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I periodici nuovi criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica - DM 24 giugno 2015

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Per cominciare bene il nuovo anno, pubblichiamo una sintesi dell'articolo "I periodici nuovi criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica" uscito a gennaio 2016 sulla rivista Ambiente & Sviluppo edita da Ipsoa, Milano. 
Il DM 24 giugno 2015 sui criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica dovrebbe mettere la parola fine alle contestazioni relative ad alcune non conformità del precedente DM 27 settembre 2010 alla decisione del Consiglio 2003/33/CE. Negli anni passati infatti è stata riscontrata l'inefficienza del decreto del 2010, oggetto di attenzione della giurisprudenza e di alcune interpretazioni ministeriali (le prime volte a cercare di venire incontro alle richieste dell'Europa, le seconde per precisarne i confini applicativi). In effetti, il DM del 2010 era già stato modificato dal DM 29 luglio 2013 proprio per queste motivazioni.
Il contributo di A. Quaranta analizza le criticità riscontrate dalla giurisprudenza rispetto alla passata normativa e che, in generale, hanno riguardato aspetti relativi al riparto delle competenze, alla concreta applicabilità e alle tempistiche applicative.
Si prosegue analizzando il nuovo decreto, che ha apportato delle eliminazioni (relativamente a verifica di conformità, impianti di discarica per rifiuti inerti, limiti di accettabilità per i composti organici in discariche per rifiuti inerti, impianti di discarica per rifiuti non pericolosi, sottocategorie di discariche per rifiuti non pericolosi), delle aggiunte normative (novità riguardanti gli impianti di discarica per rifiuti non pericolosi) e delle modifiche (il nuovo DM precisa cosa si intende per rifiuti pericolosi stabili non reattivi e viene interamente sostituito l'allegato 3, relativo al campionamento e all'analisi dei rifiuti). Il contributo contiene una tabella che riassume il contenuto di tale allegato.
Si conclude che sotto il profilo sistematico il testo di riferimento continua ad essere quello del 2010, e che sotto il profilo sostanziale smaltire i rifiuti in discarica sarà più costoso e difficile - specie se si considera per esempio che i rifiuti con codice CER 101208 non potranno più essere smaltiti in discarica senza la preventiva autorizzazione.
E' quindi più che lecito chiedersi come verrà applicata questa nuova ennesima normativa, e soprattutto: sapranno gli operatori del settore lavorare senza incappare nell'ennesima non voluta non conformità?


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Nuovi criteri ammissibilità rifiuti in discarica ex DM 24/06/2015

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La normativa sui criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, materia regolata a livello nazionale dal D.M. 27 settembre 2010, non era soltanto bisognosa di essere adeguata all'evoluzione del quadro normativo comunitario ma doveva anche essere resa conforme alla decisione del Consiglio n. 33/2003/Ce, come richiesto dalla Ue all'Italia. 
Sulla Gazzetta Ufficiale dell'11/09 è stato pubblicato il DM 24 giugno 2015, che ha integrato il DM 27 settembre 2010, il quale aveva modificato la precedente normativa sui criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica.
Scrivendo la parola "fine" riguardo un contenzioso con la Commissione Europea - all'Italia venivano contestate alcune non conformità del DM 27 settembre 2010 ad una decisione del Consiglio (2003/33/CE) - la nuova normativa ha sancito abrogazioni riguardanti: la verifica di conformità, gli impianti di discarica per i rifiuti inerti, i limiti di accettabilità per i composti organici in discariche per rifiuti inerti, gli impianti di discarica per rifiuti non pericolosi, le sottocategorie di discariche per rifiuti non pericolosi. 

Nel DM 24 giugno 2015 sono altresì presenti delle novità in materia di: 
  1. impianti di discarica per rifiuti non pericolosi (il nuovo DM prevede che nelle discariche per rifiuti non pericolosi possano essere smaltiti anche rifiuti pericolosi stabili non reattivi che siano stati sottoposti: 1. a idonee prove geotecniche dimostrano adeguata stabilità fisica e capacità di carico; 2. alla valutazione della capacità di neutralizzazione degli acidi, utilizzando i test di cessione secondo i metodi CEN/TS 14429 o CEN/TS 14997);
  2. impianti di discarica per rifiuti pericolosi (come in precedenza, sarà possibile servirsi dei valori per il TDS – solidi disciolti totali – in alternativa ai valori per il solfato e per il cloruro. Il limite di concentrazione per il parametro TDS non si applica alle tipologie di rifiuti riportate nella precedente nota. Il nuovo DM specifica, tuttavia, che i parametri solfati e cloruri o, in alternativa il parametro TDS, dovranno essere verificati). 
Il decreto contiene inoltre delle sostituzioni precisando che cosa si intende per rifiuti pericolosi stabili non reattivi; il decreto modifica anche il campo di applicazione del limite di concentrazione per il parametro DOC e prevede un ulteriore requisito che che i rifiuti pericolosi devono possedere per essere smaltiti in discariche per rifiuti pericolosi. 

Infine, viene interamente sostituito l’allegato 3 – relativo al campionamento e all’analisi dei rifiuti. 



