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Le professioni ambientali o green jobs si affermano sempre di più

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I nomi con i quali vengono oggi indicate figure professionali che, a vario titolo, si possono occupare di tematiche ambientali, sono ormai moltissimi, e questo disorienta sia chi ricerca tali figure per proprio conto, sia coloro che conducono la ricerca per imprese e clienti terzi, come le agenzie di lavoro.
I motivi sono presto detti: le competenze dei vari "green experts" si stanno formando ora, in tempo reale, sulla base delle necessità all'interno di organizzazioni ed imprese, e molti  sono i professionisti che, in tempi di crisi, si buttano nella mischia dei green jobs attaccando il prefisso "eco" alle loro qualifiche: ed è così che spuntano come funghi eco-ingegneri, eco-avvocati, eco-architetti e quant'altro. 
In questo mare magnum si rischia di perdere l'orientamento: non esistono al momento dei percorsi formativi istituzionalizzati per tali diverse figure professionali e non potrebbero certo esistere perché derivano da un'esigenza troppo recente per essere incanalata in percorsi determinati. Oggi dunque è soltanto il possesso di una formazione ulteriore e specialistica, come per esempio un master post lauream, che può costituire un titolo reale per vantare una specializzazione in campo ambientale.
In altri termini, per scegliere il proprio consulente ambientale (che sia un profilo giuridico, piuttosto che tecnico, o di altro tipo), è quanto mai necessario leggere attentamente i curricula dei candidati: le esperienze professionali pregresse e, soprattutto, la partecipazione a corsi di formazione, master specialistici e la redazione di articoli scientifici nelle diverse materie ambientali (dall'energia, ai rifiuti, alle acque, all'edilizia) sono in grado di indicare il possesso di una reale competenza.
In tempi di crisi, sembra proprio che le professioni ambientali abbiano inoltre "connotati anticiclici", anche per una domanda che ha tratto linfa vitale dagli incentivi alle rinnovabili di questi ultimi anni. Per cui, in antitesi con quanto accade per altri settori, vengono avvantaggiati i più giovani rispetto ai professionisti con attività più consolidate, perché il percorso di arricchimento formativo risale per forza di cose a tempi più recenti. Inoltre, la difficoltà di reperire figure in linea con le proprie esigenze, dovrebbe - teoricamente - aumentare il potere contrattuale dei green experts, ma qui ci avventuriamo in considerazioni difficilmente verificabili.
Comunque, l'improvvisa espansione del corpus normativo connesso con l'energia, la schizofrenia con cui viene periodicamente aggiornato o stravolto, e la parallela velocità dell'innovazione tecnologica, rendono di fatto questo settore più nelle corde di figure giovani. 
Fra le figure professionali sulle quali l'attenzione delle imprese è al momento più concentrata vi sono: l'eco-avvocato o giurista ambientale, l'energy manager, che si occupa di tutto ciò che concerne il risparmio energetico in azienda vista la crescente esigenza di abbattere i costi fissi. e l'environmental manager colui che supervisiona al rispetto delle normative ambientali all'interno delle organizzazioni. Sembrerebbe un doppione dell'energy manager. Ma non lo è. Perché si preoccupa anche della formazione continua dello staff. Questa figura, che unisce competenze tecnico-giuridiche, è quanto mai importante in vista del progressivo inasprimento delle sanzioni per le imprese deficitarie in materia di prevenzione dei rischi nei processi produttivi, sicurezza sul lavoro e responsabilità d'impresa.
Non dimentichiamo poi il mobility manager, figura chiave all'interno delle città per la gestione delle arterie del traffico, nell'ottica di uno snellimento del traffico stesso, cui consegue un risparmio in termini di emissioni inquinanti, di tempi per gli spostamenti, per non parlare dei benefici in termini di produttività del lavoro e qualità della vita!
Nell'immediato futuro inoltre saranno quanto mai preziose le competenze degli esperti di reti energetiche, in vista della progressiva integrazione e modernizzazione delle reti energetiche del Paese, processo imprescindibile affinché la quantità crescente di energia da fonte rinnovabile immessa in rete sia realmente fruibile da tutti così come, per lunghi decenni, lo è stata quella prodotta dalle fonti fossili.




