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OGM ai tempi di Expo 2015: dove eravamo rimasti? Le ultime novità normative e giurisprudenziali

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Il fatto che un'intera esposizione universale abbia come tema centrale nutrire il pianeta ha di nuovo acceso i riflettori sul delicato e controverso tema degli OGM. Al di là del dibattito fra chi è pro e chi è contro la coltivazione ed il commercio degli organismi geneticamente modificati in Italia, recentemente vi sono state numerose novità sia giurisprudenziali che normative.

Nell'articolo Gli OGM ai tempi di EXPO 2015: quali prospettive alla luce delle recenti sentenze e modifiche legislative? di Andrea Quaranta pubblicato sulla rivista Ambiente & Sviluppo edita da Ipsoa, Milano n.6/2015  si da conto da una parte quella che potrebbe essere chiamata La battaglia del “signor OGM, ossia la vicenda del Sig. Fidenato che avrebbe voluto coltivare in Italia del mais con semi geneticamente modificati se non glielo avessero vietato il Tribunale di Pordenone dal punto di vista penale, la Cassazione, il TAR di Trieste e anche il Consiglio di Stato, dall'altra I recenti sviluppi a livello comunitario poiché ai primi di marzo, con la direttiva n. 2015/412/UE , nell’ottica di “migliorare l’attuazione del quadro giuridico per l’autorizzazione degli OGM”, il Parlamento europeo è intervenuto in relazione al delicato tema concernente la contaminazione transfrontaliera, dettando nuove norme per le quali ogni Stato membro potrà vietare, in due differenti momenti, la coltivazione di OGM, a determinate condizioni, e prevedendo misure transitorie adottabili dagli Stati membri fino al 3 ottobre 2015.

Nell'articolo vengono riassunte le motivazioni con le quali il Tribunale di Pordenone dal punto di vista penale "ha rigettato l’istanza di riesame presentata contro il sequestro preventivo di tutti i beni costituenti l’azienda del Fidenato, “per avere messo in coltura, in carenza della prescritta autorizzazione, sementi di mais geneticamente modificati”; passando poi alle motivazioni per cui la Cassazione, successivamente adita, "ha ritenuto infondato il ricorso del Sig. Fidenato, affermando, in estrema sintesi, che affinché la coltivazione di mais OGM possa dirsi lecita, non è sufficiente utilizzare semi geneticamente modificati provvisti di autorizzazione al commercio, ma è necessario anche chiedere alla Regione l’autorizzazione alla coltivazione (e osservare, in caso di rilascio di quest’ultima, determinate procedure); per arrivare alle sentenze con le quali il TAR friulano ed il Consiglio di Stato hanno respinto altrettanti ricorsi presentati dallo sfortunato Fidenato.

Il problema di fondo rimane quel che i singoli Stati possono o non possono stabilire in materia di OGM  in assenza di norme chiare di tipo comunitario.
In questo senso, il Consiglio di Stato si è espresso molto chiaramente: in assenza di conoscenze certe sui rischi connessi ad un'attività potenzialmente pericolosa (come la coltivazione di organismi geneticamente modificati), l'azione dei pubblici poteri può tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, "anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali".

Il 22 aprile scorso la Commissione ha sì presentato un nuovo pacchetto OGM con lo scopo di modificare la legislazione in materia di autorizzazione agli OGM e conferire agli Stati membri maggiore libertà di limitare o proibire l'uso di OGM già autorizzati ma, alla luce di quella che è la cronaca attuale, e soprattutto del futuro che ci aspetta, sembra che sia necessario che tutti noi iniziamo a coltivare un pensiero OGM in quanto "se è vero che i pericoli connessi alla (rectius: ad una certa) coltivazione degli OGM esistono, sono reali e non vanno sottaciuti, è altrettanto vero che quella verso gli OGM sembra essere una direzione naturale, che tuttavia occorre saper governare efficacemente".
In effetti, la scelta per certi versi pilatesca dell'UE di demandare ai singoli Stati la decisione se permettere o no la coltivazione o l'importazione di OGM, non è risolutiva né del problema OGM né delle contraddizioni intrinseche di un sistema globale nel quale gli OGM possono finire sulle nostre tavole comunque, perché entrati per esempio nella catena alimentare per "contaminazione" proveniente da uno Stato membro più permissivo in materia di OGM.


