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Inquinamento elettromagnetico: il MUOS in Sicilia non doveva essere autorizzato

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Il MUOS: una storia sbagliata

Il sistema di comunicazione satellitare MUOS (Mobile User Objective System) prevede la realizzazione di quattro satelliti e di quattro stazioni terrestri: una di queste è stata localizzata in Sicilia, nel Comune di Niscemi, all’interno di una riserva naturale orientata e di un SIC (sito di importanza comunitaria), nonché in area sottoposta a vincolo paesaggistico e inserita nella rete ecologica “Natura 2000”.
Dopo la strenua opposizione del comitato NO MUOS, e una serie di ben cinque differenziati ricorsi, il TAR di Palermo si è pronunciato nel merito, accogliendo le tesi ambientaliste.
Quella che segue è una sintesi storica della lunga vicenda – una storia piena di ripensamenti, di errori di valutazione, di prese di posizione affrettate, di continui mutamenti di orientamento, di errori di valutazione, di mancate valutazioni, sullo sfondo di una normativa in perenne mutazione – e di come il TAR di Palermo ne è venuto a capo.

La complicata vicenda in pillole

Per la lettura della lunga vicenda, iniziata nel 2006, quando l’Aeronautica Militare, dopo aver ottenuto l’approvazione del progetto da parte del comitato misto paritetico della regione siciliana, presentava al Comune l’istanza per l’effettuazione della procedura di verifica (screening), in ossequio alla normativa regionale sulla valutazione d’incidenza, si rimanda al testo della sentenza.

In questa sede preme mettere in evidenza cos’ha detto il TAR di Palermo in relazione ai due principali filoni interpretativi seguiti dal giudice amministrativo siciliano.

Il primo riguarda la qualificazione delle “revoche” disposte dall’ARTA nel marzo 2013.
Il punto di partenza è costituito dal fatto che l’esatta qualificazione di un provvedimento amministrativo va fatta tenendo conto del suo effettivo contenuto e della sua causa reale, anche a prescindere dal nomen iuris formalmente attribuito dall’Amministrazione: i provvedimenti adottati nel marzo 2013 dall’ARTA sono – evidenzia il TAR – atti di annullamento d’ufficio e non di revoca.
Non esistono, infatti, i presupposti legittimanti l’adozione di un provvedimento di revoca, dal momento che nulla è sopravvenuto fra la data di rilascio delle autorizzazioni e l’intervento in autotutela, nessun fatto nuovo si è verificato o è stato acquisito, nessuna nuova valutazione dell’originario corredo istruttorio e motivazionale è stata fatta dall’amministrazione regionale.
E anche se, nel tempo, la normativa sul procedimento amministrativo ha subito, in relazione a questo specifico punto, un ampliamento della nozione di revoca, peraltro successivamente delimitato, nel caso in esame – chiosa il TAR – “si è al di fuori dell’ambito di applicazione della norma, perché non è stata reiterata ed aggiornata la valutazione della situazione di fatto o dell’interesse pubblico, ma vi è stata solo la puntuale e ribadita constatazione di una carenza originaria di tipo procedimentale”.
Non si tratta di una mera disquisizione giuridica, ma di una differenza con importanti risvolti pratici.

Revoca
Annullamento
La revoca, infatti, determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre “ulteriori” effetti: come a dire, non ha effetti retroattivi, e lascia dunque fermi quelli già prodotti, semplicemente evitando che se ne producano di ulteriori. La ratio è da rinvenire nel fatto che l’atto su cui “la revoca incide è perfetto e compiuto, idoneo a perseguire l’interesse pubblico dal momento in cui è stato adottato fino a che non è sopravvenuto quel quid novi che induce alla revoca, sicché nulla impedisce che l’atto mantenga gli effetti già prodotti”.
L’annullamento, al contrario, fa perdere d’efficacia l’atto annullato fin dal momento della sua emanazione: la perdita di efficacia ex tunc deriva dal fatto che l’atto, in quanto, tale è insufficiente fin dall’inizio, e occorre pertanto impedirgli di modificare la realtà su cui esso è chiamato ad incidere.


Sulla base di queste considerazioni, il TAR ha concluso osservando che “applicando i suddetti postulati alla vicenda che ci occupa, ne deriva l’assoluta illogicità di un intervento in autotutela che, suggerito per di più dall’applicazione del principio di precauzione – colonna portante del diritto ambientale europeo – per evitare ripercussioni sull’integrità del sito tutelato, mantenga comunque fermi gli effetti sino a quel momento prodottisi”.

