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La prima sentenza sul reato di inquinamento ambientale: la Cassazione offre un primo spunto interpretativo

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La confusa vittoria di Pirro della legge sugli ecoreati 
Nel commentare la nuova normativa sugli ecoreati, un paio di anni fa nelle pagine della rivista Ambiente e sicurezza sul lavorohttps://www.insic.it/Rivista-Ambiente-e-Sicurezza-sul-lavoro (EPC) sono stati evidenziati i limiti di una riforma che, al di là dei titoloni e di una certa propaganda, e al netto dei condivisibili e condivisi propositi, si era dimostrata ampiamente rimaneggiata, anche e soprattutto perché figlia del consueto modus legiferandi, infarcito di: 
  • vaghezze terminologiche (come misurare e quantificare la compromissione o il deterioramento significativi e misurabili […] e le porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo?);
  • elementi contraddittori (ve lo ricordate l’avverbio “abusivamente”?); 
  • sconti (ulteriori, rispetto a quelli originariamente previsti) di pena; 
  • possibilità di “eliminare la contravvenzione” e di “restringere sostanzialmente” il campo di applicazione della disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale; 
ed accompagnato dal mutamento del ruolo del tecnico della PA, dal ruolo (e dal potere) concesso di fatto al contravventore (che può chiedere che il termine stabilito dall’organo di vigilanza per la “regolarizzazione” possa essere prorogato fino a sei mesi), e via discorrendo. 

