Visualizzazione post con etichetta Sottoprodotto. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sottoprodotto. Mostra tutti i post

Rifiuti, sottoprodotti e biogas: quale trattamento giuridico per il deposito di letame?

0 commenti

Il deposito di letame equino misto a digestato solido nei pressi di un impianto per la produzione di biogas come deve essere gestito? Si applica la normativa sui rifiuti?

Il giudice di prime cure ha risposto in senso affermativo, ipotizzando i reati di cui agli articoli 192, comma 1, 208 e 256, comma 1 del testo unico ambientale per il deposito e la gestione in genere di rifiuti speciali in assenza del prescritto titolo abilitativo.

La difesa dell’imputata ha sostenuto che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto la natura di rifiuto del materiale sequestrato. In estrema sintesi, la difesa ha sostenuto che:
  •        si tratta di sostanze delle quali il detentore non intendeva disfarsi, essendo utilizzate per la produzione di biogas ed operando;
  •        in ogni caso, opera l’esclusione dal novero dei rifiuti ai sensi dell’art. 185 d.lgs. 152\06, che i giudici del riesame avrebbero erroneamente interpretato;
  •          il materiale in questione rientra fra i sottoprodotti

La Cassazione (n. 16200/14) però ha ritenuto infondato il ricorso, ed ha analizzato quella che in dottrina è stata definita «altalena normativa sui rifiuti agricoli».
L’art. 185, comma 1, lettera f), attualmente vigente, esclude dal novero dei rifiuti le materie fecali, se non contemplate dal successivo comma 2, lettera b) (che richiama i sottoprodotti di origine animale) oltre a paglia, sfalci e potature nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

La disposizione, quindi, pone sostanzialmente l’accento sulla provenienza dei materiali elencati (ivi comprese, dunque, le materie fecali) dall’attività agricola e sulla loro successiva utilizzazione sempre con riguardo a detta attività.

L’ambito di applicazione della disposizione è stato compiutamente delineato dalla giurisprudenza della Cassazione, con riferimento alle disposizioni previgenti, ma con argomentazioni tuttora valide, considerando il tenore letterale della norma, rilevando che l’esclusione:
·         dalla disciplina dei rifiuti opera a condizione che le materie provengano da attività agricola e che siano riutilizzate nella stessa attività agricola
·         è applicabile solo al letame agricolo, poiché quello non agricolo è sicuramente un rifiuto e che l’effettiva riutilizzazione nell’attività agricola deve essere dimostrata dall’interessato.


Read more

Rifiuto, sottoprodotto, materia prima secondaria?

0 commenti

Si può effettuare un’attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi in assenza di iscrizione all'albo nazionale Gestori ambientali di cui all'art. 212, comma 5, D.Lgs. n. 152/2006 per il trasporto di rifiuti prodotti da terzi?

Nel caso analizzato dalla Corte di Cassazione nella sentenza che vi propongo oggi (22010/10), gratuitamente consultabile sul sito di Natura Giuridica nella pagina dedicata ai rifiuti, previa semplice registrazione, il NOE aveva accertato che una società aveva svolto attività di raccolta e di trasporto di oltre 15 tonnellate di rifiuti in assenza d'iscrizione all'albo nazionale dei gestori ambientali, compiendo attività di selezione, cernita e separazione del silicio puro dai cristalli di quarzo:


Read more

Scorie di acciaieria: quando sono sottoprodotti

0 commenti
Sul blog di Natura Giuridica abbiamo già parlato di scorie di acciaieria: “Scorie di acciaieria: l’Ecogravel è un sottoprodotto”


Allora avevamo sottolineato che per l'attribuzione della qualifica di sottoprodotto occorre che il loro impiego sia certo sin dalla fase di produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione odi utilizzazione preventivamente individuato e definito.
Di conseguenza, non è necessario  - si sottolineava - che l'utilizzazione del materiale, da qualificarsi sottoprodotto, avvenga nello stesso processo produttivo da cui ha avuto origine, essendo, invece, sufficiente che il processo di utilizzazione, peraltro integrale, del sottoprodotto sia stato preventivamente individuato e definito, così come accertato, nel caso in esame dai giudici di merito.

Cos’è successo questa volta?


Read more

Il diritto è soltanto pura forma…e si trasforma in non-sense

0 commenti

Nei post "Scarti alimentari: rifiuti o sottoprodotti?" e "Gli scarti alimentari sono sempre sottoprodotti!" abbiamo sottolineato l’importanza di una chiara applicazione della normativa sui rifiuti-sottoprodotti, specie nei casi in cui (come quello di specie, relativo agli scarti alimentari) tale distinzione ha conseguenze rilevanti sulla salute dell’uomo, e delle incredibili affermazioni del TAR di Perugia, che senza giri di parole ha detto chiaro e tondo che gli scarti alimentari devono sempre essere considerati alla stregua di sottoprodotti.

La prima parte del titolo dell’ultimo post di questa trilogia dedicata agli scarti alimentari “Il diritto è soltanto pura forma” si riferisce al fatto che oggi, il diritto – inteso in senso lato, comprensivo di normativa e giurisprudenza – è, appunto, soltanto pura forma: tutta teoria e poca "pratica", come dimostrato dall’assolutismo di certe asserzioni, in totale disprezzo di quelle che sono le ponderate conclusioni cui, finora, è pervenuta la giurisprudenza comunitaria.

Anche supponendo, infatti, che sia possibile garantire che gli scarti alimentari siano effettivamente riutilizzati per la produzione di mangimi (in ogni caso, la sola volontà di destinare tali materiali alla menzionata produzione non basta…) le modalità di utilizzo di una sostanza non sono determinanti per qualificare o meno quest’ultima come rifiuto.


Read more

Gli scarti alimentari sono sempre sottoprodotti!

0 commenti
Il TAR Perugia (sentenza n. 274/2010) ha stabilito che gli scarti alimentari devono sempre essere considerati sottoprodotti.

