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Analisi delle più recenti normative e sentenze in materia di siti contaminati

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"Un’idea, finché resta un’idea è soltanto un’astrazione", cantava Giorgio Gaber una quarantina di anni fa.
Un'astrazione.

Ecco, il diritto ambientale italiano assomiglia ad un'astrazione: tanti bei principi, un profluvio di leggi che, nelle intenzioni di chi le concepisce, dovrebbero garantire certezza e stabilità, ma che all'atto pratico - quando, da idea, la normativa deve produrre fatti concreti. In altri termini: business - si dimostrano inutili, tutt'altro che semplici, per nulla semplificatorie, oltre a comportare costi per gli operatori del settore.
Insomma, quello dell'operatore del settore bonifiche è un compito difficile, a livello interpretativo, operativo, di responsabilità.

Nel nostro Bel Paese, martoriato da continue emergenze (non solo) ambientali, esistono ben 57 siti di interesse nazionale da bonificare: spesso si tratta di siti che hanno visto succedersi, negli anni, diversi proprietari (e diversi soggetti inquinatori), e nei quali sono compresenti, ad oggi, numerose industrie altamente impattanti sul territorio e sull’ambiente. 
Parlare di responsabilità per l’attuale inquinamento non è un compito semplice, e non può essere semplificato (nel senso di schematizzato, decontestualizzandolo) né reso giornalisticamente magari in termini semplicistici (ovvero di contrapposizione): per questi motivi la giurisprudenza, in particolare quella amministrativa, lo ha (quasi) sempre affrontato in punta di (piedi) diritto, cercando delle soluzioni in grado di contemperare la tutela della salubrità dell’ambiente, da un lato, e gli interessi sociotecnico- economici, dall’altro. 
In sostanza, con lo spirito proprio di chi cerca di perseguire le molteplici sostenibilità. 

Non è semplice neanche districarsi fra le normative che il legislatore continua ad emanare in materia: le recenti modifiche al TUA che il Legislatore/Governo ha introdotto nel nostro ordinamento, nel dichiarato intento di semplificare l’iter delle bonifiche, costituiscono un’ulteriore conferma dell’incapacità di progettare un sistema strutturato che riesca, oltre che a proclamare, a raggiungere le sostenibilità.

Proprio in considerazione delle difficoltà, cui si è appena fatto cenno, Natura Giuridica ha deciso di realizzare un vademecum sulle ultime e più significative novità normative in materia di bonifica, nonché sulle principali sentenze concernenti i più significativi aspetti presi in considerazione dai giudici, nell'analizzare i casi concreti sottoposti al loro esame.
Il vademecum è utile per avvocati, consulenti ambientali, operatori del settore, per aggiornarsi e strutturare in modo adeguato le strategie difensive e/o d'impresa: il rispettivo business.

Si tratta di un lungo articolo che Natura Giuridica ha pubblicato sul suo sito: l'articolo è a pagamento.
Per scaricarlo occorre innanzitutto registrarsi gratuitamente sul sito, quindi collegarsi a questo link e seguire le istruzioni che compariranno a video e che verranno inviate tramite e-mail.

Il lungo articolo (dodici pagine) contiene un’analisi delle più recenti novità in materia di bonifica dei siti contaminati (contenute nello #SbloccaItalia, che ha introdotte alcune semplificazioni procedurali) e della più significativa giurisprudenza amministrativa e penale, con particolare riferimento al regime delle responsabilità, alla gestione delle acque emunte dalla falda durante operazioni di bonifica, alla discrezionalità tecnica dell’amministrazione, all’omessa bonifica, all’inquinamento storico, al potere del Sindaco. 

Il costo per il download è di 20 € + iva (15 + iva per utenti premium).

Nella richiesta inserire i dati per la fatturazione. 




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Omessa bonifica: quando si configura il reato?

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Contaminazione o inquinamento: cos'è il reato di omessa bonifica, e quando si configura?

Chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle CSC è punito se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente, nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti del testo unico ambientale.

Quand’è, dunque che si configura l’omessa bonifica? Quando non si provvede tout court alla bonifica?

E soprattutto, qual è la differenza, se esiste, sul punto, con la vecchia normativa in matiera di bonifica dei siti inquinati?

Partiamo da quest’ultimo punto, e in estrema sintesi basta evidenziare come nella normativa dettata dal TUA, rispetto a quella previgente:

  • l’evento preso in considerazione è soltanto quello di danno dell’inquinamento (prima l’evento poteva consistere nell’inquinamento del sito o nel pericolo concreto ed attuale di inquinamento); 
  • occorre superare la CSR, per potersi parlare di inquinamento, livello superiore al livelli di CSC, prese dalla vecchia normativa come parametro, inferiore rispetto alle CSR, per valutare la presenza di inquinamento (oggi si parla di potenziale contaminazione, al superamento delle CSC)
  • la sanzione penale è prevista con pena pecuniaria o detentiva (in precedenza la pena era congiunta…).

Ai fini della configurabilità del reato di omessa bonifica, dunque, è necessario il superamento della concentrazione soglia di rischio (cioè: dei livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica), nonché l’adozione del progetto di bonifica previsto dall’art. 242 del Testo unico ambientale.


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Bonifiche, trasformazioni societarie: il gioco delle tre carte?

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Come “gestire” la responsabilità per la bonifica di siti contaminati a valle di trasformazioni societarie
In particolare, cosa accade a seguito della cessione di un ramo d’azienda o della fusione per incorporazione? 
Di recente è intervenuto sull’argomento il TAR di Firenze che, con la sentenza n. 667 del 22 aprile 2013, per  dirimere una controversia che vede coinvolta l’Edison, divenuta proprietaria di un sito a seguito di un “girandola” di cessioni/trasformazioni societari, di seguito schematizzata.



Oggetto della sentenza era l’esistenza dell’obbligo, posto a carico della Montedison S.r.L., prima, e della Edison S.p.A., poi, di adottare una serie di prescrizioni (integrare le misure di messa in sicurezza d’emergenza con riferimento ad alcuni superamenti dei valori limite di sostanze inquinanti riscontrati nelle acque sotterranee; ulteriori obblighi di bonifica; ecc.) su un’area di proprietà della La Victor s.c.a.r.l. 

In sostanza, si trattava di risolvere la problematica concernente la legittimazione passiva agli obblighi di bonifica di tale società. 

