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La Soprintendenza deve motivare il proprio diniego: se no è illegittimo

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Urbanistica e paesaggio 

L’ampio margine di apprezzamento riconosciuto alle Amministrazioni di volta in volta preposte alla tutela dei valori ambientali, paesistici, storici e culturali non può mai tradursi nella violazione dei principî di legalità, uguaglianza e buon andamento per tutte le PP.AA. e di libertà individuale, che informa il nostro sistema costituzionale e che ha per corollario il principio di sussidiarietà, concetto che implica la necessità di contenere ogni intervento autoritativo assistito da diritti pubblici speciali al minimo necessario alla tutela dei diritti fondamentali ed agli interessi pubblici generali di riferimento. 
Quindi non può essere precluso il sindacato del GA nel caso in cui siano ravvisabili le sopraindicate violazioni.

Autorizzazione paesaggistica: il ruolo della Soprintendenza

Parere
Sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge
Limiti
Il soprintendente rende il parere limitatamente:
·         alla compatibilità paesaggistica dell’intervento progettato nel suo complesso
·         alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico
Il soprintendente, in caso di parere negativo, comunica agli interessati il preavviso di provvedimento negativo
Mancanza del parere
Decorso inutilmente il termine senza che il soprintendente abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione competente può indire una conferenza di servizi, alla quale il soprintendente partecipa o fa pervenire il parere scritto
La conferenza si pronuncia entro il termine perentorio di 15 giorni
In ogni caso, decorsi 60 giorni dalla ricezione degli atti da parte del  soprintendente, l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione
Poteri sostitutivi
Decorso inutilmente tale termine senza che l’amministrazione si sia pronunciata, l’interessato può richiedere l’autorizzazione in via sostitutiva alla regione, che vi provvede, anche mediante un commissario ad  acta, entro 60 giorni dal ricevimento della richiesta
Qualora la regione non abbia delegato gli enti al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, e sia essa stessa inadempiente, la richiesta del rilascio in via sostitutiva è presentata al soprintendente
Trasmissione
L’autorizzazione paesaggistica é trasmessa, senza indugio, alla soprintendenza che ha reso il parere nel corso del procedimento, nonché, unitamente allo stesso  parere, alla regione ovvero agli altri enti pubblici territoriali interessati e, ove esistente, all’ente parco nel cui territorio si trova l’immobile o l’area sottoposti al vincolo
Vigilanza
Presso ogni amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione  paesaggistica é istituito un elenco delle autorizzazioni rilasciate, aggiornato almeno ogni trenta giorni e liberamente consultabile, anche per via telematica, in cui è indicata la data di rilascio di ciascuna autorizzazione, con l’annotazione sintetica del relativo oggetto
Copia dell’elenco è trasmessa trimestralmente alla regione e alla soprintendenza, ai fini dell’esercizio delle funzioni di vigilanza



L’impugnabilità del parere negativo
Il parere della Soprintendenza, ancorchè endoprocedimentale, è impugnabile
Infatti allo stesso è attribuita valenza vincolante in riferimento al successivo provvedimento, ancora da emanarsi, conclusivo del subprocedimento finalizzato, nell’ambito del procedimento edilizio volto ad assentire un articolato intervento edilizio, all’emissione di un’autorizzazione paesaggistica
Quest’ultima non potrebbe che presentare carattere meramente riproduttivo della precedente valutazione effettuata dall’organo statale: perciò, è appunto all’atto dell’emanazione del parere negativo che va ricondotto il determinarsi della prima lesione dell’interesse legittimo del privato interessato
Il parere negativo della Soprintendenza deve essere motivato

Con due recenti sentenze, due diversi TAR (Napoli, n. 4792/13; Roma, n. 9478/13) hanno affermato che i pareri negativi della soprintendenza sono illegittimi se espressi in modo generico e sintetico. 

