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Deposito temporaneo di rifiuti: come derogare alla disciplina generale - vademecum su come orientarsi e comportarsi di conseguenza

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Sul sito ipsoa.it - quotidiano, è stato pubblicato il contributo dal titolo "Deposito temporaneo di rifiuti: come derogare alla disciplina generale".
Il deposito temporaneo rappresenta in effetti una delle novità più importanti della normativa sui rifiuti, perché consente di non dover sempre ricorrere, in tempi brevi, a situazioni di smaltimento onerose e sproporzionate rispetto al regime produttivo. Tuttavia, ci sono limiti quantitativi e temporali da rispettare, anche se la norma - che ha subìto molte modifiche perché non scritta bene - ha dato molti grattacapi agli operatori del settore.
L'articolo costituisce un breve vademecum su come orientarsi, e comportarsi di conseguenza.

Dopo aver sinteticamente trattato dell'importanza strategica del deposito temporaneo di rifiuti, sono riassunti in una tabella la definizione di Gestione dei rifiuti, delle varie tipologie di deposito legali con focus sull'ultima definizione di deposito temporaneo.
Le definizioni sono infatti importantissime in questo ambito perché se non si parte da una puntuale individuazione dei caratteri distintivi di tale operazione – attività derogatoria ed eccezionale, collocata funzionalmente a monte della gestione dei rifiuti –  dietro il suo schermo si possono celare discariche abusive o altri gravi illeciti ambientali. Ed è per questo che la definizione di deposito temporaneo ha nel tempo subìto numerose modifiche volte il più delle volte ad allargarne l'ambito operativo. L'articolo ripercorre sinteticamente le principali tappe di questo processo dando conto della stessa "giurisprudenza ampliativa", se così la si vuol chiamare.

Si conclude ricapitolando quelli che costituiscono i limiti attuali al deposito temporaneo secondo i requisiti di prova, categorie omogenee, osservanza delle norme e presidi di sicurezza.


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Deposito temporaneo: qual è il luogo di produzione?

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Il deposito temporaneo può essere effettuato solo nel luogo di produzione dei rifiuti, dovendosi per tale intendere, nella sua accezione più lata, quello che si trova nella disponibilità dell'impresa produttrice e nel quale gli stessi sono depositati, purchè funzionalmente collegato al luogo di produzione.

Lo ha affermato la Cassazione, in due recenti sentenze. 

Il primo caso (Cassazione n. 37843/14) riguarda una fattispecie nella quale quattro soggetti erano stati individuati quali colpevoli del reato di abbandono incontrollato di rifiuti speciali non pericolosi, avendo gli stessi adibito un terreno, di proprietà di una terza società (di cui i quattro erano soci), a luogo di deposito di materiale edile proveniente da demolizione di un fabbricato. 
Il Giudice – dopo aver affermato che a norma del’art. 183, comma 1, lettera aa), del Testo Unico Ambientale, il deposito temporaneo può essere effettuato solo nel luogo di produzione del rifiuto, dovendosi per tale intendere, nella sua accezione più lata, quello che si trova nella disponibilità dell'impresa produttrice e nel quale gli stessi sono depositati, purché funzionalmente collegato al luogo di produzione: nel caso di specie, conclude la Cassazione, il Giudice di merito aveva correttamente verificato l’assenza di funzionale connessione tra i due fondi.

Il secondo caso (Cassazione n. 38676/14) riguardava, invece, residui da depurazione depositati sul terreno di un’azienda agricola, confinante con il luogo di produzione materiale dei rifiuti e appartenente allo stesso soggetto: in questo caso, dopo aver ribadito che, in tema di gestione illecita dei rifiuti, il luogo di produzione rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo non è solo quello in cui i rifiuti sono prodotti ma anche quello che si trova nella disponibilità dell'impresa produttrice e nel quale gli stessi sono depositati, purché funzionalmente collegato al luogo di produzione, la Cassazione ha messo in evidenza l’errore in cui era incorso il giudice di prime cure, che aveva erroneamente omesso di accertare il possibile collegamento tra le due aree. 

Poi però è intervenuta la prescrizione in entrambi i casi


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Aspetti particolari del deposito temporaneo

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Nelle pagine del blog Natura Giuridica Andrea Quaranta già parlato di deposito temporaneo  la cui ratio legis consiste nell’agevolare le piccole imprese – caratterizzate da una modesta produzione di rifiuti – evitando loro di dover ricorrere a situazioni di smaltimento onerose e sproporzionate rispetto al regime produttivo. 
A causa della non chiara formulazione legislativa, il concetto giuridico di deposito temporaneo, non definito dalla direttive comunitarie, è stato oggetto, oltre che di modifiche legislative, anche di un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Di recente la Cassazione è intervenuta di nuovo sul tema, con tre sentenze che hanno analizzato, in particolare, le tematiche relative: 
1. al luogo rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo, che non è circoscritto al solo luogo di produzione, potendosi eventualmente estendere ad altro sito nella disponibilità dell'impresa: a tal fine è però necessario il rispetto di alcune particolari condizioni; 
2. alle modalità di “accatastamento” dei rifiuti, che determinano, o meno, l’applicabilità delle norme (più favorevoli) sul deposito temporaneo; 
3. alle conseguenze giuridiche del mancato rispetto delle condizioni stabilite dal legislatore per questa esclusione dalle norme sulla gestione dei rifiuti. 

Nelle tre sentenze, che potete scaricare nella sezione premium  del sito Natura Giuridica,  inserendo nel motore di ricerca interno i seguenti titoli: 

• Deposito temporaneo e rifiuti provenienti da demolizione edilizia 
• Abbandono di rifiuti alla rinfusa: Deposito temporaneo - Definizione di acque reflue industriali 
• Deposito incontrollato; deposito temporaneo; deposito preliminare; messa in riserva; stoccaggio 

sono stati analizzati anche alcuni profili giuridici relativi: 

  • ai rifiuti provenienti da demolizione edilizia; 
  • alla qualificazione giuridica delle acque reflue industriali; 
  • al confine giuridico fra i concetti di deposito incontrollato, deposito temporaneo, deposito preliminare, messa in riserva e stoccaggio, la cui non semplice interpretazione è indispensabile non solo ai fini di una corretta gestione del ciclo dei rifiuti, ma anche per comprendere meglio le dinamiche sottese al diritto dell’ambiente e, di conseguenza, risparmiare tempo e denaro. 
Come a dire: nell’ambito della legalità, occorre sapersi muovere nei meandri della normativa ambientale, per capire cosa conviene fare, e come. Per farlo, occorre una consulenza, che Natura Giuridica è in grado di fornirvi – grazie ad internet – online, con costi contenuti e rapidità di soluzione!