Il secondo concerne, invece, il regime dell’autorizzazione paesaggistica, che ha subito diverse modifiche nel corso degli anni, sintetizzate nella tabella che segue.
Prima, però, occorre fare un passo indietro e ricordare brevemente la successione degli eventi:
1)      il 14 giugno 2007 viene rilasciata un’“autorizzazione c.d. di massima”;
2)      il 18 giugno 2008 la Soprintendenza di Caltanissetta autorizza in via definitiva il progetto, specificando che “l’approvazione è data ai fini della tutela paesaggistica ed è valida per un periodo di cinque anni trascorso il quale l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova approvazione”.
  
Nel caso del MUOS, l’autorizzazione era stata adottata il 18 giugno 2008 (sotto la vigenza del D.lgs. n. 63/08), e di conseguenza scadeva il 17 giugno 2013. Cinque giorni dopo (data di entrata in vigore del D.L. n. 69/13), essa era ormai già scaduta, per avere esaurito per il periodo quinquennale di efficacia decorrente dal suo rilascio e, quindi, la nuova disposizione non poteva trovare applicazione alcuna.
In conclusione, se i lavori non vengono realizzati in tale arco temporale è necessario richiedere un ulteriore titolo abilitativo al fine di effettuare un nuovo controllo di conformità dell’intervento all’ambiente in cui lo stesso si colloca.
Vale anche per le opere destinate alla difesa militare perché, in quanto statali, anche se realizzate su aree ubicate all’interno di basi militari o al diretto servizio di esse, qualora insistano su un’area con vincolo paesaggistico, sono soggette alla relativa disciplina di tutela ed in particolare all’obbligo di ottenere l’autorizzazione l’autorizzazione paesistica.

La morale della favola

Sulla base di queste articolate riflessioni, il TAR di Palermo ha accolto i ricorsi delle associazioni ambientaliste, e per converso rigettando quelli del ministero della difesa.
I lavori comunque compiuti, dopo l’annullamento d’ufficio con effetto retroattivo dei relativi atti autorizzativi, avevano perso il loro titolo legittimante: la “revoca” del luglio 2013, senza la riedizione del procedimento, non poteva quindi avere alcun effetto ripristinatorio e di riviviscenza delle autorizzazioni rilasciate nel 2011 ormai definitamene eliminate dal mondo giuridico.
L’appurato di difetto di istruttoria, in ogni caso, non può essere sanato ex post attraverso provvedimenti di secondo grado; e nella specie mancava, comunque, una valida autorizzazione paesaggistica, ormai scaduta per decorso del periodo quinquennale.
A questo punto il TAR ricorda alla PA, a fini conformativi della sua eventuale, ulteriore azione, che:
          l’ente gestore della riserva deve tenere conto della nuova zonizzazione dell’area nell’ambito della riserva naturale orientata;
          l’autorizzazione paesaggistica deve seguire la speciale disciplina dell’art. 147, trattandosi di opere destinate alla difesa militare;
          in ogni caso, la VINCA, procedimento valutativo di carattere preventivo al quale va sottoposto ogni intervento pianificatorio o progettuale che interessi il territorio dei siti della Rete Natura 2000, SIC e ZPS, deve essere “preliminare rispetto a qualsiasi procedimento autorizzatorio o concessorio inerente la realizzazione di un piano/progetto/intervento e costituisce presupposto necessario per il rilascio delle successive autorizzazioni, nulla osta, pareri o altri atti di analoga natura, da acquisire ai fini della realizzazione e dell’esercizio dell’opera o intervento”.
Come a dire: fate le cose bene, altrimenti passano gli anni, e/ma tutto rimane come prima.

Che a volte può anche essere un bene: ma deve in ogni caso essere frutto di una decisione politica e non di pastrocchi burocratici.


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Autorizzazione all’installazione di stazioni radio-base quali divieti

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Un Comune può inibire l’installazione di una stazione radio base per la telefonia cellulare perché il sito prescelto si trova all’interno del perimetro del “territorio urbanizzato”?
Secondo il Consiglio di Stato (sentenza n. 3493 del 3 giugno 2010, che potete scaricare gratis dal sito di Natura Giuridica (sezione dedicata all'inquinamento elettromagnetico: basta una semplice registrazione) il formale utilizzo degli strumenti urbanistico-edilizi, e il dichiarato intento di esercitare competenze in materia di governo del territorio, non possono giustificare l’imposizione di misure che, attraverso divieti generalizzati di installazione delle stazioni radio base, di fatto vengono a costituire indiretta deroga ai limiti di esposizione alle onde elettromagnetiche indicati dalla normativa statale, con la precisazione che l’autorizzazione rilasciata ex art. 87 d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, non costituisce titolo abilitativo aggiuntivo rispetto a quello richiesto dalla disciplina urbanistico-edilizia, ma assorbe in sé e sintetizza ogni relativa valutazione.

Quindi sono illegittime le prescrizioni comunali di piano e di regolamento che si traducono in limiti alla localizzazione e allo sviluppo della rete per intere zone, per di più con scelta generale ed astratta ed in assenza di giustificazioni afferenti alla specifica tipologia dei luoghi o alla presenza di siti che per destinazioni d’uso possano essere qualificati come sensibili.