Nel primo caso è stato impugnato un parere della Soprintendenza parzialmente favorevole all’intervento richiesto dalla ricorrente (l’ente ha negato il proprio assenso in ordine alla costruzione di una serra, perché la stessa, “per dimensione e ubicazione costituisce detrattore ambientale”. 
Il TAR partenopeo ha affermato che in materia di beni culturali e paesaggio l’attuale normativa delinea una situazione di co-gestione del vincolo da parte dell’Autorità regionale (o di quella delegata) e dell’Autorità statale periferica, con una chiara prevalenza, però, delle valutazioni fatte da quest’ultima, sebbene effettuate in sede consultiva. 
Le valutazioni operate in questo ambito costituiscono espressione di discrezionalità tecnica, per cui sono sindacabili per eccesso di potere, in sede di legittimità, esclusivamente per difetto di motivazione, illogicità manifesta, ed errore di fatto. 
Ciò che è avvenuto nel caso, in cui il Collegio ha dato ragione alla ricorrente. 
L’organo statale non ha dato in maniera idonea conto delle ragioni del diniego opposto alla costruzione della serra: 
  • né spiegando perché la dimensione e l’ubicazione di questa sarebbero stati contrastanti con il vincolo oggetto di tutela, 
  • né chiarendo in cosa si sarebbe sostanziata la detrazione ambientale che sarebbe potuta derivare dalla sua realizzazione. 
Nel secondo, il TAR, con una “decisione immediata e succintamente immediata”, ha affermato perentoriamente che l’ampio margine di apprezzamento riconosciuto alle Amministrazioni di volta in volta preposte alla tutela dei valori ambientali, paesistici, storici e culturali non può mai tradursi nella violazione dei principî:
  • di legalità, uguaglianza e buon andamento (ovvero di ragionevolezza e proporzionalità) per tutte le PP.AA.;
  • di libertà individuale, che informa il nostro sistema costituzionale e che ha per corollario il principio di sussidiarietà, concetto che implica la necessità di contenere ogni intervento autoritativo assistito da diritti pubblici speciali al minimo necessario alla tutela dei diritti fondamentali ed agli interessi pubblici generali di riferimento. 
Quindi non può essere precluso il sindacato del GA nel caso in cui siano ravvisabili le sopraindicate violazioni.
Nella specie, il Collegio ha evidenziato che:
  • la Soprintendenza, nonostante l’ampia istruttoria svolta dal TAR, con il suo silenzio non ha adempiuto all’onere probatorio di dimostrare il carattere di inedificabilità assoluta del vincolo o comunque la sua incompatibilità con il progetto edilizio,
  • mentre, al contrario, il progetto è stato motivatamente valutato compatibile da una perizia giurata di parte.


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Urbanistica. Lottizzazione progressiva: per il calcolo delle plusvalenze occorre provare il rapporto di causalità

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La previsione di una fattispecie a formazione progressiva costituita dalla lottizzazione del terreno, o dalla esecuzione di opere finalizzate a renderlo edificabile, e dalla successiva vendita dello stesso non pone una presunzione assoluta circa l’intento speculativo della vendita di suoli ancora agricoli che siano stati oggetto di lottizzazione o dell’esecuzione di opere tali da renderli edificabili, ma àncora la plusvalenza all’effettiva sussistenza di un rapporto di causalità fra la maggiorazione del prezzo di vendita per l’alienante e la possibilità per l’acquirente di realizzare opere edilizie in conseguenza della lottizzazione. 

Il fatto: la plusvalenza IRPEF derivante dalla cessione di un suolo

Un cittadino ha ricevuto un avviso di accertamento, notificato dall’Agenzia delle Entrate (AE) al contribuente a titolo di plusvalenza IRPEF, derivante dalla cessione di un suolo edificatorio di piano di lottizzazione da più di un decennio, ed acquisito per successione (fondamento giuridico: art. 81, comma 1, lett. b) del DPR 917/86). 
La commissione tributaria regionale ha affermato la legittimità dell’avviso di accertamento; decisione confermata in sede d’appello, nel corso del quale il giudice ha evidenziato la correttezza giuridica del riferimento alla lett. b) del cit. art. 81, e non alla lettera a).



Art. 81 DPR 917/86: redditi diversi
Sono redditi diversi, se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente
Lett. a)
le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni o degli edifici;
 Lett. b)
le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione o donazione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari



Il ricorso in Cassazione


Nel ricorrere per Cassazione, il cittadino ha denunciato: 
  1. la violazione delle norme relative alla capacità di stare in giudizio nel processo tributario, e ha formulato il seguente quesito: gli uffici periferici dell’AE possono stare in giudizio dinanzi alle commissioni tributarie esclusivamente in persona del direttore della sede periferica dell’agenzia medesima, secondo un modello simile alla preposizione institoria?” 
  2. la violazione delle norme del testo unico delle imposte sui redditi relative alla determinazione della base imponibile (in particolare: reddito complessivo e cessioni obbligatorie di partecipazioni sociali), ponendo un duplice quesito: 

  • la cessione di un suolo rientrante in un piano di lottizzazione formalmente adottato dal Comune competente, su iniziativa e proposta, fra gli altri, dello stesso cedente, genera plusvalenza tassabile ai sensi della cit. lett. a)? 
  • l’eventuale plusvalenza va determinata considerando come prezzo di acquisto il valore normale del terreno alla data di inizio della lottizzazione? 