Nelle precedente puntata ("Scarti alimentari: rifiuti o sottoprodotti?") abbiamo introdotto il delicatissimo problema relativo all’inquadramento giuridico degli scarti alimentari (rifiuti o sottoprodotti?), e accennato alle forti conseguenze che tale classificazione può avere sulla salute dell’uomo.

Prudenza e buon senso, concludevo, impongono una generale applicazione agli scarti alimentari della normativa sulla gestione dei rifiuti, e solo in alcuni, specifici casi, da analizzare di volta in volta, gli scarti alimentari possono essere trattati come sottoprodotti.

Cos’ha detto, invece, il TAR di Perugia?


Read more

Gli scarti alimentari: rifiuti o sottoprodotti?

0 commenti
Il TAR di Perugia (sentenza n. 274/10) definisce gli scarti alimentari come sottoprodotti, a prescindere, sulla scia di quanto affermato in una nota ministeriale, ma in antitesi con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo la quale occorre un attento accertamento caso per caso.

La recente sentenza n. 274/2010 del TAR di Perugia, in materia di scarti alimentari (sono rifiuti o sottoprodotti?), è davvero suggestiva, e rappresenta molto bene quel classico modo tutto italiano di intendere il diritto, e plasmarlo a proprio piacimento, senza tenere in conto le conseguenze di lungo periodo.
Neanche quelle di breve, se è solo per questo….

In questi mesi in cui si parla spesso della magistratura, messa sotto accusa dalla politica per motivi strumentali, i giudici si lamentano del mancato rispetto nei loro confronti.
Molti, la maggioranza, hanno tutte le ragioni di questo mondo.
Ma altri assomigliano molto più al giudice cantato da De Andrè, "arbitro in terra del bene e del male", che non brillava per le cristalline “doti” morali (e, di conseguenza, anche giuridiche…): questi ultimi, a causa del loro bizzarro modo di fare, di interpretare le leggi, e di applicarle, intaccano la loro credibilità e la loro autorevolezza. E con essa, quella della categoria cui appartengono.

Cosa sarà mai successo, forse vi starete chiedendo, per giustificare questa amarezza?


Read more

La sostenibile leggerezza di un diritto ambientale semplice

0 commenti

Adoro leggere.
Sono un onnivoro divoratore di libri, e immagino che i più attenti lettori del blog lo abbiano capito, leggendo i miei post.

Il fatto è che le parole – certe precise parole – hanno un fascino, una capacità persuasiva, un’importanza, un potere che nient’altro al mondo ha.

L’altro giorno, nel sentire le destreggianti parole di un ministro della Repubblica, infarcite di eufemismi, e di quel pruriginoso ed autoreferenziale “politichese”, adatto più a confondere le carte in tavola (e a coprire le proprie inadeguatezze), che a illuminare qualche mente, mi è venuta in mente una frase che mi ricordavo aver letto, nel lontano 1991, in uno dei libri più belli che abbia mai letto.
Di uno dei più bei libri che sia mai stato scritto: “Cent’anni di solitudine”.

Mi immagino il mio babbo storcere il naso, da lassù, e lo sento già, “sfidarmi” con il sorriso sotto i baffi: “Vediamo un po’ se mi sai dire quale dei tanti Aureliano, Aurelio Buendìa è quello che….(si inventa qualcosa per prendere un po’ affettuosamente in giro questa mia passione)”, o a ridere, con un fare ironico, sulle vicissitudini di Rebeca, che mangiava la terra, o degli abitanti di Macondo. O di qualsiasi altra cosa, che lui giudicava un po' troppo eccentrica per un romanzo.

Molti si ricordano dell’incipit del libro, forse uno dei più famosi:
“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio”
La frase che è venuta in mente a me, invece, e che mi sono andato a cercare, è quella pronunciata da Amaranta, infastidita dalla pronuncia leziosa e dalla abitudine di Fernanda di indicare ogni cosa con un eufemismo. 
Come il politico di cui sopra.
Per questo Amaranta aveva deciso di rivolgersi a Fernanda in lingua furbesca: 
“efè difi quelfelefe” – diceva – “afa cufuifi fafa schififofò lafa loforofo stefessafa loforofo meferdafa”.
Un giorno, seccata per lo scherzo, Fernanda volle sapere che cosa stava dicendo Amaranta, e lei non usò eufemismi per risponderle.
“Sto dicendo” disse, “che sei di quelle che confondono il cazzo con l’equinozio”
Qui, di gente che confonde, o fa finta, vuole, cerca di confondere, ce n’è a volontà.
Gente che, a corto di (diciamo pure: senza) argomenti, si trincera dietro un Embè, e che “con l’equinozio” che concepisce concetti semplici come quello di sostenibilità: sostenibilità ambientale, certo, ma anche economica, sociale, culturale, giuridica.

Venendo al titolo del post, e del motivo che mi ha indotto a scrivere questo, come tanti altri pezzi per il blog, è che “si farebbe molto prima se lei tornasse vestita soltanto del bicchiere”.


Read more

Sottoprodotti e regime derogatorio: quando è applicabile?

0 commenti
Nella sentenza della Corte di Cassazione che vi propongo oggi (Cassazione Penale, n. 10711/08, Pecetti) si parla di gestione dei rifiuti, sequestro preventivo, fanghi provenienti dal lavaggio di materiale inerte, discarica abusiva, nonché delle nozioni di rifiuto e sottoprodotto.


Nel giugno dello scorso anno, il tribunale del riesame di Perugia rigettava una richiesta avanzata dal titolare di una società contro un decreto di sequestro preventivo di alcuni terreni di proprietà della società “perché pertinenti ai reati di cui agli artt 256 e 260 del decreto legislativo n 152 del 2006”.
A fondamento della propria decisione, il Tribunale osservava che il “materiale” rinvenuto nell'area sequestrata (fanghi provenienti dal lavaggio di materiale inerte, da cumuli di detriti provenienti dalla realizzazione di manufatti in cemento armato nonché da cumuli di altro materiale eterogeneo), costituiva un rifiuto e non un sottoprodotto.
Di conseguenza, sussisteva l'esigenza cautelare di evitare che sull'area in sequestro potesse essere proseguita l'attività di accumulo di rifiuti.