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Quand’è che si può parlare di deposito temporaneo?

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Nella mia attività di consulente legale ambientale mi vengono richiesti molti pareri legali ambientali, soprattutto in materia di bonifica dei siti contaminati, fonti di energia rinnovabile e gestione dei rifiuti.
A tale ultimo proposito, uno degli argomenti più gettonati è quello relativo al deposito temporaneo di rifiuti, la cui ratio legis consiste nell’agevolare le piccole imprese – caratterizzate da una modesta produzione di rifiuti – evitando loro di dover ricorrere a situazioni di smaltimento onerose e sproporzionate rispetto al regime produttivo.


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Deposito incontrollato o temporaneo?

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Su Natura Giuridica abbiamo spesso parlato di deposito temporaneo, che rappresenta una delle novità più importanti della normativa sui rifiuti, perché consente alle piccole imprese – caratterizzate da una modesta produzione di rifiuti – di evitare di dover ricorrere allo smaltimento continuo dei propri scarti, con oneri economici sproporzionati rispetto al ciclo produttivo.

Si tratta, tuttavia, di un concetto complesso, che ha dato adito a diverse interpretazioni, e che è stato oggetto addirittura di manipolazioni genetiche da parte del nostro legislatore, che nella prima versione del Testo Unico Ambientale lo ha addirittura annoverato fra le operazioni di gestione dei rifiuti….sancendo che il deposito temporaneo – che non rientra nell’ambito della gestione dei rifiuti – irregolare è un’operazione di recupero di rifiuti…………..

La sentenza che vi segnalo oggi, pubblicata sul sito di Natura Giuridica, che potete liberamente scaricare dopo esservi registrati, ha per oggetto delle autovetture destinate alla demolizione “temporaneamente depositate in attesa di smaltimento”: tali vetture, secondo il ricorrente, non erano accatastate alla rinfusa, ma correttamente stoccate ed ordinate nel luogo di produzione dei rifiuti…bla bla bla...


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Testo Unico Ambientale, versione originaria. Critiche e ombre

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Nella sua formulazione originaria, il Testo Unico Ambientale presentava anche degli aspetti positivi, che riguardavano la V.I.A. (disciplinata unitariamente per la prima volta); l’introduzione di alcuni meccanismi di flessibilità in tema di determinazione dei livelli di tutela (ad es., la maggior importanza riconosciuta all’analisi di rischio rispetto ai limiti tabellari; l’introduzione di meccanismi differenziati, come la messa in sicurezza operativa per i siti con attività in esercizio, per la gestione delle contaminazioni storiche); parzialmente la nuova definizione di deposito temporaneo (nella parte in cui chiariva che l’opzione quantitativa e quella temporale sono fra di loro alternative…).

Tuttavia ben più numerose erano le ombre, sia da un punto di vista procedurale che sostanziale.

Il Governo, in ragione di una delega del Parlamento non adeguatamente vincolante, ha disposto di ampi poteri discrezionali.

Il testo finale contrasta con diverse direttive comunitarie, stravolge l’assetto delle competenze definite dalla Costituzione, e si caratterizza per una spiccata tendenza neocentralista.

Il prodotto dell’elaborazione della Commissione dei 24 saggi non si è limitato a coordinare, riordinare o integrare la normativa dei diversi settori di cui si compone la materia ambientale, ma ha minato le fondamenta su cui poggia l’attuale impianto normativo, senza peraltro fornire gli elementi per l’organizzazione di un diverso sistema, coerente con il quadro costituzionale e aderente ai principi comunitari in materia di tutela ambientale.

Il mero assemblaggio materiale di singoli testi, nati separatamente, non ha consentito, tra l’altro, di ritenersi di fronte ad un corpo unitario di norme in materia ambientale, in quanto mancava un nucleo fondamentale di principi comuni alle diverse discipline settoriali, in grado di guidare in modo trasversale e coordinato i vari settori delle discipline giuridiche coinvolte.

Non è stato attuato il necessario coinvolgimento, sin dalla fase di elaborazione della normativa, di tutti i livelli territoriali di governo secondo il principio di corresponsabilità e di leale collaborazione.

All’indomani dell’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale, in dottrina si sottolineava, in generale, che:
  • il sistema autorizzatorio era privo di sistematicità (erano previste durate diverse per le autorizzazioni previste per le emissioni in atmosfera, gli scarichi, la gestione dei rifiuti – 15, 4 10 anni e dell'IPPC 5-6-8 anni, pur in presenza del disposto dell'art. 9 lett. f) della legge delega, qual criterio specifico sull'autorizzazione unica. In ogni caso sono troppo lunghe, a fronte dell'innovazione tecnologica);
  • dietro l'obiettivo di semplificazione dell'intera normativa si nascondeva un elevato rischio di allentamento delle maglie della tutela del bene ambiente;
  • la creazione di nuovi enti di gestione e controllo rischiava di duplicazioni di funzioni e difficoltà di individuazione del responsabili e delle scelte in campo ambientale;
  • le discipline transitorie avrebbero creato problemi di coordinamento;
  • in materia di rifiuti e bonifica dei siti contaminati, oltre alla problematiche connesse alla definizione di rifiuto, e al ridimensionamento dei target di raccolta differenziata previsti dal Decreto Ronchi, si sarebbe assistito ad un eccessivo utilizzo degli accordi di programma tra soggetti pubblici e privati;
  • sempre in materia di rifiuti, era problematico e difficilmente giustificabile l'inserimento del deposito temporaneo irregolare fra le operazioni di recupero, e appariva discutibile la scelta di introdurre una condizione di non punibilità per coloro che, dopo aver inquinato un sito, avrebbero bonificato;
  • la disciplina relativa all’inquinamento atmosferico aveva subito un appesantimento burocratico, e presentava ad alcuni vuoti della disciplina;
  • in materia di danno ambientale si era fatto un passo indietro, in relazione alla scelta di centralizzare in capo al Ministero dell'Ambiente (organo amministrativo, con un potere di ordine di ripristino e di risarcimento del danno che si esplica mediante “ordinanza”): la proponibilità esclusiva dell'azione aveva, di fatto, cancellato il paziente e innovativo ruolo svolto dalla giurisprudenza precedente al T.U., che aveva esteso l'azione di danno agli enti locali.
Come si può notare, ce n’era abbastanza per concludere che, nonostante le affermazioni fatte dal Governo nel presentare questo “monumento” riorganizzativo della materia, si era, in realtà, ancora molto lontani dal poter parlare di un testo unico ambientale, in cui le varie discipline fossero effettivamente coordinate e semplificate, e compenetrate, secondo un metodo di tutela ambientale integrata.