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Paola Severino su la “Certezza del diritto e legalità la doppia sfida”

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Giusto ieri parlavo del fatto che l’Italia è incastrata nella sua disonestà

Oggi – quando si dice “il caso” – mi sono trovato per caso a leggere questo articolo di Paola Severino, vice rettore della LUISS, dal titolo “Certezza del diritto e legalità la doppia sfida”, pubblicato sul Messaggero di sabato 24 maggio 2008.

Un articolo che riassume con efficacia una delle piaghe della nostra società, concausa di quella disonestà che paralizza l’intero paese…

Ve lo riporto integralmente, perché vale la pena leggerlo. Per pensare.

"I primi commenti politici e giornalistici al discorso del nuovo Presidente di Confindustria ne hanno messo in luce i punti di più immediato impatto sociale: la crescita zero, le scelte energetiche, il rapporto con i sindacati, il lavoro femminile, l'occupazione dei giovani, l'inaridimento delle fonti di ricerca. Ma accanto a questi vi sono almeno altri due temi, che è forse più difficile cogliere, ma che meritano di essere approfonditi.
Il primo è stato espresso con esemplare sinteticità da Emma Marcegaglia in una proposizione ferma e chiara: "La certezza del diritto è fondamentale. Non c'è mercato senza legge".
Si tratta di un argomento denso di implicazioni e di prospettive tuttora aperte ed irrisolte, poiché il risultato di presidiare l'economia con norme certe ed efficaci si può raggiungere solo attraverso una serie di articolati passaggi.
In primo luogo, una limitazione delle prescrizioni burocratiche che scandiscono la vita dell'impresa.
La burocrazia genera approfittamenti che sconfinano nella corruzione per chi vuole trovare comode scorciatoie.
La burocrazia produce ostacoli, il più delle volte inutili e formali, alla realizzazione degli scopi di impresa.
La burocrazia corrode l'efficienza e l'efficacia che devono connotare lo sviluppo del mercato.
La burocrazia genera sacche di potere cui non corrisponde alcun contenuto costruttivo, ma solo l'esercizio di una ottusa forza ostativa.
La burocrazia sopperisce alla incapacità dello Stato di svolgere controlli efficaci imponendo al cittadino di documentare e certificare fatti di cui proprio lo Stato che li richiede do
vrebbe avere diretta cognizione.
In secondo luogo, una semplificazione ed una riduzione del numero delle leggi.
La stratificazione convulsa e disordinata di norme prive di coordinamento interno e sistematico genera uno stato di incertezza interpretativa in cui il governo dell'impresa diventa una traversata piena di pericoli e di incognite.
La difficile reperibilità di provvedimenti legislativi, sparsi nelle fonti più diverse, anziché raccolta in testi unici, determina il formarsi di una cultura da "legulei" che è incompatibile sia con la cultura d'impresa che con la cultura del giurista.
L'oscurità dei testi legislativi ed il loro intrecciarsi ed intersecarsi in un inestricabile groviglio generano incertezza nell'interpretazione del diritto e quindi nell'indicazione della corretta via al comportamento dell'imprenditore.
In terzo luogo, il recupero di efficienza della giustizia.
Appare ormai superfluo ripetere per l'ennesima volta che una sentenza emanata dopo anni di defatiganti rinvii non può soddisfare l'esigenza di giustizia di chi chiede l'applicazione della legge.
Se l'accertamento di un credito, il riconoscimento di un diritto di proprietà, il risarcimento di un danno richiedono anni di costoso processo, a quali rimedi sostitutivi potrà ricorrere l'imprenditore per non soccombere alla legge del più prepotente e spr
egiudicato?
Solo un Paese con poca burocrazia, con un numero limitato di leggi chiare e perentorie, con un sistema processuale efficiente, può presentarsi con concrete chances di successo alla sfida di un'economia ormai da tempo globalizzata.
Il secondo tema meritevole di approfondimento, strettamente connesso al primo, è quello del rispetto delle regole.
Un'impresa che opera nell'illegalità è un'impresa che, oltre a violare la legge, altera le regole della concorrenza e del mercato.
Essa sottrae infatti spazio, avvalendosi spesso di connivenze, favoritismi, finanziamenti irregolari, alle imprese che rispettano la legge.
E' proprio per questo che il forte richiamo di Confindustria ad una compatta reazione dall'interno, volta a fare terra bruciata intorno alle imprese illegali, può segnare una nuova tappa della lotta per la legalità.