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Campi elettromagnetici e diritto alla salute

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Cosa possono fare i cittadini che si sentono minacciati dalla decisione, presa dall’autorità comunale, di realizzare una linea elettrica occupando parte dei terreni di proprietà?
È quanto accaduto a due signori dell’albese, che tempo fa hanno impugnato innanzi al TAR di Torino – chiedendo la sospensiva – una determinazione dirigenziale, con la quale la Direzione Patrimonio e Tecnico, Settore Attività Negoziale e Contrattuale della Regione Piemonte aveva autorizzato l’Enel all’occupazione d’urgenza degli immobili di loro proprietà, al fine della costruzione di una linea elettrica, dichiarata di pubblica utilità, indifferibile ed urgente.

Nella zona, sostenevano i due, proprietari di un’azienda agricola, erano preenti già ben quattro condutture elettriche aeree, e avevano ragione di temere che la nuova linea elettrica progettata dall’Enel potesse aggravare la situazione del fondo, già occupato da numerose condutture, con conseguenti maggiori limitazioni per le attività agricole, diminuzione del valore degli immobili e pericolo di danno alla salute delle persone.


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Telefonia mobile fra localizzazione e pianificazione

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Qualche giorno fa, parlando di una sentenza del TAR Umbria (n. 71/09), sottolineavo che i non addetti ai lavori, nel leggere alcune sentenze in materia ambientale, spesso si mettono le mani nei capelli, increduli nel leggere ponderosi trattatelli filosofici “in materia di diritto urbanistico ed ambientale: una materia complessa, a volte resa ancora più ostica dall’uso di un italiano criptico, non facilmente addomesticabile da parte di chi per mestiere non è un consulente ambientale”.

In quella sede la mia attenzione era rivolta ad una fattispecie relativa alla realizzazione di un parco eolico in zona agricola.

Oggi vi propongo una sentenza in materia di inquinamento elettromagnetico: più precisamente, una sentenza (TAR Emilia Romagna, sezione di Parma, n. 105/09) che riguarda la richiesta di autorizzazione all’installazione di un impianto di telefonia mobile.



Una sentenza il cui dispositivo può apparire ostico per chi non mastica quotidianamente il diritto ambientale…

Veniamo ai fatti.



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Silenzio radio

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Cosa deve fare il titolare di un’emittente radiofonica che, nel presentare un’istanza di verifica del possesso dei requisiti necessari per la prosecuzione dell’attività, si vede rigettare, dopo ben quattro anni, l’istanza di sanatoria per 23 microimpianti trasmettitori presentata, l’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 112/2004?

Il ricorrente deduceva la lesione dell’affidamento ingenerato, atteso il decorso di ben quattro anni dalla presentazione della domanda, oltre alla carenza di motivazione e all'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento.

Il TAR Campania (sentenza n. 1732/09) nell’accogliere il ricorso, ha sinteticamente affermato che nei procedimenti ad istanza di parte, l’Amministrazione, prima di emettere l’atto di diniego, è tenuta a comunicare i motivi ostativi, sì da permettere all’istante di presentare le sue osservazioni.

E non può continuare ad opporre un ingiustificato "silenzio radio"....

Nella specie, il Collegio ha ritenuto fondato il ricorso presentato da un’emittente radiofonica, che si era vista negare, a distanza di quattro anni dalla richiesta, l’istanza in sanatoria per 23 microimpianti trasmettitori, in assenza della documentazione attestante almeno alcune delle ispezioni che si assumono essere state effettuate nel lasso di tempo preso in considerazione.

Foto: “da una vecchia radio” originally uploaded by ¸.•*´¨`*•.♥Lib era Strega♥.•*´¨`*•



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Elettrosmog e Radio Vaticana: il paradosso sanzionatorio e la probativo diabolica

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Se si ritenesse applicabile l’art. 674, si potrebbe, secondo parte della dottrina, determinare un sistema sanzionatorio nel suo complesso manifestamente irrazionale:
  • il semplice superamento dei limiti, infatti, sarebbe punito con la sanzione del pagamento di una somma da € 1.032 ad € 309.874 e
  • nei casi più gravi, anche con la chiusura e l'oscuramento dell'emittente;
  • se, però, il superamento dei limiti dovesse determinare anche un concreto ed effettivo pericolo per la salute o la tranquillità delle persone, si verificherebbe l’irrazionalità paventata: sebbene, infatti, questo concretizzi un comportamento oggettivamente più grave, le pesanti sanzioni amministrative non sarebbero più applicabili, e lascerebbero il posto all’esclusiva pena prevista dall'art. 674 cod. pen. (arresto fino ad un mese o, alternativamente, e quindi oblazionabile, ammenda fino ad € 206)
In sostanza: in virtù della clausola contenuta nell’art. 15, comma 1, della legge n. 36 del 2001 (le sanzioni amministrative ivi previste si applicano «salvo che il fatto costituisca reato») la circostanza che il fatto, essendo anche in concreto potenzialmente nocivo, integri il reato di cui all'art. 674 cod, pen., potrebbe comportare l'esclusione della applicabilità delle sanzioni amministrative.