Cos'è stato fatto, allora, per rimediare a questo testo del ... Gattopardo?

(continua)


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Deposito temporaneo nel D.Lgs. n. 4/08

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Da ultimo sulla nozione di deposito temporaneo è intervenuto il D.Lgs n. 4 del 2008, che:
  • ha uniformato il limite riferito al criterio temporale, sia per i rifiuti pericolosi che per quelli non pericolosi, al periodo di giacenza di tre mesi;
  • ha abrogato la disposizione che consentiva, negli stabilimenti localizzati nelle isole minori, di allontanare i rifiuti entro il termine annuale, indipendentemente dalle quantità in deposito e, soprattutto
  • ha abrogato la disposizione di cui al punto R14 dell’allegato C della parte quarta al D.Lgs 152/06.

La nuova definizione di deposito temporaneo è dettata dall'art. 183, comma 1, lett. m) del Testo Unico Ambientale, così come modificata dal D.Lgs. n. 4/2008:

Deposito temporaneo
il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenti condizioni:

1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantità superiore a 2,5 parti per milione (ppm), ne' policlorobifenile e policlorotrifenili in quantità superiore a 25 parti per milione (ppm);

2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore, con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito;

  • quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 10 metri cubi nel caso di rifiuti pericolosi o i 20 metri cubi nel caso di rifiuti non pericolosi.
  • In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti pericolosi non superi i 10 metri cubi l'anno e il quantitativo di rifiuti non pericolosi non superi i 20 metri cubi l'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
3) il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative nonne tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;

4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose;

5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo.
***

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Il deposito temporaneo irregolare di rifiuti è un’operazione di recupero (dell’incertezza giuridica?)

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Nonostante il chiarimento relativo alle modalità, con le quali può avvenire il deposito temporaneo (scelta alternativa fra l’opzione quantitativa e quella temporale, sia per i rifiuti pericolosi che per quelli non pericolosi), la disciplina di cui al nuovo T.U.A. ha suscitato alcune perplessità, soprattutto in relazione all’inserimento del deposito temporaneo irregolare di rifiuti fra le operazioni di recupero.

Ciò che destava maggiore preoccupazione era, da un lato, l’utilizzo “disinvolto” della terminologia giuridica e, dall’altro, la cronica incapacità del nostro legislatore di scrivere le norme in modo univoco e coordinato.

Sotto il primo profilo, occorre ricordare che, con la definizione di deposito temporaneo, il legislatore ha espressamente fatto riferimento ad una fase antecedente la gestione dei rifiuti: se viene effettuato in violazione delle condizioni stabilite dalla legge, che ne giustificano il trattamento eccezionale e derogatorio, il deposito temporaneo (irregolare) rientra nella fase di gestione (e deve essere autorizzato).

Al fine di evitare pericolose confusioni terminologiche, il legislatore ha definito l’iniziale ammasso temporaneo di rifiuti, effettuato durante la fase di gestione, deposito preliminare o messa in riserva, a seconda della destinazione ad operazioni di smaltimento o di recupero.

Per tale motivo non sembra opportuno utilizzare l’espressione “deposito temporaneo” per indicare un’operazione di gestione (fra le quali, com’è noto, rientra il recupero).

Ma oltre a tale utilizzo, non corretto dal punto di vista giuridico, non si comprende il motivo che ha indotto il legislatore a inserire il deposito temporaneo irregolare esclusivamente fra le operazioni di recupero, e non anche fra quelle di smaltimento.


Sotto il secondo, devono essere evidenziate le contraddizioni che scaturiscono da una lettura comparata:
  • dell’art. 2, comma 1, lett. g), del D.Lgs. n. 36/2003 (nozione di discarica, che comprende “qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno”) con quella di cui
  • al punto R14 dell’allegato C della parte quarta del T.U.A. (che prevede l’automatica trasformazione del deposito temporaneo, effettuato senza il rispetto delle condizioni previste dalla normativa, in un’operazione di recupero),
dalla quale emerge che la stessa operazione (deposito temporaneo, effettuato in violazione delle condizioni temporali previste dalla normativa vigente) è:
  • considerata una discarica (se i rifiuti, ammassati “temporaneamente”, sono destinati allo smaltimento), e
  • può essere considerata (alternativamente? sulla base di quali criteri?) una discarica o un’operazione di recupero (se i rifiuti, ammassati “temporaneamente”, sono destinati al recupero).
Tali contraddizioni si riversano, inevitabilmente, sulla realtà quotidiana, in quanto creano confusione:
  • sugli operatori del settore, i quali non sanno a quale regime giuridico (è) può essere sottoposto il “deposito temporaneo” di rifiuti, e a quali sanzioni (sono) possono essere assoggettati nel caso di violazione delle condizioni stabilite per legge;
  • sulle autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni, che, nell’incertezza relativa alla qualificazione giuridica da attribuire al deposito temporaneo, effettuato in violazione delle condizioni temporali previste dalla normativa vigente e, comunque, in assenza dell’indicazioni delle precise caratteristiche, che dovrebbero configurare questa nuova figura di “deposito temporaneo irregolare-operazione di recupero R14”, si troveranno di fronte al dilemma di “come autorizzare cosa” e, infine,
  • sugli organi di vigilanza e sul giudice.
(continua)

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Il deposito temporaneo nel Testo Unico Ambientale (prima della modifica)

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L’art. 183, comma 1, lett. m), del Testo Unico Ambientale, nella sua versione originaria, definiva il deposito temporaneo il raggruppamento dei rifiuti effettuato, a determinate condizioni, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti.