Sono a tutti note le recenti iniziative, volte ad escludere da Confindustria quelle imprese che, assoggettandosi al pagamento del "pizzo", diventano conniventi con associazioni mafiose da cui si attendono protezioni o favori.
Si tratta di una forma di esecrazione e dissenso sociale che può diventare una potente arma per combattere l'illegalità ed isolare chi non rispetta le regole.
Solo un Paese in cui l'illegalità non è considerata "normale", in cui l'aggiramento delle regole non è considerato un vanto da "più furbi", in cui chi non rispetta la legge è socialmente condannato dai suoi concittadini, prima ancora che dal giudice, può riprendersi dalla profonda crisi, non solo economica, che lo attraversa, e riconquistare un ruolo adeguato alle sue tradizioni ed alla sua storia".
Via Il Messaggero

PS: ieri sera, a Exit, si parlava anche delle varie problematiche legate ai c.d. "sviluppatori", i furbetti che giocano sulle fonti rinnovabili (l'esempio di ieri sera riguardava l'eolico), generando un altro mostro, e alimentando, nell'oscurità, un meccanismo che non serve a nessuno, se non ai soliti.
Ma questo è un argomento che affronteremo in un altro post.


PS2: oggi 16 novembre 2011, Paola Severino è stata nominata dal Sen. Prof. Mario Monti Ministro della Giustizia. 
Non posso che essere contento di questa scelta, e le parole postate più di tre anni e mezzo fa, all'indomani dell'insediamento a palazzo Chigi di mister B., sono una riprova del valore di questa donna.
Auguri


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Report, 13 aprile 2008: buon appetito! (III)

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(segue da)

Prosegue l’analisi dell’approfondita puntata di Report di domenica 13 aprile 2008, intitolata “Buon appetito!

Nel post precedente
si concludeva evidenziando i risultati di uno studio statunitense, il quale ha
dimostrato che “spesso” il prodotto è soltanto un pretesto per venderti un imballaggio.

I COSTI “NASCOSTI”

Più analiticamente, precisa Pietro Riccardi, “per produrre un chilo di questa plastica con cui ci han
no venduto una manciata di prezzemolo tritato o 500 grammi di pomodori si consumano 17 chili e mezzo di acqua, un po’ di petrolio, una spruzzata di zolfo, una di monossido di carbonio e 2 chili e mezzo di CO2, quella che fa crescere il gas serra.
Ma prima ancora dobbiamo calcolare i costi di estrazione del petrolio, il trasporto in raffineria, le varie lavorazioni in fabbriche diverse e ad ogni fase un nuovo trasporto. E poi quella plastica diventa subito un rifiuto e bisogna smaltirla. E allora prodotti che sono un pretesto per vendere un imballaggio".


I “PREZZI DI MERCATO”…

Ma quanto vale il prodotto?
"Ad esempio, di questa confezione di carote grattugiate che ho pagato 8 euro e mezzo al chilo, quanto va a chi lo ha prodotto nel campo, al contadino?”

Da un’indagine condotta in una delle zone agricole più fertili, a sud di Roma, è emerso che le carote,
ad esempio, vengono pagate all’incirca 7 centesimi al Kg…prezzo stabilito dal “mercato” in modo insindacabile…(il “mantra della legge di mercato”…che stabilisce, oltre al prezzo, anche le modalità e i tempi di produzione; cfr. prima parte)

…E LE CONSEGUENZE DELL’AGRICOLTURA CONVENZIONALE
Nei terreni, a forza di fare monocoltura – dettata da esigenze di mercato, per
aumentare la produttività… – l’elemento naturale ha reagito, “riempiendo il terreno di nematodi, i pionieri della vita, cioè quelli che dopo la colata lavica o dopo il disastro vanno a colonizzare”.
Il problema è che si nutrono delle radici delle piante, e la chimica si rivela un’arma non così efficace, oltre che dannosa…
In definitiva: massicce dosi di dicloropropene; sterilizzazione della terra; nematocidi sempre più resistenti; ulteriore aumento delle dosi di fumiganti…
Per produrre: carote. Carote a un certo prezzo.
Ma, alla fine, chi è questo “mercato” che stabilisce i prezzi?

