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Emissioni da biogas di discarica: quando costituiscono molestie alle persone?

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  • Non realizzare barriere frangivento lungo il perimetro di una discarica;
  • non procedere alla corretta captazione e al convogliamento di notevoli quantitativi di biogas sviluppato dalla macerazione dei rifiuti;
  • lasciare vari pozzi di biogas incompleti e liberi di scaricare in aria il biogas accumulato e bruciato solo in parte attraverso l'accensione di fiaccole,
sono condotte atte a molestare persone che vivono nelle aree circostanti?


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Polveri sottili: fumo o…

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Di recente sono stato contattato da un gruppo di cittadini che risiedono nei pressi di un’impresa che, nello svolgimento della propria attività di… "consulenza per la gestione del calore"(proprio così!) provoca, fra l’altro, anche un forte disagio a coloro che abitano nelle immediate vicinanze, causato dalle polveri sottili “gettate” nell’atmosfera.

Quello relativo al getto di cose pericolose (art. 674 del c.p.) è un argomento storico del diritto ambientale, che ha dato vita a un acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale, cui ho già fatto cenno nelle pagine di Natura Giuridica, sia in relazione all’inquinamento elettromagnetico, sia in relazione all’inquinamento atmosferico.

Il getto di cose pericolose, come accennato, è regolato dall’art. 674 del codice penale, in base al quale "chiunque getta o versa in luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo atti a cagionare tali effetti”.


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Elettrosmog e Radio Vaticana: irrazionalità del sistema e incertezze giuridiche (IV)

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Anche in relazione al secondo profilo (conseguenze delle interferenze con la specifica disciplina di settore) la Cassazione evidenzia che l'inquadramento delle onde elettromagnetiche nell'art. 674 c.p. dovrebbe, in concreto, escludersi qualora dovesse risultare che determini un sistema normativo nel suo complesso manifestamente illogico od incongruo.

Se così fosse, dovrebbe ritenersi che la volontà attuale ed oggettiva del legislatore sia contraria all'inquadramento in questione: analogamente a quanto osservato a seguito dell'introduzione di una specifica disciplina legislativa in materia di inquinamento atmosferico.

La volontà del legislatore è stata chiaramente quella di privilegiare, anche nella tutela della salute contro i pericoli derivanti dalla creazione di campi elettromagnetici, il ruolo della pubblica amministrazione, limitando il potere di intervento del giudice penale rispetto a quello in precedenza riconosciutogli da alcuni orientamenti giurisprudenziali.
Si tratta quindi di vedere, sulla base delle norme attualmente vigenti, se la oggettiva volontà del legislatore, nella materia dell'emissione di onde elettromagnetiche, sia soltanto quella di regolare e limitare l'intervento del giudice penale ovvero quella di escludere l'applicabilità dell'art. 674 c.p., in favore della applicazione del nuovo sistema di sanzioni amministrative.

La normativa dettata dalla Legge n. 36/2001 – che la sentenza richiama in modo dettagliato – e il suo apparato sanzionatorio, possono coesistere con la disciplina codicistica?

Anche in questo caso – ad ulteriore dimostrazione della complessità della materia – le opinioni, relative alla configurabiità dell’art. 674 c.p. come reato di pericolo astratto o di pericolo concreto, sono divergenti, e portano a conclusioni inevitabilmente opposte…

Se fosse sufficiente il solo superamento dei limiti tabellari per dar luogo ad una possibilità di offesa o di molestia alle persone (reato di mero pericolo), ci sarebbe una presunzione ex lege in ordine alla effettività del pericolo di nocività delle emissioni, che dovrebbe ritenersi sussistente per il solo fatto che siano stati superati i limiti fissati dalla normativa vigente in materia.
Di conseguenza, dovrebbero essere inapplicabili le sanzioni amministrative, dal momento che la L. n. 36/2001 prevede che il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione è punito con le sanzioni ivi previste «salvo che il fatto costituisca reato».
Ma: non può presumersi che il legislatore abbia voluto punire con (pesanti) sanzioni amministrative il superamento dei limiti ed, al tempo stesso, abbia voluto escludere qualsiasi spazio per l'applicabilità di tali sanzioni…
L'oggettiva ed attuale volontà del legislatore, dunque, dovrebbe necessariamente essere interpretata nel senso della esclusione dell'emissione di onde elettromagnetiche dall'ambito di operatività dell'art. 674 cod. pen. e della loro sottoposizione alla disciplina speciale (salvo che il fatto non integri reati diversi, come ad esempio quello di lesioni).

