Qual è il futuro delle cave dismesse? Possono essere recuperate, o adibite a discariche? Se sì, in che modo? A quale disciplina devono essere assoggettati gli operatori del settore?
L’elenco delle domande che, spontanee, nascono nell’approcciarsi a tale spinoso argomento, potrebbe allungarsi all’infinito: in questa sede vediamo di far luce solo su questi aspetti, che rappresentano il punto di partenza per successivi approfondimenti a livello giuridico.
Dunque, c’è una società, che opera nel settore del recupero e dello smaltimento dei rifiuti, che sostiene di aver preso in affitto, nel 2007, una cava di roccia calcarea, abbandonata da circa 25 anni, per procedere al recupero ambientale della stessa.
Dopo avere chiesto, ed ottenuto, dal Comune un permesso di costruire “per recupero ambientale”, la società chiedeva alla Provincia l’iscrizione al registro delle imprese che effettuano il recupero di rifiuti non pericolosi in regime semplificato, dal momento che intendeva eseguire il recupero ambientale mediante il riempimento della cava dismessa principalmente con fanghi disidratati e cocciame, derivanti dai processi di lavorazione del marmo, del granito, delle pietre naturali e adeguatamente trattati.
La provincia, a questo punto, non sa che fare, e chiede alla regione un parere sulla interpretazione da dare all’art. 10, comma 3, del D.Lgs. n. 117/08 (che si occupa, appunto, di rifiuti, cave e miniere) in base al quale “il riempimento dei vuoti e delle volumetrie prodotti dall'attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione di cui al presente decreto è sottoposto alle disposizioni in materia di discariche di rifiuti".
Sul sito di diritto ambientale Natura Giuridica potete scaricare gratuitamente, previa semplice registrazione, il testo integrale della sentenza del TAR di Venezia, n. 3810/09 nella sezione rifiuti), ed approfondire lo studio dei motivi del ricorso (incentrati, essenzialmente, sull’applicabilità – o meno – della disciplina alle cave in esercizio al momento della entrata in vigore del D.Lgs 117/08, e non anche a quelle dismesse da tempo…)
Quale morale ricavare da questa pronuncia?
Il TAR Veneto (sentenza 3810/09) ha sottolineato che il riempimento di una cava dismessa o abbandonata con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione deve ritenersi assoggettato alle disposizioni in materia di discariche di rifiuti: l’art. in questione (art. 10, intitolato, in modo assai generico, “vuoti e volumetrie prodotti dall’attività estrattiva”)non sembra distinguere in alcun modo tra cave in esercizio e cave dismesse o abbandonate, tra vuoti e volumetrie (pre)esistenti e vuoti e volumetrie conseguenti a una attività di cava in esercizio.
L’unica distinzione presente è quella tra rifiuti di estrazione e rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione.
Quindi, le disposizioni del D.Lgs 36/03 sulle discariche di rifiuti si applica ai “vuoti di cava” relativi sia alle cave in esercizio, sia alle cave dismesse o abbandonate.
In particolare, il Collegio, nel respingere il ricorso, ha sottolineato che sarebbe illogico, oltre che contrario alla lettera della norma, interpretare l’espressione riempimento (o ripiena) di vuoti o di volumetrie prodotti dall’attività estrattiva ritenendo l’espressione stessa riferibile, in via esclusiva - e in modo restrittivo- ad una attività estrattiva in corso: è invece vero che i rifiuti in questione devono essere prodotti della attività estrattiva, e ciò indipendentemente dal periodo in cui tale attività sia stata svolta.
Nella prospettiva di prevenire la produzione di rifiuti da destinare allo smaltimento in discarica,
• il cit. art. 10 permette agli operatori di utilizzare i rifiuti di estrazione (i rifiuti prodotti nel corso o a seguito dell’attività estrattiva) per il riempimento dei vuoti e delle volumetrie causati dalle escavazioni, subordinando tale possibilità a una serie di condizioni, ma
• la priorità del recupero non rappresenta, in ogni caso, un principio cogente, bensì un semplice criterio di priorità dettato dal legislatore delegato all’azione della P. A.: il “favor” normativo verso il recupero si traduce nel consentire che rifiuti di estrazione, prodotti durante l’attività estrattiva possano, a determinate condizioni, essere collocati subito, a mano a mano che l’attività estrattiva prosegue, nei vuoti creati dall’estrazione, dato che sarebbe irragionevole avviare allo smaltimento rifiuti di estrazione prodotti durante l’escavazione i quali possano essere subito riutilizzati nella cava di provenienza.
Natura Giuridica di Andrea Quaranta: Studio di Consulenza legale Ambientale.
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