Fra i motivi di ricorso per Cassazione, per quanto interessa in questa sede, la violazione dell'articolo 183 lettera p) del decreto legislativo n. 152 del 2006 “perché il materiale sequestrato non è costituito da rifiuti, ma da sottoprodotti destinati ad essere riutilizzati senza alcun trattamento, in quanto la triturazione alla quale erano sottoposti i detriti in sequestro non può considerarsi trattamento”…

L’iter argomentativo seguito dalla Cassazione lo potete approfondire scaricando gratuitamente il testo completo della sentenza sul sito di Natura Giuridica, consulenza ambientale per imprese e pubbliche amministrazioni.

In questa sede basti ricordare che la Corte di Cassazione non solo ha evidenziato che nello stesso ricorso si è riconosciuto che i detriti, oltre alla frantumazione, erano sottoposti anche ad operazioni di epurazione per l'eliminazione del ferro, ma ha anche messo in risalto che nel piazzale erano raccolti rifiuti vari (inerti provenienti da residui della lavorazione dei manufatti; inerti provenienti dall'attività di demolizione e costruzione; rifiuti plastici, rifiuti in ferro, legno, fanghi, pneumatici fuori uso): per tale motivo ha concluso sottolineando che in tema di gestione dei rifiuti, ai fini del regime derogatorio contemplato per i sottoprodotti, si richiede che le sostanze o i materiali non siano sottoposti ad operazioni di trasformazione preliminare, in quanto tali operazioni fanno perdere al sottoprodotto la sua identità.

Inoltre, a norma dell'articolo 185 lettera d) del decreto legislativo n 152 del 2006 sono esclusi dalla disciplina prevista per i rifiuti solo i fanghi che provengono direttamente dallo sfruttamento della cava (restando entro il ciclo produttivo dell'estrazione e connessa pulitura) e non pure quelli derivanti da diversa e successiva lavorazione delle materie prime.
Nella fattispecie, infatti, la Suprema Corte evidenziato il fatto che i giudici del merito, sulla base degli accertamenti compiuti dai carabinieri, avevano escluso che i fanghi de quibus potessero provenire dalla prima pulitura degli inerti a seguito dell'attività estrattiva. Siffatto accertamento di merito, infatti, ha concluso la Corte, non è sindacabile in questa sede, posto che il ricorso può essere proposto a norma dell'articolo 325 c.p.p. solo per violazione di legge).

Per un approfondimento in tema di sottoprodotti, visita le pagine dedicate di Natura Giuridica

Di seguito, ulteriori collegamenti per approfondimenti tematici:

Foto: Untitled originally uploaded by KingAlle



Read more

CDR-Q, rottami ferrosi e rifiuti: un’altra condanna per l’Italia

0 commenti
La sentenza della Corte di Giustizia di cui vi riporto le massime (Causa C-283/07) prende le mosse da un ricorso presentato dalla Commissione delle Comunità europee, con il quale si chiedeva alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato (e mantenendo in vigore…) disposizioni per mezzo delle quali
  • certi rottami destinati all'impiego in attività siderurgiche e metallurgiche e
  • il combustibile da rifiuti di qualità elevata (il «CDR-Q»)
sono sottratti a priori all'ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti è venuta meno agli obblighi derivanti dall'art. 1, lett. a), della medesima direttiva.


Per quanto riguarda i rottami destinati alla produzione siderurgica o metallurgica la Corte ha sinteticamente, affermato che, nel contesto della direttiva 75/442/CEE la portata della nozione di rifiuto:
  • dipende dal significato del termine «disfarsi», che deve essere interpretato alla luce della finalità della direttiva stessa;
  • non può essere interpretata in senso restrittivo (cfr sentenza ARCO),
  • e l'effettiva esistenza di un rifiuto ai deve essere accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l'efficacia.
Alcune circostanze possono costituire indizi della sussistenza di un'azione, di un'intenzione oppure di un obbligo di disfarsi di una sostanza o di un oggetto.

In particolare, la nozione di rifiuto non esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica: il sistema di vigilanza e di gestione stabilito dalla direttiva 75/442, infatti, si applica a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo.

La giurispridenza della Suprema Corte di Giustizia ha affermato che anche un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire un sottoprodotto, del quale il detentore non cerca di disfarsi, ma che intende sfruttare o commercializzare a condizioni favorevoli in un processo successivo: tuttavia, occorre circoscrivere il ricorso a tale argomentazione relativa ai sottoprodotti, a quelle situazioni in cui il riutilizzo, compreso quello per i fabbisogni di operatori economici diversi da quello che li ha prodotti, non sia solo eventuale, bensì certo, prescinda da operazioni di trasformazione preliminare, ed avvenga nel corso del processo di produzione.

Nel caso di specie, la Corte di Giustizia ha ritenuto fondato il ricorso della Commissione europea volto a dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato e mantenuto in vigore disposizioni con le quali sottraeva a priori dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti i rottami ferrosi destinati all’impiego in attività siderurgiche è venuta meno agli obblighi derivanti dall'art. 1, lett. a), della medesima direttiva.

La Corte ha sottolineato che i rifiuto, malgrado la loro conformità a talune specifiche tecniche nazionali ed internazionali, costituiscono residui di produzione o di consumo non ricercati in quanto tali.
Inoltre, non si può escludere che il «riutilizzo effettivo» in attività siderurgiche e metallurgiche venga effettuato solo dopo il decorso di un periodo di tempo notevole, se non addirittura indeterminato, e che pertanto siano necessarie delle operazioni di stoccaggio durevole dei materiali in questione.

