Report, 13 aprile 2008: buon appetito! (II)

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Prosegue l’analisi dell’approfondita puntata di Report di domenica 13 aprile 2008, intitolata “Buon appetito!

I LUNGHI VIAGGI DELLA VERDURA e i “PREZZI DI MERCATO”

Pietro Riccardi fa una “breve”, ma significativa, analisi
1- degli incredibili “viaggi dei prodotti agricoli”: i
I pomodorini che arrivano dalla Sicilia (nel caso specifico, si è presa in considerazione la situazione della Auchan S.p.A. di Rozzano Milano), ad esempio, sono stati prodotti a Vittoria (Ragusa), sono andati a finire a Faenza, in Emilia Romagna, a Ravenna e li abbiamo comprati a Roma.

2 - dei prezzi, che lievitano ad ogni passaggio…il caso più eclatante è quello del prezzemolo: “i 50 grammi del caro vecchio prezzemolo di questa busta, ci sono costati 1 euro e 49, detto così, forse, non appare neppure tanto, anzi si perché intanto ci potrei comperare 2 etti di caffè, ma se ne ricavo il prezzo al chilo scopro che ho pagato il prezzemolo 29 euro e 80 al chilo".

"Sono sicuro di aver comperato del prezzemolo?
Cosa abbiamo pagato comprando questa confezione? Forse questo prezzemolo non è lo stesso che quando andiamo al mercato comunale sotto casa, a fare la spesa, e chiediamo al fruttivendolo un mazzetto di odori, lui mette insieme una costa di sedano, una carota, un ciuffetto di prezzemolo appunto e veloce ce li aggiunge nella busta, gratis. Quale sarà il valore reale del prezzemolo? Quello omaggio del fruttivendolo, o quello che ho pagato al prezzo di un filetto di manzo?”

IL DOCUMENTO “MILLENNIUM ECOSYSTEM ASSESSMENT” – IL RISCALDAMENTO GLOBALE

Nel documento, frutto di una laboriosa ricerca della FAO (il documento integrale si può scaricare cliccando qui) si conclude che, la principale causa del riscaldamento della terra è legata al cibo.
O meglio, al modello di produzione, distribuzione e consumo che il mondo occidentale ha adottato.

Ma perché un pomodoro dovrebbe far aumentare il riscaldamento globale?
Come si fa a calcolare l’emissione di gas serra da quello che ho nel piatto?

A questa domanda risponde Wulf Killmann, direttore del Dipartimento forestale della FAO.

“Allora, ho una bistecca sulla mia tavola, quanto ha contribuito esattamente alla formazione di gas serra questa bistecca prima che io me la mangi?
Qui alla Fao abbiamo cercato di capire tutto il ciclo di vita di questa bistecca dall’inizio alla fine, e la conclusione è che il 18% del gas serra è prodotto dagli allevamenti nel loro complesso e questo include la deforestazione, i foraggi coltivati per alimentare i bovini (mais, soia e così via), la digestione interna (il metano che viene prodotto), i fertilizzanti usati per fertilizzare i pascoli, i processi di trasformazione in carne, la macellazione, i trasporti, la refrigerazione e cosi via…”

Questo è l’intero ciclo di vita da analizzare, e così ognuno di noi, sapendolo, può decidere di comportarsi di conseguenza…

Perché non si tratta solo di cibo, ma di un sistema fatto di infinite interconnessioni…

INTERCONNESSIONI: RISCALDAMENTO GLOBALE E PESO DEGLI IMBALLAGGI

Fertilizzanti, pesticidi, erbicidi, carburanti per i trattori, trasformazioni, refrigerazioni, trasporti.
Quanto contribuisce al riscaldamento globale il trasporto della frutta e verdura da una parte all’altra del pianeta?
E la busta di plastica che racchiude 50 grammi di prezzemolo che a occhio e croce costa di più del prezzemolo stesso?
Sono domande cui non si pensa quando si va a fare la spesa, ma che “nascondono” un universo assolutamente da scoprire.

Francesco Gesualdi, del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, intervistato da Pietro Riccardi, sottolinea, rispetto alla prima domanda, che “un chilo di ciliegie che produce qualcosa come 360 chilocalorie di fatto ne assorbe 20.000 per quanto riguarda i combustibili fossili, perché? Perché ci vogliono 2 litri e mezzo di cherosene per far arrivare un chilo di ciliegie dall’Argentina fino a qua il che significa 6 chili e mezzo di anidride carbonica prodotta, ecco e questo poi se lo moltiplichiamo per le tonnellate e tonnellate di merci che viaggiano in giro per il mondo, poi alla fine ci rendiamo conto quanto siamo assurdi e schizofrenici”.

Rispetto alla seconda, cita uno studio statunitense, fatto rispetto ad un barattolo di mais del peso di 455 grammi, al fine di capire qual è l’energia utilizzata per ogni singolo componente.
I risultati hanno messo in luce che il mais, in quanto tale, ha assorbito 450 chilocalorie nella fase agricola, 316 nella fase industriale, mentre l’imballaggio incide per 1006 chilocalorie.

In sostanza, un terzo di tutta l’energia impiegata è “destinata” agli imballaggi: la più chiara dimostrazione che, “spesso”, il prodotto è soltanto un pretesto per venderti un imballaggio.

(continua)