) al fine di poter attribuire ad una sostanza la natura di sottoprodotto, effettuata dal Tribunale della Libertà, ha voluto precisare – in relazione al luogo del riutilizzo delle scorie di acciaieria, ai fini della sua qualificazione come sottoprodotto – che
per l'attribuzione della qualifica di sottoprodotto occorre, inter alia, che il loro impiego sia certo sin dalla fase di produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione odi utilizzazione preventivamente individuato e definito.
Di conseguenza, non è necessario che l'utilizzazione del materiale, da qualificarsi sottoprodotto, avvenga nello stesso processo produttivo da cui ha avuto origine, essendo, invece, sufficiente che il processo di utilizzazione, peraltro integrale, del sottoprodotto sia stato preventivamente individuato e definito, così come accertato, nel caso in esame dai giudici di merito
Foto: “Trucioli d’acciao” originally uploaded by mivigur



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Il ping-pong giudiziale figlio dell’eterna incertezza giuridica (parte prima)

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La sentenza che vi propongo oggi (Cassazione penale, Sez. III, n. 35235/08, Cioffi), in materia di definizione di rifiuto-sottoprodotto, è l’emblema (un altro…ne sentivamo la mancanza) dell’eterno “immobilismo in continuo movimento” che caratterizza il nostro paese…

La cronica mancanza di una legislazione coerente, duratura, coordinata, autorevole, provoca disagi:
  • negli operatori, che non sanno che pesci prendere, o a che santo votarsi, e
  • negli interpreti delle norme, sballottati fra diverse interpretazioni plausibili
senza riuscire a trovare soluzioni accettabili per l’ambiente e per il mercato.

Con costi enormi per l’uno e per l’altro.

E per la giustizia, ingolfata da processi che spesso cadono in prescrizione, anche a causa di una legislazione che, con la sua (voluta? ricercata?) nebulosità di fatto legittima questo stato di fatto.

Uno degli ultimi esempi di questo cronico incedere è dato dalla sentenza Cioffi (Cassazione penale, Sez. III, n. 35235/08)…


Questa la vicenda:
  1. in seguito ad una ispezione in un’azienda del ternano era emerso che, su un’area di 7000 metri quadrati erano state depositate, all’interno dell’azienda ivi presente, circa 4000 tonnellate di rifiuti (scarti della lavorazione di pavimenti di linoleum);
  2. il Cioffi, titolare dell’impresa, chiedeva il riesame del sequestro probatorio dell’area, adibita, secondo l’accusa, a discarica di rifiuti provenienti dal ciclo produttivo;
  3. il Tribunale annullava il decreto di sequestro, in quanto il materiale de quo non doveva considerarsi rifiuto, bensì sottoprodotto;
  4. la Cassazione, adita su ricorso del PM, annullava con rinvio tale ordinanza, per carenza motivazionali sulla natura di sottoprodotto, e più precisamente per omessa motivazione sulla certezza dell’utilizzazione e sulla necessità, ai fini della riutilizzazione, di una dichiarazione del produttore o detentore controfirmata dal titolar dell’impianto";
  5. il Tribunale del rinvio ribadiva l’annullamento del sequestro, osservando che la natura del materiale rinvenuto appariva compatibile con l’impianto ordinato dalla società per la polverizzazione degli scarti di linoleum e che, stante la coincidenza nella medesima persona del produttore e del riutilizzatore, non era necessaria necessaria alcuna dichiarazione;
  6. in seguito all’ulteriore ricorso del PM, la Cassazione annullava, di nuovo con rinvio, sostenendo la necessità dell’autocertificazione, nonostante la sopra descritta coincidenza…
  7. il Tribunale del rinvio, questa volta, respingeva l’istanza presentata dal Cioffi, sostenendo, contrariamente a quanto affermato fino allora, che il materiale de quo era rifiuto (!), “per lo stati di abbandono in cui il materiale si trovava, e per la mancanza di documentazione idonea a provare l’effettivo riutilizzo”;
  8. questa volta ricorreva in Cassazione il Cioffi, denunciando, inter alia, la violazione dell’art. 183, comma 1, lett. p) del c.d Testo Unico Ambientale, per avere il tribunale omesso di considerare che con il D.Lgs n. 4/2008 era stata riformulata la nozione di sottoprodotto escludendo la necessità della “dichiarazione” precedentemente richiesta.
La Cassazione ha ritenuto sostanzialmente fondato il ricorso, e ha, purtroppo, ancora una volta annullato con rinvio la decisione impugnata…
Dopo una ricostruzione temporale, relativa alla distinzione fra scarti (rifiuti) e sottoprodotti (non rifiuti), in cui la Suprema Corte ha sottolineato la difficoltà di individuare criteri “univoci”, la Cassazione si sofferma sull’importanza di distinguere fra:
  • la gestione degli scarti, che comporta costi e oneri, e
  • la gestione dei sottoprodotti, la quale, al contrario, arreca vantaggi.
Il valore economico del residuo (il detentore si disfa della cose che non gli servono più, ma non di quelle che possono ancora procurargli vantaggi economici) è un elemento determinante per la distinzione fra scarto e sottoprodotto, anche se spesso è stato trascurato dagli interpreti e dallo stesso legislatore. Ma è stato esplicitamente ripreso con il decreto correttivo n. 4 del 2008.
In relazione alla certezza del riutilizzo, evidenzia la Corte di Cassazione, non ci sono contrasti: le maggiori difficoltà nascono in relazione alle modalità di riutilizzo, che vede contrapposte le posizioni di chi ritiene che:
  • il riutilizzo debba avvenire nello stesso processo di produzione e all’interno dell’impresa di provenienza (in sostanza: doveva esistere una identificazione soggettiva del produttore ed utilizzatore ed oggettiva del luogo di produzione), e
  • il riutilizzo possa avvenire anche in un processo successivo, sotto forma di sfruttamento o commercializzazione.
Questo contrasto – che, secondo la Corte, è stato risolto con il Testo Unico Ambientale, nella sua formulazione originaria – potrebbe risorgere in seguito alle modifiche apportate dal D.Lgs n. 4/2008 che, oltre ad avere eliminato dalla nozione di sottoprodotti quelli definiti ex lege come tali dal Testo Unico Ambientale, ha stabilito che il riutilizzo del residuo debba avvenire nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato o definito, lasciando intendere un sostanziale ritorno al passato, sia pure con modalità parzialmente diverse…

Foto: “Ping Pong interrupted” originally uploaded by Fast Mikie



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Legge, cultura e responsabilità per la tutela dell’Ambiente

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Venerdì 17 ottobre 2008 si è tenuta, presso il Consiglio regionale del Piemonte, a Torino, un convegno intitolato “Legge, cultura e responsabilità per la tutela dell’Ambiente”.