Per quanto concerne, invece il CDR-Q,la Corte di Giustizia ha affermato che il recupero completo di rifiuti non è sufficiente, di per sé, a determinare se la sostanza risultante costituisca o meno un rifiuto, ma rappresenta solamente uno degli elementi che devono essere presi in considerazione al fine di stabilire una conclusione definitiva in merito.
La «certezza dell'utilizzo effettivo» del CDR-Q non rappresenta un criterio rilevante al fine di escludere definitivamente l'azione, l'intenzione, o l'obbligo del detentore del CDR-Q di disfarsene.
Il riutilizzo certo di un bene o di un materiale è soltanto una delle tre condizioni necessarie per qualificare detto bene o materiale come sottoprodotto.

Nel caso di specie, la Corte di Giustizia ha ritenuto fondato il ricorso della Commissione, sottolineando che il CDR-Q non costituisce il risultato di un recupero completo, bensì soltanto il risultato di una fase ad esso precedente.

Sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, causa C-283/07 (rottami ferrosi e CDR-Q)

Foto: “ai confini della civiltà” originally uploaded by SuperUbO

Foto: “European Court of Justice – Luxembourg” originally uploaded by Cédric Puisney



Read more

Rifiuti. Direttiva 2008/98/CE

0 commenti


Lo scorso 22 novembre 2008 è stata pubblicata sulla G.U.C.E. (Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea) la nuova direttiva sui rifiuti 2008/98/CE, che sostituirà le direttive 2006/12/CE rifiuti, 91/689/CEE rifiuti pericolosi e 75/439/CEE eliminazione degli oli usati.
Gli Stati membri avranno a disposizione due anni per adottare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2008/98/CE. 
Nelle prossime settimane non mancheranno articoli di approfondimento: per il momento voglio sottolineare alcuni dei punti focali della Direttiva 2008/98/CE, sottolineati nei “considerando”.

Innanzitutto, la direttiva sottolinea – e non è pleonastico farlo, specie nel nostro Paese… – che l’obiettivo principale di qualsiasi politica in materia di rifiuti dovrebbe consistere nel ridurre il più possibile le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente. 
Per questo motivo, la politica ambientale in materia di rifiuti dovrebbe puntare alla riduzione dell’uso delle risorse e alla promozione dell’applicazione concreta della gerarchia dei rifiuti.


Read more

Scorie di acciaieria: l’Ecogravel è un sottoprodotto

0 commenti
Nella sentenza che vi propongo oggi (Cassazione penale, Sez. III, n. 31462/08) la Cassazione si è pronunciata sul delicato tema relativo al luogo del riutilizzo del materiale, ai fini della sua qualificazione come sottoprodotto.

La vicenda, oggetto della sentenza, trae origine da un decreto del G.I.P. del Tribunale di Udine, che aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo dell’area di una società (la Globalblue S.r.L) nella quale, secondo l’ipotesi accusatoria, era in corso un'attività non autorizzata di cessione e recupero di rifiuti, costituiti dalle scorie di fonderia provenienti da una vicina acciaieria, (ABS) utilizzate per produrre il c.d. Ecogravel, un inerte industriale d’acciaieria, sviluppato per sostituire ghiaia e basalto nelle costruzioni e nell’asfaltatura delle strade.


Il PM fondava la sua tesi partendo dalla considerazione che, dagli accertamenti espletati dal N.O.E., era emerso che:
  • il ciclo produttivo dell'Ecogravel non era menzionato nella documentazione relativa alla richiesta di Autorizzazione Integrata Ambientale presentata dalla società ABS;
  • la Globalblue S.r.l. aveva mai richiesto alcuna autorizzazione al recupero delle scorie della fonderia.
Di conseguenza, tale attività era da considerarsi illecita.
Nel contestare tale ricostruzione, il Tribunale della libertà ha, da un lato, sottolineato che – anche alla luce del disposto di cui all'art. 183, primo comma lett. p), del Testo Unico Ambientale (D.Lgs n. 152/06, come sostituito dall'art. 2 del D.Lgs 16.1.2008 n. 4) – le scorie di fonderia dovevano essere qualificate sottoprodotto, perché:
  • sono originate da un processo non direttamente destinato alla loro produzione;
  • il loro impiego è certo ed integrale ed avviene in un processo di produzione preventivamente individuato ed integrato;
  • il loro impiego non determina emissioni o un impatto ambientale diversi da quelli per cui l'impianto è autorizzato, né le stesse devono essere sottoposte a trattamenti preventivi o trasformazioni poliformi.
Dall’altro, ha messo in evidenza che l'impostazione accusatoria (le scorie de quibus sono rifiuti)
cozza con le determinazione dell'ARPA contenute nell'autorizzazione concessa alla Globalblue S.r.L. per l'avvio del procedimento diretto alla produzione dell'Ecogravel, essendo stato evidenziato […] che l'impianto della Globalblue costituisce un reparto produttivo del ciclo dell'acciaieria e non un impianto di trattamento dei rifiuti, in quanto destinato ad utilizzare esclusivamente i materiali provenienti dalla ABS.
Di conseguenza, l'attività posta in essere dalla Globalblue doveva ritenersi lecita.
La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto non fondato il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Udine, il quale sosteneva:
  • la qualifica come rifiuto delle scorie prodotte dall’acciaieria
  • che l’utilizzo delle stesse non avveniva nello stesso ciclo produttivo della ABS e che, di conseguenza, la successiva gestione delle stesse da parte di altra società doveva necessariamente sottostare all'iter autorizzativo previsto dalla legge in materia di rifiuti.
La Cassazione, dopo aver rinviato alla puntuale elencazione di tutti i requisiti prescritti richiesti dall’art. 183, comma 1, lett. p) al fine di poter attribuire ad una sostanza la natura di sottoprodotto, effettuata dal Tribunale della Libertà, ha voluto precisare – in relazione al luogo del riutilizzo delle scorie di acciaieria, ai fini della sua qualificazione come sottoprodotto – che
per l'attribuzione della qualifica di sottoprodotto occorre, inter alia, che il loro impiego sia certo sin dalla fase di produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione odi utilizzazione preventivamente individuato e definito.
Di conseguenza, non è necessario che l'utilizzazione del materiale, da qualificarsi sottoprodotto, avvenga nello stesso processo produttivo da cui ha avuto origine, essendo, invece, sufficiente che il processo di utilizzazione, peraltro integrale, del sottoprodotto sia stato preventivamente individuato e definito, così come accertato, nel caso in esame dai giudici di merito
Foto: “Trucioli d’acciao” originally uploaded by mivigur



Read more

Il ping-pong giudiziale figlio dell’eterna incertezza giuridica (parte seconda)

0 commenti
Effettuata, a grandi line, la ricostruzione in fatto e in diritto, vi riporto, di seguito, le massime della sentenza della Corte di Cassazione Penale n. 35235/08.