Se, invece, si ritiene che i limiti posti dal legislatore siano stati previsti a fini di mera cautela (per poter integrare la contravvenzione, non è sufficiente il mero superamento dei limiti stessi, ma occorre che sia raggiunta la prova concreta di una effettiva idoneità delle onde elettromagnetiche a ledere o molestare le persone:pericolo concreto), in mancanza di una prova certa di questa concreta ed effettiva idoneità ad offendere o molestare le persone esposte, deve escludersi la configurabilità del reato.

Come potete constatare, il livello di complessità della materia, e le conseguenti speculazioni filosofiche della Cassazione rasentano l’incomprensibile…

Rimando al testo integrale della sentenza, per chi volesse approfondire queste “speculazioni ermeneutiche”…

In questa sede mi limito a riportare le conclusioni della Cassazione, secondo la quale "il semplice superamento dei limiti tabellari dà luogo ad un illecito amministrativo punito con le sanzioni previste dall'art. 15 della legge 22 febbraio 2001, n. 36.
Se poi, oltre al superamento dei limiti, vi sia anche la prova certa ed oggettiva di un effettivo e concreto pericolo di nocumento per la salute o la tranquillità delle persone, allora potrà essere ravvisabile il reato di cui all'art. 674 c.p."

Con l’ulteriore constatazione di come, tuttavia, anche questa soluzione potrebbe dar luogo ad un sistema nel suo complesso manifestamente irrazionale - e non potrebbe quindi più essere seguita - qualora nel diritto vivente dovessero prevalere alcuni orientamenti interpretativi relativi sia all'art. 674 c.p. sia alla legge n. 36 del 2001…

Foto: “Electromagnetic” originally uploaded by jjjhon




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Elettrosmog e Radio Vaticana: irrazionalità del sistema e incertezze giuridiche (III)

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L’astratta configurabilità potrebbe non essere tuttavia corretta dal punto di vista ermeneutico?


Nel post precedente ho sottolineato gli aspetti essenziali toccati dalla sentenza Radio Vaticana, in relazione all’interpretazione ermeneutica dell’espressione “gettare cose”.

La Cassazione, a questo punto, passa in rassegna alcune decisioni massimate, evidenziando che:
  1. la tesi della inapplicabilità ai campi elettromagnetici dell'art. 674 c.p. è stata finora espressamente seguita soltanto dalla sentenza Suraci (Sez. I, 30 gennaio 2002, n. 8102) la quale osserva che è da escludere l'astratta possibilità di inquadramento della condotta di chi genera campi elettromagnetici nella fattispecie penale di cui all'art. 674 cod. pen. in quanto questa disposizione descrive due ipotesi di comportamento materiale che differiscono in maniera sostanziale da quello consistente nella emissione di onde elettromagnetiche, perché l'azione del «gettare in luogo di pubblico transito... cose atte ad offendere, o imbrattare o molestare persone» è ontologicamente, oltre che strutturalmente, diversa dal generare campi elettromagnetici. L’equiparazione fra l’emissione di gas, vapori o fumi con la propagazione di onde elettromagnetiche sarebbe del tutto arbitrario, comportando una non consentita applicazione analogica in malam partem della norma incriminatrice;
  2. la maggioranza delle decisioni (tutte peraltro relative a misure cautelari reali) sono invece solitamente accomunate in un unico orientamento maggioritario, favorevole all'applicabilità dell'art. 674 c.p. alle onde elettromagnetiche, anche se per la verità l'accorpamento non è poi così scontato perché le loro motivazioni sono spesso divergenti, specialmente su altre questioni connesse, ma ugualmente rilevanti (per un esame delle massime citate, e delle specifiche peculiarità di ognuna, v. la sentenza "Radio Vaticana", Cass. Pen., n. 36845/08).