Anch’io ho partecipato in qualità di relatore: nel mio intervento ho cercato di delineare, contestualizzandolo, il ruolo delle regioni nella politica ambientale.
Per ovvi motivi di tempo, non ho potuto scendere a livello di dettaglio: per questo motivo ho predisposto, per chi volesse approfondire, una relazione, il cui testo completo si può scaricare sul sito internet di Natura Giuridica.

Quello che segue è un breve riassunto.

La mia analisi è partita da un citazione del Prof. Maddalena, Giudice della Corte Costituzionale, che:
  • ha sottolineato la difficoltà di definire l'ambiente sul piano giuridico, e di indicare i presupposti giuridici della sua tutela;
  • ha posto l’accento sulla profonda crisi del sistema normativo, nel quale il diritto, diventato pura forma e procedimento (osservati questi, qualsiasi interesse può prevalere…) ha perso molta della sua forza) e
i valori tradizionali, ed in particolare il valore della giustizia, sembrano regredire di fronte all'avanzata, possente e distruttiva insieme, dell'interesse economico.
Questa crisi in campo ambientale è più evidente che mai, e investe tutti i livelli di governo.
Di qui si è, quindi, sviluppata la mia analisi:
  • sull’evoluzione della legislazione normativa italiana che, figlia di un modo di legiferare perennemente emergenziale (…continuamente prorogato…), ha creato notevoli problemi pratici fra gli operatori del settore, ha influito negativamente sullo sviluppo economico del nostro Paese (frenandolo) e, soprattutto, ha impedito un’efficace tutela dell’ambiente. Legislazione che neanche il c.d. Testo Unico Ambientale è riuscito a razionalizzare, semplificare e coordinare (di questo ho già cominciato a parlare nelle pagine di Natura Giuridica).
  • sul ruolo della giurisprudenza nella tutela dell’ambiente e della salute dell’uomo.

Effettuata questa doverosa premessa, necessaria per contestualizzare il mio intervento, ho:
  • sottolineato che la crisi del diritto ambientale si complica se, dal livello nazionale, ci si spinge ad un’analisi delle varie legislazioni regionali;
  • evidenziato le problematiche attinenti alla ripartizione delle competenze Stato-Regioni, così come stabilite nel Testo Unico Ambientale;
  • sintetizzato la giurisprudenza della Corte Costituzionale,
al fine di verificare, in concreto, quali sia il ruolo della Regione nella materia de qua.

Dopo una breve panoramica della politica ambientale piemontese, prima delle conclusioni ho sottolineato l’importanza dell’InFormazione e della comunicazione dell’ambiente in generale, e del diritto ambientale: cioè la mission di Natura Giuridica.

Anche le conclusioni iniziano con una citazione.
Se, come dice Aristotele, la legge non ragiona di cose particolari e presenti, ma di cose future e generali e se il futuro (specie in ambiti in cui sono coinvolte questioni tecnico-scientifiche) è caratterizzato dall’incertezza, dalla varietà dei casi ogni giorno più sorprendenti, non si può non convenire che il diritto ambientale dimostri come il legislatore tenda ad essere sempre più spesso scavalcato, ridimensionato e limitato.
"E infatti, costretto nelle pastoie di procedure lunghe e complesse, sballottolato nel teatro nazionale della politica, questi resta costantemente indietro rispetto al regolato formale, affannandosi in una sorta di corsa contro il tempo che inevitabilmente produce sovrapposizioni, contrasti incertezze".
Credo, in estrema sintesi, che l’unica azione credibile, dopo anni di velleitarie politiche settoriali, consiste in interventi coordinati e razionali, strutturali e strutturati, sia in campo giuridico che in campo economico: una politica dell’ambiente integrata e di ampio respiro, dinamica, che sia al tempo stesso incentivante e dissuasiva, adeguata e, soprattutto, effettivamente operativa, capace di dare, finalmente, una seria e concreta risposta all’esigenza di tutela, troppo a lungo disattesa.

Questo a livello di politica ambientale.

Ma “le odierne sfide ambientali impongono di guardare oltre l’approccio strettamente normativo e di assumere una strategia su più fronti, capace di indurre i necessari cambiamenti dei nostri modelli di produzione e di consumo”.

In sostanza, non è sufficiente “delegare” il problema ambiente alla classe politica, per pensare di poterlo risolvere: occorre responsabilizzarsi, uscire dal pantano di cinismo rassegnato in cui ci dimeniamo, dalla miopia culturale.

Bisogna prendere coscienza e consapevolezza delle possibilità e del potere dei piccoli gesti quotidiani, cominciare a informarci, comunicare, dialogare e collaborare veramente, come capita in altri paesi più civili del nostro, per la costruzione di un bene comune: in sostanza, formare una solida cultura della legalità ambientale.

Fondamentale, in questa prospettiva, è il ruolo della governance, ovvero di un nuovo modo di governare, basato su un approccio condiviso ed allargato, alternativo al tradizionale intervento politico dall’alto: nell’attuazione delle politiche ambientali diventano così prioritari i comportamenti degli attori pubblici e privati, di interessi economici e di singoli cittadini, quotidianamente chiamati, con le loro azioni, a mettere in pratica la sostenibilità.

Da ciò l’importanza della comunicazione e dell’informazione ambientale, volte a rendere consapevole il cittadino delle problematiche ambientali e delle politiche mese in atto per la loro risoluzione.

Foto Torino B&W originally uploaded by Semaone.



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Acque emunte e bonifica: quale gestione?

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Il tema trattato dalla sentenza oggetto del post di oggi – le problematiche sottostanti la gestione delle acque emunte dalle falde sotterranee durante le operazioni di bonifica – è già stato oggetto di analisi nelle pagine di Natura Giuridica.