Le novità contenute nel nuovo testo riguardavano:

1) le modalità con le quali può avvenire il deposito temporaneo: è stato chiarito, infatti, che l’opzione quantitativa e quella temporale sono fra di loro alternative (sia per i rifiuti pericolosi che per quelli non pericolosi). Questa precisazione esclude la sopravvivenza, dopo il 29 aprile 2006, dell’orientamento interpretativo, nettamente prevalente, della Suprema Corte, secondo la quale dovevano ricorrere, cumulativamente, tanto il requisito quantitativo quanto quello temporale;


2) la maggior ampiezza della definizione, dovuta alla sostituzione del riferimento all’effettuazione del deposito per “tipi omogenei” con quello per “categorie omogenee”;


3) l’introduzione di una nuova figura, quella del “soggetto affidatario del deposito temporaneo”. L’art. 208, comma 17, infatti, dopo aver stabilito che “fatti salvi l’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico da parte dei soggetti di cui all’art. 190 ed il divieto di miscelazione di cui all’art. 187, le disposizioni del presente articolo non si applicano al deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni stabilite dall’articolo 183, comma 1, lettera m)”, analogamente a quanto previsto dal decreto Ronchi, precisa che “la medesima esclusione opera anche quando l’attività di deposito temporaneo nel luogo di produzione sia affidata dal produttore ad altro soggetto autorizzato alla gestione di rifiuti”.


Questa innovazione consente lo spostamento di responsabilità dal produttore del rifiuto al soggetto gestore per tutto ciò che concerne la gestione del deposito temporaneo: tuttavia, per evitare che tale passaggio possa equivalere ad una totale deresponsabilizzazione del produttore, il legislatore ha previsto, in capo a quest’ultimo, una serie di obblighi:

a) innanzitutto – nonostante il deposi
to temporaneo non sia un’attività di gestione, ma vi si ponga a monte – il produttore di rifiuti deve affidare l’attività di deposito temporaneo ad un soggetto autorizzato alla gestione dei rifiuti.
In sostanza, il terzo affidatario deve essere iscritto all’Albo nazionale gestori ambientali, non essendo sufficiente, al riguardo, il possesso di una generica capacità ed idoneità tecnica.
In attesa del futuro regolamento – nel quale saranno definite le attribuzioni e le modalità organizzative dell’Albo, i requisiti, i termini e le modalità di iscrizione, i diritti annuali d’iscrizione, nonché le modalità e gli importi delle garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore dello Stato – l’art. 212, comma 10, del T.U.A., stabilisce che “continuano ad applicarsi, per quanto compatibili, le disposizioni del decreto del Ministro dell’Ambiente 28 aprile 1998, n. 406”.
I requisiti e le condizioni per l’iscrizione all’Albo, dunque, sono quelli previsti dall’art. 10 di quest’ultimo, mentre le categorie di attività di gestione dei rifiuti per le quali è richiesta l’iscrizione sono quelle indicate nell’art. 8: il fatto che non sia prevista una specifica categoria per i soggetti affidatari dell’attività di deposito temporaneo di soggetti terzi, e la considerazione che l’art. 208, comma 17, del Testo Unico Ambientale richieda genericamente che il soggetto affidatario sia autorizzato alla gestione dei rifiuti (senza ulteriori specificazioni), sembra indurre alla conclusione che tale soggetto debba essere iscritto nella categoria n. 6 individuata dal D.M. n. 406/98 (gestione di impianti fissi di titolarità di terzi nei quali si effettuano le operazioni di smaltimento e di recupero di cui agli allegati B e C del D.Lgs. n. 22/97).

b) il deposito dei rifiuti deve essere effettuato all’interno del luogo di produzione;

c) il conferimento di rifiuti da parte del produttore all’affidatario del deposito temporaneo costituisce adempimento agli obblighi, di cui all’articolo 188, comma 3. In tal caso l’annotazione delle informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti nel registro di carico e scarico devono essere effettuate – da parte di entrambi – entro 24 ore dalla produzione del rifiuto stesso.

4. Infine, la novità più rilevante era costituita dalla previsione di cui al punto R14 dell’allegato C della parte quarta al Testo Unico Ambientale, che inserisce, fra le operazioni di “recupero”, il “deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo dove sono prodotti i rifiuti, qualora non vengano rispettate le condizioni previste dalla normativa vigente”.

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Deposito temporaneo, discarica e paradossi interpretativi

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Il D.Lgs. n. 36/2003 e la successiva giurisprudenza

L’art. 2, comma 1, lett. g), del D.Lgs. n. 36/2003, nel recepire la direttiva n. 1999/31/CE, ha definito, per la prima volta, la nozione di discarica, caratterizzata dai seguenti elementi:

1) la discarica è l’area adibita a smaltimento dei rifi
uti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo. Tale nozione comprende:
  • la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché
  • qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno.
2. Sono esclusi da tale definizione:
  • gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e
  • lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o
  • lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno.
Appare evidente che, (anche) in questo caso, il testo non è dei più chiari.
In relazione al punto sub 1, secondo pallino, in particolare, parte della dottrina ha affermato che la definizione di discarica “assume una importanza particolare, perché finalmente consente di delimitare con chiarezza, in positivo, una serie di comportamenti su cui regnava confusione ed incertezza [...] L’articolo 2 sancisce anche che, trascorso questo limite massimo di 1 anno, il deposito temporaneo viene considerato una vera e propria discarica di rifiuti; si configura cioè non un deposito incontrollato, come sostiene la Cassazione, ma una atti
vità di gestione-smaltimento...di rifiuti che necessita, in primo luogo, di autorizzazione”.


In senso contrario è stato osservato che “se da un lato il XIV considerando della direttiva del 1999 dispone che "le aree adibite a deposito temporaneo di rifiuti dovranno essere conformi ai requisiti di cui alla direttiva 75/442/CEE", il che legittima la tesi dell'automatismo tra deposito temporaneo ultrannuale e discarica, dall'altro lato si potrebbe pensare che la direttiva non intendesse riferirsi all'istituto del deposito temporaneo - trasfuso nell'art. 6, lett. m), D.Lgs. 22/1997 - ma abbia invece usato quell'espressione per connotare in generale le situazioni di stoccaggio provvisorio”.

