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Acque emunte e bonifica: quale gestione?

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Il tema trattato dalla sentenza oggetto del post di oggi – le problematiche sottostanti la gestione delle acque emunte dalle falde sotterranee durante le operazioni di bonifica – è già stato oggetto di analisi nelle pagine di Natura Giuridica.

In particolare, ho cercato di delineare, se pure a grandi linee, le difficoltà relative:
  • alla qualificazione giuridica delle acque de quibus;
  • al regime autorizzatorio degli impianti di depurazione delle stesse e, infine,
  • ai limiti di emissione applicabili allo scarico.
oltre a segnalarvi alcuni dei più recenti interventi giurisprudenziali in materia (in partcolare: TAR Catania, ordinanza n. 788 del 07.06.2007; TAR Puglia – Sezione di Lecce n. 2247 del 4 aprile 2007; TAR Friuli Venezia Giulia (sentenza n. 90 del 28 gennaio 2008).

Nella sentenza in esame oggi, la vicenda trae origine da un ricorso proposto dalla Syndial contro una nota della provincia di Siracusa con la quale l'Amministrazione ha ritenuto di “non poter esprimere” il parere di VIA in merito alla richiesta fatta dalla società.

In sostanza: la Provincia ha ritenuto che, dal confronto del progetto definitivo di bonifica autorizzato con il progetto di V.I.A. presentato, l’impianto di trattamento costituirebbe “un impianto di trattamento di rifiuti liquidi costruito in assenza di autorizzazione ex art. 27 d.lgs n. 22/97, ora art. 208 d.lgs n. 152 del 2006”.

Di qui la dichiarazione di “non poter esprimere” il parere richiesto, stante l’impossibilità di procedere con la valutazione di impatto ambientale “in sanatoria”, ed il conseguente arresto del procedimento avverso il quale la ricorrente ha proposto il ricorso de quo.

Rimandando alla lettura del testo integrale della sentenza per un approfondimento, in questa sede voglio evidenziare che il giudice amministrativo ha ritenuto illegittimo
l’arresto procedimentale disposto dalla Provincia di Siracusa sulla base dell’asserita omessa autorizzazione dell’impianto di trattamento acque di falda ai sensi della normativa sui rifiuti, posto che le disposizioni di cui al Testo Unico Ambientale, in vigore, sanciscono che tali acque non sono soggette al regime dei rifiuti bensì a quello, del tutto diverso dal primo, degli scarichi idrici.

E’ palese a tale proposito, il contenuto dell’art. 243, primo comma, del Testo Unico Ambientale, a norma del quale “le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissioni di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto”.
Conclude, quindi, affermando, sulla scia della giurisprudenza già citata nel blog, che
l’art. 243 del Testo Unico Ambientale individua una disciplina per queste tipologie di acque reflue che può dirsi speciale rispetto alla nozione di scarico ordinaria e dalla quale si evince l’intenzione del legislatore di riferirsi, per la gestione delle acque di falda emunte nelle operazioni di MISE/bonifica, alla normativa sugli scarichi idrici e non a quella sui rifiuti.
Da ciò consegue la non applicabilità, per le stesse acque, della disciplina sui rifiuti, che è incompatibile con la prima ai sensi ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. b) del Testo Unico Ambientale (che modifica parzialmente il precedente art. 8 del d.lgs n. 22 del 1997). L’art. 185, comma 1, lett. b) del d.lgs n. 152 del 2006, infatti, esclude dalla normativa sui rifiuti “gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi costituiti da acque reflue”.


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Scarichi indiretti e rifiuti liquidi

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Il Tribunale di Macerata - Sezione distaccata di Civitanova Marche, con sentenza del 27 ottobre 2006, affermava la responsabilità penale del Sig. Benedetti Goffredo in ordine al reato di cui all’art. 51, 1° comma, del Decreto Ronchi D.Lgs. 5 febbraio per avere – quale imprenditore individuale esercente attività di autolavaggio - effettuato lo stoccaggio non autorizzato, in vasche di decantazione, di rifiuti speciali non pericolosi consistenti in fanghi da autolavaggio derivanti dalla depurazione dei reflui.

Nel ricorso per Cassazione presentato dal Benedetti, la difesa deduceva la violazione di legge, in quanto non si sarebbe dovuto applicare nella specie la disciplina dei rifiuti liquidi, bensì quella degli scarichi, poiché le acque provenienti dall’autolavaggio andavano a defluire direttamente nelle vasche di decantazione.