I nuovi criteri di ammissibilità in discarica
Oneri
Il campionamento, le determinazioni analitiche per la caratterizzazione di base e la verifica di conformità sono effettuati a carico del detentore dei rifiuti o del gestore della discarica, da persone ed istituzioni indipendenti e qualificate
Garanzia della qualità
Il campionamento e le determinazioni analitiche possono essere effettuate dai produttori di rifiuti o dai gestori qualora essi abbiano costituito un appropriato sistema di garanzia della qualità, compreso un controllo periodico indipendente
Rifiuti urbani biodegradabili
Il campionamento della massa di rifiuti da sottoporre alla successiva analisi deve essere effettuato tenendo conto della composizione merceologica, secondo il metodo di campionamento ed analisi IRSA, CNR, NORMA CII-UNI 9246
Eluati e rifiuti
Occorre ottenere un campione rappresentativo secondo i criteri, le procedure i metodi e gli standard di cui alla norma UNI 10802
La valutazione della capacità di neutralizzazione degli acidi (ANC), é effettuata secondo le metodiche CEN/TS 14997 o CEN/TS 14429
Rifiuti contenenti amianto
Analisi del rifiuto
Il contenuto di amianto in peso deve essere determinato analiticamente utilizzando una delle metodiche analitiche quantitative previste dal D.M. 6 settembre 1994 del Ministro della sanità, la percentuale in peso di amianto presente, calcolata sul rifiuto dopo il trattamento, sarà ridotta dall’effetto diluizione della matrice inglobante rispetto al valore del rifiuto iniziale.
Densità apparente: è determinata secondo le normali procedure di laboratorio standardizzate.
Densità assoluta: è determinata come media pesata delle densità assolute dei singoli componenti utilizzati nelle operazioni di trattamento dei rifiuti contenenti amianto e presenti nel materiale finale.
Densità relativa: è calcolata come rapporto tra la densità apparente e la densità assoluta. 

Analisi del particolato aerodisperso contenente amianto
Vanno adottate le tecniche analitiche di microscopia ottica in contrasto di fase (MOCF); per la valutazione dei risultati delle analisi si deve far riferimento ai criteri di monitoraggio indicati nel D.M. 6 settembre 1994 del Ministro della sanità.



Sotto il profilo sistematico, dunque, il testo di riferimento continua ad essere il Dm 27 settembre 2010, così come modificato dal nuovo D.M.
Sotto il profilo sostanziale, smaltire i rifiuti in discarica sarà più costoso e difficile, specie se si considera che i rifiuti con codice CER 101208 non potranno più essere smaltiti in discarica senza la preventiva autorizzazione, dato che sono stati introdotti la valutazione di neutralizzazione degli acidi dei rifiuti pericolosi stabili non reattivi per lo smaltimento nelle discariche di rifiuti non pericolosi e i criteri per garantire la adeguata stabilità fisica e capacità di carico dei rifiuti pericolosi stabili e non reattivi prima di consentire la loro ammissione in discariche per rifiuti non pericolosi, ed è stata eliminata la deroga al parametro TOC per i criteri di ammissibilità dei rifiuti nelle sottocategorie di discariche per non pericolosi di cui all’art. 7, D.M. 27 settembre 2010.
Sotto il profilo formale occorrerà, invece, valutare se-come-quanto la novella normativa verrà applicata.
E soprattutto come: nello spazio, nel tempo e nell’interpretazione, e in tutte quelle altre sfumature che, in Italia, non permettono mai all’operatore del settore di sapere come muoversi senza incappare in una qualche non conformità.

L'articolo completo sarà pubblicato sul n. 11-12/2015 della rivista "Ambiente & Sviluppo" eidita da IPSOA e, in editio minor, è sul sito di IPSOA.


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Discarica di Bussi: la pronuncia della Corte d'Assise di Chieti

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Discarica di Bussi: la pronuncia della Corte d'Assise di Chieti

