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Bozza di DPCM sulla capacità nazionale di incenerimento: le risposte (sbagliate) a…quali domande?

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Sul n. 3/2016 della rivista "Ambiente & Sviluppo" (IPSOA), è stato pubblicato un articolo ,"Bozza di DPCM sulla capacità nazionale di incenerimento: le risposte (sbagliate) a…quali domande?", che analizza l'ultima bozza di DPCM con il quale sono stati quantificati sia la capacità attuale e potenziale degli impianti di incenerimento in esercizio, sia il fabbisogno residuo, individuando nelle macro-aree geografiche i nuovi impianti di trattamento termico da realizzare.

Poco più di un anno fa è stato pubblicato, sulle pagine di questa rivista, un articolo sul pubblicizzato nuovo incenerimento dei rifiuti dal sapore – per così dire – enigmistico: l’articolo, infatti, invitava il (più che) paziente lettore a soffermarsi sulle differenze apportate in materia dal decreto legge #SbloccaItalia, prima, e a stretto giro dalla sua legge di conversione, e a domandarsi quale fosse il senso di quel “fare e rifare, che è tutto un lavorare”, secondo l’icastica, lapidaria ed efficace sintesi proverbial-dialettale, ivi citata.
Perché il punto, come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo di questo articolo, è – continua ad essere – proprio questo: per dare delle risposte efficaci, occorre sapersi fare le giuste domande. Non limitarsi ad ingegnosi make-up linguistico-normativi buoni solo per comunicare il risultato di un laborioso (quanto inutile) lavoro di una “riforma”, da vendere ai cittadini-consumatori, molto più numerosi non solo degli addetti ai lavori (nelle cui fila militano anche gli assolutori – del lavoro del Governo di turno – a priori), ma soprattutto di chi prova a far emergere il proprio motivato dissenso non (solo) tanto alla scelta in quanto tale, quanto alla sua realizzazione contestualizzata.
E invece, sulla scia di quel metodo di lavoro tanto caro ai nostri ambidestri legislatori, (e con il consueto ritardo), ci ritroviamo, oggi, a ri-discutere non solo di questa opinabile scelta di metodo, ma anche del suo “merito” (la bozza in progress non appare esente da critiche) e, più in generale, della coerenza di chi continua a spacciarla per…
A spacciarla, confondendo i suoi alibi e le ragioni di chi (anche in questo caso sono in tanti) vorrebbe un sistema integrato e moderno di gestione dei rifiuti reale, e non annunciabile.

Le prime "risposte" a non si sa quali domande di sostenibilità

La bozza di decreto, finalmente analizzabile a luglio dello scorso anno, contiene fin dalle premesse i richiamati elementi di incoerenza politica: magari a sua insaputa, ma sta di fatto che il legislatore ha utilizzato anche in questo caso, quella “tecnica” che consiste (anche) nel far di volta in volta riferimento o a comodi elementi esterni alla volontà politica di chi “è costretto ad agire” (va di moda, ad esempio, trincerarsi dietro al “ce lo chiede l’Europa!”), o a quegli stessi elementi esogeni, ma per sostenere, al contrario, posizioni politico-elettorali di segno opposto (ad esempio: “l’Europa non può dettarci le regole!”).
In un momento storico in cui quotidianamente echeggiano gli strali anti ingerenze europee, il nostro legislatore giustifica questa scelta anche con la necessità di attuare il “progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale”, di “tenere conto della pianificazione regionale” e di “superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione” comunitarie.
Sulla base:
  • di queste di per sé inoppugnabili premesse (ma fin qui siamo alle parole);
  • degli altrettanto indiscutibili principî di gerarchia nella gestione dei rifiuti (in relazione ai quali, tuttavia, il legislatore ha scelto – non si capisce se a sua insaputa o se per noncuranza – di muoversi su un terreno minato), e
  • del continuo richiamo a diverse tipologie di un non meglio specificato “fabbisogno” di trattamento e di incenerimento (per l’interpretazione del quale occorre, a questo punto, affidarsi a qualche aruspice),
la prima bozza di decreto si struttura come segue [...]

L'articolo prosegue con un capitolo intitolato "Le risposte rivedute e corrette e l'utilizzo del Photoshop giuridico", e un altro che analizza le risposte date dalle regioni al maquillage al quale era stato medio tempore sottoposto il DPCM.

L'ultimo capitolo è intitolato un po' ironicamente, un po' provocatoriamente "42 è la risposta!Ma a quale domanda?"....

"[...]
Nella“Guida galattica per autostoppisti” – serie di romanzi di fantascienza umoristica – un supercomputer, realizzato per cercare la risposta alla “domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”, dopo sette milioni e mezzo di anni fornisce la risposta: “42”.

«“Quarantadue!” urlò Loonquawl. “Questo è tutto ciò che sai dire dopo un lavoro di sette milioni e mezzo di anni?”
“Ho controllato molto approfonditamente” disse il computer, “e questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda”»

Fatti gli opportuni distinguo, e con il Massimo rispetto per il ruolo, anche la politica 2.0, nonostante le premesse, sembra seguire – nei fatti, e per utilizzare un vocabolario comunicativo, e in quanto tale approssimativo, ma in ogni caso efficace –  lo stesso schema da “prima Repubblica”, infarcito di asserzioni aprioristiche, di espressioni normative sfarzose, di enunciazioni di principî solenni, di una comunicazione raffinata quanto vacua, di risposte generiche e contraddittorie a domande spesso sbagliate e in ogni caso non circostanziate né contestualizzate, quelle rare volte che il politico nelle vesti di legislatore (e non di comunicatore) ipotizza di risolvere i problemi partendo dall’analisi delle necessità, e quindi dalle domande.
Come si accennava in premessa, e probabilmente come conseguenza dell’assertività governativa e della relativa assenza di dubbi sul metodo e sul merito anche di questa scelta, le domande – che avrebbero dovuto, che dovrebbero indirizzare il legislatore – sono le grandi assenti anche di questa ennesima riforma ambientale.
Ed il legislatore fornisce, non può che fornire, risposte prive di significato, di soluzioni, di efficacia: si potrebbe quasi dire, a valle della lettura di questi testi, se la situazione non fosse così grave, che il legislatore sia portato più per la fantascienza umoristica che per governare le sorti di un Paese.

Volendo sintetizzare le criticità che, a parere di chi scrive, emergono dalla lettura dell’articolato normativo, si possono enucleare almeno tre categorie.
La prima, difficilmente riassumibile con un unico aggettivo, ha a che fare con l’innato carattere del nostro legislatore, poco incline a farsi domande, più propenso invece a far vedere di fare (soprattutto a dire) qualcosa e a manipolare le parole.
Tali criticità si manifestano:
  • a volte in modo palese, ad esempio laddove il legislatore continua a volersi riferire al fatto che tali impianti di “termovalorizzazione” “costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, e realizzano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantendo la sicurezza nazionale nell'autosufficienza del ciclo di gestione integrato dei rifiuti”: parole (parole parole) dotate evidentemente di poteri taumaturgici (per il legislatore), ma soprattutto autoassolutorie e funzionali alla comunicazione tautologica e martellante che domina la scena politica degli ultimi anni;
  • a volte in modo più sfumato, e quindi potenzialmente ancora più pericoloso, sotto forma di altri ipse dixit distorsivi del senso delle parole e/o della comunicazione e/o di quella che dovrebbe essere la ratio della normativa ambientale, più in generale.
Ne costituiscono un esempio il disinvolto richiamo a diktat esogeni, per giustificare qualsiasi decisione, specie se impopolare; l’utilizzo approssimativo di una terminologia non sempre coerente, sia che si tratti di “terminologia di dettaglio”, sia che si tratti di definizioni anche all’apparenza più cogenti, sia che si tratti, infine, di espressioni dirimenti per capire il contesto operativo; il pedante richiamo ad una gerarchia di gestione dei rifiuti diversa da quella reale, e modellata sulla base degli obiettivi (ehm: interessi) che si intendono raggiungere; la possibilità concessa di revisionare periodicamente le previsioni del decreto, salvo farlo soltanto “in presenza di variazioni documentate” (in sostanza: solo a consuntivo, e non in base alle previsioni delle programmazioni regionali per il futuro…); la nuova formulazione delle disposizioni finali (comma 6), laddove il legislatore stabilisce che per le modifiche del decreto, si debba tener conto anche delle politiche in atto relative alla dismissione di impianti o alla riduzione di capacità di incenerimento per le sole regioni caratterizzate da una sovraccapacità di trattamento rispetto al relativo fabbisogno di incenerimento.
L’intenzione, in questo caso, sembra essere quella di “depotenziare il conflitto istituzionale con la Lombardia, ove il caso della sovraccapacità è clamoroso”, salvo farlo “senza alcuna coerenza con la previsione fondamentale della bozza che, individuando solo l’incenerimento come destinazione ultima del rifiuto residuo, cancella le previsioni, incluse nella precedente bozza, dei 3 nuovi inceneritori per il Nord”.

