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Bozza di DPCM sulla capacità nazionale di incenerimento: le risposte (sbagliate) a…quali domande?

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Sul n. 3/2016 della rivista "Ambiente & Sviluppo" (IPSOA), è stato pubblicato un articolo ,"Bozza di DPCM sulla capacità nazionale di incenerimento: le risposte (sbagliate) a…quali domande?", che analizza l'ultima bozza di DPCM con il quale sono stati quantificati sia la capacità attuale e potenziale degli impianti di incenerimento in esercizio, sia il fabbisogno residuo, individuando nelle macro-aree geografiche i nuovi impianti di trattamento termico da realizzare.

Poco più di un anno fa è stato pubblicato, sulle pagine di questa rivista, un articolo sul pubblicizzato nuovo incenerimento dei rifiuti dal sapore – per così dire – enigmistico: l’articolo, infatti, invitava il (più che) paziente lettore a soffermarsi sulle differenze apportate in materia dal decreto legge #SbloccaItalia, prima, e a stretto giro dalla sua legge di conversione, e a domandarsi quale fosse il senso di quel “fare e rifare, che è tutto un lavorare”, secondo l’icastica, lapidaria ed efficace sintesi proverbial-dialettale, ivi citata.
Perché il punto, come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo di questo articolo, è – continua ad essere – proprio questo: per dare delle risposte efficaci, occorre sapersi fare le giuste domande. Non limitarsi ad ingegnosi make-up linguistico-normativi buoni solo per comunicare il risultato di un laborioso (quanto inutile) lavoro di una “riforma”, da vendere ai cittadini-consumatori, molto più numerosi non solo degli addetti ai lavori (nelle cui fila militano anche gli assolutori – del lavoro del Governo di turno – a priori), ma soprattutto di chi prova a far emergere il proprio motivato dissenso non (solo) tanto alla scelta in quanto tale, quanto alla sua realizzazione contestualizzata.
E invece, sulla scia di quel metodo di lavoro tanto caro ai nostri ambidestri legislatori, (e con il consueto ritardo), ci ritroviamo, oggi, a ri-discutere non solo di questa opinabile scelta di metodo, ma anche del suo “merito” (la bozza in progress non appare esente da critiche) e, più in generale, della coerenza di chi continua a spacciarla per…
A spacciarla, confondendo i suoi alibi e le ragioni di chi (anche in questo caso sono in tanti) vorrebbe un sistema integrato e moderno di gestione dei rifiuti reale, e non annunciabile.

Le prime "risposte" a non si sa quali domande di sostenibilità

La bozza di decreto, finalmente analizzabile a luglio dello scorso anno, contiene fin dalle premesse i richiamati elementi di incoerenza politica: magari a sua insaputa, ma sta di fatto che il legislatore ha utilizzato anche in questo caso, quella “tecnica” che consiste (anche) nel far di volta in volta riferimento o a comodi elementi esterni alla volontà politica di chi “è costretto ad agire” (va di moda, ad esempio, trincerarsi dietro al “ce lo chiede l’Europa!”), o a quegli stessi elementi esogeni, ma per sostenere, al contrario, posizioni politico-elettorali di segno opposto (ad esempio: “l’Europa non può dettarci le regole!”).
In un momento storico in cui quotidianamente echeggiano gli strali anti ingerenze europee, il nostro legislatore giustifica questa scelta anche con la necessità di attuare il “progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale”, di “tenere conto della pianificazione regionale” e di “superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione” comunitarie.
Sulla base:
  • di queste di per sé inoppugnabili premesse (ma fin qui siamo alle parole);
  • degli altrettanto indiscutibili principî di gerarchia nella gestione dei rifiuti (in relazione ai quali, tuttavia, il legislatore ha scelto – non si capisce se a sua insaputa o se per noncuranza – di muoversi su un terreno minato), e
  • del continuo richiamo a diverse tipologie di un non meglio specificato “fabbisogno” di trattamento e di incenerimento (per l’interpretazione del quale occorre, a questo punto, affidarsi a qualche aruspice),
la prima bozza di decreto si struttura come segue [...]

L'articolo prosegue con un capitolo intitolato "Le risposte rivedute e corrette e l'utilizzo del Photoshop giuridico", e un altro che analizza le risposte date dalle regioni al maquillage al quale era stato medio tempore sottoposto il DPCM.

L'ultimo capitolo è intitolato un po' ironicamente, un po' provocatoriamente "42 è la risposta!Ma a quale domanda?"....

"[...]
Nella“Guida galattica per autostoppisti” – serie di romanzi di fantascienza umoristica – un supercomputer, realizzato per cercare la risposta alla “domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”, dopo sette milioni e mezzo di anni fornisce la risposta: “42”.

«“Quarantadue!” urlò Loonquawl. “Questo è tutto ciò che sai dire dopo un lavoro di sette milioni e mezzo di anni?”
“Ho controllato molto approfonditamente” disse il computer, “e questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda”»

Fatti gli opportuni distinguo, e con il Massimo rispetto per il ruolo, anche la politica 2.0, nonostante le premesse, sembra seguire – nei fatti, e per utilizzare un vocabolario comunicativo, e in quanto tale approssimativo, ma in ogni caso efficace –  lo stesso schema da “prima Repubblica”, infarcito di asserzioni aprioristiche, di espressioni normative sfarzose, di enunciazioni di principî solenni, di una comunicazione raffinata quanto vacua, di risposte generiche e contraddittorie a domande spesso sbagliate e in ogni caso non circostanziate né contestualizzate, quelle rare volte che il politico nelle vesti di legislatore (e non di comunicatore) ipotizza di risolvere i problemi partendo dall’analisi delle necessità, e quindi dalle domande.
Come si accennava in premessa, e probabilmente come conseguenza dell’assertività governativa e della relativa assenza di dubbi sul metodo e sul merito anche di questa scelta, le domande – che avrebbero dovuto, che dovrebbero indirizzare il legislatore – sono le grandi assenti anche di questa ennesima riforma ambientale.
Ed il legislatore fornisce, non può che fornire, risposte prive di significato, di soluzioni, di efficacia: si potrebbe quasi dire, a valle della lettura di questi testi, se la situazione non fosse così grave, che il legislatore sia portato più per la fantascienza umoristica che per governare le sorti di un Paese.