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L'Organismo di Vigilanza ex Dlgs 231/01 nella Legge di Stabilità 2011

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La Legge 12 novembre 2011, n. 183 (Legge di stabilità 2012) pubblicata sulla G.U. dello scorso 14.11.2011, reca novità sui soggetti che possono svolgere le funzioni dell’OdV di cui all'art. 6, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 231/2001, sulla responsabilità degli Enti e società. 

La modifica è contenuta nel comma 12 dell'art. 14 e recita: "All’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dopo il comma 4 è inserito il seguente: “4-bis. Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b)”. 

In relazione alla suddetta modifica, deve essere sottolineato che essa vale esclusivamente "nelle società di capitali" ed entra in vigore il 1 gennaio 2012 e, quindi, non deve intendersi immediatamente operativa.

Rispetto alla bozza di decreto legge per lo sviluppo che circolava ai primi del mese di novembre 2011 - che ha scatenato numerose polemiche - vi è un ridimensionamento della portata della norma.


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Come diventare giurista ambientale

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Sovente ci capita di ricevere e-mail e messaggi di giovani laureati che ci chiedono come si diventa giurista ambientale. Non si tratta di una domanda banale, perché in Italia non esiste un albo o un ordine dei giuristi ambientali, per cui un laureato o una laureata che vogliano diventare giuristi ambientali sono in realtà alle prese con un ventaglio di competenze da costruire attingendo da fonti e percorsi differenti. 
In questo articolo, ci permettiamo di dare qualche consiglio, frutto dell'esperienza di Andrea Quaranta come giurista ambientale da 10 anni, e della mia come responsabile web content per il sito e per il blog di Natura Giuridica.
Per diventare giuristi ambientali occorre senz'altro una laurea in giurisprudenza, o comunque una laurea in discipline giuridiche, cui accompagnare una serie di studi post - lauream più specifici, in diritto dell'ambiente e/o dell'energia.


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La responsabilità d'impresa ex D.Lgs 231/2001 - servizio di consulenza

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www.naturagiuridica.com
Con l’art.2 del decreto legislativo 121 del luglio 2011 è stata estesa ai reati ambientali la portata della responsabilità civile diretta delle imprese sancita dal decreto legislativo 231 del 2001. Questo vuol dire che soggetti forniti di personalità giuridica, società, associazioni e imprese individuali sono responsabili non solo per reati contro la P.A. (es. corruzione), reati informatici, riciclaggio/ricettazione, reati societari, corruzione internazionale, reati in materia di sicurezza sul lavoro, ma anche per reati ambientali come il trasporto di rifiuti non autorizzato, o la creazione di scarichi di acque reflue industriali non autorizzati.

L'estensione della responsabilità diretta d'impresa in forza del D.Lgs n. 231/01 ai reati ambientali rientra in un percorso normativo volto a rivoluzionare il diktat, che ha imperato per anni, secondo il quale societas delinquere non potest.

Societas delinquere non potest significa letteralmente che "la società non può commettere reati" e, in sostanza, risponde ad un classico principio sulla responsabilità penale delle persone giuridiche: una persona giuridica non può commettere reati, per la mancanza di volontà (elemento soggettivo) che copre la frode ai suoi lavori. 
In tal modo, alle persone giuridiche non possono essere imposte sanzioni intese come le conseguenze giuridiche penali-classiche.
Di conseguenza,  i patrimoni societari sono stati finora fatti salvi dall'eventualità di essere soggetti a sanzioni per responsabilità da qualsivoglia reato...
Con l'estensione della responsabilità d'impresa anche ai reati mbientali, il paradigma è cambiato, e l'impresa è chiamata a rispondere direttamente per la commissione, da parte dei dipendenti, di tali tipologie di reato.

Natura Giuridica propone un servizio di consulenza in materia di responsabilità d'impresa ex D lgs 231, che supporti l'azienda nel suo confrontarsi con questa nuova materia.
Andrea Quaranta, titolare di Natura Giuridica ed esperto in diritto dell'ambiente e dell'energia, si avvale della collaborazione di Luca De Gennaro, professionista in possesso di una consolidata esperienza nella consulenza alle imprese in materia di gestione e controllo dei costi, che ha già supportato numerose imprese nella messa a punto del sistema organizzativo Mog previsto dal decreto 231.


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Diritto dell’energia: autorizzazione unica per un impianto eolico

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Gli ultimi anni hanno visto la Sicilia in prima linea nella richiesta di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di parchi eolici.