In particolare, ho cercato di delineare, se pure a grandi linee, le difficoltà relative:
  • alla qualificazione giuridica delle acque de quibus;
  • al regime autorizzatorio degli impianti di depurazione delle stesse e, infine,
  • ai limiti di emissione applicabili allo scarico.
oltre a segnalarvi alcuni dei più recenti interventi giurisprudenziali in materia (in partcolare: TAR Catania, ordinanza n. 788 del 07.06.2007; TAR Puglia – Sezione di Lecce n. 2247 del 4 aprile 2007; TAR Friuli Venezia Giulia (sentenza n. 90 del 28 gennaio 2008).

Nella sentenza in esame oggi, la vicenda trae origine da un ricorso proposto dalla Syndial contro una nota della provincia di Siracusa con la quale l'Amministrazione ha ritenuto di “non poter esprimere” il parere di VIA in merito alla richiesta fatta dalla società.

In sostanza: la Provincia ha ritenuto che, dal confronto del progetto definitivo di bonifica autorizzato con il progetto di V.I.A. presentato, l’impianto di trattamento costituirebbe “un impianto di trattamento di rifiuti liquidi costruito in assenza di autorizzazione ex art. 27 d.lgs n. 22/97, ora art. 208 d.lgs n. 152 del 2006”.

Di qui la dichiarazione di “non poter esprimere” il parere richiesto, stante l’impossibilità di procedere con la valutazione di impatto ambientale “in sanatoria”, ed il conseguente arresto del procedimento avverso il quale la ricorrente ha proposto il ricorso de quo.

Rimandando alla lettura del testo integrale della sentenza per un approfondimento, in questa sede voglio evidenziare che il giudice amministrativo ha ritenuto illegittimo
l’arresto procedimentale disposto dalla Provincia di Siracusa sulla base dell’asserita omessa autorizzazione dell’impianto di trattamento acque di falda ai sensi della normativa sui rifiuti, posto che le disposizioni di cui al Testo Unico Ambientale, in vigore, sanciscono che tali acque non sono soggette al regime dei rifiuti bensì a quello, del tutto diverso dal primo, degli scarichi idrici.

E’ palese a tale proposito, il contenuto dell’art. 243, primo comma, del Testo Unico Ambientale, a norma del quale “le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissioni di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto”.
Conclude, quindi, affermando, sulla scia della giurisprudenza già citata nel blog, che
l’art. 243 del Testo Unico Ambientale individua una disciplina per queste tipologie di acque reflue che può dirsi speciale rispetto alla nozione di scarico ordinaria e dalla quale si evince l’intenzione del legislatore di riferirsi, per la gestione delle acque di falda emunte nelle operazioni di MISE/bonifica, alla normativa sugli scarichi idrici e non a quella sui rifiuti.
Da ciò consegue la non applicabilità, per le stesse acque, della disciplina sui rifiuti, che è incompatibile con la prima ai sensi ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. b) del Testo Unico Ambientale (che modifica parzialmente il precedente art. 8 del d.lgs n. 22 del 1997). L’art. 185, comma 1, lett. b) del d.lgs n. 152 del 2006, infatti, esclude dalla normativa sui rifiuti “gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi costituiti da acque reflue”.


Foto “Pozzo” Originally uploaded by Sarevskij


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T.A.R. Friuli V.G. n. 386/08

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La sentenza che vi propongo oggi (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, n.386/2008) riguarda una vicenda che vede protagonista il Consorzio Depurazione Laguna di San Giorgio di Nogaro, titolare di un impianto di depurazione, realizzato allo scopo di risolvere i fenomeni di degradazione dell’ambiente lagunare causati dagli insediamenti industriali.

In estrema sintesi, le vicende che hanno caratterizzato l’impianto sono:
  • dal 1996 al 2000 l’impianto ha trattato acque reflue industriali e domestiche urbane, e rifiuti liquidi - assimilabili a domestici - conferiti su gomma;
  • dal 2000 al 2002 è stata posta in esercizio una sezione di trattamento di ossidazione chimica - processo FENTON - per il pretrattamento dei reflui industriali a bassa biodegradabilità;
  • dopo il 2002, a seguito della cessazione della sezione di ossidazione chimica e del sequestro giudiziario disposto nel febbraio 2003, sono stati trattati gli stessi reflui del primo periodo, ad eccezione dei rifiuti liquidi).
Come potrete notare, la vicenda è lunga è alquanto complessa: per chi volesse approfondirla, rimando al testo integrale della sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia n. 386 del 2008

In questa sede riporto le massime della sentenza
La definizione di “acqua marina costiera” di cui all’All.1 alla parte III del Testo Unico Ambientale (riferito ai corpi idrici significativi), per la sua specialità prevale sulla definizione generale di “acqua costiera” di cui all’art. 74.
(Nella specie, le acque costiere dell’Adriatico, comprese entro la distanza di 3.000 metri dalla costa e, comunque, entro la batimetrica di 50 metri, sono classificabili sia come aree sensibili ex art. 91 del D.Lgs n. 152/2006, sia come acque significative ai sensi del sopra citato All. 1 alla parte terza).

L’accertato superamento dei valori limite, rilevato nel punto di emissione, è sufficiente a consentire alla Provincia, in applicazione dell’art. 108, comma 2, del Testo Unico Ambientale di imporre limiti più restrittivi di quelli di cui all’all. 5, richiamato dall’art. 101.
E invero, a consentire l’esercizio di tale facoltà, è sufficiente l’accertamento dello sversamento nelle acque di sostanze pericolose, a prescindere dall’esistenza o meno di un Piano di Tutela delle Acque.
Il “limite più restrittivo” imposto è rimesso al prudente apprezzamento dell’Amministrazione in relazione alla situazione fattuale dell’impianto e allo stato dell’inquinamento e non può essere contestato se non per macroscopica irragionevolezza.
(Nella specie, le relazioni in atti avevano evidenziato che i valori di cadmio e stagno, rilevati nel punto di emissione, erano superiori ai limiti consentiti; il che – ha sottolineato il TAR Friuli Venezia Giulia – ha creato una situazione, ancorché forse non “drammatica o pericolosa”, sicuramente di grave rischio. Per tali motivi il Giudice ha ritenuto legittima l’imposizione, da parte della Provincia, di limiti più restrittivi di quelli di cui all’all. 5, richiamato dall’art. 101)

