Deriva energetica italiana

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Ieri ho parlato dell’Italia dei NO a (quasi) tutto.
Oggi anche.
Perché è bene soffermarsi su dati e cifre, per comprendere, per dialogare e confrontarsi.
Per informare e formare una coscienza ambientale, oggi ancora troppo “elitaria”…
L’articolo che vi propongo oggi è di tre mesi fa, e porta la firma dei due autori de “La casta”, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.

Il titolo e il sottotitolo la dicono lunga. Energia, l'Italia dei no. Eolico, nucleare, rigassificatori: tutti bocciati. I consumi? Come mezzo miliardo di africani”.

Insomma: una deriva energetica


Al di là degli approfondimenti – sempre e più che mai in questo caso necessari, per evitare di continuare a trasformare l’ambiente in un motivo di scontro ideologico fra diversi, ma ugualmente sterili, integralismi – ho trovato l’articolo provocatorio, perché pone l’accento sul deserto culturale che oggi domina in Italia, mentre in altri paesi…
[…]
Alberto Asor Rosa un rovello ce l'ha: «A fronte della minaccia di scempio del paesaggio non è da escludersi il ricorso alle centrali nucleari».
E come lui, uno dei protagonisti dell'intellighenzia di sinistra italiana, cominciano ad averlo in tanti. Piuttosto che distese immense di pannelli solari e sconfinate foreste metalliche di mulini a vento, non sarà il caso di tornare all'energia atomica?
Ma per carità, s'infiamma Alfonso Pecoraro Scanio: «Chernobyl ha dimostrato che le dimensioni del rischio nucleare sono inaccettabili e immorali. Per difendere il bello non c'è bisogno di giocare alla roulette dell'atomo».
Meglio le centrali a carbone? No, le centrali a carbone no.
Meglio le centrali a petrolio? No, le centrali a petrolio no.
Meglio il gas, che però chiede i rigassificatori, cioè impianti che riportino il combustibile dalla forma liquida a quella gassosa? Ma per carità!
È vero che si potrebbero usare le piattaforme dove un tempo si estraeva metano, già allacciate ai metanodotti e abbandonate in mare aperto nell'Adriatico, ma prima «bisogna preparare una valutazione sugli impatti ambientali insieme con i nostri vicini, soprattutto con la Slovenia, ma anche con la Croazia ».
Allora l'eolico? Adagio: «Alcuni impianti si possono fare. Però non dobbiamo installare torri gigantesche proprio sulle rotte degli uccelli migratori, che vengono sterminati dalle pale».
Di più: «L'Europa ci condannerebbe».
L'Europa, a dire il vero, ha fatto scelte diverse. […]
Siamo alla mercé dei capricci degli altri. Il che, se l'Italia fosse una comunità di Amish della Pennsylvania che si alzano al levar del sole, si coricano al tramonto e vivono rifiutando la modernità, non sarebbe un problema enorme.
Il guaio è che non lo siamo (né vogliamo esserlo, aggiungerei io…)
L’articolo prosegue enumerando una serie di dati che rendono l’idea della vastità dl problema. Che mettono i brividi, come sottolineano Stella e Rizzo
Secondo Eurostat, l'Italia «brucia» tanta energia elettrica quanto Turchia, Polonia, Romania e Austria le quali messe insieme hanno 136 milioni di abitanti. O se volete (stavolta i dati sono dell'Aie, l'Agenzia internazionale dell'energia) quanto mezzo miliardo di africani. E avanti di questo passo nel 2025 consumeremo il 5,3% di tutta l'energia prodotta nel pianeta con lo 0,7% della popolazione mondiale. Bene: esaurita ogni possibilità di sfruttare ancora di più le risorse idriche (ogni salto, dalle Alpi valdostane ai monti Nebrodi, è già stato usato) e poveri come siamo di materie prime, la nostra autonomia è pari al 12% del totale. Per il resto dipendiamo dall'estero.
Il 12% lo compriamo direttamente dai Paesi vicini, il che significa, spiega l'ingegner Giancarlo Bolognini, «che all'estero ci sono 8 centrali nucleari della potenza di quella di Caorso che lavorano a pieno regime per noi». Il 75% ce lo facciamo da noi ma solo grazie a materie prime acquistate da governi e società stranieri (gas dalla Russia e dall'Algeria, petrolio da più parti).
Risultato finale: l'energia elettrica prodotta in Italia costa il 60% più della media europea […]
Siamo il Paese europeo che (nonostante il gas naturale copra ormai la metà del settore) dipende di più dal petrolio. Nel solo 2005 ne abbiamo consumato nelle centrali circa 6 milioni e mezzo di tonnellate, pari a 32 superpetroliere come la Exxon Valdez che anni fa affondò in Alaska causando un disastro ecologico. Sei volte di più che la Germania o la Francia, dodici volte più che il Regno Unito.[…]
Un Paese serio, davanti a un quadro così fosco di dissesto energetico e alla minaccia di blackout come quello che paralizzò ore e ore l'Italia il 28 settembre del 2003 per un guasto dovuto alla caduta in un albero in Svizzera, non si darebbe pace nella ricerca di vie d'uscita. Nucleare o solare, eolica o geotermica: ma una soluzione.La cronaca di questi anni, invece, è un impasto di veti, controveti, velleitarismi, fughe in avanti, viltà e retromarce. Nel caos più totale.[…]
Ma resta il tema: o facciamo qualcosa o restiamo appesi, con le nostre fabbriche e le nostre lampadine, ai capricci degli stranieri che ci tengono in pugno. Ed è lì che si vede la disastrosa incapacità della nostra classe dirigente, non solo dei «signor no» dell'ambientalismo talebano, di fare delle scelte.
Anche gli svedesi, per dire, votarono a favore del progressivo abbandono del nucleare. Molto prima di noi, nel 1980. Ma dandosi scadenze lunghe lunghe. Per spegnere completamente la centrale di Barsebäck hanno aspettato venticinque anni e l'ultima chissà quando la chiuderanno davvero dato che tutti i sondaggi dicono che la stragrande maggioranza dei cittadini ha cambiato idea: piuttosto che finire ostaggio degli stranieri, meglio il nucleare. In ogni caso, si sono mossi. Cercando sul serio le alternative possibili.Come hanno fatto tutti i governi seri in tutto il mondo. Compresi quelli che il petrolio ce l'hanno. Noi invece…
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