Molte le richieste di concessione dell’autorizzazione unica alla realizzazione di impianti per la produzione di energia pulita prodotta da fonte eolica: molte anche le opposizioni a tali richieste, che hanno intasato le aule dei due TAR, quello di Palermo e quello di Catania.

Di recente il TAR di Palermo si è trovata a dover giudicare le fondatezza di tre distinti ricorsi.

Nel primo (sentenza n. 1760/09) è stato affrontato un tema delicato, oggetto di numerosi post nelle pagine del blog di Natura Giuridica: l’illegittimità del silenzio inadempimento dell’amministrazione, di cui potete leggere un sintetico riassunto nel post “The sound of silence”.

Nel secondo (sentenza n. 272/10), una famosa società leader nel campo eolico ha impugnato gli atti con i quali un Comune del palermitano aveva individuato la proposta progettuale ritenuta più vantaggiosa attraverso l’espletamento di una procedura informale.

Nel terzo (sentenza n. 274/10) la società ricorrente ha impugnato gli atti con cui è stata respinta la richiesta di autorizzazione unica per la realizzazione di un progetto di parco eolico, a seguito di illegittimi ritardi da parte dell’Amministrazione procedente.


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The sound of silence

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Energia eolica: la Sicilia a parole promette lo sviluppo, in pratica sta zitta, e con questo ostacola…lo sviluppo!

Nelle pagine di Natura Giuridica ho parlato molte volte del silenzio, in tante delle sue sfumature:
• il silenzio omertoso dei cittadini, che in alcuni contesti preferiscono tacere, per non incorrere nelle “spiacevoli” conseguenze che – ritengono – le parole possono portare;
• il silenzio inevitabile che, in alcuni casi, il Giudice è costretto a “pronunciare”, alle prese con una normativa spesso al limite del ridicolo
• ma soprattutto il silenzio della Pubblica Amministrazione che, di fronte alle istanza dei cittadini e delle imprese, e alle legittime aspettative di vederle realizzate, si trincera dietro silenzio che irrita l’opinione pubblica, imbarazza gli operatori del settore, ridicolizza un sistema che definire pachidermico non riesce a descriverne appieno la lentezza, la pesantezza, la boria autoreferenziale.

E così, su Natura Giuridica si è parlato di silenzio radio, in materia di inquinamento acustico; di silenzio tutt’altro che d’oro in materia di realizzazione di impianti fotovoltaici; di silenzio addirittura quando si parla di argomenti di estema delicatezza e pericolosità, come l’inquinamento da diossina, di silenzio di fronte alle richieste di accesso agli atti amministrativi, presupposto per una trasparente informazione ambientale.


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Diossina in Puglia: la Regione tace

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Il TAR di Lecce (sentenza n. 3144/09) contro il silenzio della Regione Puglia in materia di inquinamento da diossina.

Negli ultimi anni la Regione Puglia è balzata agli onori della cronaca "rosa-nero" (scandalistica e politico-economica): dalla D’Addario a Tarantini, passando per gli scandali della sanità pugliese, alle infinite diatribe elettorali, con l’eterno scontro Vendola-Boccia per la leadership del centro sinistra, mentre il centro destra cerca ancora un sostituto nel feudo di Fitto.

Ma per fortuna la Puglia è balzata agli onori anche della "cronaca verde": da qualche anno, infatti, è fra i leader nazionali nella produzione di energia pulita. Basterebbe dare un’occhiata rapida al numero di sentenze del TAR di Lecce e di quello di Bari, in materia di fonti di energia rinnovabile, e paragonarla a quelle di altre regioni, per trarre rapidamente le conclusioni…..
Bene.


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Polveri sottili: fumo o…

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Di recente sono stato contattato da un gruppo di cittadini che risiedono nei pressi di un’impresa che, nello svolgimento della propria attività di… "consulenza per la gestione del calore"(proprio così!) provoca, fra l’altro, anche un forte disagio a coloro che abitano nelle immediate vicinanze, causato dalle polveri sottili “gettate” nell’atmosfera.

Quello relativo al getto di cose pericolose (art. 674 del c.p.) è un argomento storico del diritto ambientale, che ha dato vita a un acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale, cui ho già fatto cenno nelle pagine di Natura Giuridica, sia in relazione all’inquinamento elettromagnetico, sia in relazione all’inquinamento atmosferico.

Il getto di cose pericolose, come accennato, è regolato dall’art. 674 del codice penale, in base al quale "chiunque getta o versa in luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo atti a cagionare tali effetti”.