L’autocertificazione prevista dall’art. 183, lett. n), del D.Lgs. n. 152/06, nel testo vigente prima della modificazione introdotta con il D.Lgs n. 4 del 2008, non è più determinante per individuare la certezza del riutilizzo.

(Nella specie la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza del Tribunale del riesame di Terni, con la quale era stata respinta l’istanza presentata dal titolare di una società, cui era stata sequestrata un’area, posta all’interno dell’azienda, sulla quale erano stati depositate 4000 tonnellate di scarti della lavorazione di pavimenti di linoleum, classificati come rifiuti dal Tribunale per lo stato di abbandono in cui il materiale si trovava e per la mancanza di documentazione idonea a provare l’effettivo riutilizzo)

***
Il deposito dei residui di produzione nel luogo in cui gli stessi vengono prodotti, o nelle vicinanze o in altro luogo non costituisce di per sé elemento univoco per qualificarli come rifiuti, se dalle modalità del deposito, dalla sua durata e da altre circostanze non può desumersi con certezza una situazione di effettivo abbandono.


(Nella specie la Cassazione – dopo aver evidenziato che il Tribunale del riesame non aveva adeguatamente valutato gli elementi probatori forniti dall’indagato – ha annullato con rinvio, in quanto dal provvedimento impugnato non emerge con certezza se l’indagato abbia accumulato il materiale nell’area de qua per smaltirli o, al contrario, per riutilizzarli e conseguire un vantaggio economico.
In relazione a quest’ultimo elemento, la Cassazione ha sottolineato che il criterio economico, anche se è stato esplicitamente richiamato dal legislatore solo con il decreto correttivo n. 4/08, poteva essere legittimamente utilizzato anche prima del richiamo esplicito da parte del legislatore.
Invero, conclude la Corte, il residuo del processo produttivo non viene abbandonato ma gestito come sottoprodotto se il detentore o il produttore di sostanze ricavate da un processo produttivo destinato principalmente ad altre produzioni riceve un vantaggio economico anche dall’utilizzo dei residui).

***

Non si può utilizzare un sequestro probatorio per soddisfare esigenze cautelari per le quali è previsto il sequestro preventivo.

(Nella specie, il Giudice di legittimità ha annullato ha messo in evidenza che il provvedimento impugnato aveva disposto il sequestro non per espletare accertamenti peritali sui residui de quibus – che pure potevano essere utili per individuare le possibilità di una loro effettiva riutilizzazione, ma solo per assicurare la prova del reato, esigenza questa che poteva essere garantita anche con mezzi diversi dal sequestro).

Dell’incertezza normativa ho parlato a lungo nelle pagine di Natura Giuridica, anche in relazione all’insostenibile leggerezza dell’essere…sottoprodotto
L’estenuante ping pong fra Cassazione e Giudice del rinvio, e i continui cambi di direzione dell’uno e dell’altro, non sono altro che uno degli effetti perversi e distorti dell’assurdo modo di condurre la politica ambientale nel nostro Paese…
Alla fine, quello che rimane non è che una sbiadita immagine di un perenne “progredire” a tentoni…con buona pace della certezza del diritto, dello sviluppo economico e della tutela dell’ambiente.

Corte di Cassazione penale, sentenza n. 35235 del 2008

Foto: “ping-pong” originally uploaded by yullya



Read more

Il ping-pong giudiziale figlio dell’eterna incertezza giuridica (parte prima)

0 commenti
La sentenza che vi propongo oggi (Cassazione penale, Sez. III, n. 35235/08, Cioffi), in materia di definizione di rifiuto-sottoprodotto, è l’emblema (un altro…ne sentivamo la mancanza) dell’eterno “immobilismo in continuo movimento” che caratterizza il nostro paese…

La cronica mancanza di una legislazione coerente, duratura, coordinata, autorevole, provoca disagi:
  • negli operatori, che non sanno che pesci prendere, o a che santo votarsi, e
  • negli interpreti delle norme, sballottati fra diverse interpretazioni plausibili
senza riuscire a trovare soluzioni accettabili per l’ambiente e per il mercato.

Con costi enormi per l’uno e per l’altro.

E per la giustizia, ingolfata da processi che spesso cadono in prescrizione, anche a causa di una legislazione che, con la sua (voluta? ricercata?) nebulosità di fatto legittima questo stato di fatto.