L’ufficio locale dell’AE può stare in giudizio

Nel ritenere infondato il primo motivo di ricorso, la Cassazione (n. 22711/13) ha richiamato un consolidato orientamento in materia, che riconosce la qualità di parte processuale e conferisce la capacità di stare in giudizio all’ufficio locale dell’AE nei cui confronti è stato proposto il ricorso, nella persona del direttore o di un delegato in via generale, senza necessità di apposita procura. 
Di conseguenza, “nel caso in cui non sia stata contestata la provenienza dell’atto d’appello dall’ufficio competente, questo deve ritenersi ammissibile, anche se reca in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore, fintantoché non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza di primo grado, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà”.

Il fatto: la plusvalenza IRPEF derivante dalla cessione di un suolo

La Cassazione sconfessa la posizione del giudice di prime cure e di quello d’appello, concernente la fattispecie nella quale far rientrare il caso de quo: non si tratta, infatti, dell’ipotesi prevista e regolata dalla cit. lett. b) (suscettibilità edificatoria diretta), ma di quella di cui alla lettera a). 
Quest’ultima regola la fattispecie a formazione progressiva costituita dalla lottizzazione del terreno, o dalla esecuzione di opere finalizzate a renderlo edificabile, e dalla successiva vendita dello stesso. 
Una disposizione che – sottolinea la Cassazione – non pone una presunzione assoluta circa l’intento speculativo della vendita di suoli ancora agricoli che siano stati oggetto di lottizzazione o dell’esecuzione di opere tali da renderli edificabili, ma àncora la plusvalenza all’effettiva sussistenza di un rapporto di causalità fra: 
  • la maggiorazione del prezzo di vendita per l’alienante e 
  • la possibilità per l’acquirente di realizzare opere edilizie in conseguenza della lottizzazione.

I presupposti della plusvalenza

Inoltre, la cit. norma non richiede necessariamente l’esistenza di una lottizzazione attuata con il procedimento previsto dalla legge urbanistica (art. 28 L 1150/42): perché possa verificarsi una plusvalenza tassabile è sufficiente che prima dell’alienazione del terreno sia stata posta in essere qualche attività di tipo tecnico diretta al suo frazionamento, o a renderne possibile l’utilizzazione a scopo edificatorio


Quando un terreno deve considerarsi lottizzato?
Quando l’autorità competente ha provveduto ad emettere la prescritta autorizzazione: a tal fine, non assume alcun rilievo l’eventuale subordinazione della lottizzazione ad una condizione sospensiva o risolutiva



Di conseguenza, nel caso in cui il terreno sia stato acquisito a titolo gratuito, “il costo è determinato tenendo conto del valore nominale del terreno alla data di inizio delle lottizzazione o delle opere”.


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Il ripristino naturale non estingue il reato paesaggistico

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Il reato di cui all’art. 181 del “codice Urbani” (reato paesaggistico) è di pericolo astratto. Non è necessario, dunque, un effettivo pregiudizio per l’ambiente; per il suo perfezionamento è sufficiente l’esecuzione di interventi in assenza di preventiva autorizzazione che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato; si configura anche nel caso in cui, per il mero decorso del tempo e senza l’intervento dell’uomo (ripristino naturale) gli effetti prodotti dalla condotta illecita siano venuti meno, restituendo ai luoghi l’originario assetto. 