L’art. 124 del Testo Unico Ambientale pone espressamente a carico del richiedente “le spese occorrenti per l'effettuazione di rilievi, accertamenti, controlli e sopralluoghi necessari per l'istruttoria delle domande di autorizzazione allo scarico previste dalla parte terza del presente decreto”, ma non anche quelle relative ai controlli periodici sullo stato ecologico del ricettore.
Infatti, l’art. 128 riserva all’“autorità competente” l’effettuazione (e, quindi, anche i costi) del “controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli”.
Attività, questa, il cui onere finanziario - stante la finalità pubblica che la contraddistingue - non può essere senz’altro e totalmente addossato all’interessato (ma che ben può essere ripartito, sulla scorta di apposite convenzioni).
(Nella specie, il TAR del Friuli Venezia Giulia ha ritenuto fondati, in parte qua, i motivi di doglianza del Consorzio, che aveva evidenziato l’illegittimità delle prescrizione con le quali la Provincia aveva imposto al Consorzio di effettuare una valutazione dello stato ecologico del ricettore per quanto concerne la qualità biologica, chimico-fisica e idromorfologica, e di trasmettere i relativi dati alla Provincia e all’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, con accollo dei relativi costi).

La registrazione quotidiana della quantità di fanghi prodotta, a tenore delle disposizioni sui rifiuti, va ovviamente riferita al rifiuto vero e proprio, cioè al residuo di lavorazione inutilizzabile e non più soggetto ad alcun trattamento, che deve effettivamente essere eliminato. Sicchè non è ragionevole imporre l’obbligo di registrazione in una fase intermedia del ciclo di trattamento dei fanghi.
(Nella specie, il TAR Friuli Venezia Giulia ha ritenuto non ragionevole l’imposizione, da parte della Provincia, dell’obbligo di registrazione quotidiana delle quantità di fanghi provenienti dalla nastropressa, in una fase, cioè, intermedia – e non finale – del ciclo di trattamento dei fanghi).


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Scarichi indiretti e rifiuti liquidi

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Il Tribunale di Macerata - Sezione distaccata di Civitanova Marche, con sentenza del 27 ottobre 2006, affermava la responsabilità penale del Sig. Benedetti Goffredo in ordine al reato di cui all’art. 51, 1° comma, del Decreto Ronchi D.Lgs. 5 febbraio per avere – quale imprenditore individuale esercente attività di autolavaggio - effettuato lo stoccaggio non autorizzato, in vasche di decantazione, di rifiuti speciali non pericolosi consistenti in fanghi da autolavaggio derivanti dalla depurazione dei reflui.

Nel ricorso per Cassazione presentato dal Benedetti, la difesa deduceva la violazione di legge, in quanto non si sarebbe dovuto applicare nella specie la disciplina dei rifiuti liquidi, bensì quella degli scarichi, poiché le acque provenienti dall’autolavaggio andavano a defluire direttamente nelle vasche di decantazione.

La Cassazione ha respinto il ricorso, evidenziando che – in relazione al problema del coordinamento della disciplina dei “rifiuti” con quella degli “scarichi” – anteriormente all’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale la giurisprudenza costante della stessa Corte ha affermato che

la distinzione tra “acque di scarico” e “rifiuti liquidi” non va ricercata nelle caratteristiche della sostanza, bensì nella diversa fase del suo processo di trattamento,
sicché ha costantemente enunciato che nella disciplina delle acque rientra unicamente la fase dello “scarico”, cioè della immissione diretta nel corpo ricettore.

Diversamente, ogni altro sversamento rientra nel concetto di “rifiuto”: nozione, quest’ultima, destinata a ricomprendere “l’immissione di reflui non effettuata attraverso un sistema canalizzato di raccolta e di scarico”.

In definitiva, le violazioni in materia di scarico trovano applicazione soltanto se il recapito dei reflui nel corpo ricettore sia “diretto”.
Se, al contrario, presenta momenti di soluzione di continuità (ed è questo il caso dello scarico dei reflui in vasche e del successivo trasporto in altro luogo tramite autobotte), si è in presenza di un rifiuto-liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato.

Richiamata questa costante giurisprudenza, la Cassazione evidenzia che

qualche incertezza può sorgere in seguito alla nuova definizione di “scarico”, introdotta dall’art. 74, 1° comma – lett. ff), del Testo Unico Ambientale, ove non è più previsto che la immissione di acque reflue debba essere “diretta tramite condotta” e non sono più specificate le varie tipologie di scarichi (acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili), pur continuando l’art. 185 del D.Lgs. n. 152/2006 a disporre, comunque, che “non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto: ... b) gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi contenuti in acque reflue” (l’art. 8, comma i - lett. e, del DLgs. n. 22/1997 faceva riferimento, invece, ai “rifiuti allo stato liquido”).
Tuttavia, questo apparente ostacolo letterale è già stato affrontato dal Giudice di legittimità, che ha affermato che, anche dopo l’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale, integra “scarico” in senso giuridico qualsiasi sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza - senza soluzione di continuità, artificiale o meno - i reflui dal luogo di produzione al corpo recettore.

In conclusione, nonostante i difetti di chiarezza e di coordinamento delle nuove disposizioni normative, deve continuare a ritenersi che i cd. “scarichi indiretti”, cioè quelli che non raggiungono immediatamente un corpo ricettore o un impianto di depurazione, continuino ad essere disciplinati dalla normativa sui rifiuti ed invero, qualora il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è interrotto, viene meno lo scarico per fare posto allo smaltimento del rifiuto liquido.

Lo stoccaggio di fanghi, conclude la Corte, è operazione ben diversa dallo scarico finale: nella caso di specie, il giudice del merito ha accertato in punto di fatto che nelle vasche di decantazione dell’azienda erano depositati fanghi decantati non smaltiti per una quantità complessiva di circa 50 quintali e che l’ultimo smaltimento risaliva all’anno 2002.