La Cassazione ha respinto il ricorso, evidenziando che – in relazione al problema del coordinamento della disciplina dei “rifiuti” con quella degli “scarichi” – anteriormente all’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale la giurisprudenza costante della stessa Corte ha affermato che

la distinzione tra “acque di scarico” e “rifiuti liquidi” non va ricercata nelle caratteristiche della sostanza, bensì nella diversa fase del suo processo di trattamento,
sicché ha costantemente enunciato che nella disciplina delle acque rientra unicamente la fase dello “scarico”, cioè della immissione diretta nel corpo ricettore.

Diversamente, ogni altro sversamento rientra nel concetto di “rifiuto”: nozione, quest’ultima, destinata a ricomprendere “l’immissione di reflui non effettuata attraverso un sistema canalizzato di raccolta e di scarico”.

In definitiva, le violazioni in materia di scarico trovano applicazione soltanto se il recapito dei reflui nel corpo ricettore sia “diretto”.
Se, al contrario, presenta momenti di soluzione di continuità (ed è questo il caso dello scarico dei reflui in vasche e del successivo trasporto in altro luogo tramite autobotte), si è in presenza di un rifiuto-liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato.

Richiamata questa costante giurisprudenza, la Cassazione evidenzia che

qualche incertezza può sorgere in seguito alla nuova definizione di “scarico”, introdotta dall’art. 74, 1° comma – lett. ff), del Testo Unico Ambientale, ove non è più previsto che la immissione di acque reflue debba essere “diretta tramite condotta” e non sono più specificate le varie tipologie di scarichi (acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili), pur continuando l’art. 185 del D.Lgs. n. 152/2006 a disporre, comunque, che “non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto: ... b) gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi contenuti in acque reflue” (l’art. 8, comma i - lett. e, del DLgs. n. 22/1997 faceva riferimento, invece, ai “rifiuti allo stato liquido”).
Tuttavia, questo apparente ostacolo letterale è già stato affrontato dal Giudice di legittimità, che ha affermato che, anche dopo l’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale, integra “scarico” in senso giuridico qualsiasi sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza - senza soluzione di continuità, artificiale o meno - i reflui dal luogo di produzione al corpo recettore.

In conclusione, nonostante i difetti di chiarezza e di coordinamento delle nuove disposizioni normative, deve continuare a ritenersi che i cd. “scarichi indiretti”, cioè quelli che non raggiungono immediatamente un corpo ricettore o un impianto di depurazione, continuino ad essere disciplinati dalla normativa sui rifiuti ed invero, qualora il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è interrotto, viene meno lo scarico per fare posto allo smaltimento del rifiuto liquido.

Lo stoccaggio di fanghi, conclude la Corte, è operazione ben diversa dallo scarico finale: nella caso di specie, il giudice del merito ha accertato in punto di fatto che nelle vasche di decantazione dell’azienda erano depositati fanghi decantati non smaltiti per una quantità complessiva di circa 50 quintali e che l’ultimo smaltimento risaliva all’anno 2002.

Cassazione Penale, Sez. III, sent. n. 6417 dell’11 febbraio 2008, Ric. Benedetti

Per un approfondimento, leggi l'articolo: "Acque reflue convogliate a impatto depurativo: scarico o rifiuto?", di commento alla sentenza del T.A.R. VENETO, Sez. III – 26 gennaio 2005, n. 248, pubblicata sul sito di Giuristi ambientali.



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La politica ambientale nel paese del Gattopardo (8). La lenta e tortuosa vicenda della nozione di scarico (parte quarta)

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L’art. 74, comma 1, lett. ff) del c.d. “Testo Unico Ambientale”, nella sua versione originaria, definiva scarico “qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’articolo 114”.

L’eliminazione del riferimento a qua
lunque immissione “diretta” nell’ambiente “tramite condotta” non solo ha sconvolto la paziente opera di ricostruzione giurisprudenziale, ma soprattutto, ha rimesso “in discussione il difficile rapporto con la normativa sui rifiuti, ritenuta universalmente la disciplina di chiusura del sistema, atta ad evitare che restino prive di controllo le rilevanti ipotesi di introduzione di sostanze nei corpi ricettori in assenza di condotta evidenziate dal Governo”, creando numerosi problemi di coordinamento con norme, che si inserivano in un diverso contesto terminologico.

Nonostante un’autorevole dottrina, seppur mossa dalle migliori intenzioni, abbia sostenuto il contrario, la nozione di scarico introdotta dal “testone” ha, indubbiamente, creato qualche scompiglio negli operatori…e che parecchi grattacapi al Giudice di legittimità, costretto ad “arrabattarsi” in qualche modo per sostenere che – nonostante l’eliminazione, sopra indicata – la paziente opera certosina di ricostruzio
ne interpretativa giurisprudenziale non era perduta, e che, dunque, non era stato minimamente rimesso in discussione il difficile rapporto di coordinamento con la normativa sui rifiuti.