Il caso, oggetto dell’analisi della sentenza n. 6299/13 della Cassazione penale riguarda la possibilità di configurare il reato paesaggistico nell’eventualità in cui vi sia stato il ripristino dei luoghi senza intervento umano, per il semplice decorso del tempo.
I fatti – storici e giuridici – che hanno portato alla decisione della Suprema Corte sono, in estrema sintesi, i seguenti. 
Gli imputati – condannati in primo e secondo grado, per i reati di cui ai citati artt. 181, comma 1, del DLgs n. 42/2004 e 44, comma 1, lett. c), del DPR n. 380/01, per aver eseguito, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, lavori in difformità dai titoli abilitativi rilasciati, attraverso l’escavazione abusiva della sponda di un canale e il deposito del materiale all’interno delle barene, anziché il suo posizionamento sulla sponda – ricorrevano in Cassazione sostenendo: 
a) che gli interventi eseguiti non avrebbero determinato alcuna alterazione dello stato dei luoghi, specie considerando la particolare conformazione delle barene (terreni molli in continuo movimento). A dar rilevanza a questa tesi il fatto che il giudice di primo grado non ne aveva ordinato la rimessione in pristino, dal momento che medio tempore la stessa era comunque avvenuta naturalmente: sulla base di questa circostanza, il giudice avrebbe dovuto per lo meno ritenere integrata la causa estintiva di cui all’art. 181, comma 1-quinquies del D.Lgs n. 42/04, in base al quale “la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato”, per “ovvie” ragioni legate al fatto che il ripristino naturale ha, nei fatti, impedito quello del trasgressore, e che, diversamente, ci sarebbe stata una disparità di trattamento fra coloro che possono rimediare all’intervento eseguito e coloro il cui intervento non ha determinato alcuna modifica dei luoghi; 
b) che gli interventi eseguiti non supererebbero la soglia della “variazione essenziale” di cui al cit. art. 44, comma 1, lett. c) del DPR 380/01. 

La Cassazione ha “approfittato” dell’occasione fornita da questo peculiare caso per “fare il punto” (sintetico) del pensiero della Suprema Corte in materia di reati paesaggistici, che si sviluppa su tre ordini di pensiero.

Innanzitutto la considerazione che il reato di cui all’art. 181 del Codice Urbani é un reato formale e di pericolo che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la semplice esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente sull’originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione. Ciò significa che il legislatore ha ritenuto opportuno assumere, almeno in teoria, una posizione intransigente in tema di tutela del paesaggio, punendo ogni intervento che astrattamente è in grado di incidere negativamente sull’originario assetto del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico.

In secondo luogo, e di conseguenza, l’individuazione della potenzialità lesiva di questa tipologia di interventi deve essere effettuata mediante una valutazione ex ante, diretta quindi ad accertare non già se vi sia stato un danno al paesaggio ed all’ambiente, bensì se il tipo di intervento fosse astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico tutelato. Detto altrimenti: il principio di offensività deve essere considerato non tanto sulla base di un concreto apprezzamento di un danno ambientale, quanto, piuttosto, per l’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto. 

In terzo luogo l’inequivocabilità della disposizione che confina la sua efficacia ai soli casi in cui la rimessione in pristino delle aree o degli immobili vincolati, interessati dall’intervento abusivo, sia effettuata spontaneamente dal trasgressore prima che venga disposta d’autorità ed, in ogni caso, prima che intervenga la condanna: come a (rida)dire che un conto è l’iniziativa spontanea del trasgressore, un altro è l’approfittarsi ex post di una situazione creatasi per “spontanea” iniziativa della natura.


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Stop al consumo di territorio. Le dimensioni della cementificazione in Piemonte