Volendo sintetizzare le criticità che, a parere di chi scrive, emergono dalla lettura dell’articolato normativo, si possono enucleare almeno tre categorie.
La prima, difficilmente riassumibile con un unico aggettivo, ha a che fare con l’innato carattere del nostro legislatore, poco incline a farsi domande, più propenso invece a far vedere di fare (soprattutto a dire) qualcosa e a manipolare le parole.
Tali criticità si manifestano:
  • a volte in modo palese, ad esempio laddove il legislatore continua a volersi riferire al fatto che tali impianti di “termovalorizzazione” “costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, e realizzano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantendo la sicurezza nazionale nell'autosufficienza del ciclo di gestione integrato dei rifiuti”: parole (parole parole) dotate evidentemente di poteri taumaturgici (per il legislatore), ma soprattutto autoassolutorie e funzionali alla comunicazione tautologica e martellante che domina la scena politica degli ultimi anni;
  • a volte in modo più sfumato, e quindi potenzialmente ancora più pericoloso, sotto forma di altri ipse dixit distorsivi del senso delle parole e/o della comunicazione e/o di quella che dovrebbe essere la ratio della normativa ambientale, più in generale.
Ne costituiscono un esempio il disinvolto richiamo a diktat esogeni, per giustificare qualsiasi decisione, specie se impopolare; l’utilizzo approssimativo di una terminologia non sempre coerente, sia che si tratti di “terminologia di dettaglio”, sia che si tratti di definizioni anche all’apparenza più cogenti, sia che si tratti, infine, di espressioni dirimenti per capire il contesto operativo; il pedante richiamo ad una gerarchia di gestione dei rifiuti diversa da quella reale, e modellata sulla base degli obiettivi (ehm: interessi) che si intendono raggiungere; la possibilità concessa di revisionare periodicamente le previsioni del decreto, salvo farlo soltanto “in presenza di variazioni documentate” (in sostanza: solo a consuntivo, e non in base alle previsioni delle programmazioni regionali per il futuro…); la nuova formulazione delle disposizioni finali (comma 6), laddove il legislatore stabilisce che per le modifiche del decreto, si debba tener conto anche delle politiche in atto relative alla dismissione di impianti o alla riduzione di capacità di incenerimento per le sole regioni caratterizzate da una sovraccapacità di trattamento rispetto al relativo fabbisogno di incenerimento.
L’intenzione, in questo caso, sembra essere quella di “depotenziare il conflitto istituzionale con la Lombardia, ove il caso della sovraccapacità è clamoroso”, salvo farlo “senza alcuna coerenza con la previsione fondamentale della bozza che, individuando solo l’incenerimento come destinazione ultima del rifiuto residuo, cancella le previsioni, incluse nella precedente bozza, dei 3 nuovi inceneritori per il Nord”.

Quest’ultimo passaggio ci permette di passare al secondo filone di criticità: quello delle incongruenze/contraddizioni.
La più evidente – ma non per chi ha ipotizzato queste risposte – è quella che non riesce a rispondere alla seguente domanda, per il semplice fatto di non essersela posta: perché puntare sull’incenerimento dei rifiuti, con questa presunta fretta “non operativa” (ma senz’altro con frettolosità), in un momento in cui la produzione di rifiuti è in netto calo?
E/ma soprattutto, perché puntare in questo modo così “cautelativo” sugli inceneritori che, per definizione, hanno una continua necessità di ricevere rifiuti, e per stessa ammissione del legislatore in passato sono stati sovradimensionati?
Non si tratta, con tutta evidenza, delle domande che chi legifera dovrebbe porsi prima di intraprendere un percorso normativo, quanto piuttosto di interrogativi ex post che sorgono dalla lettura di queste risposte…
Viene da chiedersi, inoltre, ad esempio:
-      perché, stando così le cose, il legislatore afferma, in premessa, che “l’individuazione di un fabbisogno basato su percentuali di raccolta differenziata minori rispetto al 65 per cento e senza tener conto degli obiettivi di ulteriore riduzione di rifiuti urbani e assimilati, determinerebbe una capacità impiantistica sovradimensionata rispetto alle esigenze nazionali”?
Senza contare il fatto che “gli impianti di trattamento preliminare hanno una capacità spesso superiore rispetto al fabbisogno di trattamento calcolato su una quantità di rifiuti residui derivanti da una raccolta differenziata a norma di legge”.
-      perché non si coordina la sedicente “strategia dell’incenerimento” (o incenerimento delle strategie?)  con quanto di recente approvato con la legge sulla green economy, la quale prevede una serie di interventi che vanno in assoluta controtendenza rispetto a questa bozza di decreto?
L’ultima, ma non meno importante, contraddizione, è quella che riguarda l’assenza di qualsiasi connessione con gli scenari delineati nel “Pacchetto sull’economia circolare”, adottato dalla Commissione europea il 2 dicembre 2015 per promuovere la transizione dell'Europa verso un'economia circolare che aumenterà la competitività globale, sosterrà la crescita economica e genererà nuova occupazione.
Il pacchetto – che contiene alcune proposte legislative riviste sui rifiuti nonché un piano d'azione globale, sulla base di una visione chiara e ambiziosa di lungo termine per aumentare il riciclaggio e ridurre il collocamento in discarica – parla anche di incenerimento, ma in termini (non mistificatori) più realistici, anche se utilizza il termine termovalorizzazione in modo giuridicamente border line…
Alla precisa domanda (“Nell'ambito di queste proposte è ancora permesso l'incenerimento dei rifiuti?”) la Commissione, infatti, risponde affermando che “se non è possibile evitare di produrre rifiuti né è possibile riciclarli, recuperarne il contenuto energetico è di norma preferibile al collocamento in discarica, sia sotto il profilo ambientale che economico. Vi è quindi spazio per la termovalorizzazione, che contribuisce a creare sinergie con le politiche unionali in materia di energia e clima, ma sempre seguendo i principi della gerarchia dei rifiuti stabilita dall'UE. La Commissione esaminerà come ottimizzare questa pratica, senza compromettere il potenziale di realizzazione di tassi di riutilizzo e di riciclaggio più elevati e come sfruttare al meglio tale potenziale energetico. A tal fine la Commissione adotterà un'iniziativa sulla termovalorizzazione nell'ambito dell'Unione dell'energia”.

Si tratta, in sostanza, di una questione di numeri, che rappresentano la terza e – almeno alla fine di questa prima lettura – ultima criticità di questa bozza.
Come s’è visto, i conti non tornano già solo se si considera il trend decrescente della produzione di rifiuti; a ciò si deve aggiungere che non vi è nessuna revisione dei calcoli per le Regioni con nuove programmazioni in corso di preparazione e che anche la terminologia utilizzata – non ulteriormente specificata – lascia ampi margini di movimento, sia in relazione ai presupposti localizzativi, sia con riguardo alla vera e propria realizzazione “di un sistema moderno ed integrato di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati”.