D’altra parte – continua la Corte – se per la sussistenza del reato è necessaria la presenza di un qualche elemento ulteriore, e specializzante, rispetto al solo superamento dei limiti (e se, quindi, la fattispecie penale fosse qualificabile come norma speciale rispetto a quella amministrativa), potrebbe ritenersi che le sanzioni amministrative non possano trovare applicazione anche in forza del principio di specialità.

Insomma: al fine di evitare le pesanti sanzioni amministrative, sarebbe sufficiente invocare la sussistenza proprio della contravvenzione del «getto pericoloso di cose», e, per questa via, si verrebbe a determinare una situazione paradossale che comprometterebbe seriamente (con il rischio addirittura di eluderlo…) il concreto funzionamento della specifica disciplina introdotta dal legislatore, e degli obiettivi di tutela della salute che essa si prefigge…

E allora?


Si dovrebbe ritenere, anche alla stregua di una interpretazione adeguatrice, che la volontà oggettiva del legislatore sia quella di escludere comunque l'emissione di onde elettromagnetiche dall'ambito dell'art. 674 cod. pen….

Però (ma va?!)...

Però la Cassazione scende ancora nei dettagli, per giustificare la sua presa di posizione: ovvero, che, almeno allo stato, non è necessario giungere a questa conclusione, perché:
  • (in teoria) la sanzione penale dovrebbe, in quanto tale, essere più affittiva di quella amministrativa (sulla carta, certo, ma nella realtà spesso pesanti sanzioni amministrative possono avere un risvolto pratico più incisivo…): quindi, partendo da questo assunto, la Cassazione ritiene risolta la questione dell’irrazionalità…
  • questa presunta irrazionalità si verificherebbe solo se l'applicazione della sanzione penale esaurisse sempre l'illiceità del fatto ed escludesse sempre l'applicazione della sanzione amministrativa.
Conseguenza che, però, allo stato attuale non si può dire certa, perché sul punto non si sono ancora formati orientamenti giurisprudenziali consolidati.

Ad ogni modo, la paventata irrazionalità, continua la Corte, non sussisterebbe se, nel caso di superamento dei limiti accompagnato dalla prova certa ed oggettiva di un effettivo e concreto pericolo di offesa o di molestia, si ritenessero applicabili sia la sanzione amministrativa che quella penale.

Tuttavia, non essendo stato contestato anche l'illecito amministrativo, la Cassazione sorvola su questo punto e non approfondisce oltre…
Dopo un ulteriore rilievo, affrontato dalla Suprema Corte per completezza, la Cassazione giunge finalmente alle conclusioni, e afferma il principio di diritto in base al quale:
“Il fenomeno della emissione di onde elettromagnetiche rientra, per effetto di una interpretazione estensiva, nell'ambito dell'art. 674 cod. pen. Detto reato è configurabile soltanto allorché sia stato, in modo certo ed oggettivo, provato il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti dalle norme speciali e sia stata obiettivamente accertata una effettiva e concreta idoneità delle emissioni ad offendere o molestare le persone esposte, ravvisabile non in astratto, per il solo superamento dei limiti, ma soltanto a seguito di un accertamento (da compiersi in concreto) di un effettivo pericolo oggettivo, e non meramente soggettivo”.
Di conseguenza, la Cassazione annulla con rinvio la sentenza impugnata.
Per un approfondimento, consiglio l’articolo “Radio Vaticana, elettrosmog e Cassazione: una sentenza molto discutibile”, di Gianfranco Amendola sul sito di Lexambiente, in cui l’Autore si scaglia contro la probatio diabolica
(occorre, quindi, “non solo il superamento dei limiti ma anche la sussistenza di una prova certa e obiettiva di una effettiva e concreta idoneità delle onde elettromagnetiche a ledere o molestare i potenziali soggetti esposti”)
la quale non solo non tiene in alcun conto il principio di precauzione, ma, soprattutto, pur riconoscendo che il reato in esame è reato di pericolo, ne limita la sussistenza alla sola ipotesi in cui vi sia, oltre al superamento dei limiti, la prova del danno (molestia) visto che attualmente il mondo scientifico, se pure riconosce che l’esposizione all’inquinamento elettromagnetico certamente porta ad alterazioni dell’organismo umano, ancora non è giunto a conclusioni universalmente riconosciute sull’entità delle conseguenze e neppure su quale sia (se c’è) il “limite di innocuità” o , se si preferisce, di pericolosità (forse qualcuno ricorda che gli stessi argomenti furono usati per il nucleare).