Quest’ultimo passaggio ci permette di passare al secondo filone di criticità: quello delle incongruenze/contraddizioni.
La più evidente – ma non per chi ha ipotizzato queste risposte – è quella che non riesce a rispondere alla seguente domanda, per il semplice fatto di non essersela posta: perché puntare sull’incenerimento dei rifiuti, con questa presunta fretta “non operativa” (ma senz’altro con frettolosità), in un momento in cui la produzione di rifiuti è in netto calo?
E/ma soprattutto, perché puntare in questo modo così “cautelativo” sugli inceneritori che, per definizione, hanno una continua necessità di ricevere rifiuti, e per stessa ammissione del legislatore in passato sono stati sovradimensionati?
Non si tratta, con tutta evidenza, delle domande che chi legifera dovrebbe porsi prima di intraprendere un percorso normativo, quanto piuttosto di interrogativi ex post che sorgono dalla lettura di queste risposte…
Viene da chiedersi, inoltre, ad esempio:
-      perché, stando così le cose, il legislatore afferma, in premessa, che “l’individuazione di un fabbisogno basato su percentuali di raccolta differenziata minori rispetto al 65 per cento e senza tener conto degli obiettivi di ulteriore riduzione di rifiuti urbani e assimilati, determinerebbe una capacità impiantistica sovradimensionata rispetto alle esigenze nazionali”?
Senza contare il fatto che “gli impianti di trattamento preliminare hanno una capacità spesso superiore rispetto al fabbisogno di trattamento calcolato su una quantità di rifiuti residui derivanti da una raccolta differenziata a norma di legge”.
-      perché non si coordina la sedicente “strategia dell’incenerimento” (o incenerimento delle strategie?)  con quanto di recente approvato con la legge sulla green economy, la quale prevede una serie di interventi che vanno in assoluta controtendenza rispetto a questa bozza di decreto?
L’ultima, ma non meno importante, contraddizione, è quella che riguarda l’assenza di qualsiasi connessione con gli scenari delineati nel “Pacchetto sull’economia circolare”, adottato dalla Commissione europea il 2 dicembre 2015 per promuovere la transizione dell'Europa verso un'economia circolare che aumenterà la competitività globale, sosterrà la crescita economica e genererà nuova occupazione.
Il pacchetto – che contiene alcune proposte legislative riviste sui rifiuti nonché un piano d'azione globale, sulla base di una visione chiara e ambiziosa di lungo termine per aumentare il riciclaggio e ridurre il collocamento in discarica – parla anche di incenerimento, ma in termini (non mistificatori) più realistici, anche se utilizza il termine termovalorizzazione in modo giuridicamente border line…
Alla precisa domanda (“Nell'ambito di queste proposte è ancora permesso l'incenerimento dei rifiuti?”) la Commissione, infatti, risponde affermando che “se non è possibile evitare di produrre rifiuti né è possibile riciclarli, recuperarne il contenuto energetico è di norma preferibile al collocamento in discarica, sia sotto il profilo ambientale che economico. Vi è quindi spazio per la termovalorizzazione, che contribuisce a creare sinergie con le politiche unionali in materia di energia e clima, ma sempre seguendo i principi della gerarchia dei rifiuti stabilita dall'UE. La Commissione esaminerà come ottimizzare questa pratica, senza compromettere il potenziale di realizzazione di tassi di riutilizzo e di riciclaggio più elevati e come sfruttare al meglio tale potenziale energetico. A tal fine la Commissione adotterà un'iniziativa sulla termovalorizzazione nell'ambito dell'Unione dell'energia”.

Si tratta, in sostanza, di una questione di numeri, che rappresentano la terza e – almeno alla fine di questa prima lettura – ultima criticità di questa bozza.
Come s’è visto, i conti non tornano già solo se si considera il trend decrescente della produzione di rifiuti; a ciò si deve aggiungere che non vi è nessuna revisione dei calcoli per le Regioni con nuove programmazioni in corso di preparazione e che anche la terminologia utilizzata – non ulteriormente specificata – lascia ampi margini di movimento, sia in relazione ai presupposti localizzativi, sia con riguardo alla vera e propria realizzazione “di un sistema moderno ed integrato di gestione dei rifiuti urbani ed assimilati”.

La normativa, specie quella ambientale, non ha bisogno di continui ritocchi di facciata, ma di essere presa sul serio e di dare risposte precise domande strategiche.
Ma chi di dovere queste domande se le deve porre consapevolmente prima, e non dopo che un altro danno si è verificato.
In quel caso, infatti, si tratta al massimo domande retoriche, quando non semplici constatazioni interrogative di quello che è accaduto, e che si sarebbe potuto evitare, ma buone in ogni caso per giustificare altre scelte emergenziali.
E le risposte non sono quelle programmatorie e strategiche di cui abbiamo bisogno (e che ci aspetteremmo), ma semplici risposte (para-umoristiche) che – come diceva quel(l)o – il legislatore ha dentro di sé.
E che, però, sono sbagliate.


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Inceneritore/termovalorizzatore e salute della popolazione: prima dell’AIA occorre un’indagine epidemiologica

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Inceneritore/termovalorizzatore e salute della popolazione: prima dell’AIA occorre un’indagine epidemiologica

Ambiente, salute e lavoro: sembra di dover sfogliare la margherita. 
M’ama, non m’ama, e via discorrendo. 

Cosa fare, ad esempio, in caso di un inceneritore, o termovalorizzatore che dir si voglia. 

Scegliere la tutela dell'ambiente, quella della salute o il lavoro?
Scegliere l'inceneritore (soprattutto quale inceneritore), scegliere nulla, spingere verso altre forme di raccolta dei rifiuti (ma non dimentichiamoci che i rifiuti industriali non possono essere trattati con il porta a porta...), tutelare i lavoratori, optare per altre forme di valorizzazione dei rifiuti (ad esempio il coincenerimento dei rifiuti), ...?

Fermo restando che, favorevoli o contrari, ma motivatamente, occorre essere sinceri e non truffaldini con la parole: un impianto di incenerimento, anche se recupera energia, è pur sempre un impianto di smaltimento e non di recupero dei rifiuti, occorre in ogni caso cercare di mediare, fra queste tre diverse esigenze, e non scegliere un’opzione a discapito delle altre.

Proteggere l’ambiente e la salute, e promuovere il lavoro. 

Con una recente sentenza, il Consiglio di Stato ha cercato di fare proprio questo. 

La vicenda riguarda il “termovalorizzatore” di Scarlino

I giudici di palazzo Spada hanno affermato – valle di una unga ricostruzione storica della vicenda, per la quale si rinvia il lettore al sito di Natura Giuridica – che nel caso di specie assume valenza assorbente quanto meno la circostanza che lo stato di salute delle popolazioni coinvolte e le condizioni dei corpi idrici presenti nell’area interessata dallo stabilimento in questione non sono state convenientemente disaminate e considerate. 

Un dato – sottolineano al Consiglio di Stato – che pur non avendo acquisito un rilievo oggettivo sulla base di disposizioni di legge ha comunque un rilievo sotto il profilo procedimentale, poiché ragionevolmente evidenzia un consistente livello di esposizione della popolazione coinvolta dall’impianto per cui è causa, livello di esposizione che non è stato, di per sé, valutato e considerato adeguatamente in sede di rilascio dell’A.I.A. 

Quindi, a fronte delle numerose e documentate circostanze di sforamento dei vari valori di riferimento per l’inquinamento, sia dell’aria che dei corpi idrici presenti in loco, l’affermazione di carattere generale del soggetto proponente l’iniziativa (secondo la quale “nella sostanza non verranno apportate sostanziali modifiche ai processi degli impianti come attualmente configurati”) doveva essere seguita da una specifica attività istruttoria, in ordine agli effettivi agenti inquinanti già presenti e alla potenziale incidenza che su di essi si sarebbe potuta riscontrare a seguito dello svolgimento dell’attività, oggetto delle istanze della società. 