La normativa, specie quella ambientale, non ha bisogno di continui ritocchi di facciata, ma di essere presa sul serio e di dare risposte precise domande strategiche.
Ma chi di dovere queste domande se le deve porre consapevolmente prima, e non dopo che un altro danno si è verificato.
In quel caso, infatti, si tratta al massimo domande retoriche, quando non semplici constatazioni interrogative di quello che è accaduto, e che si sarebbe potuto evitare, ma buone in ogni caso per giustificare altre scelte emergenziali.
E le risposte non sono quelle programmatorie e strategiche di cui abbiamo bisogno (e che ci aspetteremmo), ma semplici risposte (para-umoristiche) che – come diceva quel(l)o – il legislatore ha dentro di sé.
E che, però, sono sbagliate.


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Esperto Risponde Ipsoa: le domande di professionisti e aziende, le risposte chiare degli esperti. Andrea Quaranta risponde ai quesiti in materia di AMBIENTE

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Esperto Risponde è un nuovo servizio messo a disposizione dalla casa editrice Ipsoa, Milano e consiste in una ricchissima banca dati on line di casi risolti, che dovrebbe soddisfare il crescente bisogno di risposte certe, veloci e autorevoli alle più frequenti problematiche connesse all'attività di professionisti e aziende. Fra le tante materie oggetto dei quesiti non poteva mancare il campo del diritto ambientale per il quale Andrea Quaranta risponde, assieme ad altri esperti, ai quesiti inviati dagli utenti.
Gli esperti dei vari campi del diritto, chiamati ad implementare il nuovo servizio, hanno riassunto le domande più frequenti alle quali si trovano a rispondere nell'ambito del proprio lavoro di consulenti riscrivendo le casistiche sotto forma di domanda & risposta, la prima formulata in maniera generale, la seconda scritta in maniera chiara e sintetica, ma al tempo stesso precisa e autorevole, così da mettere in grado l'abbonato di riconoscere immediatamente i contenuti  rilevanti per risolvere le problematiche che riguardano la propria attività.
Ma come funziona?
Chi si abbona al servizio ha da un lato la possibilità di accedere ad una vastissima casistica raccolta in archivio e dall'altra  quella di inviare domande specifiche. La nuova banca dati consente di consultare oggi più di 10.000 casi risolti, indicizzati per argomento e suddivisi appunto in 9 aree tematiche: - Fisco - Lavoro - Bilancio e contabilità - Società - Fallimento - Commercio internazionale - Finanziamenti agevolati - Sicurezza - Ambiente. Acquistando un quesito e compilando l'apposito form presente nella banca dati, è possibile inoltrare la propria domanda. I quesiti devono essere posti in forma chiara, non devono prevedere quesiti multipli e devono concernere aspetti di carattere generale rientranti nell’ambito delle aree tematiche coperte dal servizio. Dopo una verifica di pertinenza da parte della redazione, il quesito viene inoltrato all'esperto di riferimento e la risposta inviata all’indirizzo e-mail dell’abbonato entro 7 giorni lavorativi. Il caso viene poi pubblicato nell'archivio del servizio.

A mero titolo di esempio, una domanda & risposta formulata da Andrea Quaranta, in materia di fertirrigazione:

Domanda "Come rappresentante legale di una società agricola, mi è stato contestato il deposito incontrollato di reflui zootecnici sui terreni della mia azienda: il giudice in primo grado mi ha condannato ai sensi dell’art. 256 del D.Lgs n. 152/2006, ma invece mi ha assolto (perché il fatto non sussiste) in relazione allo smaltimento non autorizzato sul suolo di reflui zootecnici mediante spargimento per una porzione eccessiva sul terreno rispetto alle quantità ammesse dalla loro corretta utilizzazione agronomica. Visto che si tratta sempre di reflui zootecnici, perché in un caso sono stato condannato e nel secondo no? È una decisione corretta?" 

Risposta "La risposta dipende dall’effettivo utilizzo che viene fatto di tali reflui. Infatti, per poter essere sottratta alla disciplina sulla gestione dei rifiuti, la pratica della fertirrigazione richiede: • l’esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento; • l’adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture; • l’assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione (e.g.: lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo). In sostanza, la fertirrigazione presuppone l’effettiva utilizzazione agronomica delle sostanze (deve esserci un’utilità per l’attività agronomica), e richiede che le modalità di utilizzazione delle sostanze siano compatibili con tale pratica: in assenza di tali requisiti, lo spandimento di liquami zootecnici sul terreno è sottoposto alla disciplina ordinaria sui rifiuti. Integra, perciò, il reato di deposito incontrollato di rifiuti allo stato liquido lo spandimento, alla rinfusa ed a tempo indeterminato, dei fanghi di sedimentazione derivanti da attività di allevamento raccolti in vasche fuori terra: a tal fine non rileva il fatto che tali fanghi possano essere legittimamente, ma parzialmente, impiegati nell’attività di fertirrigazione. Per completezza, occorre anche evidenziare che la fertirrigazione con reflui zootecnici che supera i limiti quantitativi imposti dal Pua (Piano utilizzazione agronomica) integra il reato di cui all’articolo 137 Dlgs 152/2006: l’utilizzo di effluenti di allevamento per lo spandimento agronomico, infatti, deve essere sempre eseguito nel periodo e nelle quantità indicate nel piano di utilizzazione agronomica dell’azienda".


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AIA-Autorizzazione Integrata Ambientale. Prime considerazioni sulle modalità per la redazione della relazione di riferimento

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Quello concernente la redazione della relazione di riferimento è un tema nuovo ed importante, che ha suscitato un forte dibattito all'indomani dell'emanazione del DM 272/2014.

Senza regole non è possibile neanche immaginare di far funzionare seriamente il “Sistema AIA” (autorizzazione integrata ambientale) e, più in generale, quello che ruota attorno al diritto dell’ambiente.

Tuttavia, cattive regole, ossia regole superficiali, o diversamente interpretabili, o diversamente applicate/applicabili, ed in ogni caso sempre diversamente integrabili – come paiono essere almeno in parte quelle che dettano le modalità per la redazione della relazione di riferimento – equivalgono, nella sostanza, all’assenza di regole, ad una sorta di far west in cui a farla da padrone è il relativismo applicativo di tali norme.



Il DM 272/2014


Ciò che immediatamente emerge dalla lettura del DM 272/2014 è il fatto che contiene una differenziazione fra le tempistiche previste per la presentazione delle relazioni di riferimento delle AIA statali (per le quali si applica l’art. 4) e quelle – invece non indicate – per le A.I.A. regionali.

In relazione a queste ultime, oltre all’incertezza relativa al quando dovrà essere presentata la relazione di riferimento (al primo rinnovo? Al primo aggiornamento? All’emanazione delle relative BAT?......), c’è in ogni caso il rischio che le Regioni approfittino di questo silenzio per emanare circolari (o atti equipollenti), con contenuti potenzialmente molto differenti fra di loro. Con tutte le immaginabili conseguenze negative che le ipotetiche e differenziate soluzioni adottabili potrebbero avere anche sul mercato.