Cassazione Penale, Sez. III, sent. n. 6417 dell’11 febbraio 2008, Ric. Benedetti

Per un approfondimento, leggi l'articolo: "Acque reflue convogliate a impatto depurativo: scarico o rifiuto?", di commento alla sentenza del T.A.R. VENETO, Sez. III – 26 gennaio 2005, n. 248, pubblicata sul sito di Giuristi ambientali.



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Corte Costituzionale n. 62/08: competenze statali e regionali

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Con la sentenza n. 62/2008 la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta sui rapporti fra la competenza statale e quella regionale in materia di ambiente.

In breve: il Presidente del Consiglio dei ministri sollevava questioni di legittimità costituzionale di alcuni articoli della legge della Provincia autonoma di Bolzano 26 maggio 2006, n. 4 ("La gestione dei rifiuti e la tutela del suolo"), premettendo in via generale che:
la disciplina dei rifiuti è riconducibile ad un ambito, la “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, non è configurabile come materia oggetto di competenza statale circoscritta e delimitata, delineando piuttosto una materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, anche regionali.
Per la ricostruzione del fatto si rimanda alla lettura del testo integrale della sentenza n. 62 del 2008.
In questa sede è sufficiente segnalare le massime della sentenza della Corte Costituzionale:
La competenza legislativa esclusiva in materia di “tutela del paesaggio” e “urbanistica” e la competenza legislativa concorrente in materia di “igiene e sanità” possono costituire un valido fondamento dell’intervento provinciale, ma tali competenze devono essere esercitate nel rispetto dei limiti generali di cui all’art. 4 dello statuto speciale, richiamati dall’art. 5 ed evocati dal ricorrente, limiti che nella specie non risultano osservati.
La disciplina ambientale, che scaturisce dall’esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, quella in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato.
La legge provinciale […] ha introdotto una esenzione per i rifiuti pericolosi dall’obbligo del formulario d’identificazione in contrasto con l’art. 193 del d. lgs. n. 152 del 2006, destinato in ogni caso a prevalere […] Il legislatore statale, invero, ha istituito un regime più rigoroso di controlli sul trasporto dei rifiuti pericolosi, in ragione della loro specificità e in attuazione degli obblighi assunti in ambito comunitario, in base ai quali «per quanto riguarda i rifiuti pericolosi i controlli concernenti la raccolta ed il trasporto [...] riguardano l’origine e la destinazione dei rifiuti»
Il formulario d’identificazione consente di controllare costantemente il trasporto dei rifiuti, onde evitare che questi siano avviati per destinazioni ignote. La relativa disciplina statale, proponendosi come standard di tutela uniforme in materia ambientale, si impone nell’intero territorio nazionale e non ammette deroghe.
L’adozione di norme e condizioni per l’esonero dall’iscrizione ovvero per l’applicazione in proposito di procedure semplificate attiene necessariamente alla competenza statale, nell’osservanza della pertinente normativa comunitaria.


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L’Antitrust vuole maggiore concorrenza nel sistema di riciclaggio dei rifiuti da imballaggio

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Con un comunicato stampa del 14 agosto 2008, l’AGCM, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha portato a conoscenza i risultati dell’indagine conclusiva sui rifiuti riciclabili da imballaggio raccolti sul suolo pubblico.
Rifiuti che “sono una risorsa economica che i Comuni italiani non riescono a sfruttare e che potrebbe invece, con un opportuno ricorso al mercato, garantire ai cittadini un servizio di raccolta migliore e tariffe più basse”.
Nelle quasi 100 pagine di documento – si legge nel comunicato stampa –
l’Autorità fa il punto su un settore che è stato interessato da continue modifiche del quadro normativo e dal ricorso, in molte aree del Paese, soprattutto al Sud, alle gestioni emergenziali: due fattori che hanno ostacolato una corretta organizzazione delle attività di recupero di prodotti che, all’origine, valgono 25 miliardi di euro, e che hanno influito negativamente sul livello di concorrenza del settore.

Per superare una situazione che si traduce in un aumento dei costi a carico degli utenti, l’Autorità ha proposto una serie di correttivi:


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Mille papaveri rossi

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Con il Comunicato stampa n. 13 del 01 agosto 2008, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha informato che
su iniziativa del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, sono stati proposti:
- due disegni di legge, da sottoporre al parere della Conferenza unificata, concernenti:
1. il conferimento al Governo di una delega a riordinare, coordinare ed integrare la legislazione esistente in materia ambientale, con particolare riferimento alla gestione dei rifiuti e dei siti contaminati, alla tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche, alla difesa del suolo, alla tutela dell’aria, alle procedure di valutazione d’impatto ambientale, anche strategica, e di autorizzazione ambientale integrata, alla tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente;
2. un più incisivo contrasto alle massicce violazioni della normativa in materia di rifiuti che ha comportato gravi rischi di danno ambientale e compromissione dell’ecosistema; viene tra l’altro previsto che ove sussista un sospetto fondato di contaminazione, la provincia disponga l’accesso al sito anche senza il consenso del proprietario per il prosieguo delle necessarie operazioni di verifica;
Il Testo Unico Ambientale – Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 "Norme in materia ambientale" – è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006 (Supplemento Ordinario n. 96), ed è entrato in vigore il 29 aprile 2006.

Le “modalità” e la fretta che spinsero l’allora uscente Governo a emanare il “testone” sono note a tutti.
Così come altrettanto note sono le estenuanti vicende che hanno caratterizzato lo stillicidio di modifiche, integrazioni, ripensamenti, pacchiani errori procedurali del successivo Governo, con lo “stesso identico (rectius, per gli amanti delle sfumature: analogo…) umore ma la divisa di un altro colore”…

Guarda a caso, ora, è ritornato a Palazzo Chigi il Governo cui va il “merito” dell’adozione di un provvedimento tanto auspicato ed aspettato che, tuttavia, nonostante lo “sforzo”, e al di là dei proclami, non è riuscito a rendere concrete le aspettative di semplificazione, razionalizzazione e coordinamento del coacervo di norme – prive di un disegno unitario – succedutesi negli ultimi quarant’anni in materia ambientale….