Che non c’è stata, così come è mancato uno studio epidemiologico dell’area interessata dalla realizzazione dell’impianto, posto che i dati alquanto risalenti nel tempo elaborati dal proponente non adeguatamente possono raffrontarsi, al fine di pervenire ad un apprezzamento della situazione concretamente in essere, con quelli ricavabili dall’indagine specificamente svolta al riguardo dalla medesima Azienda U.S.L. n. 9, comprendenti il periodo 2000 – 2009 (indagine che peraltro la stessa U.S.L. ha definito non ottimale e dalla quale si rileva che nel lasso di tempo considerato sussisterebbe un incremento del 36% dei tumori alla vescica per la popolazione maschile e del 117% per quella femminile, oltreché un sensibile incremento di nascite premature e di ricoveri per linfoma non-Hodgkin). 

In definitiva, essendo primarie le esigenze di tutela della salute ai sensi dell’art. 32 Cost. rispetto alle pur rilevanti esigenze di pubblico interesse soddisfatte dall’impianto in questione, il rilascio dell’A.I.A. – qualora siano risultati allarmanti dati istruttori – debba conseguire soltanto all’esito di un’indagine epidemiologica sulla popolazione dell’area interessata che non può per certo fondarsi sulle opposte tesi delle attuali parti processuali e sugli incompleti dati istruttori ad oggi disponibili - oltre a tutto riferiti a situazioni ormai risalenti nel tempo – ma che deve essere condotta su dati più recenti e ad esclusiva cura degli organismi pubblici a ciò competenti. 

Quindi un NO all’inceneritore motivato, ma in ogni caso un’apertura al possibile rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, se i risultati dell’indagine epidemiologica dovessero evidenziare dati meno allarmanti di quelli ipotizzati, ma in parte già evidenziati nella precedente indagine.

Della serie che le cose - qualsiasi sia l'angolo visuale - devono essere fatte bene...


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Il nuovo incenerimento dei rifiuti alla luce delle modifiche introdotte dallo #SbloccaItalia: aguzzate la vista...

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Sul n. 1/2015 della rivista "Ambiente & Sviluppo", edita da IPSOA, è stato pubblicato un articolo in materia di incenerimento dei rifiuti: un tema molto importante, ma trattato con forse un po' troppa superficialità dal nostro legislatore. 
Quella che segue è un a sintesi del contenuto: per comodità si riportano soprattutto alcune riflessioni finali. 
Per un approfondimento del tema, e delle novità normative, e per leggere tutte le numerose note di rinvio, occorre leggere l'intero articolo sulla rivista "Ambiente & Sviluppo", IPSOA editore, n. 1/2015.


La saggezza dei vecchi 
C’è un vecchio proverbio marchigiano che, tradotto in italiano, suona così: “se l’arte dei matti non vuoi fare devi dire che il fare e il rifare è tutto un lavorare”. 
Come a dire: “quando si fa qualcosa, bisogna farla bene”, specie se questo qualcosa deve durare nel tempo. 
Specie se questo qualcosa è importante. 
Non sembra che il nostro legislatore sia aduso a far tesoro dell’esperienza (propria o altrui), e anche in questa occasione, in relazione ad un tema “caldo” – l’incenerimento dei rifiuti o, come va di moda dire: termovalorizzazione dei rifiuti: un tema importante per la salute, l’ambiente e lo sviluppo, complesso e reso complicato anche da certe semplificazioni partisan – è riuscito a sfornare nel solo 2014 ben tre modifiche. 
Tali modifiche avrebbero dovuto in qualche modo razionalizzare questa forma di smaltimento (spacciato per recupero) dei rifiuti, per renderlo effettivamente integrato nel sistema globale della loro gestione. 
Ma nella realtà, tali modifiche rischiano di stravolgere la gerarchia nella gestione dei rifiuti e, di conseguenza, la sua sostenibilità. 
Gli interventi del legislatore danno, in definitiva, la sensazione di un (ri)tornare su concetti che ormai sembravano chiariti (la questione relativa alla termocombustione negli inceneritori come forma di smaltimento) per rimetterli in discussione e cercare, in questo modo, di dare al nostro Paese finalmente una strategica, moderna ed integrata gestione dei rifiuti, così come ci é richiesto dall’Europa. 
Una sensazione, detto in altri termini, che richiama quel “fare e rifare, che è tutto un lavorare”. 
Il nostro legislatore, in sostanza, continua a discutere degli stessi problemi, non prende decisioni definitive né coerenti e, dunque, non efficienti, e sembra comunicare un messaggio di novità, ad uso dei cittadini-elettori-consumatori, più che muoversi realmente nella direzione della sostenibilità (che rappresenterebbe la vera, e unica, novità). Vediamo perché. 

Il nuovo incenerimento: il decreto “emissioni industriali” 
Tabella 1: l’incenerimento nel decreto “emissioni industriali” [...]

Il nuovissimo incenerimento: lo #SbloccaItalia 
Con il decreto legge #SbloccaItalia il Governo ha introdotto una nuova normativa (art. 35) che, pur non modificando il testo della nuova disciplina introdotta dal decreto “emissioni industriali”, nel dettare “misure urgenti per l’individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale”, interviene sul concetto di incenerimento e, di conseguenza, sul relativo meccanismo autorizzatorio.
Disciplina integrata e modificata in sede di conversione in legge del DL (L. n. 164/2014). La disciplina dettata dal decreto legge prevedeva, in estrema sintesi, che: [...] 

L’incenerimento for dummies
Nell’ambito della gestione dei rifiuti, il nostro legislatore, sulla scia di quanto previsto a livello comunitario, ha dettato i criteri di priorità. 
La gerarchia prevede innanzitutto la prevenzione nella produzione dei rifiuti, quindi la preparazione per il riutilizzo, seguita nell’ordine dal riciclaggio, dal recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia e, quindi, come extrema ratio, lo smaltimento. 
La combustione dei rifiuti è una modalità di gestione border line, nel senso che dal punto di vista tecnico-giuridico può essere considerata come operazione di recupero o di smaltimento a seconda delle modalità prese in considerazione e degli impianti che vengono utilizzati per “valorizzare” il contenuto calorifico dei rifiuti stessi. 
A tale proposto, la Corte di Giustizia ha avuto modo di affermare, in estrema sintesi, che la combustione di rifiuti costituisce un’operazione di recupero quando il suo obiettivo principale è che gli stessi possano svolgere una funzione utile, come mezzo per produrre energia, sostituendosi all’uso di una fonte primaria che avrebbe dovuto essere altrimenti usata per svolgere tale funzione, mentre non possono essere presi in considerazione criteri ulteriori quali il potere calorifico, la percentuale delle sostanze nocive dei rifiuti inceneriti o il fatto che gli stessi abbiano, o meno, bisogno di una mescolanza o di un condizionamento con rifiuti altamente infiammabili.
In definitiva, la questione decisiva per la Corte è se i rifiuti vengano utilizzati o riutilizzati per un’autentica finalità. 
Nel caso di impiego di rifiuti misti in un cementificio, ad esempio, l’operazione costituisce recupero: in loro assenza, infatti, verrebbe comunque utilizzato del combustibile convenzionale. 
 Lo scopo primario di un inceneritore di rifiuti urbani, invece, consiste nel “trattamento termico ai fini della mineralizzazione degli stessi”, e non può essere considerato nel senso di avere come obiettivo principale il recupero dei rifiuti, anche se durante l’incenerimento di questi si procede al recupero di tutto o di parte del calore prodotto dalla combustione. Questo costituisce solo un effetto secondario di un’operazione la cui finalità principale è quella dello smaltimento dei rifiuti, e non può rimettere in discussione la sua corretta qualificazione come operazione di smaltimento. 
Come a dire: tutti gli inceneritori sono impianti di smaltimento, quindi sono all’ultimo gradino della citata gerarchia. 
Il nostro legislatore ha tenuto conto di questi saggi principî, tanto che già nel D.Lgs n. 133/05 ha definito:
  • impianto di incenerimento “qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico di rifiuti con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione [...]”, e 
  • impianto di coincenerimento “qualsiasi unità tecnica, fissa o mobile, la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di materiali e che utilizza rifiuti come combustibile normale o accessorio [...]”. 
Definizione, quest’ultima, ulteriormente integrata dal decreto “emissioni industriali”, che evidenzia che “se il coincenerimento dei rifiuti avviene in modo che la funzione principale dell’impianto non consista nella produzione di energia o di materiali, bensì nel trattamento termico ai fini dello smaltimento dei rifiuti, l’impianto è considerato un impianto di incenerimento dei rifiuti”. Anche dal punto di vista terminologico, il linguaggio utilizzato finora dal legislatore è sempre stato nei limiti del “politically correct”: trattamento, è un termine giuridicamente “asettico”, che non implica alcun valore (termovalorizzazione) o disvalore (incenerimento).