In ogni caso, il conto alla rovescia relativo alle tempistiche indicate – per le AIA statali – dall’art. 4 del DM, da quando parte?

Dalla data di “caricamento” del formato digitale del DM sul sito del ministero, che in questo modo ha “reso noto” il relativo contenuto, o da quella della pubblicazione in G.U. dello scarno comunicato? Questa seconda soluzione – che è preferibile sia dal punto di vista concettuale che pratico, ed è stata sostanzialmente confermata da quanto dichiarato dal rappresentante del ministero nel corso della quarta riunione del Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale della disciplina IPPC – in ogni caso non sembra potersi dire né soddisfacente né tranquillizzante per le imprese, che anche in relazione ai nuovi e gravosi oneri temporali ed economici che la relazione di riferimento comporta si aspettavano che almeno il DM fosse ufficializzato a dovere, senza restare in balìa delle decisioni della P.A. sulla digitalizzazione random dei propri provvedimenti.



Le criticità rispetto alla disciplina dei rifiuti


Criticità si intravedono anche in relazione alla verifica della sussistenza e alle relative soglie di riferimento (tabella dell’allegato 1), il cui superamento obbliga il gestore ad effettuare la valutazione della possibilità di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee nel sito d’installazione e, di conseguenza, in caso di risposta affermativa, alla qualifica di pertinenti delle sostanze pericolose usate, prodotte o rilasciate.

Le criticità risiedono nel difficile e complicato coordinamento con la normativa sulla bonifica dei siti contaminati e con quella relativa alla gestione dei rifiuti.


Sotto il primo aspetto è appena il caso di accennare, in questa sede, che sembra essersi persa l’occasione per integrare le discipline tecniche previste per la redazione della relazione di riferimento AIA e per la bonifica dei siti contaminati, che prevedono – a mero titolo esemplificativo – modalità diverse in relazione alle metodologie di valutazione, alle sostanze prese in considerazione (le sostanze pertinenti non sono identiche a quelle oggetto della CSC) o alle finalità (nel DM non si fa cenno all’ipotesi/circostanza/necessità di ripristinare tali soglie fino alle concentrazioni massime previste per escludere la presentazione della RdR).


Senza dimenticare il fatto che, in ogni caso, la valutazione della possibilità di contaminazione – effettuata sulla scorta delle soglie di cui al DM in questione – potrebbe mettere in seria difficoltà il gestore, se solo si pensa al fatto che, senza un riferimento tecnico chiaro e coordinato circa la modalità con cui effettuare quest’ultimo passaggio, lo stesso gestore si troverebbe a dover effettuare un’onerosa (in termini temporali ed economici) valutazione di rischio contaminazione – ai sensi e per gli effetti della normativa sulla bonifica dei siti contaminati – senza che esista alcuna reale “notizia” di potenziale contaminazione.


La relazione di riferimento Light


In questo scenario potrebbe essere forte la tentazione per le imprese di redigere comunque una relazione di riferimento (diciamo) “light” – lo consente lo stesso DM, che per essere un decreto recante le modalità per la redazione della relazione di riferimento, e non delle linee guida, utilizza un linguaggio allusivo – per dimostrare in qualche modo, in un ipotetico futuro nel quale dovessero sorgere contestazioni in merito ad una contaminazione, che la stessa non è in alcun modo attribuibile al gestore che ha redatto la relazione di riferimento, ma ai precedenti gestori, o a gestori di impianti vicini.

La tentazione alternativa potrebbe essere quella di giustificare con motivazioni (più o meno) ragionevoli e concrete la non pertinenza delle sostanze prese in esame e, quindi, la non sussistenza dell’obbligo di proseguire con la RdR, salvo ovviamente doverlo in qualche modo giustificare all’autorità competente, in sede di presentazione degli esiti della verifica, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del DM.

In questi casi, con quale grado di “elasticità soggettiva” si comporteranno le diverse autorità competenti?

E con questo si ritorna al criterio della discrezionalità in base al quale “regione che vai, autorità che trovi...”.



Le criticità rispetto alla disciplina delle bonifiche


Sotto il secondo, invece, occorre notare che nella tabella di cui all’allegato 2 si richiama il regolamento (CE) n. 1272/2008 – che non si applica ai rifiuti – che tuttavia non sono esclusi dal campo di applicazione del DM 272/2014 il quale, nel richiedere la verifica della sussistenza dell’obbligo di presentare la RdR (art. 3, comma 2), richiama l’allegato VIII alla parte II del TUA, che fra le attività soggette ad AIA elenca (punto 5) quelle relative alla gestione dei rifiuti.

Le domande più impellenti sono peraltro già state oggetto di discussione nella riunione del Coordinamento del 19 dicembre 2014, nella quale il ministero ha dato una prima risposta ai quesiti – posti dalla regione Piemonte – concernenti le modalità di valutazione delle quantità di sostanze pericolose utilizzate, prodotte o rilasciate da confrontare con le soglie quantitative di cui all’allegato 1 del DM 272/14, nel caso di rifiuti in ingresso agli impianti di smaltimento/trattamento (es. discariche), osservando che “i rifiuti in ingresso, non potendosi ragionevolmente ricondurre alla definizione di «sostanze pericolose», non rientrano negli obblighi di valutazione con riferimento alle soglie di cui all’Allegato 1. Per gli impianti di gestione di rifiuti, pertanto, le considerazioni inerenti la necessità di predisporre la relazione di riferimento dovranno essere condotte con riferimento all’eventuale utilizzo di «sostanze pericolose» (quali ad esempio lubrificanti o combustibili liquidi) nell’ambito dell’attività oggetto dell’AIA. Nel caso particolare delle discariche, peraltro, resta ferma la specifica distinta disciplina inerente gli obblighi di caratterizzazione e monitoraggio del sottosuolo”.


Le tempistiche


In relazione alle tempistiche, invece, il Coordinamento “ferma restando la competenza di ogni singola autorità competente di organizzare le tempistiche secondo le proprie specifiche esigenze, anche in considerazione dei carichi di lavoro”, ha ritenuto di poter dare “il generico suggerimento di richiedere gli esiti dello screening che dia conto della non necessità della relazione di riferimento A.I.A. entro tre mesi dalla pubblicazione del citato DM.

In definitiva, ancora una volta, nonostante l’importanza della tematica ambientale (di turno) affrontata, le lungaggini politiche che hanno permesso di arrivare a questo punto con notevole ritardo, la consapevolezza dei problemi legati alle disparità regionali, e una certa sufficiente “maturazione” delle tematiche, oggetto dell’attenzione ministeriale, si è arrivati anche a questo appuntamento impreparati.

Eppure gli operatori del settore chiedono soltanto (poche) norme, che siano chiare e definitive, e quindi certe, e permettano di poter agire ed investire in tranquillità e programmazione.