Sul n. 5 della rivista Ambiente e Sicurezza sul Lavoro -  Editore EPC è stato pubblicato il contributo Discarica dei veleni di Bussi: il disastro ambientale “senza colpevoli” nel quale viene illustrato il ragionamento che ha portato la Corte di Assise di Chieti a pronunciare la sentenza di assoluzione degli imputati per uno dei due reati contestati (avvelenamento delle acque), “perché il fatto non sussiste”, e dichiarare il “non doversi procedere” per il secondo (disastro ambientale, derubricato a delitto colposo di danno) per intervenuta prescrizione.
Torniamo indietro e facciamo mente locale su questa annosa vicenda: in Abruzzo, in prossimità della confluenza di due fiumi, il Tirino e il Pescara, in una zona ricca d’acqua superficiale e profonda, nei primi anni del secolo scorso veniva insediato un polo chimico gestito, nel corso del tempo, da diverse società, senza che nessun ente locale sollevasse alcuna questione sul forte impatto ambientale delle attività industriali praticate nel sito;  soltanto nel 2005 l’ARTA Abruzzo inviava una relazione tecnica nella quale si segnalava la “presenza anomala” di sostanze chimiche (stiamo parlando di tricloroetilene, tetracloroetilene, tetraclorometano, cloroformio e altri prodotti tossici e nocivi) riscontrate nelle acque superficiali dell’asta fluviale del Pescara nella zona a valle della confluenza con il Fiume Tirino e, quindi, immediatamente a valle del sito industriale di Bussi. Di qui le indagini, concentratesi soprattutto nella zona delle opere di captazione, finalizzate a fornire acqua potabile, miscelata con quella proveniente dall’acquedotto, all’intera popolazione dei comuni ubicati lungo la valle del Pescara.
Secondo la Corte d'Assise, le fonti documentali “consentivano di acquisire elementi di conoscenza che, confrontati con quanto emerso in occasione dell’analisi chimica svolta sui siti inquinanti, fornivano una quadro probatorio pienamente collimante, consentendo così di poter affermare, in termini di assoluta certezza, che l’attività di sversamento di residui della produzione era iniziata decenni addietro e, soprattutto, si era svolta in carenza di adeguate misure di prevenzione dell’inquinamento”.
Tuttavia, nella parte in fatto della sentenza si evidenzia che “l’apporto di inquinanti fornito dallo stabilimento industriale è rimasto un dato ipotizzato in termini di mera probabilità e rispetto al quale non è stato neppure possibile fornire un’indicazione generica del dato quantitativo, sicché non si può affermare – in termini di certezza come richiesto nel giudizio penale – la sua rilevanza causale rispetto al presunto avvelenamento dell’acqua emunta del campo pozzi”, e che “l’avvelenamento non è determinato dalla mera presenza di sostanze inquinanti, essendo richiesto il superamento di determinati parametri di concentrazione tali da far insorgere un concreto rischio per i potenziali assuntori dell’acqua. Ne consegue che non è ipotizzabile un rapporto lineare tra la presenza di inquinanti e la determinazione dell’effetto nocivo tipico dell’avvelenamento, sicché l’astratta possibilità che sostanze provenienti dall’area dello stabilimento – in quantità in alcun modo determinabile – possano aver raggiunto il campo pozzi è un dato di per sé neutro, atteso che solo ove fosse stato possibile accertare il grado di concentrazione con cui tali sostanze si sono trasferite dallo stabilimento all’acqua emunta, si sarebbe potuto apprezzare l’eventuale contributo causale offerto all’avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione”.

Queste le premesse di fatto: ma quali erano i due capi di imputazione?
1. Delitto di avvelenamento delle acque destinate all'alimentazione umana mediante la realizzazione, nel corso degli anni di ben 4 discariche abusive di cui una di dimensioni gigantesche, la dispersione nel suolo sottostante l'area di sedime degli impianti di piombo nonché l'attuazione di una vera e propria strategia d'impresa finalizzata ad eludere gli obblighi derivanti dalla necessità di eliminare le conseguenze di tali condotte.
2. Delitto di cui all’art. 434 del c.p., dal momento che gli imputati avrebbero concorso a cagionare un “disastro ambientale di immani proporzioni che riguardava l’intero suolo e sottosuolo delle aree interne ed esterne al polo chimico-industriale di Bussi.

Dopo una sintetica trattazione degli elementi costitutivi del reato di avvelenamento delle acque, l'articolo dà conto di quanto ritenuto dalla Corte: "’area sulla quale si è insediato lo stabilimento chimico di Bussi e quella immediatamente circostante “proprio perché storicamente interessata da produzioni industriali potenzialmente pericolose ed in grado di alterare la composizione delle acque di falda, hanno fin dall’origine costituito un limite logico, prima ancora che normativamente previsto, affinché l’acqua di falda fosse effettivamente attinta per essere impiegata in usi alimentari", come a dire, l’inquinamento storico realizzatosi in assenza di una specifica disciplina volta ad impedire l’attingimento della falda acquifera da parte delle sostanze tossiche non potrà dar luogo al reato di avvelenamento per il semplice fatto che l’azione dell’uomo ha privato l’acqua di falda del requisito della potenziale utilizzabilità ai fini alimentari e, quindi, viene meno uno dei requisiti del fatto tipico previsto dall’art. 439 c.p.

Per quanto concerne invece il disastro ambientale, la Corte ritiene ampiamente accertato che l'area occupata dallo stabilimento industriale presenta un’elevata contaminazione, determinata dalla storica produzione di sostanze chimiche ivi svolte per oltre un secolo e che ha determinato la dispersione e l’interramento di plurime sostanze tossiche, alcune delle quali anche cancerogene.
In sostanza, “l’intera zona in questione non solo è gravemente inquinata, ma vi è anche una obiettiva diffusività delle sostanze pericolose principalmente mediante le falde acquifere; se tale circostanza non ha in concreto determinato l’avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione umana, ciò non esclude affatto che vi sia stata una compromissione rilevante e difficilmente reversibile delle matrici costituenti un presupposto della salubrità ambientale, in modo da determinare che terreni ed acque collocate in prossimità degli impianti ed in corrispondenza delle discariche sono divenuti sicuramente insuscettibili di qualsivoglia impiego, se non a rischio di esporre i frequentatori ed utilizzatori delle suddette aree ad un concreto pericolo per la salute pubblica”, ha affermato la Corte. Tuttavia, dopo una disamina della nozione di disastro ambientale, in particolare relativa ai commi 1 e 2 dell'Art. 434 (aspetti controversi, giurisprudenza e funzione selettiva dell'elemento soggettivo), la Corte ha concluso che la conoscenza parziale del reale stato di contaminazione e delle cause che lo determinavano sia di per sé un elemento difficilmente sormontabile nell'ottica della tesi d'accusa volta a sostenere la commissione dolosa del reato di disastro ambientale; pertanto il reato è stato derubricato a disastro colposo ex art. 449 c.p. e ciò ha determinato la prescrizione.