A due anni di distanza la Cassazione (n. 46170/2016) si è pronunciata per la prima volta su uno dei temi “caldi” della legge n. 68/2015: quello relativo alla fattispecie a cavallo fra il disastro ambientale e “i fatti di minore rilievo”, ovvero il nuovo delitto di “inquinamento ambientale”. 
E lo ha fatto con una sentenza che, pur mettendo alcuni puntini sulle “i”, mette soprattutto in rilievo (in filigrana) le difficoltà – da parte degli organi giudiziari – di interpretare le nostre leggi, e di contestarle in modo adeguato. 
La prima sentenza della Cassazione sull’inquinamento ambientale: a) i fatti 
 La sentenza trae origine da un’istanza di riesame contro un decreto di sequestro preventivo avente ad oggetto una porzione di fondale ed un cantiere a La Spezia: il reato ipotizzato era quello di cui all’art. 452-bis del codice penale, ovvero il nuovo reato di “inquinamento ambientale”. 
In estrema sintesi – questa era l’ipotesi accusatoria – una società avrebbe omesso di rispettare le norme contenute nel progetto di bonifica dei fondali di due moli. 
Norme che prevedevano particolari accorgimenti per limitare l’intorbidimento delle acque. 
Il Tribunale, in particolare, aveva precisato che: 
  • erano stati registrati “elementi di torbidità estremamente elevati e superiori al consentito”; 
  • era stata rilevata una significativa contaminazione di metalli pesanti ed idrocarburi policiclici aromatici; 
  • vi era la piena consapevolezza, da parte dei responsabili dell’azienda incaricata dei lavori, della condotta abusiva; 
  • le modalità di esecuzione dei lavori erano conseguenza di una precisa scelta imprenditoriale, il cui fine era quello di concludere celermente l’intervento, abbattendo i costi ed ottenendo, così, un maggiore profitto e che detta attività, all’atto del sequestro, si era protratta per oltre dieci mesi. 
“Sulla base dei dati appena sintetizzati”, tuttavia, conclude la Cassazione la parte in fatto, “dunque, il Tribunale ha fondato il proprio giudizio, escludendo la sussistenza del fumus del reato per le ragioni indicate in premessa ed oggetto di censura in ricorso”
Ma dal testo della sentenza, sopra sintetizzato, si fa al contrario fatica a capire siano tali ragioni, e soprattutto il perché di una tale decisione: sta di fatto che, in ogni caso, la Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza, per i motivi che riassumerò nel prossimo paragrafo. 
b) l’interpretazione dell’art. 452-bis del codice penale: l’abusività della condotta; i riferimenti quantitativi e la (tendenziale?) irrimediabilità 
Tralasciando, in questa sede, l’analisi dettagliata di quanto detto dalla Cassazione in merito all’ipotizzato (dal PM) travalicamento, da parte del Tribunale del riesame, dell’ambito della cognizione ad esso attribuita dalla legge, occorre focalizzare l’attenzione sulla correttezza dell’interpretazione offerta dagli stessi giudici del riesame in merito all’art. 452-bis del codice penale. 
La Corte richiama una copiosa giurisprudenza, che ha affermato che “quanto alla valutazione sull'elemento soggettivo del reato si è ripetutamente affermato che il controllo demandato al giudice del riesame sulla concreta fondatezza dell'ipotesi accusatoria secondo il ricordato parametro del fumus del reato può riguardare anche l'eventuale difetto dell'elemento soggettivo, purché di immediato rilievo (ex multis, Sezione 6, n. 16153 del 6 febbraio 2014). Il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, indipendentemente dall'accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell'elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all'adozione della misura cautelare reale (Sezione 6, n. 45908 del 16 ottobre 2013) Sulla base di tali premesse, la Cassazione ha ritenuto che “il Tribunale ha certamente fatto buon uso dei suddetti principi […] procedendo ad una completa verifica della sussistenza degli elementi costitutivi del reato ipotizzato, tra i quali ovviamente rientra anche l'evento, che però ha motivatamente escluso. Di conseguenza – chiosa la Cassazione – il Tribunale non ha travalicato i limiti della propria cognizione e non ha operato una valutazione piena del merito, essendosi limitato a rilevare l'assenza di una compromissione o di un deterioramento consistente e quantificabile
In considerazione dell’importanza del tema, dapprima la Cassazione ha effettuato un richiamo riassuntivo alla nuova normativa, quindi ha: 
  1. evidenziato che il Tribunale ha ritenuto sussistente il requisito della "abusività" della condotta;
  2. ricordato (in relazione la requisito dell’abusività della condotta, richiesto anche da altre disposizioni penali, come il traffico illecito di rifiuti), che “sussiste il carattere abusivo qualora essa si svolga continuativamente nell’inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorché tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attività clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati”. Si tratta di principî senz’altro utilizzabili anche in relazione al delitto di inquinamento ambientale, precisa la Cassazione: del resto anche la dottrina “ha riconosciuto un concetto ampio di condotta abusiva, comprensivo non soltanto di quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative”
  3. sottolineato che le acque sono espressamente contemplate dall’articolo 452-bis Codice penale senza alcun riferimento quantitativo o dimensionale, anche se “l’estensione e l’intensità del fenomeno produttivo di inquinamento ha comunque una sua incidenza, difficilmente potendosi definire «significativo» quello di minimo rilievo, pur considerandone la più accentuata diffusività nell’aria e nell’acqua rispetto a ciò che avviene sul suolo e nel sottosuolo”
Sulla base di queste premesse – sintetizza la Cassazione – il Tribunale ha messo in dubbio il fatto che l’esito delle condotte accertate abbiano effettivamente determinato quella compromissione o un deterioramento significativi e misurabili che la norma richiede, e che la Cassazione analizza nel prosieguo della sentenza, qui di seguito sintetizzati. 
Innanzitutto, la Cassazione precisa che, nell’individuazione del significato concreto da attribuire ai termini «compromissione» e «deterioramento» non assumono decisivo rilievo né la denominazione di «inquinamento ambientale» attribuita dal Legislatore al reato in esame, né la definizione di inquinamento di cui al Testo Unico Ambientale né, infine, l’utilizzazione del medesimo termine in altre discipline di settore. 
E allora “l’indicazione dei due termini con la congiunzione disgiuntiva «o» svolge una funzione di collegamento tra i due termini — autonomamente considerati dal Legislatore, in alternativa tra loro — che indicano fenomeni sostanzialmente equivalenti negli effetti, in quanto si risolvono entrambi in una alterazione, ossia in una modifica dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema caratterizzata, nel caso della «compromissione», in una condizione di rischio o pericolo che potrebbe definirsi di «squilibrio funzionale», perché incidente sui normali processi naturali correlati alla specificità della matrice ambientale o dell’ecosistema ed, in quello del deterioramento, come «squilibrio strutturale», caratterizzato da un decadimento di stato o di qualità di questi ultimi”. 
Detto altrimenti, secondo la Cassazione: 
  • non assume rilievo l’eventuale reversibilità del fenomeno inquinante, se non come uno degli elementi di distinzione tra l’inquinamento ambientale e il disastro ambientale
  • l’assenza di espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni (o perché no, a particolari metodiche di analisi) consente anche di escludere l’esistenza di un vincolo assoluto per l’interprete correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, anche se tali parametri rappresentano comunque un utile riferimento … 
Il Tribunale, invece ha ritenuto di qualificare i richiesti requisiti della compromissione o del deterioramento come condizione di «tendenziale irrimediabilità» - caratterizzata da «situazioni di strutturali e non provvisorie inabilità del bene rispetto alle sue funzioni», evidenziando anche la rilevanza del danno che caratterizza la condotta – che invece la norma non prevede. 
E, secondo la Cassazione, le “pur accurate” osservazioni non bastano, perché fondate su un presupposto errato. 
Per questo motivo ha annullato l’ordinanza con rinvio, con una sentenza che, in fin dei conti ha messo qualche puntino sulle “i”, ha “rimesso in gioco” l’esito di questa vicenda e contiene indicazioni che sono di sicuro aiuto, anche se non sufficienti, all’interprete. 
Ma in ogni caso, e “per come siamo messi”, con questa normativa non si può prescindere da valutazioni tecniche “molto spinte”: 
  • sia nel merito (discrezionalità e incertezza la fanno da padroni, in questo ambito) 
  • che nelle tempistiche (molto lunghe, in ogni caso lontane anni luce dalle esigenze di celerità, almeno teorica, della giustizia), 
che non aiutano alla comprensione (e alla risoluzione) delle problematiche ambientali, specie se: 
  • connesse, come nel caso analizzato nella sentenza, con una “significativa contaminazione di metalli pesanti” e 
  • caratterizzate dalla “piena consapevolezza” della condotta abusiva e dalla correlata “precisa scelta imprenditoriale”, volte ad abbattere i costi, nella “speranza” di non essere beccati o, alla mal parata, di poter dire di inquinare in modo non “tendenzialmente irreversibile”, e sfangarla alla stregua di un fatto di minor rilievo…