In tal modo viene frustrata totalmente la ratio della norma, la quale – non dimentichiamolo- mira a tutelare la tranquillità delle persone, che viene tanto più messa oggettivamente a rischio se non vi sono certezze scientifiche sulla innocuità delle radiazioni.

Con questo post si chiude questo ciclo dedicato alla vicenda radio vaticana, iniziato con il riassunto della vicenda di primo grado, proseguita con l’appello e la prima analisi degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sull’art. 674 del c.p. (getto pericoloso di cose), con la cronaca dell’irrazionalità del sistema e delle incertezze giuridiche create dalla molteplici interpretazioni e con la forte sottolineatura della complessità della materia.

Foto: “Electromagnetic Sunset” originally uploaded by Got Xiney?



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Elettrosmog e Radio Vaticana: irrazionalità del sistema e incertezze giuridiche (IV)

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Anche in relazione al secondo profilo (conseguenze delle interferenze con la specifica disciplina di settore) la Cassazione evidenzia che l'inquadramento delle onde elettromagnetiche nell'art. 674 c.p. dovrebbe, in concreto, escludersi qualora dovesse risultare che determini un sistema normativo nel suo complesso manifestamente illogico od incongruo.

Se così fosse, dovrebbe ritenersi che la volontà attuale ed oggettiva del legislatore sia contraria all'inquadramento in questione: analogamente a quanto osservato a seguito dell'introduzione di una specifica disciplina legislativa in materia di inquinamento atmosferico.

La volontà del legislatore è stata chiaramente quella di privilegiare, anche nella tutela della salute contro i pericoli derivanti dalla creazione di campi elettromagnetici, il ruolo della pubblica amministrazione, limitando il potere di intervento del giudice penale rispetto a quello in precedenza riconosciutogli da alcuni orientamenti giurisprudenziali.
Si tratta quindi di vedere, sulla base delle norme attualmente vigenti, se la oggettiva volontà del legislatore, nella materia dell'emissione di onde elettromagnetiche, sia soltanto quella di regolare e limitare l'intervento del giudice penale ovvero quella di escludere l'applicabilità dell'art. 674 c.p., in favore della applicazione del nuovo sistema di sanzioni amministrative.

La normativa dettata dalla Legge n. 36/2001 – che la sentenza richiama in modo dettagliato – e il suo apparato sanzionatorio, possono coesistere con la disciplina codicistica?

Anche in questo caso – ad ulteriore dimostrazione della complessità della materia – le opinioni, relative alla configurabiità dell’art. 674 c.p. come reato di pericolo astratto o di pericolo concreto, sono divergenti, e portano a conclusioni inevitabilmente opposte…

Se fosse sufficiente il solo superamento dei limiti tabellari per dar luogo ad una possibilità di offesa o di molestia alle persone (reato di mero pericolo), ci sarebbe una presunzione ex lege in ordine alla effettività del pericolo di nocività delle emissioni, che dovrebbe ritenersi sussistente per il solo fatto che siano stati superati i limiti fissati dalla normativa vigente in materia.
Di conseguenza, dovrebbero essere inapplicabili le sanzioni amministrative, dal momento che la L. n. 36/2001 prevede che il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione è punito con le sanzioni ivi previste «salvo che il fatto costituisca reato».
Ma: non può presumersi che il legislatore abbia voluto punire con (pesanti) sanzioni amministrative il superamento dei limiti ed, al tempo stesso, abbia voluto escludere qualsiasi spazio per l'applicabilità di tali sanzioni…
L'oggettiva ed attuale volontà del legislatore, dunque, dovrebbe necessariamente essere interpretata nel senso della esclusione dell'emissione di onde elettromagnetiche dall'ambito di operatività dell'art. 674 cod. pen. e della loro sottoposizione alla disciplina speciale (salvo che il fatto non integri reati diversi, come ad esempio quello di lesioni).

Se, invece, si ritiene che i limiti posti dal legislatore siano stati previsti a fini di mera cautela (per poter integrare la contravvenzione, non è sufficiente il mero superamento dei limiti stessi, ma occorre che sia raggiunta la prova concreta di una effettiva idoneità delle onde elettromagnetiche a ledere o molestare le persone:pericolo concreto), in mancanza di una prova certa di questa concreta ed effettiva idoneità ad offendere o molestare le persone esposte, deve escludersi la configurabilità del reato.