Il Collegio, dopo aver evidenziato che non sussistono ostacoli a considerare la Montedison s.r.l., ed oggi la Edison s.p.a., come sostanziali successori/continuatori della Farmoplant s.p.a., come tali, soggetti agli obblighi di bonifica derivanti dall’attività inquinante svolta dalla dante causa, ha precisato che: 
  • la girandola di cessioni/trasformazioni societarie che ha interessato il ramo d’azienda e i terreni ricadenti nel S.I.N. di Massa Carrara “non ha determinato una qualche cesura giuridica idonea a determinare la non imputabilità dei detti obblighi di bonifica alla società ricorrente”; 
  • in particolare, è del tutto inidoneo a determinare una qualche cesura giuridicamente rilevante il conferimento di ramo d’azienda tra la Farmoplant s.p.a. e la CERSAM s.r.l., dal momento che è stato  accompagnato, “oltre che dalla completa cessione di ogni rapporto giuridico (anche di debito o credito) imputabile al ramo d’azienda ceduto anche dal subingresso della CERSAM s.r.l. negli obblighi scaturenti a carico della “Farmoplant s.p.a.” in liquidazione […] e, quindi, anche negli obblighi di disinquinamento derivanti dall’attività svolta dalla cedente sulle aree in riferimento”; sotto il profilo amministrativo, il subingresso della CERSAM s.r.l. nel procedimento di bonifica già instaurato dalla Farmoplant s.p.a. è stato successivamente confermato da un Protocollo d’intesa, nel quale è stata evidenziata “chiaramente la volontà della CERSAM s.r.l. di subentrare nel procedimento di bonifica già instaurato da Farmoplant s.p.a. e di succedere alla stessa ad ogni titolo negli obblighi di bonifica, senza alcuna cesura o interversione del titolo (in astratto, il procedimento di bonifica avrebbe, infatti, anche potuto essere continuato da un nuovo proprietario del bene che non assumesse la qualità di successore nei rapporti giuridici della dante causa)”. 
In definitiva, chiosa il TAR di Firenze, “il conferimento di ramo d’azienda in questione deve essere pienamente riportato alla fattispecie di cui all’art. 2558 c.c., con consequenziale successione della CERSAM s.r.l. negli obblighi di bonifica e nei consequenziali procedimenti amministrativi instaurati dalla Farmoplant s.p.a.”.
I successivi mutamenti societari – sopra schematizzati – inoltre, “sono poi avvenuti dopo l’entrata in vigore (in data 1° gennaio 2004) della modifica del diritto societario di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 e, pertanto, per univoca giurisprudenza, non hanno dato vita ad un fenomeno successorio in senso proprio, ma ad una «vicenda meramente evolutivo-modificativa del medesimo soggetto giuridico» che non comporta ovviamente una qualche possibile cesura idonea a determinare l’impossibilità di riportare gli obblighi di bonifica incombenti su CERSAM s.r.l. (a titolo di successore di Farmoplant s.p.a.) alle aventi causa e, quindi, anche a Montedison s.r.l. ed oggi a Edison s.p.a.”. 

Tuttavia, una volta risolta in senso negativo per la ricorrente la problematica della legittimazione passiva della ricorrente agli obblighi di bonifica, il Collegio non ha potuto che rilevare come l’accertamento fattuale della necessità di riportare la situazione di inquinamento presente nell’area alle lavorazioni effettuate dalla società cedente apparisse caratterizzato da evidente difetto di istruttoria e di motivazione.


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Cos’è cambiato in materia di bonifica dei siti contaminati dopo l’introduzione fra i reati presupposto anche di quello relativo all’omessa bonifica?

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Sono molte le problematiche connesse all’introduzione, nel nostro ordinamento, dei “reati ambientali” nei cataloghi dei reati presupposto della responsabilità degli enti: a mero titolo esemplificativo, vi sono quelle generali relative alla facoltatività (o meno) dell’adozione del modello per la gestione dei rischi ambientali; al ruolo e ai poteri dell’organo di vigilanza; all’applicabilità della normativa anche agli enti pubblici; all’applicazione della normativa nel settore della gestione dei rifiuti (l’introduzione dei reati ambientali in tale settore non solo non ha completato la disciplina penale in materia di gestione dei rifiuti, ma rischia di creare nuove problematiche concernenti l’eccessiva severità data dall’inclusione, fra i reati presupposto, anche di molte fattispecie contravvenzionali; la mancanza di proporzionalità causata dal fatto che sono stati introdotti, fra i reati presupposto, fattispecie punite in maniera meno grave di altre che, al contrario, ne sono escluse; la scarsa chiarezza con la quale il legislatore delegato ha richiamato sanzioni incluse fra i reati presupposto).  

Partendo dall’analisi degli articoli 257 del TUA e 25-undecies del DLGS 121/11, nell’articolo “Omessa bonifica da parte dell’impresa? Niente di nuovo sotto il sole”, pubblicato mercoledì 26 settembre 2012 su “Il quotidiano online – Professionalità quotidiana”, testata on line della casa editrice Ipsoa, è stata affrontata l’annosa questione, sorta fin dai tempi della stesura dell’art. 51-bis del “decreto Ronchi” (22/97), che né il TUA (DLGS n. 152/06) né, ora, il DLGS n. 121/11 hanno chiarito: il TUA, infatti, pur apportando all’art. 51-bis del “decreto Ronchi” modifiche tutt’altro che formali, ha mantenuto la criticata formulazione iniziale – in base alla quale “chiunque cagiona l’inquinamento […] è punito […] se non provvede alla bonifica” – che non consente, ora come allora, di chiarire se il legislatore abbia voluto punire: 