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Nuovi delitti ambientali - commento al ddl n. 1345/2014 approvato dal Senato

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Sul numero 5/2015 della rivista Ambiente & Sviluppo edita da Ipsoa - Milano è stato pubblicato un commento al testo del ddl n. 1345/2014 sui nuovi delitti ambientali approvato dal Senato il 4 marzo scorso di Andrea Quaranta.

Nell'articolo, dal titolo I nuovi delitti ambientali riveduti e non corretti dal Senato, viene posta l'attenzione sulle luci e sulle (molte) ombre del testo attuale.
Nell'articolo c'è inoltre un raffronto con la versione del ddl così come licenziato circa un anno fa dalla Camera e si pone l'accento sulle reazioni opposte suscitate in importanti commentatori, nell'ambito di una vera e propria querelle giuridico - politica che, prendendo le mosse da un avverbio, finisce per riguardare tutta la filosofia del provvedimento. 

Dalla titolazione dei paragrafi interni all'articolo (La strada lastricata di buone intenzioni; Le novità rispetto al testo precedente: il diavolo è nei dettagli; Le dichiarazioni e la querelle giuridico-parapolitica; Hanno tutti ragione) si intuisce come il nodo fondamentale della questione risieda nel pericolo di dar vita all'ennesimo maquillage normativo in tema di reati ambientali, con un provvedimento incapace di sistematizzare e risolvere una volta per tutte i problemi causati dalla disorganicità della normativa ambientale in campo penale.