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La presenza di aree a pericolosità geomorfologica e i rischi sanitari possono impedire la realizzazione di discariche?

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Discariche 

La presenza del vincolo idrogeologico e di aree a pericolosità geomorfologica elevata non rappresentano, di per sé, fattori escludenti per la realizzazione di discariche, dovendo, al più considerarsi come fattori penalizzanti che possono essere superati con una adeguata progettazione. In nessuna norma del TUA si fa cenno ad una specifica analisi dei rischi sanitari, intesa come specifico e separato apporto che contempli, anche attraverso indagini epidemiologiche, l’impatto sulla salute dell’uomo i cui profili, evidentemente, vanno ricompresi nella valutazione complessiva dell’incidenza sull’ambiente del quale anche l’uomo fa parte. 
*°*
La questione di fondo
Oggetto della sentenza del TAR di Firenze (1543/13) è l’impugnazione, da parte del WWF, di una serie di atti con i quali la giunta provinciale di Pisa aveva rilasciato l’AIA alla realizzazione dell’ampliamento di una discarica esistente. Fra gli undici motivi di ricorso quelli relativi: 
  • all’asserita incompetenza del dirigente all’emanazione della pronuncia di VIA, che secondo la ricorrente costituisce un provvedimento con cui viene esercitata una funzione di indirizzo politico amministrativo e non meramente tecnico discrezionale, con la conseguenza che afferisce alla competenza della Giunta (regionale o provinciale) quale organo politico amministrativo; 
  • alla non corretta localizzazione della discarica, in area a pericolosità geomorfologica, problematica che a dire della ricorrente non sarebbe stata superata neanche attraverso le prescrizioni imposte in sede di rilascio dell’autorizzazione; 
  • ai profili sanitari, del tutto pretermessi nello studio di impatto ambientale. 
Competenza del dirigente 

In relazione all’asserita incompetenza del dirigente, il TAR, dopo un rapido excursus della normativa nazionale e regionale applicabile ha evidenziato come, dall’intero dettato normativo, emerge che nella Regione Toscana è rimessa all’amministrazione procedente l’individuazione del soggetto competente al rilascio del provvedimento di VIA ovvero il provvedimento unico di VIA e AIA, in conformità con il rispettivo ordinamento, con la conseguenza che la Provincia ha legittimamente stabilito che la responsabilità del procedimento di VIA e, dunque, la titolarità della competenza al rilascio appartiene al Dirigente del Servizio ambiente.

Normativa
TUA
Le regioni e le province autonome assicurano che, per i progetti per i quali la valutazione d’impatto ambientale sia di loro attribuzione, la procedura per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale sia coordinata nell’ambito del procedimento di VIA
È in ogni caso disposta l’unicità della consultazione del pubblico per le due procedure
Se c’è coincidenza fra l’autorità competente:
·         in materia di VIA
·         al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale,
le disposizioni regionali e delle province autonome possono prevedere che il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale faccia luogo anche di quella autorizzazione
L.R. Toscana
(L.R. n. 10/2010)
Le province, i comuni e gli enti parco regionali individuano, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, l’organo o ufficio competente ad adottare i provvedimenti conclusivi
La Giunta regionale individua, nell’ambito degli uffici regionali, la struttura operativa competente all’espletamento delle procedure di VIA di competenza regionale
Le province, i comuni e gli enti parco regionali provvedono in conformità con i rispettivi ordinamenti
Rapporto tra VIA e AIA
Nel caso di impianti soggetti ad AIA, la procedura per il rilascio dell’AIA è coordinata nell’ambito del procedimento di VIA secondo le seguenti modalità:
a)      se l’autorità competente in materia di VIA e AIA coincidono, il primo provvedimento comprende anche il secondo, nei casi in cui le procedure siano attivate contestualmente;
b)      la procedura per il rilascio del provvedimento unico è disciplinata dall’ente competente in coerenza con le disposizioni del proprio ordinamento concernenti il riparto delle funzioni

La realizzazione di discariche in aree a pericolosità geomorfologica
La presenza del vincolo idrogeologico e di aree a pericolosità geomorfologica elevata non rappresentano, di per sé, fattori escludenti per la realizzazione di discariche, dovendo, al più considerarsi come fattori penalizzanti che possono essere superati con una adeguata progettazione. 
Con queste parole, il TAR ha messo in evidenza che l’allegato 1 del D.Lgs n. 36/03: 
  • dopo avere stabilito che le discariche non vanno ubicate di norma in aree dove i processi geologici superficiali (erosione accelerata; frane; instabilità dei pendii) potrebbero compromettere l’integrità della discarica e delle opere ad essa connesse, 
  • dispone che la discarica può essere autorizzata solo se le caratteristiche del luogo, per quanto riguarda le condizioni di cui sopra, o le misure correttive da adottare, indichino che la discarica non costituisce un grave rischio ecologico. 
In relazione alle competenze, v’è da dire che le funzioni relative al vincolo idrogeologico e al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione di discariche in area a pericolosità geomorfologica sono interamente esercitate dalle regioni; tuttavia, le regioni possono delegare tale competenza alle province.