 l’inquinamento, a condizione che non si sia provveduto alla bonifica o, invece, 
 l’omessa bonifica. 
Le conseguenze di tale mancanza di certezze giuridiche non sono di poco conto dal punto di vista pratico: 
 nel primo caso, infatti, la bonifica è da considerarsi come condizione obiettiva di punibilità (espressa in forma negativa), che preclude la formazione di una piena illiceità penale: in questo caso l’illecito non si perfeziona fintanto che non si verifica l’omessa bonifica; 
 nel secondo, invece, la bonifica si deve intendere come causa di non punibilità sopravvenuta: presuppone, quindi, il perfezionamento di un reato, ed esclude solo l’assoggettamento a pena, ma non anche l’applicazione di misure di sicurezza, come la confisca dell’area inquinata. 

Le differenze fra i due istituti si riverberano anche sull’efficacia della funzione premiale connessa alla bonifica – stimolo (nel primo caso) o impedimento (se considerata come causa di non punibilità sopravvenuta) – e sull’estensione (o meno) della responsabilità penale ai concorrenti estranei alla riparazione. Potete leggere il testo completo del cit. articolo, con la ricostruzione giuridica della vicenda, qui ne riporto brevemente le conclusioni.
La direttiva è stata recepita all’italiana e, come s’è visto, l’introduzione dei reati ambientali all’interno della L.231 non ha contribuito a chiarire questo importante aspetto della disciplina sulle bonifiche, non avendo fatto alcun riferimento ad eventuali cause di non punibilità a favore dell’ente che provveda alla bonifica. Modus operandi che – lasciando aperta la diatriba dottrinale fra i fautori della bonifica come causa di non punibilità sopravvenuta e come condizione obiettiva di non punibilità (espressa in forma negativa), cui si aggiunge quella di chi si professa favorevole a norme premiali “spinte fino all’impunità, laddove l’ente, seppure tardivamente, tenga una condotta antagonista rispetto all’offesa già arrecata […] posto che, come noto, i costi della bonifica, spesso ingenti, vengono di fatto sostenuti dall’ente”(C. RUGA RIVA) – non ha risolto il problema, lasciandoci in eredità solo un’altra omissione: quella di un (solo medio tempore?) “omesso progresso” (giuridico, economico, sociale, culturale, ambientale) sostenibile…


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Bonifica dei siti contaminati: le modifiche al regime di imputazione della responsabilità

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In materia di bonifica dei siti contaminati, nel passaggio dalla vecchia alla nuova normativa, si è assistito ad una sostanziale modifica del regime di imputazione della responsabilità: a quella di natura oggettiva è subentrato un criterio fondato sull’accertamento dei parametri soggettivi di colpevolezza in capo all’inquinatore. 
La maggioranza delle sentenze in materia, tuttavia, più che dei criteri di imputazione si è occupata della responsabilità del proprietario di un sito contaminato: conclusione “logica”, se solo si pensa che, mentre la disciplina amministrativa concernente i siti contaminati, di cui al TUA, è molto articolata, quella sanzionatoria, al contrario, non solo è concentrata in un unico articolo, ma si caratterizza per la sua nebulosità, che la rende difficile da applicare. 
Lo dimostrano non solo la difficile ricostruzione ermeneutica del reato di omessa bonifica, ma anche le sporadiche sentenze in materia, frutto del silenzio inevitabile che il giudice ha per lungo tempo serbato in merito. Conclusione “logica” che a volte “ha imposto” un criterio di imputazione della responsabilità “para-oggettiva”: la via più semplice utilizzabile – nella difficoltà di individuare i veri responsabili dell’inquinamento, e dare forza pratica al principio di origine comunitari “chi inquina paga” – per addossare i costi della bonifica al proprietario di un sito contaminato, sulla base del semplice criterio dominicale… 
A ciò si deve aggiungere la confusione che, in materia, spesso è stata fatta (e si continua a fare, a livello di prassi amministrativa) fra bonifica di siti contaminati e rimozione di rifiuti abbandonati su terreni. Queste considerazioni sono alla base della ricognizione delle principali sentenze sulle diverse responsabilità in materia di bonifica di siti contaminati, relative: 
• all’omessa bonifica. 
• all’omessa comunicazione. 
• ai soggetti coinvolti (il Comune; il proprietario jure successionis; le società; il proprietario tout court; il locatore); 
• ai poteri e doveri dell’Amministrazione procedente; 
• alla messa in sicurezza di emergenza • alle modalità di individuazione delle responsabilità, oggetto del mio articolo “Bonifica dei siti contaminati, difficile individuare le responsabilità”, di cui potete leggere il testo completo sul sito “Il quotidiano online – Professionalità quotidiana” della casa editrice milanese Ipsoa.