In seguito all’entrata in vigore del D.Lgs n. 36/2003, la Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. III, 17 novembre 2004, n. 44548), ha precisato che “il raggruppamento dei rifiuti nel luogo dove sono prodotti, se non supera l’anno e ricorrono le altre condizioni previste dalla norma, non è soggetto ad alcuna autorizzazione, ma solo all’obbligo del registro; se supera l’anno diventa discarica punibile ex. art. 51, terzo comma, del D.Lgs. n. 22/97; se non supera l’anno, ma evidenzia il mancato rispetto degli altri limiti previsti dalla norma, diventa deposito incontrollato punibile a norma del secondo comma del medesimo art. 51”.

In questo modo, la Cassazione ha sancito che, allo scadere del termine annuale, un deposito temporaneo si trasforma automaticamente in discarica, e, quindi, necessita dell’autorizzazione.

Commentando questa sentenza, una parte della dottrina ha messo in rilievo le contraddizioni in cui, ancora una volta, è incorso il nostro legislatore che, attraverso “la stratificazione di norme, spesso attuata senza preventivo attento coordinamento, ha portato a dei paradossi interpretativi ed applicativi che producono effetti immediati nella operatività quotidiana delle imprese, della P.A. e degli organi di vigilanza”.

In particolare, si è sottolineato, il fatto che la definizione di discarica (identica a quella stabilita dal legislatore europeo) non riporti alcun dato quantitativo (contenuto, invece, nel “nostrano” deposito temporaneo), ha creato un’imbarazzante situazione di “nonsense interpretativo”, alimentando l’instabilità legislativa, e, di conseguenza, l’incertezza giuridica, che da sempre contraddistinguono la normativa sull’ambiente.


In sostanza, gli autori hanno evidenziato che, applicando alla lettera la definizione di discarica, si giungerebbe alla conclusione che qualsiasi area in cui i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno si trasformerebbe automaticamente in una discarica abusiva (seguendo questa logica, anche un deposito temporaneo di un modesto quantitativo di rifiuti – ad es. tre metri cubi di imballaggi – sarebbe considerato una discarica abusiva se protratto per più di un anno – con tutte le gravi conseguenze dal punto di vista penale connesse alla realizzazione di una discarica abusiva).

Un’interpretazione acritica del dato letterale della norma, d’altro canto, condurrebbe al paradosso opposto: fino alla scadenza dell’anno si verserebbe in un’ipotesi di deposito temporaneo – e non si sarebbe, quindi, in presenza di una discarica, né legale, né abusiva – anche nell’ipotesi di accumulo di un enorme quantitativo di rifiuti pericolosi per un periodo inferiore all’anno.


(continua)

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L'ondivago orientamento della Cassazione sul deposito temporaneo irregolare

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Nel caso di superamento delle condizioni quantitative e temporali stabilite dalla legge, la Suprema Corte di Cassazione non si è espressa univocamente:

a) un primo indirizzo giurisprudenziale del giudice di legittimità equiparava il deposito temporaneo irregolare allo stoccaggio non autorizzato: in tale caso, era prevista l’applicazione della sanzione di cui all’art. 51, comma 1, del D.Lgs Ronchi (Cass. Pen., Sez. III, n. 3333/2004; Cass. Sez. III, sent. 07140 del 19/06/2000, Eterno, rv. 216977)


b) un secondo orientamento riteneva, invece, che l’irregolarità trasformasse il deposito temporaneo in un’ipotesi di deposito incontrollato, punito dall’art. 51, comma 2, del D.Lgs 22/97 (Cass. Pen., Sez. III, n. 37879/2004: vale a dire con la stessa pena prevista sub a), in virtù del richiamo effettuato, nel comma 2, alla pena prevista nel comma 1.)
D’altronde, a tale proposito, la stessa Cassazione ha sottolineato che “la questione relativa alla esatta qualificazione della condotta determinante un deposito temporaneo di rifiuti non conforme alle disposizioni di legge è puramente teorica, in quanto le sanzioni previste per la gestione di rifiuti non autorizzata con riferimento allo stoccaggio degli stessi (articolo 51, comma primo D.Lgs n. 22/97) e per il deposito incontrollato (artt. 14 e 51, comma secondo D.Lgs 22/97) sono identiche Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 2033 del 18 gennaio 2006”.

c) infine, un terzo orientamento – peraltro rimasto circoscritto, e divenuto “recessivo” rispetto ai primi due – escludeva tout court che il semplice superamento dei limiti quantitativi e temporali potesse configurare i reati di stoccaggio non autorizzato o deposito incontrollato: di conseguenza non era ritenuto sanzionabile (Cass. Pen., Sez. III, n. 12538/98)

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Vocabolario ambientale – Pillole di giurisprudenza: l'eccezionalità del deposito temporaneo di rifiuti

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La successiva giurisprudenza della Cassazione conferma il carattere eccezionale del deposito temporaneo, secondo le indicazioni interpretative date dalla Corte di Giustizia.

Nella sentenza Capoccia (05 aprile 2001, n. 13808), infatti, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha sottolineato che “il deposito temporaneo previsto dall’art. 6 D.Lgs. n. 22/97 rappresenta una ipotesi a carattere eccezionale e derogatorio rispetto alle ordinarie attività di «gestione» dei rifiuti previste dalla medesima norma e soggette al regime autorizzatorio delineato dall’art. 28, penalmente sanzionato in caso di violazioni; per ritenere sussistenti i presupposti in fatto ed in diritto che legittimano tale figura in relazione ad un considerevole quantitativo di rifiuti propri depositati da un’azienda nella propria area, deve sussistere il rigoroso e puntuale soddisfacimento di tutte le condizioni tecniche, quantitative e temporali previste dal citato art. 6 decreto-rifiuti con conseguente doverosa verifica sia nei documenti aziendali che nelle condizioni che danno luogo alla formazione dei rifiuti presso quel sito; in difetto, trattasi di ordinaria attività di gestione di rifiuti svolta in modo illecito e soggetta alle sanzioni penali conseguenti (nel caso di specie, discarica abusiva ex art. 51, 3º comma, D.Lgs. n. 22/97) ”.