(segue da: La verifica della sussistenza e le sostanze pericolose pertinenti)


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Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.): i contenuti minimi della relazione di riferimento

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I contenuti minimi della relazione di riferimento

La relazione di riferimento A.I.A. contiene informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee con esclusivo riferimento alla presenza di sostanze pericolose pertinenti, al fine di effettuare un raffronto in termini quantitativi con lo stato al momento della cessazione definitiva delle attività.

L’allegato 1 del DM 272/2014 prevede contenuti essenziali e opzionali.

Il contenuto minimo della relazione di riferimento essenziale ricalca in parte quello già contenuto nella definizione di relazione di riferimento, e prevede alcuni elementi ulteriori, mentre il contenuto “opzionale” prevede, invece, l’indicazione di alcune informazioni disponibili, che il gestore dovrebbe fornire, a sua discrezione, (si “immagina”) per rendere più completa la relazione di riferimento, e una “concessione”.

Sempre con riferimento ai contenuti minimi della relazione di riferimento, l’allegato 3 del DM, infine, detta i criteri generali per la caratterizzazione:
  • del suolo insaturo. Oltre alle indicazioni generali, l’allegato indica la strategia di campionamento che “appare generalmente adeguata” per le nuove installazioni in aree verdi; le valutazioni che dovranno essere effettuate per le nuove installazioni in brownfileds; il campionamento suggerito per le installazioni esistenti e le modalità con le quali aggiornare la RdR di installazioni già esistenti.
  • delle acque sotterranee. Come s’è visto, l’allegato 1 del DM 272/2014 detta la procedura per la verifica della sussistenza dell’obbligo di presentazione della relazione di riferimento AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale).


Le 4 fasi della procedura

Rimandando al testo dell’allegato 1 per la flowchart di schematizzazione, in questa sede si vogliono sintetizzare le quattro fasi della procedura:

1. identificazione delle sostanze pericolose. 
L’installazione usa, produce o rilascia sostanze pericolose? Le sostanze usate, prodotte o rilasciate determinano la formazione di prodotti intermedi di degradazione pericolosi? 

2. Valutazione dei quantitativi. 
Per ciascuna sostanza pericolosa viene determinata la quantità massima di sostanza utilizzata, prodotta, rilasciata o generata (quale prodotto intermedio di degradazione) dall’installazione alla sua massima capacità produttiva; il valore ottenuto per ciascuna classe va confrontato con quello di soglia, riportato nella tabella allegata. Anche in questo caso, il gestore sarà obbligato ad eseguire la terza fase della verifica soltanto nel caso in cui vi sia stato il superamento di dette soglie, e solo per le sostanze che hanno concorso al raggiungimento delle stesse.


3. Valutazione della possibilità di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee nel sito d’installazione. 
La valutazione viene effettuata per ciascuna sostanza che ha determinato o concorso a determinare il superamento delle soglie, di cui al punto precedente.

4. Se, al termine di tale valutazione, emerge che vi è l’effettiva possibilità di contaminazione del suolo o delle acque sotterranee connessa ad uso, produzione o rilascio (o generazione quale prodotto intermedio di degradazione) di una o più sostanze pericolose da parte dell’installazione, tali sostanze pericolose sono considerate “pertinenti” e il gestore è tenuto ad elaborare con riferimento ad esse la relazione di riferimento.





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Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA): quale uniformità?

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Oggi parlerò dei primi indirizzi operativi per l’uniforme applicazione della disciplina AIA sul territorio nazionale (segue da: "AIA: dettate le modalità per la redazione della relazione di riferimento"). 

Prima di analizzare il testo del decreto recante le modalità per la presentazione della relazione di riferimento, occorre sia pur velocemente dar conto di quanto – in relazione a questo specifico aspetto – ha affermato la circolare n. 22295 del 27 ottobre 2014 – con la quale il ministero dell’ambiente: alla luce dei chiarimenti forniti dalla DG ambiente della Commissione europea e degli approfondimenti fino ad allora svolti dal Coordinamento per l’uniforme applicazione dell’A.I.A. sul territorio nazionale; e in riscontro a quesiti pervenuti in merito dalle autorità competenti al rilascio dell’AIA e dalle associazioni di categoria degli operatori economici interessati, ha diramato i primi indirizzi per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale della disciplina in materia di AIA.

L’indirizzo concernente la relazione di riferimento

L’indirizzo concernente la relazione di riferimento prevede, in estrema sintesi , che:

il suggerimento alle autorità competenti di richiedere, in esito all’emanazione del primo decreto ministeriale di cui all’art. 29-sexies, comma 9-sexies, del testo unico ambientale, la presentazione – ove dovuta – della relazione di riferimento o l’adeguamento della relazione di riferimento ancora in corso di validazione. Lo scopo è quello di “far sì che le relazioni di riferimento contengano informazioni conformi ai criteri definiti a livello nazionale e siano generalmente confrontabili anche in termini temporali”; 

che, a tale fine, si sarebbe provveduto ad indicare, nel cit. DM, “i tempi tecnici necessari da concedere ai gestori per l’elaborazione e la presentazione di tale redazione”. La richiesta, si specificava, fatta eventualmente nella forma di “avvio di riesame, sarà indirizzata a tutti i gestori di installazioni dotate di AIA o con procedimenti di AIA in corso, per le quali non si sia già provveduto a validare una relazione di riferimento”; 

la validazione della relazione di riferimento non costituisce parte integrante dell’AIA, né costituisce elemento necessario alla chiusura dei procedimenti di rilascio dell’AIA, dal momento che “può essere effettuata dall’autorità competente con tempi indipendenti da quelli necessari alla definizione delle condizioni di esercizio dell’impianto, anche prima dell’aggiornamento dell’AIA” effettuato in attuazione delle disposizioni recate dal decreto “emissioni industriali”; 

“in ogni caso” la raccomandazione ai gestori affinché “si attivino prontamente”, al momento dell’emanazione del predetto DM, “per la predisposizione della relazione di riferimento, tenendo conto che la mancanza di tale elemento (ove dovuto) può determinare l’irricevibilità delle istanze”. 

Il decreto ministeriale 272/2014: la struttura

In attuazione dell’art. 29-sexies, comma 9-sexies del decreto “emissioni industriali”, il DM 272/2014 stabilisce la prime modalità per la redazione della relazione di riferimento, con un’eccezione e un'estensione.