I profili sanitari
In relazione ai profili sanitari, infine, il TAR ha ritenuto priva di fondamento la tesi dell’associazione, partendo dalla definizione di valutazione ambientale dei progetti, ovvero il procedimento mediante il quale vengono preventivamente individuati gli effetti sull’ambiente di un progetto, ai fini dell’individuazione delle soluzioni più idonee al perseguimento degli obiettivi fissati dalla legge: in particolare, la protezione della salute umana e il miglioramento della qualità della vita. 
Per questi motivi, lo studio di impatto ambientale reca, fra l’altro, una “descrizione delle componenti dell’ambiente potenzialmente soggette ad un impatto importante del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, alla fauna e alla flora, al suolo, all’acqua, all’aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, nonché il patrimonio agroalimentare, al paesaggio e all’interazione tra questi vari fattori”: in nessuna norma, dunque, si fa cenno ad una specifica analisi dei rischi sanitari, intesa come specifico e separato apporto che contempli, anche attraverso indagini epidemiologiche, l’impatto sulla salute dell’uomo i cui profili, evidentemente, vano ricompresi nella valutazione complessiva dell’incidenza sull’ambiente del quale anche l’uomo fa parte.


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Quali deroghe per i criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica?

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Il Consorzio ASI di Brindisi è titolare di un progetto di ampliamento della discarica di rifiuti pericolosi: l’impianto, il cui sito non è caratterizzato da litologia argillosa, è inserito all'interno del Piano provinciale dei rifiuti, emanato in attuazione del Piano regionale. 

Nel corso dell’aggiornamento del Piano dei rifiuti, la giunta regionale ha introdotto una norma in base alla quale “per le discariche di nuova realizzazione autorizzate e non in esercizio o da autorizzare all'esercizio successivamente alla data di approvazione del presente piano, si dispone che: le deroghe richieste ai sensi dell'art. 10 del Dm 3 agosto 2005 possono essere concesse solo nelle ipotesi di siti caratterizzati da litologia argillosa”. 

Il Consorzio propone ricorso per ottenere l’annullamento di tale delibera, ritenuta impeditiva della propria attività: secondo il ricorrente, infatti, la barriera geologica, qualora non soddisfi naturalmente le condizioni di permeabilità e spessore previste dalla legge, può essere completata artificialmente attraverso un sistema barriera di confinamento opportunamente realizzato che fornisca una protezione equivalente

Il TAR rigetta il ricorso, ritenendo la delibera impugnata immune dai vizi denunciati dal ricorrente.

Il Consiglio di Stato, invece, accoglie l’appello per la riforma della sentenza. 

L'art. 2.4.2 dell'Allegato I al D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, infatti, sottolineano i giudici di Palazzo Spada, disciplina puntualmente i criteri di permeabilità e spessore che debbono essere posseduti dal substrato della base e dei fianchi (c.d. barriera geologica) del sito ove l'attività di discarica è esercitata, il cui soddisfacimento, nelle fattispecie concrete, deve essere accertato mediante indagini e perforazioni geognostiche. 
 La stessa disposizione prosegue prevedendo, peraltro, che "la barriera geologica può essere completata artificialmente attraverso un sistema barriera di confinamento opportunamente realizzato che fornisca una protezione equivalente". In sostanza, la disciplina in esame stabilisce l'equivalenza, sotto il profilo delle garanzie ambientali, tra la barriera geologica naturale e la barriera artificiale

Nella fattispecie, il Collegio ha dichiarato illegittima la delibera regionale di aggiornamento del piano gestione rifiuti speciali nella Regione Puglia che preclude in radice la possibilità di autorizzare in deroga gli impianti di discarica ubicati in siti caratterizzati da litologia non argillosa, senza considerare che le barriere artificiali, attraverso l'adozione di adeguati accorgimenti tecnici, sono in grado di soddisfare in maniera ottimale i requisiti di permeabilità e spessore richiesti dalla legge, al pari di quelle naturali. 
La ratio della previsione di cui al punto 2.4.2. dell'Allegato I al D.Lgs. n. 36/2003 è, infatti, proprio quella di consentire la gestione di una discarica allorquando siano comunque assicurabili - ed in concreto assicurate - le condizioni di sicurezza del sito, indipendentemente dal tipo di barriera.