Anche per la successiva sentenza Bistolfi (Cass. Pen., Sez. III, 10 ottobre 2001, n. 2597) “il deposito temporaneo di rifiuti aziendali rappresenta deroga di eccezione rispetto all’ordinario regime di gestione dei rifiuti sulla base di alcuni parametri quantitativi e temporali delineati dal D.Lgs. n. 22/97, con la conseguenza che un accumulo di rifiuti al di fuori del rispetto di tali presupposti formali e sostanziali costituisce discarica abusiva in violazione del sistema gestionale ed autorizzatorio previsto dalla normativa vigente ”.


La sentenza Guarracino (Cass. Pen., Sez. III, 29 ottobre 2002, n. 1359), in questo panorama giurisprudenziale, ribadisce che “la disciplina sul deposito temporaneo prevista dall’art. 6, lett. m), n. 3, D.Lgs. n. 22/1997 va intesa nel senso che il deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi può essere mantenuto fino al termine massimo di un anno solo qualora in tutto questo arco temporale, e cioè complessivamente, non venga superato il limite di venti metri cubi, assumendo autonomo rilievo la cadenza almeno trimestrale prevista nella prima parte della disposizione solo quando i vari conferimenti siano tutti inferiori a venti metri cubi e siano avviati alle operazioni di recupero o smaltimento prima di raggiungere il suddetto limite quantitativo, mentre in ogni caso deve essere effettuato l’avviamento quando il limite di venti metri cubi venga raggiunto ”.

La sentenza Costa (Cass. Pen., Sez. III, 26 febbraio 2003, n. 84), infine, nell’affermare che il parametro quantitativo non costituisce una semplice prescrizione per i gestori di deposito temporaneo, ma, al contrario, una vera e propria condicio sine qua non, la cui violazione comporta la non configurabilità del deposito temporaneo, sancisce la necessaria sussistenza di tutte le condizioni richieste dall’art. 6, comma 1, lett. m.) al fine della configurazione del deposito temporaneo.

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Vocabolario ambientale – Pillole di giurisprudenza: il deposito temporaneo di rifiuti (la sentenza della Cassazione n. 4957 del 2000. Rigotti)

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Dopo aver cominciato ad analizzare l'originaria definizione di deposito temporaneo, e aver preso in esame la modifica delle condizioni necessarie ai fini della configurazione del deposito temporaneo, intervenuta con il D.Lgs. n. 389/97, il c.d. “Ronchi bis”, oggi farò un breve accenno alla prima importante sentenza della Cassazione in materia di deposito temporaneo, che risale al gennaio del 2000 (Cass. Pen., Sez. III, 21 gennaio 2000, n. 4957).

La Cassazione, dopo aver ricostruito le tappe fondamentali dell’evoluzione della normativa sul deposito temporaneo, ha optato per una lettura della norma che valorizza un’“esegesi complessiva della disciplina del deposito temporaneo, quale risulta, nel pensiero del legislatore, in armonia con diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione e con i principi comunitari”, quali risultano esposti dalla citata pronuncia della Corte di Giustizia europea.

Secondo l’interpretazione della Suprema Corte, il punto di partenza è costituito dalla seconda parte del n. 3, in cui è prevista la durata massima di un anno del deposito temporaneo, qualora i rifiuti non pericolosi depositati non superino complessivamente, nell’arco di tutto l’anno i 20 metri cubi (unitamente all’eccezione dovuta alle particolari difficoltà di trasporto per le isole minori, per le quali il termine massimo è sempre identico, “indipendentemente dalle quantità” complessivamente depositate).

Il legislatore, quindi – prosegue la Suprema Corte – “considera accettabile, in quanto poco rischioso per l’ambiente e conforme ai principi sanciti dagli artt. 4 e 8 della direttiva 75/442, un deposito temporaneo che, senza troppi obblighi e controlli ed in deroga all’art. 8 della direttiva citata, non superi come quantità complessiva i venti metri cubi, consentendone una durata superiore al limite trimestrale e fino al massimo di un anno, ove non superi, complessivamente, in questo arco temporale detta quantità, salvo l’eccezione, relativa sempre alla quantità complessiva, contemplata per le isole minori”.


Qualora, in qualsiasi arco temporale, questo quantitativo venga superato, “non si può usufruire di una disciplina permissiva e derogatoria senza contravvenire ad alcuni principi comunitari”.

È, quindi, alla luce di questa regola generale, costituente il fondamento della particolare normativa sul deposito temporaneo, che si deve interpretare la prima parte della terza condizione stabilita dall’art. 6, lett. m), del D.L.vo n. 22/97.
Le due alternative devono essere interpretate nel senso che “i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale indipendentemente dalle quantità in deposito, cioè anche se non superano i venti metri cubi (Vale a dire:
a) indipendentemente dal raggiungimento delle quantità massime consentite in deposito ovvero
b) in alternativa, in ogni caso quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi raggiunge i venti metri cubi)”.

Pertanto “la seconda parte della condizione n. 3 introduce eccezione al limite temporale, consentendo il deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi, qualora gli stessi in tutto l’arco temporale e cioè complessivamente non superino i venti metri cubi, e palesa in maniera ancor più evidente come sia la determinazione quantitativa quella decisiva”.

In conclusione, si può affermare che “la cadenza trimestrale per aversi un deposito temporaneo (di rifiuti non pericolosi) – di cui alla prima parte del periodo di cui alla condizione n. 3 – finirà con l’assumere un autonomo rilievo solo quando i vari conferimenti siano tutti inferiori a venti metri cubi ed avviati alle operazioni di recupero o smaltimento prima di raggiungere detto limite quantitativo, sicché, ove non si siano superati complessivamente i venti metri cubi, sarà possibile mantenere il deposito temporaneo per il termine massimo di un anno, mentre, in ogni caso, si deve effettuare detto avviamento quando si raggiungono i venti metri cubi”.

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Vocabolario ambientale: il deposito temporaneo di rifiuti (2). Il "Ronchi bis" e l'intervento della Corte di Giustizia

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Nel post precedente ho delineato la ratio legis del deposito temporaneo, e ho cominciato ad analizzare l'originaria definizione.
Oggi prenderò in esame la modifica delle condizioni necessarie ai fini della configurazione del deposito temporaneo, intervenuta con il D.Lgs. n. 389/97, il c.d. “Ronchi bis”.