(Nuovo) Governo che, poco dopo essersi insediato, "spara "(di nuovo) su quanto fatto, proponendo di ricominciare di nuovo tutto da capo…
Ricominciare non un lavoro condiviso per la tutela (futura? futuribile?) dell’ambiente, ma il ben più prosaico valzer dei continui, e sterili, cambiamenti gattopardeschi…

Di politiche ambientali si è già parlato nelle pagine del blog, e si continuerà a farlo: nei post dedicati si è cercato di cominciare a delineare alcuni dei tanti lati oscuri della normativa (e, ahimè, anche del comportamento di tanti singoli…), ed è stata evidenziata la mancanza di un progetto condiviso,che crea gli sconquassi e l’incertezza che sono sotto gli occhi di tutti…

Nonostante i proclami, appunto, e la consapevolezza ciò quello che serve sono poche regole, ma chiare ed applicabili.
Nonostante sia “l’aspetto normativo-politico a rimanere, purtroppo, l’anello debole della filiera ambientale. La maggior parte degli operatori è infatti concorde nell’affermare che “in Italia mancano ancora politiche ad hoc e un quadro normativo chiaro e coerente”, come si leggeva anche nelle pagine del Sole 24 ore poche settimane fa..

Nella logica manichea (bipartisan) di chi contrappone ai velleitari (perché scoordinati) e inutili (perché non integrati, né condivisi) progetti altrui esclusivamente (più o meno) lunghe e ansiose attese, volte alla semplice prevaricazione, condita qua e là dall’eterno gioco del rimpallo delle colpe (sempre della fazione opposta, s’intende…), non sembra esserci spazio per un dialogo costruttivo.

Dialogo che dovrebbe aprire lo spiraglio per un progetto finalmente concreto che, lungi dall’aver come punto di riferimento interessi (quali?…) di parte, possa costruire ciò di cui abbiamo bisogno: un ambiente salubre, un cittadino consapevole e partecipe, una nuova economia (e un nuovo modello di consumo) che da queste nuove basi sappia trarre spunto e forza proiettarci verso un futuro anche semplicemente più civile.

Per il momento, però, a “far veglia” a questo deserto, vedo solo mille papaveri rossi...





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Autorizzazione integrata ambientale: prime riflessioni sulla giurisprudenza amministrativa

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Le conclusioni evidenziano che la prima giurisprudenza in materia di Autorizzazione integrata ambientale ha cominciato a delineare:
  • un’applicazione “lata” e “dinamica” della disciplina in relazione all’aspetto temporale (periodo transitorio) e a quello tecnico (B.A.T.), mentre,
  • con riferimento a quello procedurale (rapporti con la V.I.A.), l’impressione che se ne trae è quella di una maggiore staticità rispetto alle più recenti modifiche legislative.

Il motivo è semplice: il legislatore ambientale, dopo anni passati a centellinare mezze riforme (nell’articolo si sviluppa anche il riferimento alle note e imbarazzanti vicende estive del 2007) sembra volersi muovere nella direzione verso la definitiva integrazione fra le due discipline.
Una scelta che dovrebbe comportare una maggiore celerità nei procedimenti autorizzatori, oltre che precludere la possibilità di un’autonoma impugnativa.

La sentenza del T.A.R. Bologna (n. 3365/07) – nel porre l’accento sulle differenze strutturali delle due procedure e dei relativi effetti, e nell’affermare la non necessaria consequenzialità dell’una (Autorizzazione integrata ambientale) rispetto all’altra (Valutazione d'impatto ambientale), al fine dell’autonoma possibilità di impugnazione – sembra, invece, muoversi in direzione opposta all’obiettivo volto al massimo coordinamento e semplificazione possibili.
In attesa della (definitiva?) entrata in vigore della nuova normativa e della sua applicazione, nonché del necessario approfondimento interpretativo da parte della giurisprudenza, si auspica che – anche in relazione a questa specifica tematica – il valzer dei continui “aggiustamenti” normativi possa finalmente finire e – di conseguenza – possa cominciare ad … insinuarsi un maggiore coefficiente di certezza del diritto.
Solo attraverso l’adozione di regole razionali e coordinate si può realmente pensare di attuare una più trasparente, tempestiva e seria gestione del bene ambiente, lontana dal miope particolarismo delle “scelte” contingenti, che finora ha contraddistinto il nostro paese, regole necessarie per realizzare quelle indispensabili infrastrutture gestionali di cui il nostro paese ha un urgente bisogno.

Per leggere l’intero articolo L’Autorizzazione integrata ambientale: prima analisi della giurisprudenza amministrativa, collegati al sito dell’Ipsoa




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Bonifiche: responsabilità, contaminazione pregressa, confinamento fisico, acque di falda

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La recente sentenza del T.A.R. Sicilia-Catania, n. 1188 del 17 giugno 2008, che oggi vi propongo, riguarda, in estrema sintesi:
  • operazioni di confinamento fisico come attività di messa in sicurezza d’emergenza in relazione ad uno sversamento accidentale;
  • la necessità dell’accertamento delle responsabilità dell’inquinamento
  • la c.d. “contaminazione pregressa
  • i presupposti per procedere alle attività di M.I.S.E. e di bonifica
  • le acque di falda

Rimandando alla lettura integrale della sentenza per un approfondimento, si vuole, in questa sede, evidenziare quanto sottolineato dal Giudice amministrativo siciliano, in conformità con l’orientamento prevalente della giurisprudenza in materia.

Ecco le massime:

In presenza di una situazione di contaminazione pregressa, storica, e diffusa, imporre ad una società (a seguito di uno sversamento accidentale) la bonifica dell’area “fino all’evidenza di terreno pulito” implica che quest’ultima dovrebbe non solo doverosamente eliminare gli effetti diretti ed indiretti dello sversamento, ma accollarsi anche la rimozione dell’inquinamento precedentemente prodotto da terzi o comunque la cui provenienza non è stata accertata, in violazione delle prescrizioni di cui agli artt. 240 e 242 del Testo Unico Ambientale (D.Lgs 152/06)

E’ illegittima l’imposizione di obblighi di bonifica generalizzati, senza previo accertamento della responsabilità dell’inquinamento e con metodi tecnici di intervento, le cui modalità non siano state in nessuna parte confrontate nel procedimento con le imprese interessate, con violazione dei loro diritti di partecipazione ex lege 241/90.