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Car fluff nelle campagne cuneesi

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Car fluff non è il nome di un personaggio dei cartoni animati, ma è il termine per indicare gli ultimi materiali residui derivanti dalla demolizione delle automobili, quella che avviene dal classico sfasciacarrozze. Chi si occupa di demolizione di veicoli ha precisi obblighi relativi allo smaltimento del car-fluff e, se vi si sottrae, per esempio interrandolo anziché conferendolo in discarica, commette un reato penale.
Il car-fluff è classificato come rifiuto speciale e contiene sostanze tossiche e nocive come arsenico e piombo.
L'occasione per parlarne è data dal caso relativo alla scoperta di car fluff illegalmente interrato e scoperto nelle campagne tra Barge e Revello in provincia di Cuneo, reato per il quale ora è in corso il processo. (Natura Giuridica si è occupata di una prima inchiesta sempre relativa all'interramento illegale di car fluff in provincia di Cuneo, giunta a sentenza definitiva nel 2009).
E' notizia - apparsa il 20 dicembre scorso su La Stampa di Cuneo - che la Procura di Saluzzo ha chiesto il rinvio a giudizio di 5 persone (tra i quali il titolare di un'azienda di demolizione di veicoli e 2 agricoltori) accusate di discarica illegale di rifiuti e di avvelenamento di acque destinate al consumo umano. Gli imputati  hanno chiesto di essere giudicati col rito abbreviato e, dopo la presentazione delle perizie di parte, il processo proseguirà il 24 gennaio con le arringhe conclusive, le discussioni, da parte del pubblico ministero e delle parti civili, cui seguiranno quelle degli avvocati difensori, mentre la sentenza dovrebbe essere pronunciata a marzo. 
Il car fluff è costituito da una miscela eterogenea di materiali metallici, ferrosi e non, di plastica, di gomma, vetro, fibre tessili, carta e cartone, vernici. Rappresenta circa il 25-30% del peso totale dell'intero veicolo, una percentuale elevata che fino ad oggi non veniva intercettata dalla filiera del riciclo a causa dei costi elevati di gestione e della mancanza di tecnologie adeguate. A fronte di un parco auto circolante di oltre 36 milioni di veicoli solo in Italia, ogni anno sono 1,5 milioni le auto italiane che concludono la loro onorata carriera e la produzione di rifiuti che ne deriva ammonta a circa 9 milioni di tonnellate annue. Questa enorme quantità di materiale si divide in pezzi di ricambio – che hanno nuova vita in altre auto – e componenti recuperabili, di cui ad oggi si riesce a riciclare un buon 70%. 
Il “car fluff” è invece costituito dalle rimanenti parti dell’auto in materiale plastico, le schiume, la gomma, il vetro, e pure alcune polveri metalliche, vernici ed i tessuti di rivestimento, parti che oggi rimangono per lo più in discarica. Inoltre le sperimentazioni sull'utilizzo del car-fluff "tal quale" come carica combustibile per cementifici e termovalorizzatori hanno dato esito negativo a causa della formazione di fumi e gas tossici e dell'elevato quantitativo dei residui della combustione contenenti, fra l'altro, anche metalli pesanti e sostanze nocive.
Non resta che il conferimento in discarica, ma chiaramente la cosa migliore sarebbe quella di cercare di diminuire sempre di più la quantità di questo insospettabile scarto, liberando così le discariche e danneggiando meno le risorse naturali. Riciclando anche questi scarti, la quasi totalità del veicolo può essere recuperata: si stima infatti che in un anno si possa arrivare a riciclare circa 1 milione di tonnellate di materiale metallico, come acciaio e alluminio, riutilizzandoli al posto della materia prima.
La vera sfida oggi è recuperare anche il car fluff, che da solo vale 400.000 tonnellate di residui non metallici e, oltre a rappresentare uno spreco di risorse, contamina terreno e falde, rilasciando, col tempo, diverse sostanze tossiche.
La soluzioni proposte per il riciclo e il recupero di questi componenti sono diverse: la prima comporta la trasformazione del fluff in conglomerato bituminoso da impiegare per la pavimentazione delle strade, così da ridurre ulteriormente e drasticamente la percentuale stoccata in discarica. Un’altra proposta, invece, riguarda il recupero energetico attraverso processi di piro-gassificazione: il materiale adeguatamente riscaldato si trasformerebbe in gas che, recuperato e convogliato, produrrebbe energia elettrica utile a livello nazionale. 


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Quali sono i criteri e le modalità per localizzare discariche in modo sostenibile (e come difendersi)