I “PREZZI DI MERCATO”…E IL RUOLO DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
Il prezzo come si fa?
Risponde Giuseppe La Rocca, Presidente del MOF
, il più grande mercato orto frutta d’Europa
“Diciamo il mercato non è più il luogo come 20 anni fa, 30 anni fa, dove effettivamente si faceva il prezzo” ...
Certo il prezzo lo si fa quotidianamente nel mercato, però…
Però, in un “clima di globalizzazione”, è ovvio che il prezzo non sia più fatto, specificatamente, all’interno del mercato…

Un lungo giro di parole per dire che
il prezzo viene stabilito anche dalla Grande Distribuzione quando fa dei contratti direttamente con i fornitori.
Pietro Riccardi cerca di “mettere ordine” a questo vortice di “parole vuote”…
"Insomma, cerchiamo di capire chi stabilisce il prezzo e tutti ci dicono il mercato, ma nel più grand
e mercato orto frutta d’Europa invece, il presidente ci dice imbarazzato che sì, il prezzo dovrebbero farlo loro, perché sono appunto il mercato, ma in effetti a farlo è la Grande Distribuzione"...
Mai “toccata” - si lamenta il Presidente del MOF, dalle inchieste televisive.


Report lo accontenta, ed entra.

Per verificare.

“La Grande Distribuzione, abbiamo capito – prosegue la Gabanelli dallo studio – non passa dai mercati generali, che vendono sempre meno […], ma fa accordi con il produttore, che deve essere in grado di produrre sempre, tutto l’anno, le stesse cose e in grandi quantità. Anche nelle nostre serre si produco tutto l’anno pomodori, peperoni o fragole ma molto spesso nei supermercati vediamo che questi prodotti arrivano dall’Egitto, dalla Spagna o dal Marocco, cioè da quei paesi dove il processo di industrializzazione dell’agricoltura è più spinto”


Ma si risparmia?

(continua)


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La politica ambientale nel paese del Gattopardo (2)

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Nel post del 12 marzo 2008 ho cominciato a porre le basi per intraprendere un “viaggio” attraverso le politiche ambientali adottate nel nostro paese, delineando i tratti salienti della nozione di sviluppo sostenibile: concetto che, al di là dei proclami generali, finora non sembra aver avuto ripercussioni pratiche rilevanti…

Il Piano Nazionale per lo sviluppo sostenibile, adottato dal CIPE nel 1993 in attuazione dell’Agenda XXI, evidenziava, nelle sue premesse, che “perseguire lo sviluppo sostenibile significa ricercare un miglioramento della qualità della vita pur rimanendo nei limiti della ricettività ambientale.
Sviluppo sostenibile non vuol dire bloccare la crescita economica, anche perché persino in alcune aree del nostro Paese, l'ambiente stesso è vittima della povertà e della spirale di degrado da essa provocata.
Un Piano di azione per lo sviluppo sostenibile non deve solo promuovere la conservazione delle risorse, ma anche sollecitare attività produttive compatibili con gli usi futuri: ne deriva che l'applicazione del concetto di sviluppo sostenibile è, da un lato dinamica, ovvero legata alle conoscenze e all'effettivo stato dell'ambiente e degli ecosistemi; da un altro, consiglia un approccio cautelativo riguardo alle situazioni e alle azioni che possono compromettere gli equilibri ambientali, attivando un processo continuo di correzione degli errori ...".

Sono numerosi i precetti che si possono ricavare da queste premesse, sui quali si può informare il modello di sviluppo a principi di sostenibilità, tutt’altro discorso vale, invece, per le possibili “sfumature” della nozione di sviluppo sostenibile, o per le modalità attraverso le quali cui i concetti ad essa sottesi possono tradursi in piani, strategie d'intervento e…fatti concreti.

Sfumature che derivano dal gran numero di declaratorie, o di specificazioni del concetto che si possono evincere dalla lettura dei documenti che affrontano il tema: per rimanere al livello europeo, è stata sottolineata (A. Muratori, Sviluppo Sostenibile: tra il dire e il fare, sulla rivista Ambiente, n. 10/96, già citato nel precedente post) la scarsa chiarezza delle “idee”: “i principi di globalizzazione e di competitività delle economie sottesi dai parametri di Maastricht sembrano infatti presentare ontologici elementi di contraddittorietà, se non proprio di antiteticità, con quel concetto di sostenibilità, attorno al quale la stessa Comunità europea ha tuttavia costruito il proprio "Programma politico e di azione a favore dell'ambiente e di uno sviluppo sostenibile", che identifica nell'industria manifatturiera, nel settore energetico, nell'agricoltura, nel turismo e nei trasporti, le aree chiave destinatarie degli interventi comunitari volti al ri-ordinamento del modello di sviluppo”.