La struttura (tabella 2)
Definizioni
Aree verdi
Aree in cui è stata esclusa la pregressa presenza di attività che hanno gestito sostanze pericolose pertinenti
Brownfields
Sito interessato da attività pregresse suscettibili di determinare la presenza di sostanze pericolose pertinenti nel suolo o nelle acque sotterranee ad esse associate
Centri di pericolo
Le zone in cui, sulla base della struttura dell’installazione, vi è un’elevata probabilità di contaminazione del suolo o delle acque sotterranee
Obbligo di presentare la relazione di riferimento


Tempistiche per la presentazione (AIA statale)
Gestori degli impianti All. XII parte II TUA
Sono esclusi:
  • quelli costituiti esclusivamente da centrali termiche;
altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 300 MW alimentate esclusivamente a gas naturale
12 mesi dall’entrata in vigore
Attività di cui all’allegato VIII
Ad esclusione dei casi in cui la RdR è dovuta (impianti di cui all’allegato XII), il gestore esegue la procedura volta alla verifica della sussistenza dell’obbligo di presentare all’autorità competente la RdR, presentandone gli esiti all’autorità competente stessa
3 mesi dall’entrata in vigore
Se all’esito della procedura di verifica, risulta necessario presentare le RdR, il gestore la presenta all’autorità competente
12 mesi dall’entrata in vigore
Contenuti minimi della relazione di riferimento
L’elenco è contenuto nell’allegato 2
Le informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee relative alla presenza di sostanze pericolose pertinenti, ove non già disponibili in applicazione di altra normativa, sono acquisite, valutate ed elaborate conformemente:
  • alle indicazioni di cui alle cit. linee guida della Commissione europea;
  • alle indicazioni generali di cui all’allegato 3 del DM
Eccezione
Discariche, che ricevono più di 10 Mg di rifiuti al giorno o con una capacità totale di oltre 25000 Mg, ad esclusione delle discariche per i rifiuti inerti
In questi casi gli elementi utili per la redazione della RdR, se dovuta, sono quelli specificati nel D.Lgs n. 36/2003






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AIA-Autorizzazione Integrata Ambientale. Dettate le modalità per la redazione della relazione di riferimento

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Sul n. 4/2015 della rivista "Ambiente & Sviluppo", edita da IPSOA, è stato pubblicato un mio articolo in materia di AIA, Autorizzazione Integrata Ambientale. 

In particolare, nell’articolo si affronta il tema relativo alle modalità per la redazione della relazione di riferimento, introdotta dal decreto “emissioni industriali” (D.Lgs n. 46/2014).

Di seguito, si riportano le principali considerazioni. Il testo completo dell’articolo, comprensivo delle note di dettaglio, è consultabile sul sito di IPSOA.

Una delle novità più rilevanti introdotte dal decreto “emissioni industriali” riguarda sicuramente l’introduzione, all’interno della disciplina sull’autorizzazione integrata ambientale (AIA), della “relazione di riferimento” (RdR), un documento contenente le “informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee, con riferimento alla presenza di sostanze pericolose pertinenti, necessarie al fine di effettuare un raffronto in termini quantitativi con lo stato al momento della cessazione definitiva delle attività”.


La relazione di riferimento in pillole

Contenuto: informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee, con riferimento alla presenza di sostanze pericolose pertinenti. 

Le informazioni devono riguardare almeno:
·       l’uso attuale e, se possibile, gli usi passati del sito,
·       se disponibili, le misurazioni:
-  effettuate sul suolo e sulle acque sotterranee che ne illustrino lo stato al momento dell’elaborazione della relazione o, in alternativa,
-  (nuove) effettuate sul suolo e sulle acque sotterranee tenendo conto della possibilità di una contaminazione del suolo e delle acque sotterranee da parte delle sostanze pericolose usate, prodotte o rilasciate dall’installazione interessata.

Scopo: effettuare un raffronto in termini quantitativi con lo stato al momento della cessazione definitiva delle attività.

Altre informazioni: le informazioni definite in virtù di altra normativa che soddisfano i requisiti, sopra elencati, possono essere incluse o allegate alla relazione di riferimento.

Rinvio: con uno o più decreti del MATTM sono stabilite le modalità per la redazione della relazione di riferimento, con particolare riguardo alle metodiche di indagine ed alle sostanze pericolose da ricercare con riferimento alle attività di cui all’Allegato VIII alla Parte Seconda.

Condizioni per la predisposizione della RdR
Si predispone nel caso in cui l’attività comporti l’utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose e, tenuto conto della possibilità di contaminazione del suolo e delle acque sotterrane nel sito dell’installazione.

Chi la deve presentare e quando
Il gestore, prima della messa in esercizio dell’installazione o prima del primo aggiornamento dell’autorizzazione rilasciata, per la quale l’istanza costituisce richiesta di validazione.

Esame
L’autorità competente esamina la relazione disponendo nell’autorizzazione o nell’atto di aggiornamento, ove ritenuto necessario ai fini della sua validazione, ulteriori e specifici approfondimenti.

Potere dell’Autorità
Quello di verificare, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda, la completezza della stessa e della documentazione allegata; chiedere apposite integrazioni, nel caso in cui la domanda risulti incompleta, con l’indicazione di un termine non inferiore a 30 giorni per la presentazione della documentazione integrativa.

Altre informazioni
Occorre in ogni caso indicare le informazioni richieste dalla normativa concernente aria, acqua, suolo e rumore.

L’art. 29-sexies, comma 9-sexies, infine, stabiliva che con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sarebbero state stabilite le modalità per la redazione della relazione di riferimento, con particolare riguardo alle metodiche di indagine ed alle sostanze pericolose da ricercare con riferimento alle attività di cui all’Allegato VIII alla Parte Seconda. Il primo di tali decreti è il decreto n. 272 del 13 novembre 2014, che analizzeremo nel dettaglio nei prossimi giorni nelle pagine del blog di Natura Giuridica.



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AIA, Autorizzazione Integrata Ambientale. Ecco i primi indirizzi per l'uniforme applicazione

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Sul n. 2/2015 della rivista "Ambiente & Sviluppo", edita da IPOSA, è stato pubblicato un articolo in materia di AIA, Autorizzazione Integrata Ambientale.
In particolare, nell’articolo si affronta il tema relativo alla ricerca di uniformità normativa nelle diverse regioni italiane, e si analizzano i primi indirizzi per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale della disciplina in materia di AIA.
Quella che segue è un a sintesi del contenuto (non sono presenti le numerose note), e soprattutto alcune riflessioni finali.
Per il testo completo dell’articolo, collegarsi al seguente indirizzo web.