Come afferma lo stesso autore Quaranta,
in un libro di qualche anno fa, dal titolo emblematico (“Hanno tutti ragione”) scritto da quello che poi sarebbe diventato di lì a poco un premio Oscar , l’Autore de “La grande bellezza” affermava, nel narrare le peripezie del protagonista, che “nessuno, come gli italiani, sa organizzare così bene le tempeste dentro ai bicchieri d’acqua”.
Specie, come dice Amendola, quando si tratta di normativa ambientale.
Specie perché, mi viene da aggiungere, noi italiani, come nessun altro, rappresentiamo il Paese in cui “hanno tutti ragione”, e per converso non esiste nessuno che ammetta, che riesca ad ammettere, la (o meglio: una) sconfitta. Sconfitta in tutte le sue sfaccettature, compresa quella (politica) che ha a che fare con la mancata introduzione di “novità (o riforme, che dir si voglia) risolutive”, che all’atto pratico si rivelano essere né nuove né, tanto meno, risolutive". 
Nella modifica del testo operata dal Senato esistono diversi elementi migliorativi, come l’introduzione dell’articolo relativo alla morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale; l’inserimento, fra le attività sanzionate per l’impedimento del controllo, anche di quelle relative alla sicurezza e all’igiene sul lavoro; la previsione di un’aggravante ambientale; la diminuzione dello sconto di pena per coloro che aiutano concretamente l’autorità nella ricostruzione del fatto; la restrizione dell’arco temporale entro il quale è possibile il ravvedimento operoso, nonostante sia, non solo a detta di chi scrive, un istituto che comunque non dovrebbe essere mantenuto in questi termini così benevoli; il divieto, sanzionato, di esplosioni in mare per attività di ricerca e di ispezione dei fondali marini.
Ma già quest’ultima modifica rischia di essere travolta, dal momento che, all’indomani della sua approvazione, come hanno sottolineato Legambiente e Libera, è già oggetto di ripensamenti da parte dell’esecutivo. La sua ipotetica ma verosimile eliminazione, oltre ad allungare (di nuovo!) i tempi per l’approvazione del testo definitivo, andrebbe ad allungare ulteriormente la sfilza di elementi negativi che costellano anche questo testo, e che comprendono, oltre al citato “abusivamente”:

  1. una perdurante vaghezza terminologica e di quantificazione dell’aumento di pena in tre distinti casi;
  2. l’incipit del 452-quater (È punito chiunque, “fuori dei casi previsti dall’art. 434”, cagiona abusivamente un disastro ambientale). Infatti, come, ancora una volta correttamente, ha evidenziato Amendola – nel rispondere a chi gli faceva notare che, grazie ad un suo emendamento, “resta sempre anche l’art. 434 c.p. sul disastro innominato ”– “sarebbe logico il contrario [...] che, in caso di disastro ambientale, venga applicata direttamente e solo la nuova norma speciale, evitando i problemi sinora riscontrati quando si è tentato di applicare la norma sussidiaria e generica sul cd. disastro innominato. In tal modo, invece, si riconosce che può esserci un disastro ambientale non abusivo, ma non previsto tra i nuovi delitti. E allora cosa dovremmo fare? Se l’attività è abusiva applichiamo il nuovo art. 452-quater e se, invece, è autorizzata applichiamo il vecchio art. 434, dando, peraltro, ottimi argomenti di discussione ai difensori degli inquinatori? Ma non sarebbe molto più logico eliminare quell’assurdo avverbio abusivamente ?”
  3. l’aumento della possibilità di usufruire di uno sconto di pena “se l’inquinamento (o il disastro) ambientale è commesso per colpa;
  4. l’aumento del periodo di sospensione che può essere concesso all’imputato per completare le attività di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale .

Elementi negativi ai quali devono essere aggiunte le criticità e i dubbi che persistono, in quanto non corrette neanche da questo testo.
Criticità relative alla possibilità di “eliminare la contravvenzione ” e di “restringere sostanzialmente” il campo di applicazione della disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale; al mutamento del ruolo del tecnico della PA, che si accompagna all’“inversione di ruoli” fra PG e PM; al potere che, di fatto, viene concesso al contravventore, che può chiedere che il termine stabilito dall’organo di vigilanza per la “regolarizzazione” possa essere prorogato fino a sei mesi.
 Dubbi concernenti il destino dei «nuovi» delitti ambientali a fronte della (vigente) previsione del comma 4 dell’art. 257 del TUA; i rapporti fra il delitto di “traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività” e quello di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” e i reati previsti e puniti dalla particolare disciplina di settore; le modalità di coordinamento delle attività di ripristino, messa in sicurezza, bonifica, eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente ordinate o imposte o previste come condizioni cui subordinare la sospensione condizionale della pena di cui al codice dell’ambiente e la previsione del «ravvedimento operoso»; i lunghissimi tempi di prescrizione, che di per sé non costituiscono una soluzione, ma un “éscamotage simbolico, di grande effetto (forse) sull’opinione pubblica, ma di scarsissima efficacia in concreto” .

Ce n’è abbastanza per dire che, nell’analisi complessiva del testo del ddl licenziato dal Senato, sono molto di più gli elementi negativi che quelli positivi.

Sul sito Edicola professionale WK vi sono in ordine cronologico tutti i contributi di Andrea Quaranta in materia ambientale.


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Reati ambientali. Il DDL Realacci allo studio in Commissione ambiente: come potrebbe cambiare il diritto penale dell’ambiente?

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La normativa ambientale è spesso oggetto di rimaneggiamenti di tipo amministrativo-burocratico, volti, almeno nelle intenzioni, a semplificare l’iter procedurale. Nel corso del 2013 si è avviato il cammino per una nuova codificazione ambientale e, dopo l’entrata in vigore dei reati ambientali nel corpus delle norme sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, sono stati presentati due DDL per l’introduzione di alcuni reati ambientali all’interno del codice penale, in queste settimane incorso di esame alla commissione ambiente alla Camera. Vediamo come potrebbe cambiare la normativa. 

I costi ambientali 
Recenti studi (ECBA Project Environmental cost-benefit) hanno dimostrato che le attività economiche italiane generano mediamente 24 € di danni ambientali/sanitari per ogni 1000 di valore aggiunto generato. Si tratta di un costo, enorme, causato da un certo tipo di attività, ma soprattutto dalla mancanza di un’autorevole e lungimirante regolazione ambientale adeguata, sia dal punto di vista burocratico-amministrativo che da quello sanzionatorio. 
Quest’ultimo, in particolare, è caratterizzato per la presenza quasi esclusiva di reati contravvenzionali, spesso oblazionabili, che rendono di fatto la tutela dell’ambiente un “optional non conveniente”. 

L’urgenza
Tant’è che – come evidenziato dai rapporti “Ecomafia 2012” e “Mercati illegali 2013” di Legambiente – i reati ambientali (accertati) sono aumentati, nel solo periodo fra il 2010 e il 2011, di quasi il 10%: un dato allarmante, che impone l’inserimento di specifici reati contro l’ambiente nel codice penale.
Finora nel codice, infatti, non sono stati inseriti specifici reati ambientali, anche se spesso la giurisprudenza ha fatto utilizzo di alcune norme (in particolare, l’art. 674 e 635 del c.p.) per giustificare, in qualche modo una tutela ambientale. 
E così, dopo numerosi tentativi andati a vuoto, quest’anno è stato presentato un DDL, che in queste settimane è all’esame della commissione ambiente alla Camera. 
Come potrebbe cambiare il diritto penale dell’ambiente? 