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Responsabilità del proprietario per culpa in vigilando

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In caso di abbandono di rifiuti e responsabilità del proprietario incolpevole si configura un dolo o una culpa in vigilando

Quando su un terreno vengono abbandonati da terzi, diversi dal proprietario, dei rifiuti, chi deve provvedere alla rimozione degli stessi? Quali responsabilità sono addebitabili al mero proprietario dell’area in questione?  

L’art. 192 del Testo Unico Ambientale dispone che chiunque viola il divieto di abbandono e deposito incontrollato è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo.


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Bonifica: la responsabilità di una società mera proprietaria di un sito da bonificare

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Nel corso degli anni, un terreno – oggetto dello “scontro” analizzato nella sentenza che vi riassumo oggi, TAR Firenze, n. 549/10, gratuitamente scaricabile da Natura Giuridica - Siti contaminati, per utenti registrati) –
è passato da una proprietà all’altra, come spesso avviene nel mercato immobiliare.
Ad un certo punto, all’ultimo, malcapitato proprietario, viene fatto presente che deve mettere in sicurezza il terreno stesso, che, nel frattempo, è stato “trovato” inquinato….
Gulp!
Di storie simili (ma non uguali!) ho parlato spesso nelle pagine del blog e del sito (in calce a questo post potrete trovare un elenco indicativo di alcuni degli articoli più letti): cos’ha deciso il TAR di Firenze in questo caso?
Prima di rispondere, mi tocca ricordare al lettore che ogni caso fa storia a sé, e che non può prendere “per oro colato” ciò che trova scritto in queste pagine, ma solo come uno spunto di riflessione, a partire dal quale analizzare la propria situazione, meglio se con l’aiuto di un consulente ambientale


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Bonifica siti contaminati: è possibile la motivazione “per relationem”?

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In un procedimento di bonifica di siti contaminati, è possibile attribuire la responsabilità facendo riferimento “per relationem”, vale a dire, attraverso l’inequivoco ed esplicito richiamo ad un altro atto?
La carne al fuoco è tanta, perciò, al fine di contestualizzare la vicenda, faccio un rapido cenno agli avvenimenti principali, rimandando i curiosi fra di voi ad approfondire la storia alla lettura del testo integrale della sentenza del Tar Firenze 6538/2010, scaricabile dalla pagina naturagiuridica/bonifica-siti-inquinati

Una società è proprietaria di un terreno e presenta un progetto di bonifica dell’area, che prevedeva anche la realizzazione di una vasca di messa in sicurezza delle terre di bonifica, realizzata sotto il piano di campagna.