L’arte dei matti 
Se analizziamo la normativa sull’incenerimento emanata negli ultimi mesi non possiamo non cogliere qualche segnale positivo nella razionalizzazione compiuta dal decreto emissioni industriali, specie con riferimento all’inserimento della normativa sull’incenerimento ed il coincenerimento all’interno del corpus del testo unico ambientale, all’eliminazione della disposizione sul danno ambientale e, soprattutto, alle precisazioni sostenibili relative alla definizione di coincenerimento. 
Ma non si può rimanere (non solo) giuridicamente impassibili di fronte alla sterzata operata dallo #SbloccaItalia soltanto pochi mesi più tardi, anche se già in qualche modo annunciata dal Governo Letta, che nel collegato ambientale dello scorso anno aveva ipotizzato l’inserimento di un nuovo art. 199-bis all’interno del TUA, con lo scopo “di far sì che i rifiuti non possano diventare fonte di pericolo per la salute dell’uomo e di pregiudizio per le risorse naturali e per l’ambiente”.
Nella relazione illustrativa si evidenziava – all’epoca – che 
“ricorrente e particolarmente attuale è la discussione apertasi, sia tra i policy makers che tra la pubblica opinione, circa le scelte da compiersi, nel rispetto dei criteri di priorità [...] maggiormente idonee a delineare un ciclo integrato e conchiuso dei rifiuti, in modo tale che lo smaltimento in discarica venga ad essere effettivamente l’opzione finale e residuale, destinata cioè ai soli rifiuti che non si è riusciti a gestire in altro modo o agli scarti derivanti da altre forme di trattamento degli stessi”. 
La relazione proseguiva con generici riferimenti:
  • agli “atteggiamenti variegati” relativi alla “questione incenerimento” e alla necessità di “operare un momento di riflessione generale”, per “verificare, tenendo conto di tutti gli elementi rilevanti [...] quale sia l’attuale disponibilità di impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti esistente nel territorio nazionale e quali siano le effettive necessità che debbano essere soddisfatte ricorrendo a nuovi impianti da realizzare”; 
  • alla necessità di ottemperare alla procedura di infrazione n. 2011/4021, con la quale la Commissione europea ha contestato all’Italia la violazione dell’art. 16 della direttiva 2008/98/UE per quanto riguarda la mancata creazione nel Lazio di una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento di rifiuti urbani non differenziati.
Della norma non s’è poi fatto nulla, fino allo #SbloccaItalia.

Ma qual è l’impatto complessivo di questa nuova normativa? 

Al di là della considerazione circa le tempistiche da osservare – comunque confusionarie – occorre partire dalle contraddizioni intrinseche alla “costruzione giuridica” effettuata dal nostro legislatore, che: 
  • da un lato richiama il concetto di smaltimento (“è l’Europa che ci chiede di adottare una integrata ed adeguata rete di impianti di smaltimento dei rifiuti”), salvo farlo in modo non completo, 
  • dall’altro sancisce (invece) di trattare la termocombustione dei rifiuti negli inceneritori alla stregua di operazioni di recupero, sia pure con qualche formale distinguo. 
Verosimilmente sembra non possa trattarsi di un “lapsus” (parlare di smaltimento e di recupero ha due significati molto diversi, non solo dal punto di vista sociologico-comunicativo, ma anche e soprattutto da quello giuridico); più prosaicamente, sotto traccia sembra leggersi il tentativo di (confondere le idee) comunicare che finalmente con lo #SbloccaItalia il nuovo Governo non solo ha concretamente ottemperato a quanto chiesto da Bruxelles, ma ha addirittura migliorato quanto “ci è stato chiesto”, dal momento che con le operazioni prospettate non si compie una semplice attività di smaltimento ma quella più virtuosa di recupero (pardon: di termovalorizzazione).

Rimane (molto) vago il riferimento alla necessità di realizzare il “progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale”. Di “sociale”, al di là dell’enfasi con la quale viene effettuata, non c’è neanche la comunicazione – che spaccia per recupero ciò che in realtà è smaltimento – mentre di economico c’è soltanto il fatto che le regioni, con la novità introdotta dal nuovo comma 7, potranno monetizzare l’utilizzo “in impianti di recupero energetico” dei rifiuti urbani provenienti da altre regioni, chiedendo ai gestori fino ad un massimo di 20 €/t che, in periodi di “scarsa liquidità”, come quello attuale, é difficile immaginare che verranno utilizzati per gli scopi virtuosi, ma “meno impellenti”, ipotizzati dal legislatore nazionale. 
Come a dire che viene fatta sostanzialmente salva, forse incentivata, la possibilità di far circolare liberamente l’immondizia da una regione all’altra. 

Anche il concetto di “saturazione del carico termico” – e quello correlato di effettiva necessità di impianti di incenerimento/recupero – appare contraddittorio e confusionario. A parte il fatto che il richiamato art. 237-sexies sancisce che l’autorizzazione deve contenere esplicitamente anche “la capacità nominale e il carico termico nominale autorizzato” e non che “l’impianto deve essere autorizzato a saturazione del carico termico”, occorre piuttosto chiedersi sulla base di quali dati verrà calcolata la presunta “necessità effettiva” di nuovi “impianti di recupero”. 
Innanzitutto, occorre considerare che, se gli impianti, vecchi e nuovi, saranno autorizzati a “saturazione del carico termico”, ovviamente l’effettiva necessità di ulteriori impianti dovrebbe essere minima, a parità di rifiuti da (incenerire) “recuperare energeticamente”. 
Quindi, partendo dalla considerazione che, nell’ambito della più volte richiamata gerarchia, la termocombustione di rifiuti in impianti di incenerimento (che costituisce un’operazione di smaltimento, nonostante il make-up giuridico) dovrebbe stare giusto un gradino sopra lo smaltimento in discarica, e in ogni caso sotto il coincenerimento, l’incenerimento dei rifiuti, anche con valorizzazione del potere calorifico degli stessi, dovrebbe comunque costituire una forma di gestione dei rifiuti residuale. 
Infine, occorre chiedersi se la quantità (enorme) di rifiuti che si vorrebbero (incenerire) “recuperare energeticamente” sia dovuta all’impossibilità tecnica di “gestire in altro modo” i rifiuti, all’incapacità logistico-normativa di implementare una reale gestione integrata dei rifiuti o, ancora, e piuttosto, alla necessità di comunicare un problema (recuperare rifiuti che invece l’Europa ci chiede si smaltire) che, non potendo essere altrimenti risolto, si è ideato di gestire in questo modo. 
Senza dimenticare il fatto che la presunta necessità di ulteriori inceneritori – la cui ragione di esistere è soltanto quella di continuare a bruciare (sempre più) rifiuti – è antitetica al perseguimento della gerarchia nella gestione dei rifiuti.... 
Ma sembra che il Governo ritenga sufficiente limitarsi ad un make-up normativo (un banale quanto semplice giro di parole) per risolvere il problema, senza immaginare che, così facendo:
  • rischia seriamente di perseguire obiettivi “altri” rispetto a quelli dichiarati (e quindi mancherebbe di legittimità/credibilità/consenso), 
  • non affronta l’annoso problema della gestione integrata e sostenibile dei rifiuti, ma lo continua a rimandare. Alla faccia della vagheggiata modernità.
Ma il più bello deve ancora venire, e riguarda l’adeguamento degli inceneritori esistenti, laddove le autorità competenti dovranno valutare, in tempi molto ristretti, l’eventualità di “promuovere” i vecchi inceneritori ad impianti di recupero energetico R1, revisionando, negli stessi tempi stretti, le relative AIA: una fretta che non si spiega altrimenti se non con la necessità di non dover trovare troppo a lungo giustificazioni per un’operazione retroattiva dalla dubbia legittimità (quantomeno politica).

Una fretta che si accompagna a quella – sia pur “ridimensionata” – relativa al “dimezzamento dei termini”.

Quanto agli impianti nuovi, invece, il legislatore dà per scontato che saranno tutti impianti di recupero... 

In conclusione, la sensazione è, appunto, quella che richiama quel “fare e rifare, che è tutto un lavorare”. 
Un “darsi da fare” – come al solito giustificato dalla necessità di fare (che è reale) senza tuttavia curarsi di come fare – che sembra aver prodotto più che altro un nuovo “scollegato ambientale”: insomma, l’arte dei matti. 

Non si tratta – chi scrive ci tiene ad evidenziarlo – di una posizione para/anti-incenerimento dei rifiuti, ma (molto più prosaicamente) di considerare lo smaltimento mediante incenerimento per quello che è: un semplice strumento. 
Utile e necessario nei limiti in cui viene: 
  • usato – in modo corretto, adeguato, integrato, contestualizzato – per realizzare una gestione dei rifiuti integrata, efficiente, efficace, “moderna” e di prospettiva, perché deve durare nel tempo in quanto essenziale per il perseguimento (e il mantenimento) delle sostenibilità; 
  • comunicato senza giri di parole, senza ricercare continuamente scusanti per poter (nella sostanza) giustificare il suo ab-uso, attraverso banali campagne comunicative di “serie B” che, tuttavia, sono efficaci nei confronti dei non addetti ai lavori. Che però sono tanti...