Nel quadro normativo attuale, i presupposti per procedere alla M.I.S.E. sono del tutto differenti da quelli per ordinare una bonifica: non è pertanto legittimo imporre quest’ultima sub specie di MISE, per l’evidente insufficienza di quest’ultima a porre rimedio ad un fenomeno di inquinamento risalente e radicato (cfr. la sentenza n. 1254/07 del TAR Catania e la sentenza successiva nr. 200/08).

Le acque di falda emunte nel corso delle operazioni di bonifica vanno qualificate non come rifiuti, ma come acque reflue di provenienza industriale (cfr. sentenza TAR Catania n. 1254/07 e n. 207/08).



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…così (non) mi distraggo un po’…

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L’articolo che vi consiglio di leggere – Caro (nuovo) legislatore (ambientale), ti scrivo … della Proff.ssa Alberta Leonarda Vergine – è stato pubblicato appena pubblicato sul n. 7 del 2008 della rivista Ambiente & Sviluppo dell’IPSOA e un suo estratto, in anteprima, sulla pagine di Giuristi Ambientali.

Si tratta di un articolo che non fa sconti al legislatore ambientale, a prescindere dall’appartenenza politica; sottolinea che la mancanza di un progetto condiviso crea gli sconquassi e l’incertezza che sono sotto gli occhi di tutti e da qualche saggio “consiglio” al legislatore che verrà…incertezza di cui si è parlato anche nelle pagine di Natura Giuridica.

Di seguito vi riporto qualche “chicca”…

“Presentando un lavoro collettaneo su alcune iniziative legislative del governo precedente a quello che ha appena esaurito il proprio mandato, uno dei più sapidi (e qualificati) penalisti italiani, ha sottolineato come quella produzione legislativa (ma, a nostro avviso, il discorso è riferibile, sia pur con doverose precisazioni e limitazioni, anche alle produzioni di governi espressione d’ogni maggioranza) si presentasse come “una interessante operazione di marketing”, ove “la legge [veniva] trattata come bene di consumo”.
E, come, in questo contesto, il “prodotto normativo [fosse] esposto in rutilanti confezioni, anche se talvolta l’etichetta non corrisponde[va] al contenuto […] e [fosse] immesso sul mercato per soddisfare molteplici e diversificati bisogni (veri o supposti) ed ansie dei consumatori-destinatari, e [fosse] oggetto di ampia pubblicità sui mass media che ne esalta[vano] efficacia e proprietà innovative, per altro quasi sempre inesistenti”.
[…]
Per quel che concerne la nostra materia, il Governo precedente a quello che ha appena anticipatamente concluso l’attività, è riuscito a fare approvare, in prossimità del traguardo di fine legislatura, il c.d. Codice Ambientale
[…]
Il successivo Governo, espressione dell’altro schieramento, appena insediato ha posto mano a interventi importanti volti, da un lato a bloccare, per quanto possibile, il “prodotto normativo” non gradito e non condiviso, e dall’altro a inserire “riforme” asseritamente organiche e risolutive e, solo poco prima della sua anticipata cessazione dalle funzioni, dopo clamorosi errori di percorsovi, è riuscito a fare approvare un ulteriore, corposo intervento modificativo di alcune parti del Codice Ambientale, che gli operatori di settore hanno chiamato il “secondo Correttivo”.
Il Governo che si è appena insediato e, quindi, il legislatore ambientale che verrà, si troverà, perciò, a doversi confrontare con un testo normativo decisamente ampio, nel quale sono facilmente riconoscibili scelte gestionali, politiche, organizzative e sanzionatorie espressione di visioni quanto meno diverse, per non dire opposte, le cui logica interna e intima consequenzialità sono già gravemente compromesse
[…]
Noi, da penalisti, auspichiamo che il “nuovo” legislatore ambientale si dimostri “meno frivolo nel maneggiare le categorie, la terminologia e anche i principi penalistici” di quanto non lo siano stati i suoi predecessori, qualunque sia stato l’orientamento d’appartenenza, e meno incline a inserire “con leggerezza il prodotto legislativo nei delicati meccanismi del sistema penale”.
Al contempo, ci auguriamo anche che non vi sia leggerezza neppure nel rifiutare indiscriminatamente tutte le impostazioni precedenti alle quali il cittadino, ormai da due anni, si è dovuto uniformare.
[…]
Proprio anche per questo, chiederemmo al ‘legislatore che verrà di seguire i consigli di indiscussa dottrina penalistica che, ormai tanti anni or sono, sulla base del correttissimo rilievo per il quale “il bene scarso nella economia della giustizia penale è rappresentato dalle sanzioni, (dalle risorse umane e materiali per implementarle e dotarle di impatto ed effettività) e non già dai precetti ( di per sé moltiplicabili ad libitum)”, affermava come, per addivenire a “una riforma realistica, occorra muovere dalle prime (le sanzioni) e non dai secondi (i precetti)”.
In altri termini, suggeriamo al legislatore di tenere doverosamente presente che “il baricentro di ogni moderna riforma della parte generale sta nel sistema delle sanzioni”.
[…]
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero 7/2008 della rivista Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, Milano.
Per leggere l’estratto dell’articolo Caro (nuovo) legislatore (ambientale), ti scrivo … della Proff.ssa Alberta Leonarda Vergine, vai sul sito di Giuristi Ambientali.




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Danno Ambientale e responsabilità: segnalazione del volume “La responsabilità per danno all'ambiente”

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In materia di danno ambientale, vi consiglio di leggere il volume La responsabilità per danno all'ambiente. L'attuazione della direttiva 2004/35/CE, a cura di Franco Giampietro

L'opera illustra la nuova normativa del Testo Unico dell'Ambiente (D.Lgs. n. 152/2006), entrato in vigore il 29 aprile 2006, in materia di prevenzione, ripristino e risarcimento del danno all'ambiente, evidenziando le modifiche alle normative previgenti e abrogate, con un esame contestuale dei profili attinenti al regime amministrativo e a quello civilistico del danno, nei rispettivi contenuti sostanziali, procedimentali e processuali.

Poiché il nuovo sistema di prescrizioni è diretto a dare attuazione alla direttiva 2004/35/CE "sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale", l'opera commenta le prescrizioni e gli obiettivi comunitari in riferimento alla politica europea sull'ambiente e alle disposizioni attuative del medesimo T.U., con richiami comparativi a quelle di altri partners dell'Unione (Germania, Gran Bretagna ecc.)