Come potete constatare, il livello di complessità della materia, e le conseguenti speculazioni filosofiche della Cassazione rasentano l’incomprensibile…

Rimando al testo integrale della sentenza, per chi volesse approfondire queste “speculazioni ermeneutiche”…

In questa sede mi limito a riportare le conclusioni della Cassazione, secondo la quale "il semplice superamento dei limiti tabellari dà luogo ad un illecito amministrativo punito con le sanzioni previste dall'art. 15 della legge 22 febbraio 2001, n. 36.
Se poi, oltre al superamento dei limiti, vi sia anche la prova certa ed oggettiva di un effettivo e concreto pericolo di nocumento per la salute o la tranquillità delle persone, allora potrà essere ravvisabile il reato di cui all'art. 674 c.p."

Con l’ulteriore constatazione di come, tuttavia, anche questa soluzione potrebbe dar luogo ad un sistema nel suo complesso manifestamente irrazionale - e non potrebbe quindi più essere seguita - qualora nel diritto vivente dovessero prevalere alcuni orientamenti interpretativi relativi sia all'art. 674 c.p. sia alla legge n. 36 del 2001…

Foto: “Electromagnetic” originally uploaded by jjjhon




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Elettrosmog e Radio Vaticana: irrazionalità del sistema e incertezze giuridiche (III)

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L’astratta configurabilità potrebbe non essere tuttavia corretta dal punto di vista ermeneutico?


Nel post precedente ho sottolineato gli aspetti essenziali toccati dalla sentenza Radio Vaticana, in relazione all’interpretazione ermeneutica dell’espressione “gettare cose”.

La Cassazione, a questo punto, passa in rassegna alcune decisioni massimate, evidenziando che:
  1. la tesi della inapplicabilità ai campi elettromagnetici dell'art. 674 c.p. è stata finora espressamente seguita soltanto dalla sentenza Suraci (Sez. I, 30 gennaio 2002, n. 8102) la quale osserva che è da escludere l'astratta possibilità di inquadramento della condotta di chi genera campi elettromagnetici nella fattispecie penale di cui all'art. 674 cod. pen. in quanto questa disposizione descrive due ipotesi di comportamento materiale che differiscono in maniera sostanziale da quello consistente nella emissione di onde elettromagnetiche, perché l'azione del «gettare in luogo di pubblico transito... cose atte ad offendere, o imbrattare o molestare persone» è ontologicamente, oltre che strutturalmente, diversa dal generare campi elettromagnetici. L’equiparazione fra l’emissione di gas, vapori o fumi con la propagazione di onde elettromagnetiche sarebbe del tutto arbitrario, comportando una non consentita applicazione analogica in malam partem della norma incriminatrice;
  2. la maggioranza delle decisioni (tutte peraltro relative a misure cautelari reali) sono invece solitamente accomunate in un unico orientamento maggioritario, favorevole all'applicabilità dell'art. 674 c.p. alle onde elettromagnetiche, anche se per la verità l'accorpamento non è poi così scontato perché le loro motivazioni sono spesso divergenti, specialmente su altre questioni connesse, ma ugualmente rilevanti (per un esame delle massime citate, e delle specifiche peculiarità di ognuna, v. la sentenza "Radio Vaticana", Cass. Pen., n. 36845/08).

In sostanza, secondo questo secondo orientamento occorre tenere conto:
  • non solo del significato proprio delle singole parole,
  • ma anche di quello derivante dalla loro connessione.
Da ciò emerge che l'espressione «gettare una cosa» può essere di per sé idonea ad includere anche l'azione di chi emette o propaga onde elettromagnetiche.

Di conseguenza, l'astratta configurabilità del reato di cui all'art. 674 c.p. per l'emissione di onde elettromagnetiche non costituisce il risultato di una inammissibile applicazione analogica della norma penale ad una fattispecie diversa da quella in essa prevista e caratterizzata dalla stessa ratio, ma è il frutto di una semplice interpretazione estensiva, diretta ad enucleare dalla disposizione il suo effettivo significato, che ad essa - in mancanza di altre norme da cui possa emergere una diversa volontà del legislatore - può attribuirsi, anche se non evidente a prima vista.

Però, il fatto che tale interpretazione sia astrattamente ammissibile non significa che sia anche corretta sotto il profilo ermeneutico, perché potrebbe darsi che:
  1. dalla interpretazione unitaria dell’art. 674 c.p., o
  2. dalla considerazione del vigente sistema normativo relativo all’elettromagnetismo si ricavi una volontà del legislatore, oggettiva ed attuale, nel senso che esso abbia invece voluto che tale fenomeno sia sottoposto ad una disciplina diversa da quella relativa al «getto pericoloso di cose».
E, quindi, l’interpretazione estensiva porti ad una disciplina manifestamente incongrua ed irrazionale, o ad irragionevoli disparità, o a palesi violazioni del principio di necessaria offensività del reato. Con la conseguenza che essa andrebbe disattesa, in applicazione del fondamentale canone ermeneutico per cui, nel dubbio, deve sempre essere preferita l'interpretazione adeguatrice, “costituzionalmente orientata”, che eviti, cioè, possibili contrasti con norme e principi costituzionali.