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All'interno di questo blog si era già parlato del movimento Stop al consumo del territorio, nato nel 2009 su iniziativa di un gruppo di cittadini di Langhe, Roero e Monferrato, estesosi in tutta Italia fino alla costituzione del Forum nazionale della terra e del paesaggio. Il movimento ha come obiettivo quello di far cessare la pratica della cementificazione selvaggia che affligge il nostro Paese. 
La cementificazione del terreno comporta varie conseguenze negative: aumento di anidride carbonica, impoverimento delle falde acquifere e dissesto idrogeologico, squilibri nell'ecosistema e progressivo aumento della dipendenza dall'estero per le risorse agricole ed alimentari, eppure il nostro Paese è afflitto da una spirale viziosa nella quale la sempre più esigua fetta di trasferimenti statali spinge molti comuni a cercare di far cassa rendendo edificabili aree vergini, per lo più originariamente destinate a suolo agricolo.
Il movimento, attraverso il suo portale web, sta proponendo ai comuni italiani di censire le proprie aree edificabili, soprattutto quelle su cui sorgono edifici abbandonati, o che andrebbero restaurati. Questo sarebbe il primo passo verso l'adozione di piani regolatori che incentivino interventi di edilizia su tali zone, al fine di recuperare e sfruttare l'esistente, senza erodere più ettari ed ettari di suolo agricolo. Tant'è, si parla in questo caso di Comuni a crescita zero, dove zero sta per uno stop assoluto alla cementificazione in aree vergini. Dopo Cassinetta di Lugagnano nel milanese, il primo comune ad aderire al movimento, ora ha aderito il comune di Camigliano.
Dalla cementificazione selvaggia non è immune nemmeno la regione Piemonte, da sempre terra di legna e boschi.
Dall'ultima rilevazione sul consumo di suolo condotta dalla Regione, che fotografa la situazione fino al 2008, risulta che il consumo di suolo negli ultimi vent’anni si è portato via in media mille ettari all’anno di suolo fertile, al netto di infrastrutture e mobilità. Edifici residenziali, commerciali e industriali hanno guadagnato terreno a scapito dell’agricoltura e del paesaggio e il 7,2 per cento della superficie regionale risulta “consumata” dal cemento: 182.894 ettari di suolo urbanizzato su una superficie complessiva di 2,5 milioni, che per più di un terzo è formata da montagne. Per la prima volta le cifre prendono in considerazione anche il terreno consumato dalle infrastrutture che, secondo gli analisti, incidono per circa il 20% sul totale del suolo consumato. Senza contare autostrade, ferrovie e svincoli, comunque, al 2008 la percentuale di suolo impermeabilizzato è stata del 5,9%, 25 mila ettari in vent’anni. 


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A Cuneo il Circolo locale del Forum Salviamo il Paesaggio

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Nella puntata speciale di Presa Diretta, dedicata all'alluvione che ha interessato Genova e le Cinque Terre,  andata in onda lunedì 7 novembre 2011, si è puntato il dito contro la cementificazione selvaggia che ha afflitto - e continua ad affliggere - il nostro Paese, considerandola come una fra le più importanti cause del dissesto idro-geologico a monte delle recenti alluvioni. 

L'altra grave causa scatenante è costituita dall'incuria nella manutenzione di argini e letti dei fiumi: se l'acqua non trova uno spazio sufficiente per scorrere se lo prende, invadendo con furia inaudita città e paesi, rimuovendo i tappi costituiti da case, arcate di ponti, arbusti ed esseri umani.

In questo scenario, appare un segnale molto importante la notizia che è sorto a Cuneo il Circolo locale del Forum Nazionale “Salviamo il paesaggio, Difendiamo i territori”, un movimento creato nei mesi scorsi da Carlo Petrini di Slow Food e altri, con lo scopo di arginare la dilagante cementificazione del nostro paese. 

Il  territorio è stato trattato, a partire dal boom economico degli anni 60 del 900 come un supermercato da cui prendere aree sempre più vaste di suoli boschivi o coltivati,  con l'unico scopo di cementificare. In passato, si è cementificato per costruire case, oggi lo si fa perché i Comuni hanno sempre più bisogno di fare cassa, e cambiano la destinazione urbanistica anche a terreni che sono situati troppo vicini ai fiumi, o che hanno una natura franosa. E i condoni non hanno certo migliorato la situazione, anzi: sono state sanate numerose situazioni che le norme qualificavano come abusive.

Il Forum Salviamo il paesaggio, Difendiamo i territori invece, sostiene che esiste una strada concreta alternativa al modello attuale e che si può gestire un comune anche facendo a meno degli oneri di urbanizzazione derivanti da nuove edificazioni. E' un risultato che si può ottenere attraverso la "crescita zero" urbanistica, come esito di una concertazione attenta e condivisa. 

I fronti operativi sono 2:


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L' assoggettabilità degli impianti fotovoltaici all'ICI

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L'assoggettabilità o meno degli impianti fotovoltaici al pagamento dell'ICI (imposta comunale sugli immobili) rappresenta un importante aspetto tributario relativo alle fonti energetiche rinnovabili, sul quale permane una notevole incertezza, causata sia dalla controversie interpretative fra Agenzia del territorio e Agenzia delle Entrate, sia dalle contradditorie sentenze dei giudici pronunciatisi in merito. In questa sede tratteremo della querelle tra le 2 agenzie.