Uno degli ultimi esempi di questo cronico incedere è dato dalla sentenza Cioffi (Cassazione penale, Sez. III, n. 35235/08)…


Questa la vicenda:
  1. in seguito ad una ispezione in un’azienda del ternano era emerso che, su un’area di 7000 metri quadrati erano state depositate, all’interno dell’azienda ivi presente, circa 4000 tonnellate di rifiuti (scarti della lavorazione di pavimenti di linoleum);
  2. il Cioffi, titolare dell’impresa, chiedeva il riesame del sequestro probatorio dell’area, adibita, secondo l’accusa, a discarica di rifiuti provenienti dal ciclo produttivo;
  3. il Tribunale annullava il decreto di sequestro, in quanto il materiale de quo non doveva considerarsi rifiuto, bensì sottoprodotto;
  4. la Cassazione, adita su ricorso del PM, annullava con rinvio tale ordinanza, per carenza motivazionali sulla natura di sottoprodotto, e più precisamente per omessa motivazione sulla certezza dell’utilizzazione e sulla necessità, ai fini della riutilizzazione, di una dichiarazione del produttore o detentore controfirmata dal titolar dell’impianto";
  5. il Tribunale del rinvio ribadiva l’annullamento del sequestro, osservando che la natura del materiale rinvenuto appariva compatibile con l’impianto ordinato dalla società per la polverizzazione degli scarti di linoleum e che, stante la coincidenza nella medesima persona del produttore e del riutilizzatore, non era necessaria necessaria alcuna dichiarazione;
  6. in seguito all’ulteriore ricorso del PM, la Cassazione annullava, di nuovo con rinvio, sostenendo la necessità dell’autocertificazione, nonostante la sopra descritta coincidenza…
  7. il Tribunale del rinvio, questa volta, respingeva l’istanza presentata dal Cioffi, sostenendo, contrariamente a quanto affermato fino allora, che il materiale de quo era rifiuto (!), “per lo stati di abbandono in cui il materiale si trovava, e per la mancanza di documentazione idonea a provare l’effettivo riutilizzo”;
  8. questa volta ricorreva in Cassazione il Cioffi, denunciando, inter alia, la violazione dell’art. 183, comma 1, lett. p) del c.d Testo Unico Ambientale, per avere il tribunale omesso di considerare che con il D.Lgs n. 4/2008 era stata riformulata la nozione di sottoprodotto escludendo la necessità della “dichiarazione” precedentemente richiesta.
La Cassazione ha ritenuto sostanzialmente fondato il ricorso, e ha, purtroppo, ancora una volta annullato con rinvio la decisione impugnata…
Dopo una ricostruzione temporale, relativa alla distinzione fra scarti (rifiuti) e sottoprodotti (non rifiuti), in cui la Suprema Corte ha sottolineato la difficoltà di individuare criteri “univoci”, la Cassazione si sofferma sull’importanza di distinguere fra:
  • la gestione degli scarti, che comporta costi e oneri, e
  • la gestione dei sottoprodotti, la quale, al contrario, arreca vantaggi.
Il valore economico del residuo (il detentore si disfa della cose che non gli servono più, ma non di quelle che possono ancora procurargli vantaggi economici) è un elemento determinante per la distinzione fra scarto e sottoprodotto, anche se spesso è stato trascurato dagli interpreti e dallo stesso legislatore. Ma è stato esplicitamente ripreso con il decreto correttivo n. 4 del 2008.
In relazione alla certezza del riutilizzo, evidenzia la Corte di Cassazione, non ci sono contrasti: le maggiori difficoltà nascono in relazione alle modalità di riutilizzo, che vede contrapposte le posizioni di chi ritiene che:
  • il riutilizzo debba avvenire nello stesso processo di produzione e all’interno dell’impresa di provenienza (in sostanza: doveva esistere una identificazione soggettiva del produttore ed utilizzatore ed oggettiva del luogo di produzione), e
  • il riutilizzo possa avvenire anche in un processo successivo, sotto forma di sfruttamento o commercializzazione.
Questo contrasto – che, secondo la Corte, è stato risolto con il Testo Unico Ambientale, nella sua formulazione originaria – potrebbe risorgere in seguito alle modifiche apportate dal D.Lgs n. 4/2008 che, oltre ad avere eliminato dalla nozione di sottoprodotti quelli definiti ex lege come tali dal Testo Unico Ambientale, ha stabilito che il riutilizzo del residuo debba avvenire nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato o definito, lasciando intendere un sostanziale ritorno al passato, sia pure con modalità parzialmente diverse…

Foto: “Ping Pong interrupted” originally uploaded by Fast Mikie



Read more

L’insostenibile leggerezza dell’essere…sottoprodotto

0 commenti
È stato da poco pubblicato il n. 4-5 del 2008 della Rivista Consulting, Geva Edizioni.


Questo è il sommario (collegandovi al sito della GEVA potete leggere l’editoriale):

Massimo Jandolo, ne "L'uso dei silicati minerali per eliminare l'acido fluoridrico" illustra una nuova tecnica di smaltimento.

Stefano Bernardi indica "Le corrette norme di comportamento" nella gestione di rifiuti aziendali, mentre Gian Luca Montel spiega i perché della “Sicurezza della trattrice agricola”.

Nella rubrica GREenERGY l’Ing. Leonardo Evangelista delinea le "Luci e…soprattutto le ombre del fotovoltaico", oggi.
Anch’io ho collaborato alla redazione della Rubrica GREenERGY, in questo numero, con un articolo in materia di sottoprodotti, che ho voluto intitolare, un po’ provocatoriamente: L'insostenibile leggerezza dell'essere... sottoprodotto - Le modifiche alla nozione di sottoprodotto introdotte nel secondo decreto correttivo”

Seguono gli articoli di
Paolo Ghelfi: "Metodi ed esperienze per l'organizzazione aziendale - L'importanza della misura dei fenomeni"

Marilena Serafini: "Domande e risposte sulla certificazione energetica"

Nicola G. Grillo: "Tecnico o consulente Tecnico? - Gestione aziendale e imprenditorialità"

Lidia Mancini: "Testo Unico e sicurezza sul lavoro - Diverse idee, ma ancora poche soluzioni concrete"

Domenico Grillo: "Caro petrolio... Quanto costi realmente?"

Nello Speciale, l’Ing. Grillo parla di "Energia nucleare: Riprendere o lasciare?"

Per informazioni sull’abbonamento, collegati al sito della GEVA Edizioni.

Vi riporto alcuni stralci del mio articolo: "L’insostenibile leggerezza dell’essere…sottoprodotto".