In sostanza, secondo questo secondo orientamento occorre tenere conto:
  • non solo del significato proprio delle singole parole,
  • ma anche di quello derivante dalla loro connessione.
Da ciò emerge che l'espressione «gettare una cosa» può essere di per sé idonea ad includere anche l'azione di chi emette o propaga onde elettromagnetiche.

Di conseguenza, l'astratta configurabilità del reato di cui all'art. 674 c.p. per l'emissione di onde elettromagnetiche non costituisce il risultato di una inammissibile applicazione analogica della norma penale ad una fattispecie diversa da quella in essa prevista e caratterizzata dalla stessa ratio, ma è il frutto di una semplice interpretazione estensiva, diretta ad enucleare dalla disposizione il suo effettivo significato, che ad essa - in mancanza di altre norme da cui possa emergere una diversa volontà del legislatore - può attribuirsi, anche se non evidente a prima vista.

Però, il fatto che tale interpretazione sia astrattamente ammissibile non significa che sia anche corretta sotto il profilo ermeneutico, perché potrebbe darsi che:
  1. dalla interpretazione unitaria dell’art. 674 c.p., o
  2. dalla considerazione del vigente sistema normativo relativo all’elettromagnetismo si ricavi una volontà del legislatore, oggettiva ed attuale, nel senso che esso abbia invece voluto che tale fenomeno sia sottoposto ad una disciplina diversa da quella relativa al «getto pericoloso di cose».
E, quindi, l’interpretazione estensiva porti ad una disciplina manifestamente incongrua ed irrazionale, o ad irragionevoli disparità, o a palesi violazioni del principio di necessaria offensività del reato. Con la conseguenza che essa andrebbe disattesa, in applicazione del fondamentale canone ermeneutico per cui, nel dubbio, deve sempre essere preferita l'interpretazione adeguatrice, “costituzionalmente orientata”, che eviti, cioè, possibili contrasti con norme e principi costituzionali.


In relazione al primo profilo, basti pensare che l’interpretazione favorevole all’applicabilità dell’art. 674 c.p. alle onde elettromagnetiche ha visto contrapposti:
  • coloro i quali sostenevano che, anche in presenza di una normativa di settore (o di un provvedimento dell’autorità che regoli l’attività) che imponga dei limiti, e anche nel caso in cui questi limiti non siano superati, l’art. 674 c.p. sarebbe ugualmente configurabile, nel caso in cui l'attività abbia comunque prodotto emissioni eccedenti i limiti di tollerabilità alla luce dei parametri indicati dall'art. 844 cod. civ., ed eliminabili mediante opportuni accorgimenti tecnici. E
  • quelli che, al contrario, ritenevano che l'espressione «nei casi non consentiti dalla legge» contenga una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni di fumi, vapori o gas che non superino la soglia fissata dalle norme speciali in materia.
Quindi, l’art. 674 c.p. non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento


A questo punto, l’analisi, quindi si sposta sulle conseguenze irrazionali che deriverebbero dall’applicazione di tale principio alla sola seconda ipotesi di cui all’art. 674 c.p., e sui ragionamenti “giuridico-filosofici” illustrati dalla Corte di Cassazione per evitare tali irrazionali conseguenze.


Foto: “View on Radio Vaticana” originally uploaded by geo1971



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Elettrosmog e Radio Vaticana: irrazionalità del sistema e incertezze giuridiche. L’appello, il ricorso per Cassazione e gli orientamenti giurisprudenziali

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La sentenza d’appello (4 giugno 2007), invece, assolse gli imputati, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato: far rientrare la fattispecie di emissione di onde elettromagnetiche nella previsione di cui alla prima parte dell'art. 674 c.p. costituisce, secondo il Giudice d’Appello, non il frutto di una semplice interpretazione estensiva, ma quello di una vera e propria applicazione analogica della norma penale ad una diversa fattispecie caratterizzata dalla identità di ratio.
Applicazione che, nel nostro ordinamento, non è consentita in materia penale.
E veniamo al ricorso per Cassazione nel quale, in sostanza, il quesito posto da tutti i ricorrenti riguardava:
  • la possibilità e la correttezza giuridica di un’interpretazione che inquadri il fenomeno della emissione di onde elettromagnetiche nella fattispecie dell'art. 674 c.p e
  • più in particolare, se tale eventuale inquadramento costituisca il risultato di una mera interpretazione estensiva della disposizione ovvero se ad esso si possa in realtà pervenire soltanto mediante un’applicazione analogica della disposizione stessa ad una diversa fattispecie caratterizzata dalla eadem ratio, applicazione non consentita in campo penale.