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Bruciare i residui agricoli/vegetali: è reato oppure no? Quando il buon senso non basta...

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Dallo scorso mese di dicembre, Natura Giuridica ha avviato una collaborazione con il quotidiano online CuneoCronaca.
Nelle pagine del quotidiano NG affronterà ovviamente tutte le più spinose tematiche ambientali che riguardano la "Provincia Granda", ma non mancheranno anche approfondimenti delle principali normative nazionali.
Quello che segue è un articolo pubblicato il 22 dicembre 2014, in tema di incenerimento di rifiuti agricoli: è un reato oppure no?!

L’antica e tradizionale pratica agricola di bruciare nei campi sterpaglie, ramaglie, avanzi di potature, residui provenienti da attività agricole e assimilate (disboscamento, raccolta, pulizia di boschi, campi, giardini, aree verdi ecc.), è sempre stata comunque circondata da alcune cautele per il timore che, sfuggendo al controllo, potesse divenire causa d’incendi.

Tuttavia, sia pure con le dovute cautele, tale attività è sempre stata lecita, fino a quando il nostro legislatore, nell’intento di venire incontro alle esigenze degli agricoltori ha:

  • dapprima deciso di introdurre alcune modifiche al “codice dell’ambiente” (filosofeggiando sulle nozioni di rifiuti, sottoprodotti, materia prima secondaria), che invece di risolvere i problemi ne hanno creati di ulteriori;
  • quindi, per fronteggiare una delle tante emergenze ambientali di turno, ha introdotto con il “decreto terra dei fuochi” il reato di “Combustione illecita di rifiuti”. Si tratta di un reato che, nella sua ipotesi base (sono previste aggravanti e sono sanzionate altre attività connesse), ha punito con la reclusione da due a cinque anni “chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate”, e con la “sola” sanzione pecuniaria amministrativa la combustione dei rifiuti vegetali “urbani”, provenienti cioè da giardini, aree verdi, ... 
In questa delicata situazione giuridica, gli enti locali hanno nel tempo cercato di porre un qualche rimedio.
Così, la regione Lombardia ha previsto che la combustione all’aperto di materiale di origine vegetale è vietata soltanto fra il 15 ottobre e il 15 aprile (periodo di maggiore criticità per l’inquinamento atmosferico), ammettendola implicitamente negli altri periodi.
In Liguria si è addirittura affermato che i residui vegetali non devono essere classificati come rifiuti: via libera, dunque, all’“abbruciamento controllato, nel rispetto delle norme per la prevenzione degli incendi”.
In Sicilia e nel Veneto è stato affidato ai Comuni il compito di disciplinare con i propri regolamenti di polizia rurale “la combustione controllata sul luogo di produzione dei residui vegetali”.

Quest’estate con il “decreto competitività” è stata introdotta un’ennesima modifica al Codice dell’ambiente, che ha stabilito che:

  • le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli
  • in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali 
  • effettuate nel luogo di produzione, 
costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali é sempre vietata.

I comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione di tali materiali all'aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attivita' possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumita' e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10)".

All’indomani dell’entrata in vigore del “decreto competitività”, in Piemonte molti comuni hanno emanato alcune ordinanze in merito, stabilendo, “con decorrenza immediata e sino a nuove disposizioni”, che:
  • é consentita la combustione controllata direttamente sul luogo di produzione dei soli residui vegetali derivanti dall’attività agricola di coltivazione del fondo, nel rispetto di alcune specifiche condizioni (a quelle dettate dal “decreto competitività” se ne aggiungono generalmente alcune, dettate dal buon senso); 
  • dovranno essere in ogni caso rispettate le limitazioni imposte dalla Regione Piemonte qualora venga determinato lo stato di massima pericolosità per gli incendi boschivi; 
  • la combustione non potrà essere effettuata in ogni caso al ricorrere di specifiche circostanze (ad esempio, nel centro abitato; in aree definite “residenziali” dal vigente Piano Regolatore Comunale; in terreni boscati o cespugliati, all’interno di aree destinate all’arboricoltura, alla frutticoltura e simili; ...)
Ma cosa accade, se non si rispettano quelle condizioni?

In due recenti sentenze, la Corte di Cassazione ha detto che “è reato”, evidenziando che:
  • bruciare scarti vegetali mediante incenerimento a terra rimane reato, “il cui elemento oggettivo sussiste indipendentemente dalla quantità del materiale vegetale bruciato. In sostanza, se non è provato l’inserimento anche mediante trasformazione in un circuito produttivo delle ceneri prodotte dalla combustione, rimane l’offensività della condotta”. In questo caso gli scarti sono rifiuto, e bruciarli senza autorizzazione integra il reato di smaltimento senza autorizzazione di rifiuti speciali non pericolosi; 
  • la nuova norma introdotta dal “decreto competitività”, “dovendosi interpretare nel suo complesso, senza isolare artificialmente il primo periodo dai seguenti, alla luce degli ordinari canoni ermeneutici, non depenalizza tout court l'abbruciamento in terra di scarti vegetali come rifiuti, ma prevede un margine di irrilevanza della condotta, specificamente determinato a livello quantitativo e temporale, anche a mezzo dell'individuazione amministrativa di parte di tali modalità scriminanti mediante appunto una ordinanza sindacale ad hoc, e fatto salvo il limite imposto dalle regioni per tutelare dal rischio degli incendi boschivi”.
In sostanza, neanche la Cassazione sembra aver le idee chiare, se da un lato dice che anche il rispetto delle condizioni quantitative non esclude il reato e, dall’altro, invece, afferma che il rispetto di quelle stesse condizioni costituisce una scriminante...


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Decreto “emissioni industriali” (D.Lgs n. 46/14): prime osservazioni

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Sul numero 5/2014 della rivista "Ambiente & Sviluppo", edita da IPSOA, è stato pubblicato un articolo di primo commento analitico sul nuovo decreto "emissioni industriali" (D.Lgs n. 46/14).
Di seguito riporto alcuni brevi passi: l'introduzione ai singoli paragrafi.
Per la lettura del testo completo dell'articolo rimando il lettore alla rivista "Ambiente & Sviluppo", edita da IPSOA, Milano.

La struttura del decreto 
Con il tradizionale ritardo che sembra contraddistinguere il suo incedere normativo, il nostro Paese – puntualmente ripreso dall’UE – ha finalmente recepito la “direttiva IED”, con la quale sono state riviste e rifuse in un unico testo giuridico sette direttive riguardanti le emissioni industriali: pubblicato sulla G.U. del 27 marzo 2014, il D.Lgs n. 46/2014 è entrato in vigore l’11 di aprile. 
Il corposo decreto corregge per l’ennesima volta il “codice dell’ambiente”, essenzialmente in relazione alla disciplina: 
• generale per la procedura di VIA ed AIA (e sulle norme transitorie e finali); • specifica dettata in materia di autorizzazione integrata ambientale; 
• sull’incenerimento dei rifiuti; 
• sulla prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera di impianti ed attività. 
Quella che segue è una carrellata delle principali disposizioni oggetto della novella legislativa, a valle di una primissima lettura a caldo del testo normativo, che verrà analizzato nei prossimi numeri della rivista, che dedicherà ampio spazio ad approfondimenti al decreto “emissioni industriali”. 