Nel primo paragrafo, intitolato “Le modifiche alla nozione di sottoprodotto introdotte nel secondo decreto correttivo”, analizzo le novità introdotte, nella disciplina sulla gestione dei rifiuti, in relazione alla definizione di sottoprodotto, sottolineando come
nel complesso – è stato sottolineato in dottrina – “si tratta di certo di un testo senza dubbio migliore rispetto al precedente anche sotto il profilo della tecnica legislativa […].
Ciò non toglie, peraltro, che rimane qualche dubbio riguardo alla opportunità della scelta stessa di fissare in un testo legislativo dei criteri che - essendo unicamente il frutto di elaborazioni giurisprudenziali - sono ovviamente di difficile interpretazione e mutevoli nel tempo”: la tecnica legislativa, infatti, può suscitare perplessità “in quanto fotografa un fenomeno in evoluzione che, con il tempo, rischia di essere sempre meno fedele rispetto all’oggetto rappresentato, così da obbligare il legislatore italiano a continui interventi di riallineamento della disposizione interna alla norma comunitaria, quando la differenza non sia più colmabile attraverso il ricorso all’interpretazione adeguatrice”.
Nel secondo paragrafo, "La comunicazione interpretativa sui rifiuti e sui sottoprodotti", dopo aver delineato i punti salienti della “Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa alla Comunicazione interpretativa sui rifiuti e sui sottoprodotti” del 21 febbraio 2007, nella quale la Commissione ha evidenziato che, in alcuni casi, è problematico distinguere fra:
  • materiali che non sono l'obiettivo primario di un processo di produzione (ma che possono essere considerati sottoprodotti non assimilabili a rifiuti), e
  • materiali che devono invece essere trattati come rifiuti
analizzo le linee fondamentali delle linee guida interpretative:

1) la prima riguarda il materiale risultato di una scelta tecnica […]
2) nella seconda la Commissione elenca le tre condizioni che gli stessi devono soddisfare per essere considerati sottoprodotto (e non rifiuto):
  • la certezza del suo utilizzo;
  • l’assenza di una previa trasformazione preliminare del residuo di produzione.
  • la continuità del processo di produzione.
3) nella terza, infine, la Commissione “snocciola” altri elementi che, sulla base dell’esperienza “vagliata” dalla Corte di Giustizia, possono essere utili - pur non costituendo una prova irrefutabile – per distinguere, nel concreto, fra rifiuti e sottoprodotti.
Nel terzo paragrafo, "La posizione comune definita dal Consiglio il 20 dicembre 2007: meno limiti per i sottoprodotti…?", viene analizzata brevemente la posizione comune del 20 dicembre 2007, adottata dal Consiglio dell’Unione e dal Parlamento in vista dell’adozione delle nuova direttiva in materia di rifiuti, mentre nel paragrafo successivo ("…e la raccomandazione del Parlamento"), si accenna al Progetto di risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 18 aprile 2008, che ha ritenuto opportuno di intervenire ulteriormente in materia.



Nelle conclusioni finali sottolineo come l’assenza di chiarezza giuridica ha sicuramente reso difficile l'applicazione della definizione di rifiuto, sia per le autorità competenti che per gli operatori economici, creando, a volte, disparità nel trattamento fra gli operatori economici e ostacolando il mercato interno.

“non si tratta di discorsi meramente teorici:
- da un lato, un'interpretazione troppo ampia della definizione di rifiuto imporrebbe alle aziende costi superflui, rendendo meno interessante un materiale che, invece, sarebbe potuto invece rientrare nel circuito economico;
- dall’altro, un'interpretazione troppo restrittiva potrebbe tradursi in danni ambientali e pregiudicare l'efficacia della legislazione e delle norme comunitarie in materia di rifiuti.
Credo che – stante la già difficile ricerca di un’adeguata nozione di rifiuto, oltre alla complessità dei “processi di produzione” (“partecipati”, nella preparazione del materiale per il suo riutilizzo, anche da utilizzatori successivi e intermediari, senza che per questo si debba necessariamente ritenere di essere in presenza di un «diverso» processo produttivo) – la nozione di sottoprodotto, imbavagliata in stretti parametri giuridici, che non riescono a descrivere l’analitica realtà quotidiana, sia… “insostenibile”, e che continuare a mantenere (in Italia, e introdurre, in Europa) una definizione “statica” di un “fenomeno” in continua evoluzione sia controproducente.

Così come, ad avviso di scrive, non sembra condivisibile l’orientamento rigido della Cassazione, che tende a negare aprioristicamente la possibilità di configurare un «sottoprodotto» nel caso di intervento di un terzo nell’ambito del processo produttivo (anche a titolo di mera detenzione della sostanza)…
Come ha giustamente sottolineato la Commissione nelle linee guida del 21 febbraio 2007, è preferibile il ricorso a linee guida, strumento più…“leggero”, flessibile e meglio adattabile al cospetto dell’incessante evolversi della tecnologia.
Foto: "[giocando con le bolle]" originally uploaded by nanasupergirl

Foto: "Ragnatela" originally uploaded by la_pio




Read more

Avesta:rifiuto e sottoprodotto (sabbia di scarto da operazioni di arricchimento di minerale provenienti dallo sfruttamento di una miniera)

0 commenti
La AvestaPolarit, società finlandese operante nel settore minerario, presentava presso il centro regionale una domanda di autorizzazione ambientale, per potere proseguire la sua attività di estrazione mineraria e di arricchimento del sito, sfruttato da una trentina di anni, che doveva passare progressivamente da uno sfruttamento a cielo aperto ad uno sfruttamento sotterraneo a decorrere dal 2002 (nella sentenza c’è una dettagliata descrizione della situazione ambietale circostante).


Il centro regionale concedeva l'autorizzazione ambientale richiesta subordinandola, però, a talune condizioni, in quanto riteneva che i detriti e la sabbia di scarto dovessero essere qualificati rifiuti, cui si applicano, di conseguenza, le procedure stabilite dalla legge nazionale.
In particolare, nella motivazione del provvedimento, il centro regionale osservava che:


Read more

Rifiuti, energia e VIA: TAR Bologna n. 3296 2008

0 commenti
Nella sentenza che vi propongo oggi, il TAR Bologna (sentenza n. 3296 del 2008) affronta un tema particolarmente interessante, oltre che di estrema attualità: quello della combustione di rifiuti per la produzione di energia elettrica, e della necessità o meno della Valutazione d’Impatto Ambientale.