La questione (che può essere posta in questi termini: l'impianto costituisce un bene mobile, dunque non soggetto a ICI, oppure è un bene immobile, e per questo non soggetto all'imposta?) è quanto mai stringente perché l'attuale incertezza riguarda l'azione amministrativa stessa delle 2 agenzie, gli investitori in energie rinnovabili, l'azione dei Giudici Amministrativi, presso cui vengono ad aprirsi in contenziosi e, non da ultimo, i Comuni nei quali quegli stessi impianti sono collocati, che si trovano alla perenne ricerca di fonti di finanziamento, dato il progressivo venire meno dei trasferimenti statali.

In estrema semplificazione, la discussione parte dalla definizione di bene immobile: un bene risulta immobile perché inamovibile da un bene immobile (un terreno, un fabbricato) nel quale è inserito, oppure è immobile perché privo dell'integrazione con il supporto immobile (di nuovo, il terreno o il fabbricato), o dell'integrazione fra le parti stesse che lo compongono?

Il tutto può essere affrontato con esiti diametralmente opposti se si pensa ad un impianto energetico domestico (dotato di un numero di parti componenti minore rispetto ad un omologo di maggiori dimensioni), diciamo sotto o attorno ai 20 kw,  oppure ad un impianto di potenza superiore. Nel primo caso, l'amovibilità - quanto meno teorica - è fattibile e senza costi economici aggiuntivi eccessivi (posso quindi pensare ai pannelli sul tetto di un condominio come un bene mobile), mentre risulta difficile pensare di poter spostare, se non a fronte di costi economici ingenti, un intero parco fotovoltaico da un terreno ad un altro!

Altra questione è la connessione o meno dell'impianto alla rete elettrica nazionale: nel caso di un grande impianto connesso alla rete elettrica può configurarsi un interesse pubblico, e dunque un'esenzione dall'imposta ICI? Questa è l'interpretazione, innovativa, del Consiglio Nazionale del Notariato, di cui parlo in seguito.
L'Agenzia delle Entrate fa peraltro notare che la destinazione urbanistica di un terreno su cui viene ospitato un impianto fotovoltaico non è destinata a cambiare per il fatto stesso di ospitare l'impianto: se era agricolo, o edificabile, rimane comunque tale...

L'occasione per affrontare questo argomento è data dall'attesa (che si trascina da diverso tempo) della pubblicazione di una circolare congiunta delle 2 agenzie volta a far chiarezza proprio in relazione agli aspetti prima evidenziati.



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Abusivismo e autorizzazione paesaggistica in sanatoria

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Una società costruisce, su un terreno di sua proprietà, vicino al suo stabilimento produttivo, una costruzione abusiva di grandi dimensioni (circa 60 metri di lunghezza per 6 di larghezza).
Questo terreno è classificato come area produttiva, ma per buona parte è sottoposto a vincolo ambientale.
Un articolo delle NTA del PRG ammette nelle zone produttive l'aumento fino al 10% della superficie coperta esistente alla data di adozione del PRG stesso, ma previa stipula di una convenzione con il Comune che preveda, fra le altre cose, "miglioramenti qualitativi dell'insediamento produttivo quali la riduzione dell'impatto ambientale nonché la cessione di aree o la realizzazione di opere finalizzate all'interesse pubblico"…

Inevitabile la sospensione dei lavori, e il tentativo di una domanda di sanatoria, il suo successivo diniego e, quindi, l’ordine di demolizione. Le cose sarebbero potute andare diversamente?


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Autorizzazione paesistica in sanatoria

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Sanatoria paesistica postuma: quando è vietata e quando è “auspicabile”

Supponiamo di avere un’azienda agricola familiare, situata in un’area sottoposta a vincolo paesistico-ambientale e assoggettata a vincolo idrogeologico.

Se, volendo incrementare le potenzialità ricettive della struttura, dobbiamo modificare, in parte, il territorio circostante – un bosco, in questo caso – e richiediamo un’autorizzazione paesistica per la trasformazione del bosco e la realizzazione di nuovi chalet ma, incapaci di aspettare le lungaggini burocratiche, decidiamo di realizzare i nuovi manufatti prima del rilascio dell’autorizzazione: cosa succede?

Cosa capita se la forestale se ne accorge?