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Comproprietari di un’area da bonificare quali responsabilità

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Nel post Responsabilità per la bonifica di siti contaminati, ho messo in evidenza che la figura del proprietario di un sito contaminato, ma non colpevole dell’inquinamento, è particolarmente delicata, in un ordinamento in cui si parla a gran voce del principio “chi inquina paga”, ma nel quale si finisce, per semplicità, a volte, per incompetenza, altre, o anche per accidia – o irresponsabilità – per far ricadere la colpa (la responsabilità) sul soggetto più facilmente identificabile: il proprietario del sito contaminato o inquinato che dir si voglia, il quale spesso inconsapevolmente si trova a dover gestire la “patata” bollente".

Ho parlato spesso delle vicende che vedono coinvolto il proprietario non responsabile dell’inquinamento per il semplice fatto che ci sono proprietari e proprietari, regole e regole da rispettare e far rispettare, responsabilità e responsabilità da considerare (o meno…).
Con le relative eccezioni ad personam….
Ad esempio, abbiamo visto quali sono le regole che si devono seguire se il proprietario non colpevole è il Comune o un malcapitato curatore fallimentare o ancora si tratta di un locatore, per un terreno dato in affitto a terzi, per analizzare le varie forme di responsabilità del proprietario…definiamolo tout court:

Questa volta parliamo della responsabilità dei comproprietari di un’area da bonificare.


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Bonifica dei siti contaminati: i margini di manovra della Pubblica amministrazione

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Per quanto concerne il ruolo della pubblica amministrazione nei procedimenti di bonifica dei siti contaminati, il TAR Toscana (2376/10), con paziente opera certosina, ricorda che nei procedimenti in materia di bonifica ambientale, è necessario che la Pubblica Amministrazione consenta ai destinatari delle prescrizioni stabilite dalla stessa P.A. di partecipare al relativo procedimento, articolato in una o più Conferenze di Servizi istruttorie e decisorie, quantomeno con riferimento alle fasi procedimentali in cui emerge l’esistenza di una contaminazione del terreno e della falda acquifera nell’area interessata e che poi sfociano nelle determinazioni assunte dalla Conferenza di Servizi decisoria.


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A (certi) Giudici: “Siam mica qui a pettinare le bambole!”

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Il proprietario del sito contaminato non è estraneo, ancorchè incolpevole, alle vicende successive al constatato inquinamento, né immune dall’attribuzione “finale”, pur con le modalità e cautele previste, delle obbligazioni risarcitorie.
Proprio perché può essere il titolare finale delle obbligazioni risarcitorie, il proprietario è titolare di un interesse legittimo a che:
• l’amministrazione eserciti ogni attività volta alla individuazione del responsabile,
• pretenda da questi le attività di ripristino necessarie per legge in relazione alla contaminazione constatata, ovvero
• ponga a suo carico le spese di quanto si è dovuto attuare di ufficio.



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Colpevole d’innocenza

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Nell’attuale sistema normativo – se sei il proprietario di un sito contaminato, ma non sei responsabile dell’inquinamento – l'obbligo di bonifica dei siti inquinati grava in primo luogo sull'effettivo responsabile dell'inquinamento stesso, che le competenti Autorità amministrative hanno l'obbligo di individuare e ricercare.
La mera qualifica di proprietario, o di detentore del terreno inquinato, invece, non implica di per sé l'obbligo di effettuazione della bonifica.
Di conseguenza, l’obbligo di bonifica può essere posto a suo carico solo se responsabile o corresponsabile dell'illecito.


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Chi inquina paga?

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Come sapete, il mondo del diritto è fatto di tanti principi generali assolutamente condivisibili, ma anche di complicate prassi che spesso, ahimè, non sono in grado di far seguire a quelle bella parole i fatti, perché finiscono con il non semplificare le cose, anzi...

Quello relativo alla ruolo del proprietario incolpevole dell’inquinamento nei procedimenti di bonifica è uno dei casi più lampanti del modo dissociato in cui spesso si tende a procedere (prassi), dopo aver enunciato i bei principi di diritto, cui facevo riferimento all’inizio.
Quelle che seguono sono considerazioni sulla sentenza del TAR di Firenze (1525/10) che vi consiglio di leggere (è possibile scaricare il testo previa registrazione gratuita al sito di Natura Giuridica).