Supporre va bene, ma approfondire è meglio
Il nostro diritto dell’ambiente – anche se è ormai diventato un’ovvietà, occorre ribadirlo – è sovraffollato di norme figlie di una politica priva di una visione prospettica e strategica (e per questo destrutturate e fragili), dettate dalla (presunta, o artefatta) emergenza di turno (e per questo fra di loro scoordinate e contraddittorie) e al contempo piene di rinvii, deroghe, eccezioni e spesso vuote (per mancanza dei decreti attuativi), e per questo prive di una reale pregnanza.
Ma, soprattutto, le norme ambientali sono, più di altre, diversamente interpretabili, e per questo, nei fatti, spesso inefficaci, oltre che foriere di atteggiamenti e/o decisioni contraddittorie, a seconda dell’autorità (competente?) o del giudice che ci si trova di fronte.
Anche la normativa sull’AIA, recentemente modificata dal decreto “emissioni industriali” non è sostanzialmente sfuggita a questo paradigma.
Per quanto concerne gli aspetti tecnico-giuridici dettati dal D.Lgs n. 46/2014 si rimanda il lettore agli articoli pubblicati su questa rivista; in questa sede si vuole invece porre l’attenzione sulle “prime linee” di indirizzo sulle “modalità applicative” della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, emanate dal ministero dell’ambiente a valle dei “primi approfondimenti” finora svolti dal Coordinamento istituito proprio dal decreto “emissioni industriali” per l’uniforme applicazione [dell’AIA] sul territorio nazionale.
Tali “primi indirizzi” costituiscono una (prima) direttiva per la corretta applicazione della norma, che all’indomani della sua entrata in vigore è già stata oggetto di numerosi quesiti da parte delle autorità competenti al rilascio dell’AIA e dalle associazioni di categoria degli operatori economici interessati i quali, in balìa delle “supposizioni applicative”, cui anche questa normativa dà adito, ha preferito chiedere al ministero di dettare “disposizioni applicative” in grado di evitare, almeno in parte, interpretazioni disomogenee e, in ultima analisi, “difformità applicative”.
Perché, come diceva un grande scrittore americano, Mark Twain, “supporre va bene, ma approfondire è meglio”.

Le “linee guida ante litteram”
A pensarla così – approfondire è meglio che dare per scontato, e serve a rendere la norma più omogenea nella sua applicazione – è stata, ancora prima del recepimento della direttiva 2010/75/UE, la regione Emilia Romagna, che nel settembre dello scorso anno, preso atto che, a distanza di più di nove mesi dalla data finale entro la quale l’Italia avrebbe dovuto recepire la direttiva 2010/75/UE , nulla era ancora stato fatto, ha emanato le proprie “prime indicazioni di merito”.
Gli “approfondimenti di tipo tecnico e giuridico in merito agli adempimenti e alle tempistiche dettate dalla direttiva” dovevano servire soprattutto ad “assicurare una tempestiva conformità delle azioni amministrative operanti sul territorio regionale alle normative europee”, tenuto conto che, [...]

Le indicazioni operative della “Commissione Ambiente e Energia” della Conferenza delle Regioni
Nelle premesse della proposta di deliberazione della Commissione in materia di indirizzi urgenti per l’attuazione del decreto emissioni industriali, si legge testualmente che “le nuove disposizioni [...] introducono numerosi elementi innovativi in chiave applicativa, oltre ad introdurre nuove fattispecie di attività soggette, circostanza che, com’era naturale attendersi, ha da subito dato luogo a problemi nell’interpretazione uniforme e coerente della norma”.
Non a caso il legislatore delegato aveva previsto l’istituzione di un coordinamento per l’uniforme attuazione della normativa sul territorio nazionale, al quale alla data del 29 luglio 2014, in attesa delle linee guida nazionali, erano arrivate molte richieste di chiarimento sulla corretta interpretazione della normativa, fra le quali alcune rilevanti questioni concernenti il campo di applicazione e l’assoggettabilità, che “pretendono un orientamento condiviso tempestivo, anche in vista della prossima scadenza del 7 settembre p.v. entro la quale i soggetti ricadenti per la prima volta nella direttiva IED devono presentare domanda AIA”.
E così, “quantomeno per le questioni indifferibili”, la Commissione ha ritenuto di “fornire senza ulteriore ritardo le necessarie indicazioni operative alle autorità competenti [...] in ordine ai più rilevanti ed impellenti aspetti problematici”, relativi agli aspetti sintetizzati nella tabella che segue [...]

I primi indirizzi applicativi delle regioni [...]

Le linee di indirizzo nazionali: il confronto
Con la circolare n. 22295 del 27/10/2014 il MATTM:
  • alla luce dei chiarimenti forniti dalla DG ambiente della Commissione europea e degli approfondimenti finora svolti dal Coordinamento, testé sintetizzati,
  • e anche in riscontro a quesiti pervenuti in merito dalle autorità competenti al rilascio dell’AIA e dalle associazioni di categoria degli operatori economici interessati,
ha diramato i primi indirizzi per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale della disciplina in materia di AIA, che in parte riprendono la struttura degli approfondimenti del Coordinamento, salvo discostarsene in alcuni punti (sia in melius, sia in peius), e in parte aggiungono linee di indirizzo.
Dal confronto fra le due discipline emerge che, al di là della diversa numerazione degli indirizzi, nelle linee guida nazionali:
1. non sono contenuti gli “indirizzi” relativi alla “capacità produttiva/limite legale, al tariffario, alla transcodifica dei rifiuti, alle garanzie finanziarie e agli autodemolitori;
2. risultano essere più precise la definizione di attività connessa, l’indicazione per la presentazione della relazione di riferimento e quella concernente le soglie delle attività di prodotti alimentari o mangimi, le modalità di gestione dei procedimenti in corso;
3. al contempo, sono più imprecisi i riferimenti agli “impianti esistenti non già soggetti ad AIA”;
4. sono sostanzialmente identiche le linee guida relative ai frantumatori metallici, alla capacità di incenerimento, all’impiego delle linee guida MTD e all’applicazione dell’istituto del rinnovo periodico;
5. sono inseriti altri approfondimenti interpretativi (definizione di sito; nozione di pollame; oggetto dei controlli; sospensione dell’autorizzazione; obblighi di pubblicazione).

La promessa uniformità
Nel loro complesso, queste prime linee di indirizzo sulla modalità applicative della disciplina sull’AIA possono essere valutate tutto sommato positivamente, come primo (o parziale) tentativo di sistematizzare e rendere intelligibile la normativa, che alle nostre latitudini è sempre diversamente interpretabile.

Un primo aspetto positivo riguarda la definizione del concetto di attività connessa, ulteriormente spiegato dal MATTM, rispetto ai più timidi e confusi (sul punto) orientamenti del Coordinamento.
Il ministero, infatti, pone le basi per prendere in considerazione il “verso” della connessione.
In altri termini, fino alla novella normativa, due attività erano considerate connesse fra di loro su un piano – per così dire – paritario: un impianto di produzione e la sua centrale termica erano impianti tout court connessi.
Oggi, invece, ai sensi di quanto specificato al punto 2b) delle linee guida nazionali (ma non preso in considerazione, invece, dal Coordinamento), il legislatore lascia la facoltà ai gestori di chiedere comunque di considerare il complesso produttivo quale unica installazione (ma anche no), nel caso in cui “le modalità di svolgimento hanno una qualche implicazione tecnica con le modalità di svolgimento dell’attività IPPC”, e in particolare nel caso in cui il loro “fuori servizio” sia in grado di determinare – direttamente o indirettamente – problemi all’esercizio dell’attività IPPC.
Nel caso in cui manchi la richiesta esplicita del gestore, l’attività non può essere considerata connessa.