Il caso

Alcuni residenti nel comune di Medicina avevano appreso in modo informale che su un terreno agricolo di fronte alle loro abitazioni sarebbe stato realizzato un impianto industriale per la produzione di fertilizzanti e “biogas”: a tal fine sarebbe stata impiantata una centrale a cogenerazione di media potenza per la combustione del gas (prodotto da biomasse vegetali ed in parte con liquami animali) e la produzione, :
  • di elettricità, da cedere all’ENEL, e
  • calore per il teleriscaldamento.
In seguito alla richiesta di ricollocare l’impianto in questione in un altro sito e alla conferenza di servizi, che invece rilasciava l’autorizzazione, i residenti proponevano ricorso al TAR, il quale, dopo la fase cautelare, nel merito ha accolto il ricorso.

Rimandando al testo integrale della sentenza del TAR Bologna n. 3296 del 2008 per l’approfondimento della parte in fatto e degli aspetti di diritto tralasciati in questa sede, occorre qui segnalare i passi più significativi della sentenza.

Il Giudice amministrativo emiliano ha sottolineato che l’allegato C alla parte quarta del Testo Unico Ambientale, elenca espressamente tra le operazioni di recupero dei rifiuti la loro utilizzazione come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (categoria R1) e che, pertanto, l’utilizzazione del rifiuto per produrre energia comporta la sottoposizione dell’impianto realizzato alla normativa in materia di recupero dei rifiuti.
Per quanto riguarda il liquame zootecnico, lo stesso è elencato tra i rifiuti […]: pertanto, ai sensi del Testo Unico Ambientale, non possono rientrare nella nozione di sottoprodotto; quando inoltre il loro utilizzo per produrre energia richiede la trasformazione in biogas, e quindi una trasformazione tramite un successivo processo produttivo, essi esulano dalla nozione generale di sottoprodotto di cui all’articolo 183 dello stesso Testo Unico Ambientale, i cui requisiti devono ritenersi cumulativi.
La sopravvenuta normativa di cui al D.Lgs. n. 4 del 2008, modificando l’articolo 185 del D.Lgs. n. 152/2006, ha incluso “potenzialmente” i liquami tra i sottoprodotti qualora utilizzati per produrre biogas: tuttavia, i liquami non sono inclusi automaticamente tra i sottoprodotti, ma soltanto qualora siano soddisfatte le condizioni di cui alla lettera p).
Ciò richiede una specifica valutazione in ordine all’impiego certo ed integrale dei liquami sin dalla fase di produzione e al soddisfacimento dei requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissione ed impatti ambientali qualitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati.

In relazione, infine, alle disposizioni normative interne, queste vanno interpretate in modo coerente con il diritto comunitario, ed in particolare con l’interpretazione data dalle sentenze della CE, che hanno efficacia vincolante erga omnes per i giudici interni e per l’autorità amministrativa.
In relazione ai liquami in questione, anche qualora ricorrano i presupposti per considerarli sottoprodotti, occorre valutare l’ulteriore requisito, imposto dal diritto comunitario.
In parole povere, se per riutilizzo occorrono operazioni di deposito che:
  • possono avere una certa durata (e, quindi, rappresentare un onere per il detentore), nonché
  • essere potenzialmente fonte di quei danni per l’ambiente che la direttiva mira specificamente a limitare,
esso non può essere considerato certo, ma prevedibile solo a più o meno lungo termine.
Di conseguenza, la sostanza di cui trattasi deve essere considerata, in linea di principio, come rifiuto.

Foto 2



12 L’espressione “inquinamento legislativo ” si fa risalire a A. A. Martino, La progettazione legislativa
nell’ordinamento inquinato, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, n. 38, 1977.
L’informazione è tratta da R. Pagano, Introduzione alla legistica, cit., p. 14, nota 16.


Read more

Palin Granit: il sottoprodotto fa capolino nella giurisprudenza della Corte di Giustizia (3)

0 commenti
(segue da)

Tuttavia, tenuto conto dell'obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere l’argomentazione relativa ai sottoprodotti alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione.

È allora evidente che, oltre al criterio derivante dalla natura o meno di residuo di produzione di una sostanza, il grado di probabilità di riutilizzo di tale sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare, costituisce un secondo criterio utile ai fini di valutare se essa sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442.

Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare la sostanza, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di tale riutilizzo è alta.
In un'ipotesi del genere la sostanza in questione non può più essere considerata un ingombro di cui il detentore cerchi di «disfarsi», bensì un autentico prodotto.

Nel caso di specie il governo finlandese evidenziava giustamente che le uniche modalità prevedibili di riutilizzo dei detriti nella loro forma esistente (ad esempio per lavori di riporto o per la costruzione di porti e frangiflutti) necessitano, comunque, nella maggior parte dei casi, di operazioni di deposito che possono avere una certa durata, rappresentare un intralcio per chi sfrutta la cava ed essere potenzialmente fonte di quel danno per l'ambiente che la direttiva 75/442 mira specificamente a limitare.

Il riutilizzo, quindi, non è sicuro ed è prevedibile solo a più o meno lungo termine, cosicché i detriti possono essere considerati solo «residui provenienti dall'estrazione», di cui l'imprenditore ha «deciso o [ha] l'obbligo di disfarsi», ai sensi della direttiva 75/442, e che quindi rientrano nella categoria di cui al punto Q 11 dell'allegato I della suddetta direttiva.

La Corte, quindi, ha concluso dichiarando che i detriti de quibus sono da considerarsi rifiuti.

Sentenza della Corte di Giustizia Palin Granit Oy, Causa C-9/00


Read more