Due le osservazioni preliminari della Cassazione:
  1. il criterio ermeneutico da adottare non è quello soggettivo ma quello oggettivo: la legge, cioè, va interpretata non secondo la volontà storica del legislatore che l'ha promulgata, ma secondo il senso proprio ed oggettivo delle parole che compongono la disposizione, interpretate nel momento in cui la stessa deve essere applicata, alla luce del sistema normativo vigente in tale momento inteso nel suo complesso, comprese eventuali normative speciali che possano dimostrare una volontà oggettiva dell'ordinamento di disciplinare in modo diverso la materia in esame;
  2. a seguito delle modifiche intervenute nel sistema normativo con l'introduzione di una legislazione speciale, non sembra che si possa continuare ad attribuire valore decisivo al principio di precauzione, quanto piuttosto a quelli di tipicità e di determinatezza delle fattispecie penali, di necessaria offensività del reato, di soggezione del giudice alla legge, nonché il principio generale del divieto di analogia in materia penale.
Inizia, quindi, la lunga ricostruzione evolutiva, volta a verificare la possibilità di attribuire all'espressione «gettare cose» un significato più ampio di quello che apparentemente da essa risulta, tale da farvi comprendere anche la propagazione di onde elettromagnetiche
Per uno studio approfondito dei due orientamenti che si confrontano, entrambi molto articolati, si rinvia al testo integrale della sentenza.

Volendo in questa sede sintetizzare al massimo la sentenza, basti sottolineare come:
  1. secondo l'orientamento favorevole all'estensione ermeneutica – che osserva che il termine «cosa» è di per sé suscettivo di esprimere una pluralità di significati, comprese le onde elettromagnetiche, perché la scienza contemporanea ha ormai da tempo superato il dualismo ottocentesco tra materia ed energia, ed ha chiarito che le energie (tra le quali sono comprese le onde elettromagnetiche) sono altrettanto dotate di corporeità e di materialità quanto le res quitangi possunt, e quindi vanno considerate cose sia per la loro individualità fisica, sia per la loro attitudine ad essere misurate, percepite ed utilizzate. Sarebbe erroneo ritenere che il secondo periodo dell’art. 674 limiti indirettamente la nozione di «cosa» ai soli oggetti solidi e liquidi, perché gas, vapori e fumo debbono essere ritenuti una specie del genere più ampio (cose) di cui parla il primo periodo.
  2. l'orientamento contrario all'estensione ermeneutica, invece, attraverso una lunga e articolata analisi linguistica delle espressioni usate per esprimere la condotta (gettare o versare), arriva a sostenere che solo tramite una “smaterializzazione” della condotta tipica prevista dal legislatore si può arrivare ad applicare l’art. 674 alle onde elettromagnetiche: ma allora è evidente, in sintesi, che non si è più nell'ambito di una interpretazione estensiva, ma si è entrati in quello della applicazione analogica della norma penale.
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Elettrosmog e Radio Vaticana: irrazionalità del sistema e incertezze giuridiche. Il primo grado

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Nella sentenza che comincerò a delineare oggi (Cassazione Penale, Sez. III, n. 36845 del 26 settembre 2008) il tema trattato è particolarmente delicato e ostico: i rapporti intercorrenti fra l’art. 674 del codice penale (getto pericoloso di cose) e la normativa di settore.