Una seconda miglioria concerne la proroga di validità dell’AIA in corso con un semplice carteggio fra gestore e autorità competente, e non con un formale, e pesante, aggiornamento dell’atto. Da segnalare che il MATTM, nel riprendere sostanzialmente quanto già messo in luce dal Coordinamento, specifica tuttavia le cause che hanno indotto lo stesso ministero a prevedere tale snella (e utile) modalità operativa: “spesso, infatti, nei procedimenti AIA è riportata espressamente la prevista data di rinnovo, e pertanto la violazione di tale scadenza potrebbe essere considerata violazione di una condizione autorizzativa”.
Insomma, un’incertezza interpretativa nel tempo e nello spazio che comunque, sia pure potenziale, non faceva bene al sistema.

Possiamo considerare un miglioramento anche:
  • la precisazione (anche questa non prevista dal Coordinamento) in base alla quale, nel caso di sospensione dell’autorizzazione, come anno di riferimento per calcolare la reiterazione per più di due volte della violazione delle condizioni dell’AIA, occorre considerare i 365 giorni precedenti l’ultimo accertamento, e non l’anno solare “X”: un’interpretazione che sembra riportare sui giusti binari la norma, in precedenza diversamente interpretata a livello territoriale;
  • la previsione del trasferimento (punto 4-b, secondo alinea) “per seguito di competenza alle autorità competenti al rilascio delle altre autorizzazioni ambientali di settore” nel caso in cui, a seguito dell’emanazione del decreto “emissioni industriali”, le installazioni non sono più soggette ad AIA.

Più in generale, come s’è fatto cenno, è da apprezzare lo sforzo compiuto dal ministero per cercare di cominciare a rendere questa normativa meno incerta e, di conseguenza, più facilmente applicabile.

Non mancano, per la verità, anche aspetti critici e criticabili, relativi, ad esempio, alla mancata considerazione (e alla mancata motivazione di tale scelta) di alcuni aspetti oggetto, invece, dell’analisi del Coordinamento, o al minor dettaglio di altri indirizzi già trattati dal Coordinamento a fronte dell’inserimento di indirizzi che, seppur utili, non sembravano, a chi scrive, nell’ottica di questa “strategia semplificatoria ex post”, così urgenti (rispetto ad altri) da trattare nelle prime linee guida di indirizzo sulle modalità applicative della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento.

La sfuggevolezza dell’ovvio e la necessità di regole chiare e condivise

In un passo de “Le avventure si Sherlock Holmes” si legge che “nulla è più innaturale e sfuggevole dell’ovvio”.

Come a dire: è innaturale dare per scontato, perché ciò che è ovvio per un soggetto (ad esempio, il legislatore, nel momento in cui legifera), può non esserlo, e spesso non lo è, per un altro (nell’esempio: l’operatore del settore, nel momento in cui deve cercare di osservare le leggi), di modo tale che quest’ultimo, in assenza di una norma chiara, può legittimamente presumere di poter agire correttamente, salvo poi scoprire che quello considerava corretto era in realtà frutto di una sua libera (o giustificabile) interpretazione.
Con tutte le conseguenze burocratiche, amministrative, temporali, sanzionatorie ed economiche del caso.

Il punto focale è, allora, probabilmente proprio quest’ultimo: un errore che spesso viene fatto è quello di presumere troppo, di supporre.
Ma se il consulente è – diciamo – in qualche modo incentivato dalla legge (rectius da questo modo di legiferare) ad agire in questo modo, non altrettanto si può dire per il legislatore (che dovrebbe avere un altro ruolo), il quale spesso abbina a questa presunzione la pretesa di essere stato chiaro: concetto che implica almeno completezza e adeguatezza, sia contenutistica che temporale.

Ora, in considerazione del fatto che il nostro nomoteta non brilla né per chiarezza né per completezza, e che spesso (e volentieri) arriva dopo (dopo che un problema si è verificato, che un termine è scaduto, che un danno è stato fatto, ...), aumentando, anche per questa via, la smania regolatrice delle regioni, che si sentono ulteriormente autorizzate ad agire secondo coscienza, ben vengano queste prime linee di indirizzo.
A patto che possano costituire idealmente l’inizio di un nuovo modus operandi del legislatore, volto a cominciare un percorso nel quale l’incertezza applicativa – comunque inestirpabile al 100% – deve rimanere soltanto quella fisiologica. Da curare, all’occorrenza, con linee guida di orientamento.
Diversamente, ci troveremo, fra neanche molto tempo, a commentare le trecentesime linee guida (o orientamenti, indirizzi, criteri, non fa differenza), emanate a valle dell’ennesimo – forse anche reiterato – SOS interpretativo da parte degli operatori del settore, pubblici o privati che siano.
E, quindi, dopo che l’incertezza normativa avrà già prodotto nuovi ed ulteriori danni burocratici, amministrativi, temporali, sanzionatori ed economici del caso.

Un new deal legislativo nel quale il legislatore non supponga (magari anche sotto la spinta dell’emergenza di turno) ma approfondisca, per farsi capire (e, conseguenza non del tutto marginale: farsi rispettare), specie perché predica, continua a predicare, una semplificazione che, nei fatti, continua ad essere un argomento astratto e non praticato.
Semplificare significa magari anche spiegare all’utente della legge (spesso considerato, e trattato, come un utonto) concetti che possono anche apparire ovvi (pollame compreso): ma bisogna farlo prima, in modo organico, strutturato, strutturale, autorevole – e non sempre dopo, con prime indicazioni, che forse saranno seguite da seconde, terze... trecentesime linee guida.
Semplificare significa, in ultima analisi, permettere al Sistema di spiegare le ali, e permettergli quel salto di qualità che, oggi più che mai, serve al nostro Paese, martoriato anche da problemi e diktat esogeni, ma in gran parte vittima di questo suo modo di non fare le cose, di non darsi delle regole chiare, di dichiarare la condivisibilità di alcuni principî, salvo non condividerne alcuna applicazione pratica.

Salvo non condividere, più in generale, e a livello locale, le sorti comuni, accontentandosi di pensare al proprio particulare, e di dare la colpa “agli altri”.

Chiunque essi siano, ma senza alcuna linea guida che ci permetta di individuarli...


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