Carrellata delle principali modifiche: a) i principî generali per le procedure di VIA e AIA 
Le tre modifiche principali, concernenti i principî generali per le procedure di VIA e AIA riguardano l’aspetto definitorio, l’oggetto della disciplina e le norme per il coordinamento e la semplificazione dei procedimenti. Sotto il primo profilo, accanto ad una precisazione terminologica, vi sono alcune nuove, importanti, definizioni, sintetizzate nella seguente tabella. [...] 

b) l’AIA 
Le modifiche più sostanziose hanno riguardato la disciplina sull’autorizzazione integrata ambientale. Innanzitutto, la nuova normativa dispone che le condizioni dell’AIA siano definite avendo a riferimento le BATC, espungendo, al contempo, il riferimento alle linee guida nazionali, giudicato ormai obsoleto alla luce della “prevista emanazione delle BATC in lingua italiana da parte della Commissione europea ”: in ogni caso, la norma detta una disposizione transitoria che contiene la disciplina da osservare nelle more dell’emanazione delle BATC e che fa riferimento alle “pertinenti conclusioni sulle migliori tecniche disponibili, tratte dai documenti pubblicati dalla Commissione europea ”. 
I requisiti generali, previsti per talune categorie di installazioni, che il MATTM potrà determinare ai sensi dell’art. 29-bis comma 2, con futuri decreti, si dovranno basare sulle BAT “senza prescrivere l’utilizzo di alcuna tecnica o tecnologia specifica, al fine di garantire la conformità con l’articolo 29-sexies”: per le categorie interessate, l’autorità competente rilascerà l’autorizzazione “in base ad una semplice verifica di conformità dell’istanza con i requisiti generali”. [...] 

c) l’incenerimento dei rifiuti 
Il decreto “emissioni industriali” inserisce all’interno del “codice dell’ambiente” la disciplina sull’incenerimento di cui al D.Lgs n. 133/05, di cui recepisce sostanzialmente tutto il contenuto, con le eccezioni/modifiche di seguito elencate: a. vengono integrate le definizioni di incenerimento e coincenerimento ed inserite quelle di modifica sostanziale, camino, ore operative e biomassa ; b. sono esclusi dalla disciplina anche gli impianti di gassificazione o di pirolisi, se i gas prodotti da siffatto trattamento termico dei rifiuti sono purificati in misura tale da non costituire più rifiuti prima del loro incenerimento e da poter provocare emissioni non superiori a quelle derivanti dalla combustione di gas naturale; [...] 

d) le modifiche alle norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera
In relazione alla parte V del “testo unico ambientale” gli interventi operati dal D.Lgs n. 46/14 sono chirurgici, e hanno riguardato: a. il sistema definitorio (sono state modificate le definizioni di emissione in atmosfera, modifica sostanziale e di gestore , oltre a quella di grande impianto di combustione ; razionalizzate quelle di autorità competente ed autorità competente per il controllo; aggiunta quelle di ore operative ); b. la disciplina sui grandi impianti di combustione, di cui all’art. 273 del D.Lgs n. 152/06 (v. tabella “Le disposizioni transitorie e finali”); c. le emissioni di COV, in relazione all’ambito di applicazione; al contenuto dell’autorizzazione , anche nel caso di modifiche sostanziali ; [...] 

Prime parziali considerazioni 
In attesa di poter valutare in modo più approfondito il decretoemissioni industriali”, ad una prima lettura, oltre agli aspetti indubbiamente positivi da sottolineare (su tutti, l’eliminazione delle disposizioni illogiche, sopra ricordate, che hanno anche portato la prassi a disapplicarle; l’eliminazione dell’art. 20 del D.Lgs n. 133/05; più in generale lo spirito semplificatorio che sembra permeare il decreto, anche attraverso l’inserimento del riesame con valenza di rinnovo; il riferimento alle BAT ; l’inserimento della caratterizzazione del suolo e delle acque sotterranee pre-insediamento ), non si possono non evidenziare, comunque, alcune perplessità relative alla presunta novità della “de materializzazione” delle procedure e al regime temporale. 
Sotto il primo aspetto, è appena il caso di evidenziare come il provvedimento si limiti, in parte, a fotografare ex post un modello già implementato, per lo meno nelle amministrazioni più efficienti e, in parte, a prevederlo come alternativo (e quindi facoltativo): in ogni caso, giunge in ritardo. 
Sotto il secondo, dal testo dell’art. 29 del decreto, infatti, non appare chiaro quale sarà la normativa da applicare alle installazioni esistenti che svolgono attività già ricomprese all’Allegato I al D.Lgs n. 59/05, per gli eventuali procedimenti di rilascio, rinnovo, riesame o modifica dell’AIA in corso fra il 7 gennaio 2013 e l’11 aprile 2014. 
Inoltre, sulla base delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dello stesso art. 29, cosa succede (id est: quali limiti applicare) se l’autorità competente non conclude i procedimenti, avviati sulla base delle istanze presentate entro il 7 settembre 2014 , entro il 7 luglio 2015? 
La prassi – che come si è fatto cenno, ed evidenziato dallo stesso legislatore, si è trovata costretta a disapplicare alcune norme illogiche – si è dimostrata, infatti e purtroppo, molto più lenta delle tempistiche astratte previste dalla legge. 
Senza considerare il fatto che ogni autorità competente ha provveduto ad organizzarsi a proprio modo, anche modellando l’iter sulla base delle specifiche – ma a volte non meglio precisate – “esigenze locali”….


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Scelta condivisa

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(segue da: "I, mammeta e tu")

Certo, non si possono fare i processi alle intenzioni.
Ma almeno segnalare le contraddizioni di chi, ad esempio, tace del tutto il fatto che gli stessi incentivi, che nel testo della mozione 155 si criticano, vengono generosamente elargiti ad altre forme di produzione di elettricità (incenerimento dei rifiuti, fonti assimilate alle rinnovabili), senza che questo produca negli attuali detrattori-“moralizzatori economici” il benché minimo sdegno.
Un incentivo – come definirlo? – “a targhe alterne”…
O tace, ancora, dei tanti difetti e costi che l’attuale, installabile, “modello nucleare” comporta, a fronte di inequivocabili scelte energetiche effettuate più di vent’anni fa.
Natura Giuridica ha affrontato in più occasioni lo spinoso problema del nucleare:
O, ancora, degli snervanti iter burocratico-amministrativi che ancora oggi, e nonostante l’istituzione dell'orwelliano Ministero della Semplificazione, soffocano le velleità di chi vuole cimentarsi nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.



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Inceneritore di Acerra: pregiudizio potenziale

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Gestione dei rifiuti, incenerimento, termovalorizzatori, localizzazione dell’impianto di "termovalorizzazione" di combustibile derivato dal rifiuti (CDR) di Acerra, autorizzazione unica e V.I.A., compatibilità ambientale, pregiudizio meramente potenziale e consultazione popolare…

Di tutto questo si è occupata la sentenza n. 1028/09 del TAR Lazio, pubblicata sul sito di Natura Giuridica (Il sito di consulenza legale ambientale che offre servizi professionali di consulenza per imprese e pubbliche amministrazioni in materia di diritto ambientale).


L'inceneritore di Acerra è quello inaugurato da Berlusconi lo scorso 26 marzo 2009, quello, tanto per intenderci, che ha risolto il problema dei rifiuti.
Risolto, oddio.
Tamponato, grazie alla consueta politica dell’emergenza tipica del nostro (bel) Paese.
Grazie alle deroghe, alle proroghe, ai condoni, ………….

Il TAR Lazio ha dichiarato improcedibile il ricorso, proposto dal Comune di Acerra aveva chiesto l’annullamento di un’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri (n. 3657/08) e di alcune disposizioni di due successivi decreti legge, emanati anche questi, tanto per cambiare, per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e per consentire il passaggio alla gestione ordinaria…

In estrema sintesi, il Comune di Acerra deduceva:
1) violazione della normativa sull’incenerimento dei rifiuti (in particolare delle disposizioni sulla pubblicità delle domande di autorizzazione per impianti di trattamento dei rifiuti)
2) mancata indicazione delle circostanze che giustificavano la necessità di derogare alle disposizioni che prevedevano l’autorizzazione unica;
3) inadeguata istruttoria in relazione al’ordinanza che prescriveva il rispetto dei livelli di emissione inquinanti
4) la “nullità per violazione della sentenza T.A.R. Campania n. 20691 del 2005, resa sul presupposto – dal quale ci si sarebbe illogicamente discostati – che l’impianto in questione non poteva essere utilizzato che per il CDR”.

Il TAR Lazio, nel farlo, ha evidenziato che tanto la direttiva n. 85/337/CE, quanto la n. 96/61/CE, conformemente alla loro natura di atti destinati ad orientare ed a conformare la normativa interna dei singoli Stati, fissano un obiettivo al quale questi ultimi devono tendere, lasciandoli, per il resto, liberi di introdurre le modalità procedurali che meglio si inseriscono nei loro rispettivi ordinamenti.
Nella specie, dunque, ricorre comunque l’esenzione di cui all’art. 1, quinto comma, della direttiva 85/337/CE, in base al quale la direttiva non si applica ai progetti adottati nei dettagli mediante un atto legislativo nazionale specifico, inteso che gli obiettivi perseguiti, incluso l’obiettivo della disponibilità delle informazioni, vengono raggiunti tramite la procedura legislativa.
La norma in oggetto, infatti, costituisce l’atto legislativo specifico richiesto per operare in deroga, atteso che esso risulta approvato dal Parlamento…

Operare in deroga: se fosse una “voce da P.I.L”, il nostro Paese non avrebbe problemi di sorta…

Se fosse.