In Italia, oltre all’abituale ritardo nel dotarsi degli "strumentari" in grado di integrare le politiche ambientali con le regole di mercato, (spesso…) scontiamo i disastrosi effetti dell’approccio secondo il quale le grandi concessionarie di opere pubbliche hanno affrontato il tema della compatibilità ambientale dei propri progetti, “affidata a ponderosi studi effettuati in chiave giustificatoria di una soluzione preconfezionata”, in assenza (o quasi) di una seria comparazione fra le possibili alternative, tale da “consentire una trasparente scelta dell'opzione a minore impatto”.

Sono passati più di dieci anni da quando sono stati scritte queste considerazioni ma, stando alle riflessioni effettuate sul P.I.L. (e sul perverso modello di sviluppo imperante ad esso sotteso), questa sera, nella puntata di Report (alla quale dedicherò numerosi post, nei prossimi giorni, vista l’estrema importanza degli argomenti affrontati), non sembra che siano stati fatti grandi passi in avanti.
Anzi…


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La politica ambientale nel paese del Gattopardo (1)

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Con questo post intendo aprire una lunga e analitica riflessione sulle politiche ambientali intraprese nel nostro BelPaese, al fine di evidenziarne il pericoloso immobilismo, a fronte dell’esigenza crescente di risposte concrete agli innumerevoli problemi creati dalla miope gestione dell’ambiente e dell’economia quando i principi teorici, generali ed astratti – declamati con forza all’unanimità – devono essere tradotti in azioni concrete…

Intendo iniziare questo “viaggio” dal concetto di
sviluppo sostenibile, per cercare di evidenziare le criticità nascoste nelle maglie stesse della definizione, e di intuire (o constatare…) i negativi effetti pratici della politica che ad esso dice di ispirarsi.
Ma che, in realtà, continuando a giocare con le parole, non ha ancora dato le risposte concrete che ci attendiamo…
Sviluppo sostenibile è la traduzione letterale italiana di susteinable development: la definizione "ufficiale" – Development that meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs - Sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro propri bisogni – proviene dal famoso rapporto Brundtland (World Commission on environment and Development's - the Brundtland Commission - report Our Common future, Oxford University Press, 1987).

Come è stato osservato (A. Muratori, Sviluppo Sostenibile: tra il dire e il fare, sulla rivista Ambiente, n. 10/96) “quando risulta assolutamente indispensabile far mostra di avere raggiunto un'intesa tra parti arroccate su punti di vista molto distanti, o portatrici di interessi contrapposti, avviene non di rado che si trovi il "comune denominatore" in assunti di principio sui quali sia impossibile "non essere d'accordo", e in proposizioni sostanzialmente anodine, in grado di significare tutto e il contrario di tutto”.

Si tratta di un’analisi senz’altro impietosa ma che descrive, in modo puntuale, un certo modo di legiferare, che dietro lo schermo di affermazioni di principio tanto late quanto incontestabili, nasconde una nebulosa propensione a mantenere lo
status quo.

Grazie alla sua lata formulazione, prosegue l’autore, con il modello dello sviluppo sostenibile (che propone, contemporaneamente, orizzonti mondiali e locali),
“i paesi avanzati possono così trovare una giustificazione "etica" del proprio benessere; quelli poveri sono sottratti - o possono illudersi di essere sottratti - all'ulteriore impoverimento - centrale essendo infatti il tema della tutela e della ridistribuzione delle risorse nell'ottica dello sviluppo sostenibile - e allo sfruttamento; l'ambientalismo trova un vessillo "credibile", e al tempo stesso si libera della scomoda qualifica di laudator temporis acti, e dell'accusa di non saper cogliere, per "estraneità genetica", le esigenze della società contemporanea; e chi orienta i consumi, e produce i beni, può essere soddisfatto da un compromesso che gli propone, sì, inevitabilmente, limiti e impegni cui far fronte, ma, viste poi le scadenze, tutto sommato, con moderazione”.

Per comprendere meglio le dinamiche sottese alla
globalizzazione, ai suoi effetti sull’ambiente, e alle politiche che ne regolamentano lo sviluppo è opportuno, oltre che necessario ed importante, prendere coscienza di tali problematiche, che non sono oziose, ma che, al contrario, se comprese, smascherano la gravi carenze dell’attuale modello di politica ambientale (fatto di proclami seguiti dal nulla, di sterili, quanto dannose, contrapposizioni ideologiche e di una normativa sostanzialmente immobile nel suo altalenante oscillare politico…)

Capire come (non) funziona il meccanismo rappresenta la base da cui partire, per tentare la costruzione di un modello che di sostenibile non abbia soltanto il nome.


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