L'approccio interdisciplinare con i contributi di giuristi, di esperti tecnici e di economisti consente una lettura "complessiva" ed "integrata" della nuova disciplina e l'identificazione dei suoi "limiti", al fine di una sua futura razionalizzazione e semplificazione.

I contributi sono di:
  • Andrea Quaranta: La direttiva comunitaria 2004/35/CE nel contesto della politica comunitaria sull'ambiente;
  • Riccardo Montanaro: La direttiva sulla responsabilità ambientale nel quadro della disciplina europea in materia di ambiente 
  • Luca Prati: Diritto alla salubrità dell'ambiente e danno esistenziale in rapporto alla direttiva 35/2004/CE 
  • Alberto Muratori: La "dimensione tecnica" del danno ambientale nella direttiva 2004/35/CE; L'accertamento del danno ambientale: i profili tecnici. La disciplina sul danno ambientale e i problemi (ancora) aperti dopo il testo unico n. 152/2006 
  • Francesca Quercia:La direttiva 2004/35/ce e lo sviluppo della politica comunitaria sul suolo: implicazioni sulla gestione dei siti contaminati 
  • Maddalena Mazzoleni: Il risarcimento del danno ambientale nella prassi italiana: le iniziative di riforma sino al D.Lgs. N. 152/2006 
  • Francesco Fonderico: Le competenze degli enti locali in materia di danno ambientale: profili generali 
  • Marco Calabrò: Il ruolo delle associazioni ambientaliste in tema di prevenzione e riparazione del danno ambientale 
  • Franco Giampietro: La responsabilità per danno all'ambiente e bonifica dei siti contaminati. La linea evolutiva del testo approvato con il D.Lgs. n. 152/2006 alla luce della direttiva n. 2004/35/CE; Prevenzione, ripristino, risarcimento dei danni all'ambiente nel D.Lgs. n. 152/2006. Esame delle disposizioni di rinvio alla bonifica 
  • Daniele De Strobel: Le problematiche assicurative del danno ambientale 
  • Maurizio Franzini: I metodi di valutazione economica e il danno ambientale: le ragioni di un difficile rapporto 
  • Paolo Liberatore: La quantificazione economica del danno ambientale nel D.Lgs. N. 152/2006: applicabilità e limiti del costo del ripristino e degli altri metodi di stima in ambito giuridico-processuale 
  • Francesca Benedetti: Prevenzione e riparazione del danno ambientale in Europa. Legislazione in materia ambientale e applicazione della direttiva 2004/35/CE nei paesi dell'unione europea 
  • David Rottgen: Il danno ambientale nel diritto federale tedesco 
  • Annalisa Bavaresi: Il danno ambientale nel Regno Unito 
  • Vittorio Giampietro: Linee guida per le misure di prevenzione e ripristino ambientale negli Stati Uniti


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I residui da demolizione e costruzione: rifiuti o sottoprodotti? (2)

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(segue da)

Per quanto riguarda gli inerti provenienti da demolizioni edili o da scavi, la Cassazione effettua un rapido excursus della normativa:
1) sotto la vigenza del decreto Ronchi, gli inerti provenienti da demolizioni edili o da scavi costituivano rifiuti speciali (salvo che fossero destinati ad essere riutilizzati secondo le condizioni – contestuali – di cui all'articolo 14 della legge n. 178 del 2002); in questo periodo la giurisprudenza prevalente della Cassazione aveva affermato la non assimilazione degli inerti alle terre e rocce da scavo, perché:
  • il materiale proveniente da demolizioni non è costituito soltanto da terriccio e ghiaia, come quello proveniente da scavi (ma anche da cemento, asfalto, mattoni, etc..., sostanze che costituiscono rifiuti);
  • l'attività di demolizione e costruzione che riguarda gli edifici o le strade è strutturalmente diversa dagli scavi che riguardano i terreni
2) il Testo Unico Ambientale ha ribadito che il materiale derivante da attività di demolizione e costruzione è rifiuto: la giurisprudenza ha evidenziato la continuità normativa, ritenendo che “gli inerti provenienti da demolizioni di edifici o da scavi di manti stradali erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al Testo Unico Ambientale, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l'obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento” (Cassazione Penale, sentenza n. 23788 del 2007).

Questo materiale può, e se si quando, essere considerato un sottoprodotto?

Come ho già avuto modo di scrivere in questo blog, affinché un materiale possa essere qualificato come sottoprodotto occorrono, cumulativamente, alcune condizioni: nella fattispecie quel materiale, per essere riutilizzato come sottofondo, doveva subire un trattamento preliminare, perché costituito da pezzature di rilevanti dimensioni, e il suo riutilizzo è stato escluso dal tribunale di primo grado perché, in base al progetto, non era prevista la costruzione di alcun piazzale dove impiegare gli inerti in questione come sottofondo.

Per quanto riguarda la buona fede, cui accennavo in esordio, rilevo soltanto che la Cassazione ha ribadito che nei reati contravvenzionali si risponde anche a titolo di colpa, per la sussistenza della quale è sufficiente che il comportamento sia stato determinato da imprudenza, negligenza o imperizia.L'ignoranza della legge penale scusa l'autore dell'illecito solo se incolpevole a cagione della sua inevitabilità (Corte Costituzionale sentenza n 364 del 1988): nel caso di specie i giudici del merito hanno escluso che l'imputato abbia assolto con la dovuta diligenza l'onere dell'informazione che incombe su chi esercita a titolo professionale una determinata attività.D'altra parte, la L. n 178 del 2002, art. 14 richiamato dal prevenuto per giustificare la sua buona fede, ha si posto delicati problemi interpretativi, ma essi riguardavano essenzialmente la compatibilità con la nozione comunitaria di rifiuto perchè la norma anzidetta la restringeva, ma era comunque certo, per il tenore letterale dell'articolo, che un determinato residuo poteva essere sottratto alla disciplina sui rifiuti solo a condizione che fosse riutilizzato senza subire trattamenti preliminari e fosse certa la riutilizzazione senza danni per l'ambiente

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