Sì, perché, caso mai ci fosse bisogno di un’ulteriore dimostrazione, il nostro Paese vive di proroghe, deroghe e sanatorie: l’ultima in ordine temporale è quella relativa al Testo Unico sulla sicurezza del lavoro.

Sì, avete capito bene.
Deroga al Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro.

Nel Dpcm dello scorso 23 gennaio 2009 (pubblicato, però, in G.U. solo il 7 maggio 2009) sono disposti alcuni adeguamenti del D.Lgs. n. 81/08 in relazione alla complessiva azione di gestione dell’emergenza rifiuti nella regione Campania, trasferita un anno fa sotto l’egida della Protezione civile.

In sostanza: tenuto conto dell’impossibilità pratica di programmare ed adottare completamente le più adeguate misure di prevenzione e protezione, è stata sospesa la piena applicazione di tutta una lunga serie di prescrizioni in materia di sicurezza sul lavoro (formazione molto generale e generalista da fornire ai lavoratori su temi scottanti come la sicurezza e l’autoprotezione; esonero per i datori di lavoro della compilazione del documento sulla valutazione dei rischi; sottoposizione del personale impiegato ad una sorveglianza sanitaria una tantum; e via discorrendo….).

Deroghe alla sicurezza sul lavoro che non valgono solo per il personale della Protezione civile, ma si estendono, in questa “fase emergenziale”, a tutte le aziende ed i lavoratori che operano in Campania nel settore dello smaltimento dei rifiuti…

E così, oltre all’interminabile stillicidio di norme (e alla conseguente incapacità di avere norme stabili, credibili, di prospettiva), alle discipline “mutilate” per omessa emanazione delle norme esecutive, all’incertezza del diritto, figlia dell’incapacità di scrivere le norme in modo intelligibile, al federalismo sanzionatorio, alle croniche deroghe-proroghe-condoni, alla disinformazione pilotata, alla collezione di condanne per violazione della normativa comunitaria che ci obbligano a vivere in un funzionale stato di perenne emergenza, ora arriva pure la deroga del rispetto di parte delle previsioni in tema di sicurezza sul lavoro, almeno fino alla fine dell’emergenza.

Che, peraltro, dovrebbe essere finita da un pezzo. O, almeno, così mi (dovrevve) risulta(re)...

Siamo proprio un Paese civile, lungimirante, moderno.

Difatti, in Campania ed in Sicilia


Foto 1: “Cotto e mangiato” originally uploaded by SuPerDraS
Foto 2: web



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Strategia rifiuti zero, inceneritori e cementifici

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Dopo l’intervento del Prof. Paul Connett, è interventuto il responsabile rifiuti di Legambiente Piemonte, Michele Bertolino, che ha illustrato il contesto generale sulla gestione dei rifiuti in Provincia e in Piemonte (facendo riferimento anche alla situazione dei quattro consorzi della provincia – CEC – ACEM – COASBER e CSEA) e, per quanto riguarda l’incenerimento di rifiuti nei cementifici – forse il tema più caldo della serata – ha affermato che
“l’utilizzo in co-combustione serve a ridurre gli impatti ambientali degli impianti esistenti”.
A prescindere, in questa sede,
  • dall’aspetto tecnico (non sono in grado di dire se effettivamente i cementifici hanno dei sistemi di filtrazione meno efficienti di quelli di un inceneritore…) e
  • da quello economico (faccio riferimento anche a quanto, con dovizia di riferimenti normativi, ha brillantemente spiegato l’Ing. Bosco, durante il suo lungo intervento, in relazione al duplice “incentivo” di natura economica per quegli impianti che si vogliono considerare centri di profitto e non di costo)
che pure sono importanti in una considerazione globale e di strategia a medio–lungo termine, vorrei soffermarmi proprio su quanto affermato da Bertolino.E affrontare le problematiche connesse all’incenerimento dei rifiuti da un punto di vista logico-giuridico-strategico.

Il responsabile rifiuti di Legambiente Piemonte è stato duramente (rectius: politicamente…) attaccato dall’assessore provinciale all’ambiente (proprio per questo “ripreso” dal pubblico, attento, partecipe e non disposto a farsi prendere in giro dal politichese), che si è preso “la briga e di certo il gusto” di affermare che le parole di Bertolino sono il segno più evidente della sua militanza nel “partito dell’incenerimento”, in totale contraddizione con lo spirito della strategia rifiuti zero…

Non si tratta di prendere le difese di Bertolino, o di volersi schierare aprioristicamente (sempre e comunque, a prescindere dalla bontà delle “offerte politiche” – ammesso e non concesso che al momento attuale ci siano – di volta in volta proposte…) da una parte o dall’altra della barricata che sembra impedire, nel nostro diviso paese, un dialogo effettivo, e non solo di facciata.

Le parole di Connett sulla responsabilità che ognuno di noi deve avere – che necessariamente si deve rapportare con quella di tutti gli altri – anche come antidoto alla noiosità della classe dirigente, e come strumento di promozione e sensibilizzazione verso un nuovo modo di intendere la società, dovrebbero farci riflettere…

Credo che, specie nella delicata fase attuale, si debba procedere risoluti nel perseguimento dell’obiettivo, ma anche con una certa cautela nella metodologia…e (cercare di) cogliere tutte le sfumature e le implicazioni della questione ambientale e della complessa strategia che vorremmo ci portasse ai rifiuti zero.
In altre parole: occorre gestire il cambiamento, e domandarsi quale sia, medio tempore, la soluzione meno indolore possibile per raggiungerlo.

Certo, l’incenerimento è antitetico alla raccolta differenziata: considerazione peraltro alquanto ovvia, ma che non può essere perennemente decontestualizzata (cioè parlare di incenerimento senza ulteriori specificazioni, quantomeno opportune e doverose).

Personalmente sono contrario non solo alla costruzione di nuovi inceneritori, ma anche al mantenimento, ampiamente sovvenzionato, di quelli attuali, finanziati attraverso la perversa applicazione del sistema CIP6, nato come un giusto e importante incentivo, funzionale ad una specifica politica energetica (favorire le fonti di energia rinnovabili), trasformato, di fatto, in un’iniqua sovvenzione ai “soliti noti”.

Ammesso e non concesso che l’incenerimento dei rifiuti sia una soluzione sostenibile, se gli imprenditori del fuoco vogliono bruciare rifiuti, che ce la facciano con i loro mezzi (il sacro fuoco della libera e sfrenata concorrenza, del resto, non fa parte della mentalità liberista?), senza alimentare con soldi pubblici un circolo vizioso (più rifiuti, più brucio, più guadagno…), anziché quello virtuoso proposto da Connett, che condivido.

Ad ogni buon conto, gli inceneritori bruciano rifiuti e basta, e costituiscono una pura e semplice operazione di smaltimento, anche se incidentalmente avviene un recupero di energia (cosa che “autorizza” i fautori di questa soluzione a utilizzare pomposi termini quali termovalorizzazione, per creare quella confusione semantica – cui facevo riferimento nel post di ieri – sulla base della quale cercare di creare consenso).

L’incenerimento dei rifiuti nei cementifici, invece – per quanto l’operazione possa non essere condivisibile (si tratta pur sempre di bruciare rifiuti, ovvio) – costituisce un’operazione di recupero energetico – per usare i termini del Giurista ambientale, quale sono – e, allo stato attuale, consente di “ridurre gli impatti ambientali degli impianti esistenti”, i quali, se non bruciassero rifiuti, brucerebbero comunque qualcos’altro (petrolio, olio combustibile, pet-coke, ….)

Si tratta di una differenza di non poco conto – dettagliatamente spiegata in due importanti sentenze del 2003 dalla Corte di Giustizia delle comunità europee.

Ritengo questa precisazione doverosa, sia per contraddire quanto affermato dall’assessore provinciale, sia per rispondere a quanti fra il pubblico (rappresentante VAS) – nel bailamme creatosi in seguito alle giuste contestazioni… “economiche” mosse nei confronti dei cementifici – deviando in parte dall’argomento principale della serata (strategia rifiuti zero) hanno considerato che, a questo punto, è comunque meglio l’incenerimento in un impianto dedicato (controlli pubblici) rispetto a quello in un cementificio (denuncia e controlli meno “continui e pregnanti”).