Con il recente D.Lgs n. 4/08 si è assistito ad un “ritorno al passato”, con la reintroduzione della previgente definizione di scarico, seppur con qualche “accorgimento semantico”.
Il nuovo art. 74, comma 1, lett. ff) definisce scarico “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'articolo 114”.

In conclusione, si può affermare che lo sforzo ermeneutico, dottrinale e giurisprudenziale, merita sicuramente tutta la solidarietà da parte di coloro che hanno a cuore la più ampia tutela possibile dell’ambiente: tuttavia, il “passo indietro” effettuato dal legislatore delegato offre sicuramente maggiore stabilità (e serenità) interpretativa, non solo ai fini di una più semplice ed intelleggibile lettura del dato normativo – per di più inserita in un testo che ambisce ad essere unico….– ma anche per una più completa ed efficace tutela dell’ambiente.


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La politica ambientale nel paese del Gattopardo (7). La lenta e tortuosa vicenda della nozione di scarico (parte terza)

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Anche a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 22/97 (sui rifiuti) e del D.Lgs. 152/99 (sulla tutela delle acque), stante la parziale coincidenza tra «acque di scarico» e «rifiuti liquidi», il criterio di discrimine tra le due discipline non è la differenza della sostanza, bensì la diversa fase del processo di trattamento della sostanza stessa, per cui è riservata alla disciplina della tutela sulle acque solo la fase dello «scarico», cioè quella dell'immissione diretta nel corpo recettore.

La nuova definizione di scarico, secondo la Suprema Corte di Cassazione, costituisce il parametro di riferimento per stabilire, per le acque di scarico e per i rifiuti liquidi, l'ambito di operatività delle normativa in tema di tutela delle acque e dei rifiuti, sicché solo lo scarico di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili, diretto in corpi idrici ricettori, specificamente indicati, rientra in tale normativa.

Per contro, i rifiuti allo stato liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfaccia senza versamento diretto nei corpi ricettori, avviandole cioè allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato, rientrano nella disciplina dei rifiuti e il loro smaltimento deve essere autorizzato.

Coerentemente con questa impostazione, la Suprema Corte ha, in seguito, affermato che l'immissione non autorizzata di acque reflue industriali senza il tramite di una condotta, o di un sistema di convogliabilità, non è punita ai sensi del D.Lgs. n. 152/99, attesa la nozione di scarico contenuta nell'art. 2 comma 2 lett. bb) del citato decreto, dovendosi diversamente configurare l'ipotesi di abbandono incontrollato di rifiuti (liquidi) sanzionata all'art. 51 D.Lgs. n. 22/97.

La giurisprudenza successiva all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/99 ha, quindi, salvo alcune sentenze di segno opposto, ribadito la scomparsa dello scarico indiretto, affermando che non sembra dubitabile la scomparsa di quello che la giurisprudenza qualificava come scarico indiretto, ovvero la sua trasformazione in rifiuto liquido.

Più esattamente, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 152/1999, se per scarico si intende il riversamento diretto nei corpi recettori, quando il collegamento tra fonte di riversamento e corpo ricettore è interrotto,viene meno lo scarico (indiretto) per far posto alla fase di smaltimento del rifiuto liquido.

Sottolineare, come fa la Corte di Cassazione, che l'assenza di qualsiasi versamento diretto nei corpi ricettori (includendovi tutti i casi di avvio dei reflui allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato) rende applicabile la disciplina di cui al decreto Ronchi, non ha, tuttavia, risolto tutti i dubbi interpretativi riguardo al significato da attribuire al termine "diretto".

Questa precisazione (comunque non canalizzato) poteva essere interpretata nel senso che un sistema che comunque canalizza (senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno) i reflui dal luogo di produzione al corpo ricettore, è sottoposto alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 152/99.

La giurisprudenza ha ritenuto che i reflui, così immessi, costituiscono rifiuti allo stato liquido e non acque reflue, in quanto non sono convogliati direttamente in un corpo idrico ricettore.

Anche in dottrina si è sostenuto che la nozione di scarico debba essere valutata ed intesa in senso formale giuridico, cosi come delineato dallo stesso D.Lgs. n. 152/99 (con la conseguente applicazione della normativa sui rifiuti in tutti quei casi in cui, nonostante la presenza di una serie di condutture, che collegano i reflui dal luogo in cui sono prodotti al corpo ricettore, non si possa configurare uno scarico in senso giuridico).