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I problemi relativi alla localizzazione di impianti “ambientali” non riguardano solo gli IAFR, argomento di cui ho parlato una settimana fa), ma anche le discariche di rifiuti, come dimostra il “brutto pasticciaccio” relativo al “toto discarica” scoppiato a Roma nel mese di giugno, emblema del caos che regna intorno al settore (non solo) della gestione dei rifiuti nel nostro Paese: una perenne emergenza “contrastata” dal nostro legislatore con approssimazione, con una normativa disorganica, decontestualizzata, priva di visione sistemica, dunque dannosa. Un “modus legiferandi” che ha dei costi non solo ambientali e sociali, ma anche economici. Questi ultimi dipendono: 
a) non solo dal fatto che, in questo contesto di perenne emergenza (e di sostanziale stasi innovativa, con riferimento ai settori tecnologici e giuridici, che dei primi possono farsi anticipatori. Questo tipo di innovazione risulta propedeutica allo “sviluppo sostenibile”, di cui tanto si sente parlare, ma per il quale poco o nulla si fa, e dovrebbe essere inserita all’interno di un autorevole e coordinato progetto lungimirante, incompatibile con lo stillicidio normativo cui assistiamo) non c’è tempo e spazio per lo sviluppo di una filiera, italiana e competitiva, capace di fare da traino, in uno dei pochi settori che nel futuro potranno fungere da propulsore economico, 
b) ma anche come conseguenza della mancata attuazione della normativa comunitaria, che “apre le porte” alle c.d. procedure d’infrazione. Sul numero 7 della rivista “Ambiente & Sviluppo”, edita da IPSOA, sarà pubblicato un mio articolo dal titolo “Emergenza rifiuti in Campania e diritti dell’uomo: quale tutela?”, nel quale è stata analizzata nei dettagli la peculiare situazione campana relativa alla gestione dei rifiuti: situazione nella quale la (mancata, o pessima, a seconda dell’angolo visuale) localizzazione dei siti nei quali realizzare le discariche ha avuto un enorme peso. Negativo, ovviamente. 
In questa sede, oltre a invitarvi alla lettura dell’articolo per scoprire le conseguenze dannose, dal punto di vista ambientale ed economico, che la mancanza di una chiara e coerente politica in materia di gestione dei rifiuti comporta (di recente se n’è occupata la CEDU, la Corte europea dei diritti dell’Uomo, con statuizioni potenzialmente rivoluzionarie), vi ricordo che sul sito di Natura Giuridica potete trovare molti documenti che riguardano, inter alia, proprio la localizzazione di discariche di rifiuti, utili per capire come agire per tutelarsi dalla eventuale non corretta localizzazione, da un lato, e per capire come scegliere il luogo idoneo alla realizzazione di un impianto, dal punto di vista giuridico. Prossimamente saranno disponibili anche documenti di tipo tecnico. 
Ad esempio, un cittadino, proprietario di un’area limitrofa alla zona prescelta per la realizzazione di una discarica, può opporsi alla stessa? E in caso affermativo, in quali modi? Eccependo che cosa? Basta la mera vicinanza a legittimare all’impugnazione dei relativi atti? Sono solo alcuni degli interrogativi ai quali potete trovare una prima risposta nelle pagine del sito di Natura Giuridica: una prima risposta in grado di farvi entrare nei meccanismi del diritto dell'ambiente. Una prima risposta che, sovente, necessita tuttavia di un ulteriore approfondimento, perché ogni storia ha le sue peculiarità, e casi analoghi possono avere soluzioni differenti. Diffidate di chi vi fornisce soluzioni buone per tutte le stagioni…. E ricordatevi che (in generale, ma ancora di più per quanto riguarda il diritto dell’ambiente e dell’energia) muoversi in via preventiva è la cosa migliore. Per difendere i vostri diritti, e farvi assistere, o per evitare lunghe e costose pratiche giudiziali, non esitate a contattare Natura Giuridica: un pool esperti sarà a vostra disposizione per tutte le tematiche relative all’ambiente e all’energia.
Se parte della vostra attività professionale consiste nel gestire tematiche ambientali sotto il profilo tecnico,  giuridico o imprenditoriale, sottoscrivendo un abbonamento PREMIUM a Natura Giuridica sarete sempre "sul pezzo" rispetto alle principali novità in materia di diritto dell'ambiente e dell'energia, saprete come agire, a chi rivolgervi, cosa aspettarvi, e cosa pretendere dal vostro consulente ambientale! E, soprattutto, spenderete molto, molto meno. 


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Carbonverde e differenziata a Cuneo

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L'utilizzo del carbonverde, il combustibile ricavato dai rifiuti indifferenziati, è incompatibile con una politica che incentivi la pratica della raccolta differenziata?

E' una domanda che mi è sorta accostando tra loro 2 notizie ambientali riguardanti Cuneo, una città dove la quota raggiunta dalla raccolta differenziata si attesta attorno al 50% dei rifiuti prodotti: una è relativa al potenziamento della raccolta differenziata dei rifiuti organici, risalente al novembre scorso e l'altra, di fine gennaio 2011, riguarda la protesta di un gruppo di Associazioni del cuneese circa l'utilizzo dei rifiuti indifferenziati come carbonverde.


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Ego te absolvo: il motto dell’Italia dell’anno (sotto) zero.

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Considerazioni sulla puntata di Anno Zero del 28 ottobre 2010 ("Il miracolo no!"), dedicata all'emergenza rifiuti in Campania

Il 26 ottobre 2010 è stato pubblicato su “La Stampa” un ottimo articolo di Mario Deaglio.

In modo lucido e pacato mette a nudo, in poche righe, il male dei mali italiani: un’autoreferenziale e discutibile (anche se di questo non si discute!) auto-assoluzione, nella vana ricerca, di fronte ad una globalizzazione vissuta come “scioccante”, di un federalismo di maniera, che assomiglia più ad una chiusura a riccio nei confronti del mondo, che ad una oculata scelta di decentramento politico.