Non è questa la sede per unalteriore approfondimento della materia: quello che appare evidente è la confusione intrinseca della problematica, alimentata da virutosismi linguistici, da considerazioni emotive e da pregiudizi ideologici.
La soluzione, dunque, non appare semplice, e se non si pongono le basi per creare un sostrato culturale con il quale affrontare un dialogo effettivo e sensato (un linguaggio che permetta di capirsi, senza fraintendimenti), la semplice responsabilità personale (indispensabile al pari delle altre forme di responsabilità, e delle loro interazioni, fondate anche sul confronto e sul dialogo), non sarà sufficiente per arrivare alla società dei rifiuti zero, che rischia di rimanere solo uno sbiadito sogno…

Come il rappresentante di Legambiente, non sono a favore degli inceneritori ma, essendo un ambientalista con i piedi per terra e senza paraocchi preconfezionati (da qualcun altro), ritengo che, medio tempore, nella fase della necessaria pianificazione della strategia rifuti zero, quella dell’incenerimento dei rifiuti nei cementifici (con le dovute cautele tecniche e senza alcun tipo di incentivazione economica) sia la soluzione temporanea meno invasiva per ridurre gli impatti ambientali degli impianti esistenti (che comunque brucerebbero altro, in aggiunta a quanto brucerebbero gli inceneritori tout court), e per tamponare il problema connesso alla gestione dei rifiuti (che adesso, che non siamo la società dei rifiuti zero, esistono, e costituiscono un problema che va affrontato).

Solo in questo modo, credo, si può aspirare a costruire, se non proprio la società rifiuti zero (che, forse, in quanto assoluta non è realisticamente immaginabile), almeno una società che tenda il più possibile verso questo obiettivo: mi sembrerebbe già un ottimo risultato.



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Strategia rifiuti Zero: Paul Connet a Cuneo

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Ieri, 3 febbraio 2009, nel centro incontri della Provincia di Cuneo si è tenuta un’interessantissima conferenza sulla “Strategia rifiuti zero”, tenuta dal Dr Paul Connett, Professore Emerito di Chimica presso la St Lawrence University di Canton, New York.

Finalmente una buona notizia, non solo per l’intervento in sé del Prof. Connett – interessante, coinvolgente, dettagliato, appassionato, comunicativo, a tratti esilarante – ma anche per l’attenta partecipazione del pubblico, numeroso, informato, curioso, pronto a fare domande precise (che a volte lasciavano intravedere conoscenze di dettaglio degne di nota) e a protestare vibratamente quanto il politico di turno ha cominciato ad allargarsi un po’ troppo, inanellando una serie di…“castronerie”, poi prontamente negate, rettificate e seppellite dall’uso di un pedante politichese, infarcito di toni da propaganda elettorale.

Fra qualche mese in provincia di Cuneo si vota per il rinnovo della giunta provinciale, e l’assessore all’ambiente in carica – che ricorda vagamente nell’aspetto un noto esponente di Confindustria, e nei modi, un “po’ troppo” sopra le righe, il suo “maestro di rettifiche” – non ha mancato di polemizzare, a volte anche a sproposito, con il responsabile rifiuti di Legambiente Piemonte, Michele Bertolino…il quale, punzecchiato anche da un ragazzo del pubblico per essersi “reso colpevole” di aver fatto da traduttore all’ottima relazione del Prof. Paul Connett, a mio avviso è stato lucido nell’esposizione, sciorinando dati e, parlando senza peli sulla lingua, ha soprattutto detto “cose” sensate, in relazione ai due argomenti tema della serata: strategia rifiuti zero come alternativa unica e credibile all’insostenibilità delle discariche e all’assoluto “non-sense” dell’incenerimento.

Dimostrando, anche in questo caso, di sapere “qualcosa” in più sull’argomento rispetto al politico che, al di là della facciata, e senza l’aiuto dei suoi collaboratori (più volte invocati, ma misteriosamente dileguatisi a metà serata), si è dovuto arrampicare sugli specchi per sostenere l’insostenibile (e negare l’evidenza), e nascondere il fatto che non conosce la differenza fra l’utilizzo di un combustibile non convenzionale in un inceneritore piuttosto che in un cementificio….ma su questo punto ritornerò nei prossimi post….


La relazione del Prof. Paul Connett, dopo una panoramica generale, partita dall’analisi sulle diverse sfide che l’uomo dovrà sostenere nel XXI secolo, rispetto a quello precedente (si è passati da una gestione dei rifiuti ad una gestione delle risorse; il “punto chiave” oggi non è più la sicurezza, ma la sostenibilità; il modello lineare della società – estrazione, produzione, consumo, rifiuti – si scontra con il mondo che invece segue una logica circolare), ha cominciato la sua puntuale requisitoria contro il modo di sotterrare (discariche) o bruciare (inceneritori) le prove del fallimento del modello iperconsumistico di una società progettata per crescere macchine da consumo, pronte a disfarsi dell’oggetto dei propri desideri per inseguirne sempre nuove, ed effimere, chimere di (in)felicità…

L’unica soluzione credibile, che si fonda sulla responsabilità di ogni cittadino, è quella che affronta i problemi, e cerca di risolverli in modo coerente e sostenibile, evitando inutili sprechi di risorse, denaro, opportunità…

A questo riguardo, il Prof. Paul Connett ha sottolineato che l’incenerimento dei rifiuti è uno spreco di denaro pubblico, di preziose risorse materiali, di energia, di un’opportunita’ di combattere il riscaldamento globale del pianeta.

È passato, quindi, ad una disamina delle conseguenze dannose per la salute umana delle c.d. nanoparticelle e all’attacco frontale (e personale) nei confronti del nostro ex ministro della Sanità, Veronesi, il quale di recente si è lanciato in affermazioni quantomeno discutibili, non solo in relazione al “rischio zero” (cancro…) dell’incenerimento dei rifiuti, ma anche con riguardo alle problematiche connesse all’utilizzo degli OGM…
In definitiva, “l’inceneritore è un tentativo di perfezionare una pessima idea”

Effettuata questa doverosa premessa, volta a contestualizzare le problematiche connesse alla gestione dei rifiuti, la sua relazione, a questo punto, è entrata nel merito della questione principale: cos’è la strategia rifiuti zero e come attuarla nel concreto?

La considerazione iniziale è la seguente: il trattamento dei rifiuti non è un problema tecnologico, ma di strategia, organizzazione, educazione e progettazione industriale.

Per inseguire e realizzare la strategia zero rifiuti occorrono:
1. (a monte) responsabilità industriale (progetto industriale di sostenibilità; produzione pulita; responsabilità della catena di produzione ,
2. (a valle) responsabilità della comunità (separazione alla sorgente; raccolta porta a porta, che costituisce il trampolino per la realizzazione della strategia rifiuti zero) e
3. una buona leadership politica (per saldare insieme le prime due)
Non sono mancati esempi concreti di attuazione di questi comportamenti (fabbrica di birra nell’Ontario, Xerox con i componenti dei prodotti elettronici).
Infine, prime delle conclusioni, Paul Connett si è soffermato sull’importanza dei centri di ricerca – laboratori di sostenibilità – sull’analisi di quanto sta avvenendo a Capannori (Lucca), primo comune italiano ad aver dichiarato di voler realizzare la strategia rifiuti zero e sulle interazioni delle interazioni che quest’ultima produce (un sistema di migliaia di “green boxes”).


L’invito finale al pubblico è: “divertitevi”, nella "battaglia" contro i consulenti pagatia peso d'oro, sulle note di un’inaspettata, quanto divertente canzoncina, intonata da un comunicatore formidabile, capace di parlare con leggerezza di temi cupi e drammaticamente importanti…

We don’t want incineration
We don’t want incineration
We don’t want incineration
We know there’s a better way!
Mine eyes have seen the garbage
That’s a smoldering on the grate
We must stop incineration
Before it is too late
Unless we wish the dangers
We had better separate
And we must do it now!

Tutt’altra musica, rispetto a quanto (non) avvenuto venerdì 30 gennaio 2009 a Bra, dove il convegno pubblicizzato dall’associazione internazionale di comunicazione ambientale si è risolto in un autoreferenziale spot pubblicitario di iniziative vaghe, insussistenti, a volte fastidiose, un po’ snob, che non rimarrà nella memoria neanche di quei quattro gatti (fra i quali ero presente anch’io…) che hanno deciso, in assoluta buona fede, di dedicare parte del proprio tempo libero per cercare di comprendere e comunicare meglio l’ambiente.

Nel prossimo post dirò la mia su quanto avvenuto nel dibattito che ha seguito la relazione del Prof. Paul Connett “Strategia rifiuti zero”, nella quale, accanto a puntuali interventi da parte del pubblico, è emersa una certa “confusione semantica” (oltre che nozionistica, politica, civica) da parte di alcuni cittadini, ma soprattutto di quegli amministratori che dovrebbero prendere decisioni molto importanti, ma si riducono a perpetrare, in modo noioso, una perenne, vuota, inutile e dannosa campagna elettorale.

Paul Connet - Cuneo, 3 febbraio 2009 - Slides



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