La ratio
La necessità di introdurre specifici reati ambientali all’interno del codice penale nasce dall’esigenza di prevedere un gruppo omogeneo di norme volte alla tutela dell’ambiente, finora sparse in una pluralità di normative disorganiche che, nonostante la presenza di un testo unico ambientale, rendono difficoltosa anche la loro percezione, oltre la possibilità di applicazione pratica. 
Inoltre – evidenziano i promotori – questa strada è stata intrapresa da molti Stati europei, che hanno considerato la maggior capacità di sintesi della formazione codicistica per una finalità che, oltre che repressiva, deve essere anche di “orientamento culturale” dei cittadini, volta a definire a livello normativo-codicistico i beni giuridici fondanti la convivenza civile nella società. 

La struttura tecnica della proposta
Dal punto di vista tecnico-giuridico, la proposta si caratterizza per: 
• il passaggio dalla tradizionale utilizzazione, in ipotesi del genere, di figure contravvenzionali, allo strumento maggiormente repressivo del delitto. Se da un lato ciò contribuisce ad esprimere maggiormente il disvalore di tali violazioni, dall’altro serve per evitare che entrino in funzione i meccanismi prescrizionali tipici delle contravvenzioni; 
• la mutazione della struttura della fattispecie da reato di pericolo astratto (tipico delle contravvenzioni), a quello di pericolo concreto, fino all’introduzione di forme di reato di danno, previsto in specifiche circostanze aggravanti, seguendo il paradigma del reato aggravato dall’evento. 

La proposta nel dettaglio
Anche sull’onda anche delle codificazioni europee, si è scelto di adottare una nozione ampia del bene ambiente, non limitata soltanto ai tradizionali elementi dell’aria, dell’acqua o del suolo, ma estesa anche al patrimonio naturale. 
I reati ambientali ipotizzati
Inquinamento ambientale
Chiunque: 
• introduce, in violazione di specifiche disposizioni normative, nell’ambiente sostanze o radiazioni, 
• in modo da determinare il pericolo di un rilevante deterioramento dello stato dell’aria, dell’acqua o del suolo, 
è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 2.582 € a 15.494 €,  progressivamente aumentate, sia nei militi temporali che in quelli quantitativi, se: 
• il deterioramento si verifica o se dal fatto deriva un pericolo per la vita o l’incolumità delle persone, o 
• se dal fatto deriva un disastro ambientale 
Le circostanze attenuanti concorrenti con le circostanze aggravanti non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste 

Distruzione del patrimonio naturale
Chiunque, in violazione di specifiche disposizioni normative, determina il pericolo di rilevante deterioramento dello stato della flora, della fauna o del patrimonio naturale è punito con: 
• la reclusione da uno a cinque anni e 
• con la multa da 5.165 euro a 25.823 € 

Frode in materia ambientale
Chiunque, al fine di commettere taluno dei delitti previsti nel presente titolo, ovvero di conseguirne l’impunità: 
• omette o falsifica in tutto o in parte la documentazione prescritta dalla normativa ambientale ovvero 
• fa uso di documentazione falsa 
è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a 10.329 € 

Circostanza aggravante
Le pene sono aumentate se il fatto è commesso da un associato per delinquere ai sensi degli articoli 416 e 416-bis del c.p. quando la commissione del reato rientra tra le finalità dell’associazione 

Ravvedimento operoso
È prevista una forma di ravvedimento operoso (sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 56 del c.p.), con la possibilità di diminuire la pena fino a 2/3 laddove l’autore: 
• rimuova il pericolo o 
• elimini la situazione da lui provocata prima che ne derivi un deterioramento rilevante o anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto e nella scoperta degli autori di esso 

Delitti colposi contro l’ambiente
Quando sia commesso, per colpa: 
• un inquinamento ambientale o 
• una distruzione del patrimonio naturale 
si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite, ridotte da un terzo alla metà 

Pene accessorie
Per tutte e tre le tipologie di reato sono previste le seguenti pene accessorie: 
1) l’interdizione temporanea dai pubblici uffici; 
2) l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; 
3) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; 
4) la pubblicazione della sentenza penale di condanna


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