Tanto che la Suprema Corte di Cassazione lo affronta in una corposa sentenza, nella quale, prima di giungere alla definizione del caso concreto, si dilunga nell’esegesi evolutiva dell’art. 674 c.p. effettuata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, e sottolinea le difficoltà interpretative, sempre al limite dell’irrazionalità del sistema normativo

Prima di procedere all’analisi della sentenza, è opportuno riportare il testo dell’art. 674 del codice penale, in modo da rendere più agevole la comprensione della sentenza:

Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone,
ovvero,
nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti,
è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a 206 euro.
L’attore protagonista della vicenda è Radio Vaticana: la vicenda, in estrema sintesi, è la seguente:

Il cardinale Roberto Tucci, mons. Pasquale Borgomeo, D. G. e l'ing. Costantino Pacifici, vice direttore tecnico, vennero rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 674 c.p. “per avere, quali responsabili della Radio Vaticana, diffuso, tramite gli impianti siti in Santa Maria in Galeria, radiazioni elettromagnetiche atte ad offendere o molestare persone residenti nelle aree circostanti […] arrecando alle stesse disagio, disturbo, fastidio e turbamento”;

La sentenza di primo grado (9 maggio 2005), dichiarò il card. Tucci e mons. Borgomeo responsabili del reato loro ascritto e li condannò all’“esemplare” pena di dieci giorni di arresto ciascuno (sospensione condizionale della pena) e con la condanna al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata sede.
Assolse invece l'ing. Pacifici per non aver commesso il fatto.


In sostanza, il Giudice di prime cure osservò che:

1) l'emissione di onde elettromagnetiche poteva farsi rientrare, in via di interpretazione estensiva e non di applicazione analogica, nell'ambito della prima delle due ipotesi previste da 674 c.p.;

2) per la sussistenza del reato non era necessario il superamento dei limiti imposti dalle leggi speciali, perché la clausola «nei casi non consentiti dalla legge» si riferisce esclusivamente alla seconda ipotesi di reato di cui all'art. 674 c.p., ossia alle sole emissioni di gas, vapori e fumo;

3) per molestia si deve intendere anche come il semplice arrecare generalizzata preoccupazione ed allarme circa eventuali danni alla salute da esposizione ad emissioni inquinanti;

4) di conseguenza, erano irrilevanti sia la mancanza di una attitudine all’«offesa» alla persona, sia l'entrata in vigore della L. n. 36/2001 ("Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici"), la quale, nello stabilire i limiti di emissione delle onde elettromagnetiche, configura il loro superamento (art. 15) come un illecito amministrativo.

5) tale ultimo illecito può concorrere con il reato di cui all'art. 674 c.p. quando – come nella specie – sia provato che è stata arrecata molestia alle persone: tra le due disposizioni, infatti, non è applicabile il principio di specialità;

6) doveva presumersi che i limiti fissati dal d.m. n. 381 del 1998 (Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana) fossero stati superati prima del 2002, in quanto a) un teste, infatti, aveva dichiarato che Radio Vaticana aveva accettato di rientrare nei limiti previsti «per cortesia diplomatica» in seguito all'accordo raggiunto con lo Stato italiano 1'8 giugno 2001; b) i disturbi agli apparecchi domestici si erano attenuati dopo il 2002, e c) comunque le questioni relative al superamento dei limiti non incidevano sulla sussistenza del reato anche successivamente al 2002, attesa la presenza di rilevanti molestie fino al febbraio 2004.
    Foto: “View on Radio Vaticana” originally uploaded by geo1971




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    La politica ambientale nel paese del Gattopardo (4): un esempio concreto in tema di inquinamento atmosferico

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    Dopo aver delineato i tratti salienti della nozione di sviluppo sostenibile (sulla quale tornerò, in futuro, considerata l’estrema attualità dell’argomento) e sulle sue concrete applicazioni pratiche, vorrei cominciare a scendere nel dettaglio delle politiche ambientali nel nostro paese, per sottolinearne la complessità e l’immobilismo nel quale continuano a barcamenarsi…

    Un primo esempio, in materia di inquinamento atmosferico.

    L'art. 674 del c.p. ha sempre rappresentato un valido strumento per la lotta all’inquinamento atmosferico, anche in seguito all’emanazione del D.P.R. n. 203/88; all’indomani dell’entrata in vigore del c.p., l’art. 674 veniva applicato solo in caso di trasgressione delle prescrizioni imposte dalla legge o dalla P.A., ma con il passare degli anni i giudici ne hanno ampliato la portata applicativa, sottolineando la primaria importanza di tale contravvenzione, posta come baluardo della tutela della tranquillità dei cittadini e del loro interesse a non essere sottoposti a preoccupazione o allarme in relazione alla salute.
    In sostanza, il reato di getto pericoloso di cose ha assunto un vero e proprio ruolo di supplenza nella tutela dell'ambiente rispetto all'inquinamento atmosferico.