In relazione al primo profilo, basti pensare che l’interpretazione favorevole all’applicabilità dell’art. 674 c.p. alle onde elettromagnetiche ha visto contrapposti:
  • coloro i quali sostenevano che, anche in presenza di una normativa di settore (o di un provvedimento dell’autorità che regoli l’attività) che imponga dei limiti, e anche nel caso in cui questi limiti non siano superati, l’art. 674 c.p. sarebbe ugualmente configurabile, nel caso in cui l'attività abbia comunque prodotto emissioni eccedenti i limiti di tollerabilità alla luce dei parametri indicati dall'art. 844 cod. civ., ed eliminabili mediante opportuni accorgimenti tecnici. E
  • quelli che, al contrario, ritenevano che l'espressione «nei casi non consentiti dalla legge» contenga una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni di fumi, vapori o gas che non superino la soglia fissata dalle norme speciali in materia.
Quindi, l’art. 674 c.p. non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento


A questo punto, l’analisi, quindi si sposta sulle conseguenze irrazionali che deriverebbero dall’applicazione di tale principio alla sola seconda ipotesi di cui all’art. 674 c.p., e sui ragionamenti “giuridico-filosofici” illustrati dalla Corte di Cassazione per evitare tali irrazionali conseguenze.


Foto: “View on Radio Vaticana” originally uploaded by geo1971



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Elettrosmog e Radio Vaticana: irrazionalità del sistema e incertezze giuridiche. L’appello, il ricorso per Cassazione e gli orientamenti giurisprudenziali

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La sentenza d’appello (4 giugno 2007), invece, assolse gli imputati, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato: far rientrare la fattispecie di emissione di onde elettromagnetiche nella previsione di cui alla prima parte dell'art. 674 c.p. costituisce, secondo il Giudice d’Appello, non il frutto di una semplice interpretazione estensiva, ma quello di una vera e propria applicazione analogica della norma penale ad una diversa fattispecie caratterizzata dalla identità di ratio.
Applicazione che, nel nostro ordinamento, non è consentita in materia penale.
E veniamo al ricorso per Cassazione nel quale, in sostanza, il quesito posto da tutti i ricorrenti riguardava:
  • la possibilità e la correttezza giuridica di un’interpretazione che inquadri il fenomeno della emissione di onde elettromagnetiche nella fattispecie dell'art. 674 c.p e
  • più in particolare, se tale eventuale inquadramento costituisca il risultato di una mera interpretazione estensiva della disposizione ovvero se ad esso si possa in realtà pervenire soltanto mediante un’applicazione analogica della disposizione stessa ad una diversa fattispecie caratterizzata dalla eadem ratio, applicazione non consentita in campo penale.

Due le osservazioni preliminari della Cassazione:
  1. il criterio ermeneutico da adottare non è quello soggettivo ma quello oggettivo: la legge, cioè, va interpretata non secondo la volontà storica del legislatore che l'ha promulgata, ma secondo il senso proprio ed oggettivo delle parole che compongono la disposizione, interpretate nel momento in cui la stessa deve essere applicata, alla luce del sistema normativo vigente in tale momento inteso nel suo complesso, comprese eventuali normative speciali che possano dimostrare una volontà oggettiva dell'ordinamento di disciplinare in modo diverso la materia in esame;
  2. a seguito delle modifiche intervenute nel sistema normativo con l'introduzione di una legislazione speciale, non sembra che si possa continuare ad attribuire valore decisivo al principio di precauzione, quanto piuttosto a quelli di tipicità e di determinatezza delle fattispecie penali, di necessaria offensività del reato, di soggezione del giudice alla legge, nonché il principio generale del divieto di analogia in materia penale.
Inizia, quindi, la lunga ricostruzione evolutiva, volta a verificare la possibilità di attribuire all'espressione «gettare cose» un significato più ampio di quello che apparentemente da essa risulta, tale da farvi comprendere anche la propagazione di onde elettromagnetiche
Per uno studio approfondito dei due orientamenti che si confrontano, entrambi molto articolati, si rinvia al testo integrale della sentenza.