E così si cercano capri espiatori:
  • l’extracomunitario di turno;
  • il poco diplomatico Marchionne, che di certo non sarà un “santo” (mettiamola così), ma che si è preso la briga di mettere a nudo certe scomode verità, e certi vizi che gli italiani praticano con nonchalance, ma mai e poi mai, nemmeno sotto tortura, o nel confessionale, ammetterebbero di esercitare;
  • il suscettibile avversario politico, anche questo rigorosamente di turno: uno a caso, tanto vale –
in assenza di qualsivoglia argomentazione, di una discussione costruttiva, di un “mea culpa

Niente, solo un lancinante, ripetitivo, ossessionante, “urlificio”, popolato da segugi dall’olfatto avariato, da politici autoreferenziali e vanagloriosi, da vassalli, valvassori e valvassini la cui unica virtù è l’ossequiosa devozione ad personam…

Se il bungagiorno si vede dal mattino, immaginatevi il resto…


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La disciplina dei rifiuti di estrazione delle cave (dismesse o in esercizio)

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Qual è il futuro delle cave dismesse? Possono essere recuperate, o adibite a discariche? Se sì, in che modo? A quale disciplina devono essere assoggettati gli operatori del settore?

L’elenco delle domande che, spontanee, nascono nell’approcciarsi a tale spinoso argomento, potrebbe allungarsi all’infinito: in questa sede vediamo di far luce solo su questi aspetti, che rappresentano il punto di partenza per successivi approfondimenti a livello giuridico.

Dunque, c’è una società, che opera nel settore del recupero e dello smaltimento dei rifiuti, che sostiene di aver preso in affitto, nel 2007, una cava di roccia calcarea, abbandonata da circa 25 anni, per procedere al recupero ambientale della stessa.


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Localizzazione di discariche: i Comuni possono impugnare i relativi provvedimenti?

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Natura Giuridica ha già parlato di discariche di rifiuti, sotto diversi aspetti:

1. quello dell’emergenza
2. quello interpretativo
3. quello normativo: in particolare, della telenovela discariche (primo e secondo tempo, in lingua italiana)

Nonostante la discarica rappresenti la soluzione finale della gerarchia della gestione dei rifiuti – l’extrema ratio, quando nessuna altra opzione è praticabile – le continue emergenze ambientali nostrano continuano a riportarla in auge (sulle emergenze in materia di gestione dei rifiuti, specie nella regione Campania, consulta le pagine dedicate di Natura Giuridica)

E così, quando viene decisa una nuova localizzazione di una discarica di rifiuti, chi è legittimato ad impugnare il relativo provvedimento innanzi all’autorità competente?


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Discariche abusive: l’urgenza non giustifica deroghe alle norme statali

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Nella sentenza pubblicata sul sito di Natura Giuridica (Il sito di consulenza legale ambientale che offre servizi professionali di consulenza per imprese e pubbliche amministrazioni in materia di diritto ambientale), la Corte di Cassazione (sentenza n. 1824 del 19 gennaio 2009, Cavalli) si è occupata di gestione dei rifiuti, con particolare riguardo al riparto di competenze fra Stato e Regioni e alla disciplina applicabile ai centri di raccolta (piazzole ed aree ecologiche) e alle piattaforme per la raccolta differenziata.


La vicenda trae origine dalla condanna inflitta in secondo grado ad un Sindaco di un comune in provincia di Lecco, per aver gestito due discariche in mancanza della prescritta autorizzazione: in estrema sintesi, la Corte evidenziava che integra il reato di
realizzazione di discarica abusiva di rifiuti la condotta del sindaco che, per risolvere la ordinaria esigenza di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, consente l'istallazione di una discarica in assenza della prescritta autorizzazione da parte della regione o della provincia delegata, senza che possa configurare una discriminante l'emanazione di ordinanze contingibili e urgenti ex art. 13 D.Lgs. 22/1997.
In ogni caso, le discariche realizzate non avevano neppure i requisiti minimi per potersi qualificare come piazzole ecologiche, asseritamente sottratte al regime autorizzatorio.

La Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso presentato dal Sindaco (il quale aveva sostenuto la natura di centri di raccolta e piattaforme per la raccolta differenziata delle aree de quibus), ha affermato che in materia di autorizzazione per la gestione dei rifiuti, la legislazione regionale (richiamata dalla difesa nel ricorso per Cassazione), e, a maggior ragione, una circolare o qualsiasi atto amministrativo generale della Regione non possono derogare alla disciplina legislativa dello Stato, il quale ha competenza esclusiva nella tutela dell' ambiente, ai sensi dell'art. 117 Cost.

Integra, pertanto, il reato di abusiva realizzazione di discarica di rifiuti la condotta del sindaco che, per risolvere la ordinaria esigenza di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, consente l'istallazione di una discarica in assenza della prescritta autorizzazione da parte della regione o della provincia delegata, senza che possa configurare una discriminante l'emanazione di ordinanze contingibili e urgenti ex art. 13 D.Lgs. 22/1997.

Sentenza Cavali (1824/09)

Foto: “Bellezza e munnizza” originally uploaded by palermitanima79



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