    Questa tesi sembra confermata dall’articolata sentenza del Tribunale di Rovigo-Sezione di Adria del 31 marzo 2006, che rappresenta un’occasione per mettere a confronto le diverse teorie giurisprudenziali succedutesi, in materia, nell’arco degli ultimi anni e per aprire prospettive sulle possibili evoluzioni della normativa in materia di inquinamento atmosferico, nonostante la recente emanazione del T.U.A. (per una ricostruzione della vicenda, nelle sue linee essenziali, clicca qui)

    In breve, l’art. 674 c.p. prevede due distinte ipotesi ivi previste, che puniscono chiunque:
    1. getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero,
    2. nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti
    Questa distinzione ha fornito lo spunto per prospettare differenti soluzioni del rapporto intercorrente fra la norma del codice penale, quella civilistica di cui all’art 844 cod. civ. e quelle previste dalle discipline speciali di settore, le quali prevedono norme sanzionatorie di tipo formale, che prescindono dai reali effetti dell’inquinamento atmosferico, e perseguono il (solo) mancato rispetto burocratico dei parametri, fissato per legge.

    Un primo orientamento giurisprudenziale ha evidenziato che le normative antinquinamento non hanno, di fatto, legittimato qualsiasi emissione inferiore ai limiti tabellari, anche nell’ipotesi in cui non siano attuate le opere di prevenzione e contenimento adeguate al processo tecnologico.

    Un altro filone giurisprudenziale, sviluppatosi a partire dal 2000, ha sostenuto, invece, che l’espressione «nei casi non consentiti dalla legge» costituisce una «precisa indicazione circa la necessità che tale emissione avvenga in violazione delle norme che regolano l’inquinamento atmosferico »: pertanto sussiste una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni di fumi, vapori o gas che non superino la soglia fissata dalle leggi speciali in materia.

    Di recente, sembra esserci stato un «recupero» dell’originaria impostazione giurisprudenziale, volto ad estendere l’ambito di applicazione dell’art. 674, cod. pen., al semplice superamento del limite della normale tollerabilità (quindi, anche nei casi in cui esista un’autorizzazione amministrativa): tuttavia non mancano pronunce di segno opposto .

    Comunque sia, i motivi per i quali, nel corso degli ultimi anni, si è assistito ad una progressiva estensione del campo di applicazione dell’art. 674 del c.p., che ha assunto un vero e proprio ruolo di supplenza nella tutela dell’ambiente rispetto all’inquinamento atmosferico, sono da rinvenire, essenzialmente, nella cronica mancanza di una normativa capace di indirizzare in modo univoco gli operatori del settore, e nella deficitaria azione di controllo, puntuale e continua, volta a rendere effettivo e credibile il ruolo della P.A. a tutela dell’ambiente e della salute dell’uomo.

    Nonostante lo “sforzo”, e al di là dei proclami, il c.d. “Testo unico Ambientale” non è riuscito a rendere concrete le aspettative di semplificazione, razionalizzazione e coordinamento del coacervo di norme – prive di un disegno unitario – succedutesi negli ultimi quarant’anni (anche) in materia di inquinamento atmosferico.

    In particolare, nulla è cambiato nell’apparato sanzionatorio, che non solo non è stato coordinato né integrato, ma continua a non essere improntato al principio della dissuasività.

    Le violazioni (di carattere formale) sono sanzionate con contravvenzioni oblazionabili (l’arresto, infatti, è sempre considerato alternativo all’ammenda…) identiche a quelle previste, quasi vent’anni fa, dal DPR 203/88…: la loro irrisorietà conferma l’inadeguatezza del sistema a garantire un’efficace tutela.

    La scoordinata frammentarietà della disciplina, lasciata irrisolta dal T.U.A., fa sì che la gestione integrata delle differenziate fonti di inquinamento atmosferico continui ad essere…tramandata al futuro legislatore.