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Sovrapposizioni legislative-amministrative

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Quale natura hanno le disposizioni del Piano Energetico Ambientale Regionale della regione Sicilia, regione a Statuto speciale?
Qual è, di conseguenza, il loro ruolo nella gerarchia delle fonti del diritto?

Sono domande che a prima vista possono sembrare questioni di lana caprina, perché sembrano volare alto, al di sopra dei problemi della quotidianità amministrativa.

Ma non è così, se solo si pensa che la questione relativa al riparto delle competenze fra Stato, regioni ed enti locali rappresenta uno snodo fondamentale nella gestione della legislazione dell’ambiente e dell’energia.
Solo per fare qualche esempio, basta che leggiate alcuni dei post in materia di riparto di competenze pubblicati sul blog di Natura Giuridica, che vi riporto in calce a questo post di oggi.


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Risparmio energetico e normativa urbanistica

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Quale obiettivo vale di più: il risparmio energetico o quello perseguito dalla normativa urbanistica?

Se lo è domandato il TAR di Brescia (sentenza n. 875/10, gratuitamente scaricabile dal sito di Natura Giuridica, previa registrazione), nel decidere su un ricorso presentato per l’annullamento di un provvedimento del Responsabile del Settore Edilizia di un comune della zona, con il quale è stato negato il rilascio di permesso in sanatoria in relazione ad opere eseguite in parziale difformità rispetto al permesso a costruire.

I motivi del ricorso potete approfondirli scaricando la sentenza del TAR di Brescia n. 875/10: qui vi dico solo le conclusioni cui è pervenuto il Collegio, che nella breve sentenza ha tenuto a precisare che l’obiettivo del conseguimento del risparmio energetico va contemperato con quelli perseguiti dalle norme di disciplina edilizia ed urbanistica, senza che possa affermarsi una generalizzata ed indiscriminata prevalenza della prima sulle seconde.


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Tutela ambiente-paesaggio

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La valutazione d’incidenza sull’ambiente e sul paesaggio può essere limitata sull’area sulla quale ricade l’intervento, oppure deve essere necessariamente riferita al globale contesto ambientale?

Il TAR di Bari (sentenza n. 1274/09, liberamente scaricabile per i registrati sul sito di Natura Giuridica) si è cimentato nella risoluzione di questo quesito, nato da un ricorso volto a chiedere l’annullamento di un decreto emesso dal Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio delle Province di Bari e Foggia, concernente la realizzazione e le urbanizzazioni primarie all’interno di un’area di lottizzazione.

I ricorrenti, in estrema sintesi, contestavano:


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Autorizzazione paesaggistica e valutazione d’impatto ambientale

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Sul sito di Natura Giuridica è stata pubblicata oggi un’interessante sentenza (TAR Brescia, n. 629 del 2009), relativa all’impugnabilità della comunicazione di avvio del procedimento.


Secondo il Giudice amministrativo lombardo, la comunicazione di avvio del procedimento - promuovendo l’instaurazione di un contraddittorio a carattere necessario - riveste evidente natura prodromica ed endoprocedimentale e, di conseguenza, non è direttamente lesiva della sfera giuridica del destinatario e, quindi, non è autonomamente ed immediatamente impugnabile.

Il controllo a difesa del vincolo paesaggistico che compete all’autorità statale investe la legittimità del procedimento autorizzatorio, e si concentra principalmente sull’esaustività della documentazione allegata alla pratica già esaminata e vagliata dal Comune, che ha poi emesso il provvedimento favorevole: le integrazioni, dunque, afferiscono ad eventuali carenze od omissioni riscontrate in sede di trasmissione delle planimetrie e degli elaborati alla Soprintendenza, mentre non possono riguardare documenti che il Comune non ha mai provveduto ad acquisire.

Nella specie, il Collegio ha:
• sottolineato che gli eventuali vizi possono essere fatti valere impugnando l’atto conclusivo, dotato di carattere autoritativo e perciò capace di procurare un concreto pregiudizio;
• ritenuto che l’avvio del procedimento fosse stato legittimamente comunicato, attraverso il sollecito della spedizione dell’eventuale documentazione mancante per errori commessi durante la formazione del plico ovvero per disguidi postali.

Per leggere la sentenza, ed approfondire le motivazioni poste alla base della decisione del TAR Brescia, collegati al sito di Natura Giuridica, e scarica la sentenza n. 629 del 2009.



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