In seguito alla nota della Commissione europea n. 6465 del 29 settembre 1997 – con la quale sono stati formulati alcuni rilievi critici sul D.Lgs. n. 22/97, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 169 del trattato dell'U.E. – è stato emanato il D.Lgs n. 389/97, con lo scopo di adottare le opportune disposizioni integrative e correttive del decreto Ronchi e di chiarire i problemi operativi e interpretativi emersi nella prima fase di applicazione della nuova normativa sui rifiuti.


Per quanto concerne il deposito temporaneo di rifiuti, i punti n. 2 e 3 dell’art. 6, comma 1, lett. sono stati riformulati nel senso che i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento:
  • con cadenza almeno bimestrale (per i rifiuti pericolosi) o trimestrale (per i rifiuti non pericolosi) indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa,
  • quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunge i 10 metri cubi (per i rifiuti pericolosi) o i 20 (per i rifiuti non pericolosi);
  • il termine di durata del deposito temporaneo é di un anno se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i 10 (20) metri cubi nell'anno o se, indipendentemente dalle quantità, il deposito temporaneo é effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori.

In seguito a tale modifica, parte della dottrina ha ritenuto definitivamente chiarita la duplicità di alternative (quantitativa e temporale), evidenziando l’inutilità del limite quantitativo e la sostanziale coincidenza dei termini “raggiunge” e “non supera” i 10 (20) metri cubi.
In sostanza, tale orientamento proponeva una diversa lettura della norma, nel senso che, ove nel corso di tutto l’anno non fossero stati superati i 10 (20) metri cubi, i rifiuti potevano essere tenuti in deposito temporaneo per un termine maggiore di due (tre) mesi fino ad un anno.

Altra dottrina, invece, faceva rilevare che il dato testuale creava, da un lato, un’alternativa in realtà inesistente, e attribuiva, dall’altro, un’interpretazione abrogante al limite quantitativo, ponendosi, in questo modo, in contrasto con i principi comunitari e con il fondamentale diritto alla salute.

L’intervento della Corte di Giustizia europea

Con la sentenza del 9 ottobre 1999, la Corte di Giustizia – dopo aver specificato che il deposito temporaneo precede la gestione dei rifiuti e costituisce, perciò, “un'operazione preparatoria ad una delle operazioni di recupero o di smaltimento elencate negli allegati II A e II B, punti da D 1 a D 15 e, rispettivamente, da R1 a R13, della direttiva 75/442” – ha sottolineato che “la nozione di deposito temporaneo deve interpretarsi in modo restrittivo e deve rispettare i principi menzionati all'art. 130 R del Trattato CE […].
Gli Stati membri, che sono tenuti a garantire l'effetto utile della direttiva 75/442, in particolare dei principi generali enunciati al suo art. 4, devono quindi adottare disposizioni sufficientemente rigorose per evitare che le imprese possano fare un uso abusivo della deroga prevista da tale direttiva in caso di deposito temporaneo […]
Se è vero che le imprese che detengono rifiuti e che procedono al loro deposito temporaneo non sono soggette all'obbligo di registrazione o d'autorizzazione previsto dalla direttiva 75/442, non è men vero che tutte le operazioni di deposito, indipendentemente dal fatto che siano effettuate a titolo temporaneo o preliminare, nonché le operazioni di gestione di rifiuti ai sensi dell'art. 1, lett. d), di tale direttiva, sono soggette al rispetto dei principi della precauzione e dell'azione preventiva che l'art. 4 della direttiva 75/442 mira ad attuare e, in particolare, agli obblighi che risultano da questa stessa norma nonché dall'art. 8 della detta direttiva”.

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Pillole di Giurisprudenza. Rifiuti: i tre tipi di deposito (temporaneo, preliminare, inconcontrollato) Sentenza Cassazione 21024/04 (Eoli)

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Oggi vi propongo un’interessante sentenza della Cassazione in materia di deposito di rifiuti (sentenza n. 21024 del 2004, Eoli).

Il caso
Nel 2003 la corte d'appello di Brescia ha integralmente confermato la sentenza resa nel 2001 dal tribunale di Mantova, che aveva dichiarato Oreste Eoli colpevole per aver esercitato, senza autorizzazione, un deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi, derivanti dalla attività di produzione di calze e collants della società, per una volumetria superiore a 20 metri cubi, per un periodo superiore a tre mesi.

Nel ricorso per Cassazione i difensori dell'Eoli hanno, in estrema sintesi, sostenuto:
- l’illegittimità e la contrarietà alle direttive comunitarie dell’equiparazione del deposito temporaneo irregolare alle ipotesi di gestione o stoccaggio o deposito preliminare finalizzati allo smaltimento dei rifiuti;
- la violazione del principio di tassatività della legge penale, in quanto la disposizione che regola il deposito temporaneo (allora, l’art. 6 lett. m), del decreto Ronchi) è priva di specifica sanzione (l'applicazione al deposito temporaneo del trattamento penale previsto per l'abbandono o il deposito incontrollato dei rifiuti configura, secondo la difesa dell’Eoli, una interpretazione in malam partem non consentita)
- la violazione e la falsa applicazione della direttiva comunitaria 75/442 […], che detta nozioni di deposito temporaneo irregolare e deposito preliminare diverse da quelle adottate dalla sentenza impugnata.

Tralasciando, in questa sede, l’analisi approfondita di tutte le questioni affrontate dalla Cassazione (attinenti a profili prettamente giuridici, relativ alla esatta qualificazione della violazione contestata all’Eoli), occorre evidenziare i passaggi fondamentali seguiti dalla Cassazione nel rigettare il ricorso.

1. la disciplina sui rifiuti introdotta dal D.Lgs. 22/1997 definisce esattamente lo smaltimento dei rifiuti (per il quale è necessario attivare una procedura di autorizzazione più o meno semplificata) come un'attività che comprende una delle operazioni pratiche elencate nell'Allegato "B" (che include quattordici operazioni, che vanno dalla discarica sul suolo all'incenerimento, oltre al deposito preliminare dei rifiuti in attesa di una delle operazioni predette.