    In questa situazione la tutela dell’aria (e della salute dell’uomo) è stata spesso “delegata” alla decretazione d’urgenza – inidonea, in quanto tale, a risolvere il problema alla radice – o “affidata”, appunto, al solo art. 674 c.p., che la giurisprudenza ha utilizzato come passepartout per cercare di “tappare le falle” dell’impianto normativo, tanto da arrivare ad affermare, come nella sentenza in esame, che la sola presenza attiva della centrale, che emette fumi visibili e di notevoli dimensioni, è sufficiente a creare allarme, e a giustificare l’applicazione dell’art. 674 del c.p.

    Ma al di là di quest’ultima affermazione – che desta qualche perplessità di natura giuridica (in merito all’affermazione della penale responsabilità), e non sembra risolvere i problemi alla radice, se solo si considera l’esiguità delle pene comminate – tale sentenza ha il pregio di porre l’accento sugli aspetti problematici sopra evidenziati, e di sottolineare, con forza, l’incapacità del sistema di far fronte alla drammatica complessità dei problemi, derivanti dall’inquinamento atmosferico, inerenti la tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente.

    Un sistema che è reso ancora più complicato dalle “grandi distanze” fra gli interessi delle rilevanti entità economiche e politiche, da un lato, e quelli dei singoli cittadini dall’altro che, in un processo di così grandi dimensioni, rendono ancora più evidente l’incomunicabilità fra le posizioni contrapposte e “la sproporzione fra le capacità di attività degli uni e degli altri, che si muovono secondo logiche e in contesti diversi e – appunto – incomunicabili”.

    Tale mancanza di dialogo è suggellata dall’amara constatazione “di come la perdurante accettazione sociale, politica ed economica di grandi siti inquinati in ragione della salvaguardia del posto di lavoro sia stata ingannevole e si sia svelata, nel tempo, come un compromesso sbagliato […] ed abbia distorto la realtà creando una situazione di grave connivenza tra controllore e controllato, quasi una perversa simbiosi, tale da allentare qualsiasi forma efficiente di monitoraggio ambientale”.

    Il perdurante caos normativo e l’obsolescenza dei suoi strumenti, l’assoluta incomunicabilità fra posizioni contrapposte, unite alla mancanza di una seria politica energetica, hanno, quindi, creato un clima di assoluta incertezza, cui il Giudice tenta di porre rimedio “come può”, con gli strumenti a sua disposizione.
    Nelle conclusioni – dopo aver sottolineato l’”inaccettabile stortura” del nostro sistema, che pretende di “far passare per un processo penale un periodo così vasto di inefficienze amministrative, omissioni legislative, ambiguità politiche e industriali, […] peso quasi insostenibile per un giudice solo” – è lo stesso Giudice che riconosce di aver cercato “l’impossibile sintesi di eventi troppo grandi e complessi”.

    Ciò che, in conclusione, si vuole sottolineare è che, in mancanza di una responsabile politica preventiva, la tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente contro i fenomeni di inquinamento atmosferico continua ad essere demandata a (e ad essere perseguita con) uno strumento che, utilizzato in modo così lato, rischia di svuotarsi di significato, e di rendere ancora più flebile la risposta ai gravi problemi relativi all’inquinamento atmosferico, il cui incremento esponenziale (e le conseguenti, gravi, ripercussioni sul clima del pianeta, connesse all’aumento dell’effetto serra, nei confronti del quale la politica mondiale si mostra riottosa ed incapace a trovare una soluzione adeguata e condivisa) impone l’adozione di una serie di misure incisive, capaci di dare una svolta alla stasi che, di fatto, al di là dei proclami, continua a dominare l’attuale scenario normativo.

    L’unica azione credibile, dopo anni di velleitarie politiche settoriali, consiste in interventi coordinati e razionali, strutturali e strutturati, sia in campo giuridico che in campo economico: una politica dell’ambiente integrata e di ampio respiro, dinamica, che sia al tempo stesso incentivante e dissuasiva, adeguata e, soprattutto, effettivamente operativa, capace di dare, finalmente, una seria e concreta risposta all’esigenza di tutela, troppo a lungo disattesa.


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