Volendo in questa sede sintetizzare al massimo la sentenza, basti sottolineare come:
  1. secondo l'orientamento favorevole all'estensione ermeneutica – che osserva che il termine «cosa» è di per sé suscettivo di esprimere una pluralità di significati, comprese le onde elettromagnetiche, perché la scienza contemporanea ha ormai da tempo superato il dualismo ottocentesco tra materia ed energia, ed ha chiarito che le energie (tra le quali sono comprese le onde elettromagnetiche) sono altrettanto dotate di corporeità e di materialità quanto le res quitangi possunt, e quindi vanno considerate cose sia per la loro individualità fisica, sia per la loro attitudine ad essere misurate, percepite ed utilizzate. Sarebbe erroneo ritenere che il secondo periodo dell’art. 674 limiti indirettamente la nozione di «cosa» ai soli oggetti solidi e liquidi, perché gas, vapori e fumo debbono essere ritenuti una specie del genere più ampio (cose) di cui parla il primo periodo.
  2. l'orientamento contrario all'estensione ermeneutica, invece, attraverso una lunga e articolata analisi linguistica delle espressioni usate per esprimere la condotta (gettare o versare), arriva a sostenere che solo tramite una “smaterializzazione” della condotta tipica prevista dal legislatore si può arrivare ad applicare l’art. 674 alle onde elettromagnetiche: ma allora è evidente, in sintesi, che non si è più nell'ambito di una interpretazione estensiva, ma si è entrati in quello della applicazione analogica della norma penale.
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Elettrosmog e Radio Vaticana: irrazionalità del sistema e incertezze giuridiche. Il primo grado

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Nella sentenza che comincerò a delineare oggi (Cassazione Penale, Sez. III, n. 36845 del 26 settembre 2008) il tema trattato è particolarmente delicato e ostico: i rapporti intercorrenti fra l’art. 674 del codice penale (getto pericoloso di cose) e la normativa di settore.

Tanto che la Suprema Corte di Cassazione lo affronta in una corposa sentenza, nella quale, prima di giungere alla definizione del caso concreto, si dilunga nell’esegesi evolutiva dell’art. 674 c.p. effettuata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, e sottolinea le difficoltà interpretative, sempre al limite dell’irrazionalità del sistema normativo

Prima di procedere all’analisi della sentenza, è opportuno riportare il testo dell’art. 674 del codice penale, in modo da rendere più agevole la comprensione della sentenza:

Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone,
ovvero,
nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti,
è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a 206 euro.
L’attore protagonista della vicenda è Radio Vaticana: la vicenda, in estrema sintesi, è la seguente:

Il cardinale Roberto Tucci, mons. Pasquale Borgomeo, D. G. e l'ing. Costantino Pacifici, vice direttore tecnico, vennero rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 674 c.p. “per avere, quali responsabili della Radio Vaticana, diffuso, tramite gli impianti siti in Santa Maria in Galeria, radiazioni elettromagnetiche atte ad offendere o molestare persone residenti nelle aree circostanti […] arrecando alle stesse disagio, disturbo, fastidio e turbamento”;

La sentenza di primo grado (9 maggio 2005), dichiarò il card. Tucci e mons. Borgomeo responsabili del reato loro ascritto e li condannò all’“esemplare” pena di dieci giorni di arresto ciascuno (sospensione condizionale della pena) e con la condanna al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata sede.
Assolse invece l'ing. Pacifici per non aver commesso il fatto.


In sostanza, il Giudice di prime cure osservò che:

1) l'emissione di onde elettromagnetiche poteva farsi rientrare, in via di interpretazione estensiva e non di applicazione analogica, nell'ambito della prima delle due ipotesi previste da 674 c.p.;

2) per la sussistenza del reato non era necessario il superamento dei limiti imposti dalle leggi speciali, perché la clausola «nei casi non consentiti dalla legge» si riferisce esclusivamente alla seconda ipotesi di reato di cui all'art. 674 c.p., ossia alle sole emissioni di gas, vapori e fumo;

3) per molestia si deve intendere anche come il semplice arrecare generalizzata preoccupazione ed allarme circa eventuali danni alla salute da esposizione ad emissioni inquinanti;

4) di conseguenza, erano irrilevanti sia la mancanza di una attitudine all’«offesa» alla persona, sia l'entrata in vigore della L. n. 36/2001 ("Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici"), la quale, nello stabilire i limiti di emissione delle onde elettromagnetiche, configura il loro superamento (art. 15) come un illecito amministrativo.

5) tale ultimo illecito può concorrere con il reato di cui all'art. 674 c.p. quando – come nella specie – sia provato che è stata arrecata molestia alle persone: tra le due disposizioni, infatti, non è applicabile il principio di specialità;

6) doveva presumersi che i limiti fissati dal d.m. n. 381 del 1998 (Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana) fossero stati superati prima del 2002, in quanto a) un teste, infatti, aveva dichiarato che Radio Vaticana aveva accettato di rientrare nei limiti previsti «per cortesia diplomatica» in seguito all'accordo raggiunto con lo Stato italiano 1'8 giugno 2001; b) i disturbi agli apparecchi domestici si erano attenuati dopo il 2002, e c) comunque le questioni relative al superamento dei limiti non incidevano sulla sussistenza del reato anche successivamente al 2002, attesa la presenza di rilevanti molestie fino al febbraio 2004.
    Foto: “View on Radio Vaticana” originally uploaded by geo1971




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