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Il curatore fallimentare è un irresponsabile!

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Nei post “Ruolo e responsabilità del curatore fallimentare nella bonifica dei siti contaminati”e “Le responsabilità della curatela fallimentare nella bonifica dei siti contaminati", Natura Giuridica ha affrontato il tema relativo alla responsabilità, in materia di bonifica di siti contaminati, della curatela fallimentare, sottolineando che, in estrema sintesi, il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari, non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti.


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Responsabilità per la bonifica di siti contaminati

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La responsabilità ambientale ai tempi del bunga bunga

Il titolo di questo post – che riguarda, mi tocca precisarlo, la bonifica dei siti contaminati ed in particolare la sentenza TAR Milano, 1107/2010 - e non la “casta politica”, in un blog che si occupa di politica esclusivamente quando ha a che fare con il diritto dell’ambiente e con il diritto dell’energia – oggi è volutamente, come dire, “provocatorio”.
Per quanto questo termine possa avere un significato, nel nostro paese, che vive di provocazioni passeggere, e fugge il dialogo e l’approfondimento come la peste. Non parliamo poi di dignità…


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Che colpa ne ho!?

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Non è a Nicola di Bari, che mi riferisco, ma molto più prosaicamente al più che giustificato interrogativo che molti proprietari di terreni si pongono, quando si vedono notificare ordinanze di rimozione dei rifiuti che altri hanno gettato sulle loro proprietà, a loro totale insaputa…

Cosa succede se ignoti gettano rifiuti in un terreno altrui?

Di chi è la responsabilità? 

Il proprietario o il titolare in uso di fatto del terreno può essere chiamato a rispondere della fattispecie di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti sulla propria area, a prescindere da qualsiasi altra considerazione?

Sul blog di Natura Giuridica abbiamo affrontato il tema della responsabilità del proprietario incolpevole in diverse occasioni.

Oggi torniamo sull’argomento, visto che, nonostante tutto, le ordinanze di bonifica e di rimozione rifiuti (spesso confuse e sovrapposte. Occorre ribadire e sottolineare con forza che si tratta di due cose ben distinte: “La rimozione dei rifiuti è qualcosa di ben diverso dalla bonifica…”) contro i proprietari incolpevoli dell’inquinamento e dell’abbandono dei rifiuti “pullulano”, e continuano a rappresentare una sorta di scappatoia per le PP.AA. incapaci di rivolgersi ai reali responsabili di tali atti ambientalmente e socialmente insostenibili…


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Le responsabilità della curatela fallimentare nella bonifica dei siti contaminati

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Contaminazioni storiche e fallimento: la curatela fallimentare deve mettere in sicurezza?

Cambiano i destinatari dell’obbligo di effettuare la messa in sicurezza di un’area, nel caso le contaminazioni storiche provochino, o meno, un rischio immediato per l’ambiente?

La domanda nasce spontanea, dopo che ad un curatore fallimentare un Comune brianzolo aveva ordinato di effettuare la messa in sicurezza di un’area, nonché di rimuovere i rifiuti posti sull’area dello stabilimento dell’impresa fallita.
Oltre al difetto di legittimazione passiva della curatela fallimentare, e all’incompetenza, la curatela fallimentare eccepiva il difetto di motivazione in merito ai rischi di contaminazione che legittimano l’emanazione dell’ordine di effettuare la messa in sicurezza.
Com’è possibile, infatti, dichiarare l’imminenza di un rischio grave, imminente ed irreparabile che legittimi il Comune ad adottare provvedimento, come quello impugnato nel caso di specie (sentenza del TAR Milano n. 408/2010, liberamente scaricabile dal sito di Natura Giuridica, per utenti registrati), quando è dal 1995 che lo stesso Comune diffida la proprietà ad effettuare le opere di messa in sicurezza senza mai provvedere all’esecuzione d’ufficio?


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