2. dalla nozione di deposito preliminare però è espressamente escluso il deposito temporaneo, inteso come raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, purché siano rispettate alcune condizioni dettate dalla lettera m) dell'art. 6 in relazione alla qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla quantità dell'accumulo, alla omogeneità dei tipi di rifiuti accumulati, nonché all'imballaggio e alla etichettatura per i rifiuti pericolosi.
  • Il legislatore evidentemente considera che i rifiuti temporaneamente raggruppati nel luogo in cui sono prodotti, quando siano rispettate le condizioni predette, non escano dalla sfera di controllo del produttore e non costituiscano un rischio per l'ambiente, tale da richiedere il preventivo controllo della pubblica autorità.
  • Se però una di queste condizioni non è rispettata, ad esempio perché il periodo di giacenza de rifiuti si prolunga oltre il tempo determinato dalla legge in relazione alla quantità, ovverosia perché i rifiuti non sono avviati allo smaltimento con la periodicità prescritta, il deposito da "temporaneo" diventa "preliminare", cioè entra nella sfera pericolosa dello smaltimento, qualificandosi come stoccaggio preparatorio in vista e in attesa di una delle altre operazioni finali di smaltimento elencate dalla legge.
  • La legge richiede perciò che l'operazione sia previamente controllata dall'autorità amministrativa, attraverso un'autorizzazione rilasciata dalla regione.
  • In conclusione, il deposito temporaneo è consentito, ma solo nella misura in cui non si configuri come un deposito preliminare, cioè come un'operazione di smaltimento, per la quale è necessario munirsi previamente di un titolo abilitativo.
  • Il deposito preliminare in assenza di titolo abilitativo è penalmente sanzionato come contravvenzione ex art. 51, comma 1: è, cioè, equiparabile giuridicamente all'attività di gestione di rifiuti non autorizzata.
3. Diversa ancora è la nozione di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti, perché in tal caso il deposito è effettuato in luogo diverso da quello in cui i rifiuti sono prodotti e fuori dalla sfera di controllo del produttore.
Proprio per queste sue caratteristiche l'abbandono dei rifiuti è vietato in modo assoluto, con obbligo del contravventore di procedere alla rimozione e al ripristino dello stato dei luoghi (ai sensi dell'allora art. 14 del decreto Ronchi, oggi 192 del TUA).

4. In conclusione, il D.Lgs. 22/1997 contempla tre nozioni di deposito di rifiuti:
  • il deposito temporaneo (controllato ed effettuato nel luogo di produzione), che è ammesso nel rispetto delle condizioni prescritte dalla lett. m) dell'art. 6;
  • il deposito preliminare o stoccaggio, che è una fase iniziale dell'attività di smaltimento, come tale assoggettato alle procedure di abilitazione;
  • il deposito incontrollato o abbandono, che è vietato e sanzionato penalmente se effettuato da titolari di impresa o da responsabili di enti, ovvero sanzionato in via amministrativa se effettuato da persone fisiche diverse dai soggetti predetti.
Queste nozioni specifiche esauriscono la categoria generale del deposito di rifiuti, sicché ogni effettivo deposito, a seconda delle sue concrete caratteristiche oggettive e soggettive, dovrà necessariamente sussumersi in una delle tre nozioni.

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Vocabolario ambientale: il deposito temporaneo di rifiuti (1)

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Il deposito temporaneo rappresenta una delle novità più importanti della normativa sui rifiuti: la ratio legis consiste nell’agevolare le piccole imprese – caratterizzate da una modesta produzione di rifiuti – evitando loro di dover ricorrere a situazioni di smaltimento onerose e sproporzionate rispetto al regime produttivo.

Tuttavia, a causa della non chiara formulazione legislativa, il concetto di deposito temporaneo, non definito dalla direttive comunitarie, è stato oggetto, oltre che di modifiche legislative, anche di un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

L’importanza della puntuale individuazione dei caratteri distintivi di tale operazione – attività derogatoria ed eccezionale, collocata funzionalmente a monte della gestione dei rifiuti – deriva dal fatto che dietro il suo schermo si possono celare discariche abusive o altri gravi illeciti ambientali.

L’originaria definizione di deposito temporaneo.

L’originario testo dell’art. 6, comma 1, lett. m), del D.Lgs. n. 22/97 qualificava deposito temporaneo il raggruppamento dei rifiuti effettuato nel luogo in cui sono prodotti, prima della raccolta, a determinate condizioni.
In particolare, il legislatore stabiliva che il quantitativo di rifiuti pericolosi depositato non dovesse superare i 10 metri cubi (20 m/c, nel caso di rifiuti non pericolosi), ovvero che i rifiuti stessi fossero asportati con cadenza almeno bimestrale (trimestrale, per i rifiuti non pericolosi. Art. 6, comma 1, lett. m), punti 2 e 3).

Sulla base del dato testuale:
  • parte della dottrina aveva affermato la configurabilità del deposito temporaneo di rifiuti sia nel caso in cui questi ultimi non superassero i 10 (o 20) m/c, sia in quello in cui, indipendentemente dal limite quantitativo, gli stessi fossero asportati con cadenza bimestrale (o trimestrale);
  • un’altra corrente dottrinale, invece, richiedeva la concorrenza di entrambe le condizioni, in maniera tale che, qualora i rifiuti avessero superato il limite quantitativo, dovevano essere asportati anche con una cadenza inferiore a quella bimestrale (o trimestrale), costituente, in ogni caso, il termine massimo entro cui, anche con quantitativo di rifiuti inferiore ai 10 (20) m/c, era ritenuto necessario avviarli allo smaltimento o al recupero.
Gli allegati B e C al decreto stesso elencavano, rispettivamente, le operazioni ascrivibili allo smaltimento e al recupero dei rifiuti: entrambe potevano essere precedute da un iniziale deposito di rifiuti, detto deposito preliminare (in caso di smaltimento) o messa in riserva (in caso di recupero).

Per definizione, queste due operazioni corrispondevano alla nozione di stoccaggio (art. 6, comma 1, lett. l), e si inserivano nella fase della gestione dei rifiuti, alla quale rimaneva estraneo il deposito temporaneo, in quanto operazione precedente la raccolta del rifiuto.

L’art. 28, comma 5, del D.Lgs n. 22/97 stabiliva, infine, che il deposito temporaneo, eseguito nel rispetto dei limiti quantitativi e temporali indicati dall’art. 6, comma 1, lett. m), non necessitava delle autorizzazioni previste per la normale attività di gestione dei rifiuti.

(continua)


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