Tuttavia, tenuto conto dell'obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere l’argomentazione relativa ai sottoprodotti alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione.
È allora evidente che, oltre al criterio derivante dalla natura o meno di residuo di produzione di una sostanza, il grado di probabilità di riutilizzo di tale sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare, costituisce un secondo criterio utile ai fini di valutare se essa sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442.
Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare la sostanza, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di tale riutilizzo è alta.
In un'ipotesi del genere la sostanza in questione non può più essere considerata un ingombro di cui il detentore cerchi di «disfarsi», bensì un autentico prodotto.
Nel caso di specie il governo finlandese evidenziava giustamente che le uniche modalità prevedibili di riutilizzo dei detriti nella loro forma esistente (ad esempio per lavori di riporto o per la costruzione di porti e frangiflutti) necessitano, comunque, nella maggior parte dei casi, di operazioni di deposito che possono avere una certa durata, rappresentare un intralcio per chi sfrutta la cava ed essere potenzialmente fonte di quel danno per l'ambiente che la direttiva 75/442 mira specificamente a limitare.
Il riutilizzo, quindi, non è sicuro ed è prevedibile solo a più o meno lungo termine, cosicché i detriti possono essere considerati solo «residui provenienti dall'estrazione», di cui l'imprenditore ha «deciso o [ha] l'obbligo di disfarsi», ai sensi della direttiva 75/442, e che quindi rientrano nella categoria di cui al punto Q 11 dell'allegato I della suddetta direttiva.