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La politica ambientale nel paese del Gattopardo (6). La lenta e tortuosa vicenda della nozione di scarico (parte seconda)

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Con l'entrata in vigore del decreto Ronchi (D.Lgs. n. 22/97), le acque di scarico sono state espressamente escluse dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti (art. 8, comma 1, lett. e), con l'unica eccezione costituita dai rifiuti allo stato liquido.

Il legislatore, inoltre, ha previsto il principio base in base al quale sono vietati deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo, quanto l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee (art. 14, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 22/97).

Con la nozione di scarico introdotta dal D.Lgs. n. 152/99 (art. 2, comma 1, lettera bb) - che contiene una precisa limitazione alle immissioni dirette, di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili effettuate tramite condotta e provenienti da certi tipi di insediamento (di tipo residenziale o di servizi o nei quali si svolgono attività commerciali o industriali ovvero da reti fognarie) - il legislatore ha abbandonato la nozione onnicomprensiva dettata dalla legge Merli.

Di conseguenza, sotto la vigenza del D.Lgs. n. 152/99 non configurava più uno scarico in senso tecnico quello che non convogliava acque reflue tramite condotta (e, cioè, tramite uno stabile, oggettivo e duraturo sistema di deflusso, anche se non necessariamente attraverso una tubazione): erano, quindi, escluse dalla nozione di scarico tutte quelle immissioni di sostanze che, liquide o semiliquide, non avvenissero tramite condotta o che avessero ad oggetto sostanze che non si trovassero allo stato liquido o semiliquido.


(continua)


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La politica ambientale nel paese del Gattopardo (5). La lenta e tortuosa vicenda della nozione di scarico (parte prima)

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La legge Merli (L. n. 319/1976) aveva adottato una nozione di scarico onnicomprensiva: il riferimento allo scarico di qualsiasi tipo (episodico, occasionale, periodico, discontinuo….) o allo scarico indiretto (ad es. tramite autobotte), aveva indotto la giurisprudenza prevalente a ritenere che “la nozione di scarico comprende, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 319/76, qualsiasi sversamento o deposizione di rifiuti, indipendentemente dal modo con cui avvenga, diretto o indiretto, della sua episodicità, dello stato liquido o solido dei rifiuti, ed indipendentemente dal luogo, ossia in acque superficiali o sotterranee, interne o marine, pubbliche o private, in fognatura, sul suolo o nel sottosuolo”.

Con la successiva entrata in vigore del D.P.R. n. 915 del 10 settembre 1982, veniva prevista, all'art. 2, l'applicazione della cit. legge Merli per quanto riguardava "la disciplina dello smaltimento nelle acque, sul suolo e nel sottosuolo dei liquami e dei fanghi, di cui all'art. 2, lettera e), punti 2 e 3, della citata legge, purché non tossici e nocivi” ai sensi dello stesso.
L'art. 9, comma 3, dello stesso D.P.R., sanciva il divieto di scaricare rifiuti di qualsiasi genere nelle acque pubbliche e private.

Nel D.Lgs. n. 133/1992 il legislatore, riprendendo alla lettera la definizione contenuta nella direttiva comunitaria recepita, ha adottato una nozione ampia di scarico, definito come “l'immissione, nelle acque interne superficiali, acque marine territoriali, acque interne del litorale (nonché, per le sole sostanze indicate nell'elenco 1 dell'allegato A, nelle fognature pubbliche) delle sostanze enumerate nell'elenco I o nell'elenco II dell' allegato A, ad eccezione:

- degli scarichi di fanghi di dragaggio
- degli scarichi operativi effettuati da navi nelle acque marine territoriali
- dell' immissione di rifiuti effettuata da navi nelle acque marine territoriali
Data l'ampiezza, tale definizione includeva, analogamente a quanto previsto dalla legge Merli, anche gli scarichi indiretti.
La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, in tale contesto normativo, ha enunciato il principio di diritto secondo cui “il D.P.R. n. 915 del 1982 disciplina tutte le singole operazioni di smaltimento dei rifiuti (conferimento, raccolta, trasporto, ammasso, stoccaggio) siano essi solidi o liquidi, fangosi o sotto forma di liquami, con esclusione di quelle fasi, concernenti i rifiuti liquidi (o assimilabili) attinenti allo scarico e riconducibili alla disciplina stabilita dalla legge n. 319 del 1976, con l'unica eccezione dei fanghi e liquami tossico e nocivi che sono, sotto ogni profilo, regolati dal D.P.R. n. 915/1982"  



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