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Deposito incontrollato o temporaneo?

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Su Natura Giuridica abbiamo spesso parlato di deposito temporaneo, che rappresenta una delle novità più importanti della normativa sui rifiuti, perché consente alle piccole imprese – caratterizzate da una modesta produzione di rifiuti – di evitare di dover ricorrere allo smaltimento continuo dei propri scarti, con oneri economici sproporzionati rispetto al ciclo produttivo.

Si tratta, tuttavia, di un concetto complesso, che ha dato adito a diverse interpretazioni, e che è stato oggetto addirittura di manipolazioni genetiche da parte del nostro legislatore, che nella prima versione del Testo Unico Ambientale lo ha addirittura annoverato fra le operazioni di gestione dei rifiuti….sancendo che il deposito temporaneo – che non rientra nell’ambito della gestione dei rifiuti – irregolare è un’operazione di recupero di rifiuti…………..

La sentenza che vi segnalo oggi, pubblicata sul sito di Natura Giuridica, che potete liberamente scaricare dopo esservi registrati, ha per oggetto delle autovetture destinate alla demolizione “temporaneamente depositate in attesa di smaltimento”: tali vetture, secondo il ricorrente, non erano accatastate alla rinfusa, ma correttamente stoccate ed ordinate nel luogo di produzione dei rifiuti…bla bla bla...


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Eolico, fotovoltaico e leggi regionali

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La Corte Costituzionale ritorna sulla delicata questione inerente i rapporti fra Stato e regioni nella ripartizione di competenze in materia di ambiente.
Natura Giuridica ha già affrontato in numerose occasioni questa problematica, sottolineando non solo le pericolose distorsioni che un’eccessiva frammentazione legislativa può causare, sia a livello ambientale, sia a livello economico, ma anche l’inutilità di certe “presunzioni normative” delle regioni, che evidentemente, per un malinteso fondamentalismo federalista, si sentono depositarie di un ancestrale potere normativo, e nel suo nome compiono, a volte, veri e propri scempi legislativi…

L’ultimo caso analizzato dalla Corte Costituzionale riguarda la L.R. Molise n. 15/2008, censurata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sotto diversi aspetti.
In particolare, come ho già scritto nel post sulla Legge Regionale 15 le censure sottoposte all’esame della Consulta riguardavano le previsioni in base alle quali la Regione Molise:
1. individuava aree non idonee all'installazione di impianti eolici e fotovoltaici;
2. prevedeva limiti massimi di potenza installabili e misure patrimoniali di compensazione.


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Danni all’ambiente: ipotesi di colpa

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In estrema sintesi: le norme dettate dalla direttiva 2004/35/CE sul danno ambientale non si applicano ai danni all’ambiente causati da attività realizzatesi prima del 30 aprile del 2007, e pertanto non osta a norme nazionali disciplinanti la riparazione di tali danni.

La direttiva 2004/35, inoltre, non impedisce che vengano emanate norme che prevedano una responsabilità per danni all’ambiente svincolata dall’esistenza di un dolo o di una colpa.

Ciò che invece la direttiva 2004/35/CE impedisce è la previsione di una responsabilità per danni ambientali che sia del tutto indipendente da un contributo causale del danno ambientale: la direttiva sul danno ambientale osta ad una responsabilità per danni ambientali indipendente da un contributo alla causazione dei medesimi soltanto se ed in quanto essa abbia l’effetto di elidere quella incombente a titolo prioritario sull’operatore che ha causato i danni in questione.


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Danno ambientale: di chi è la colpa?

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Sul sito di Natura Giuridica sono state pubblicate le conclusioni dell’Avv. Generale della Corte di Giustizia Juliane Kokott, che riguardano una materia di grande interesse, oltre che di estrema attualità: come ci si deve comportare di fronte ad inquinamenti pregressi?

Quale normativa occorre applicare in caso di inquinamento diffuso, risalente nel tempo?
E quale, invece, per i danni di nuova formazione prodottisi per propagazione di danni preesistenti?
Di chi è la colpa dell’inquinamento?
È concepibile una responsabilità da posizione, che viene addossata, cioè, al soggetto in virtù del solo rapporto di posizione nel quale si trova (ad esempio perché si tratta di un operatore che svolge la propria attività all’interno del sito)?
Quali sono i confini del principio “chi inquina paga”?

Come avrete notato, si tratta di problematiche di un certo spessore, la cui risoluzione è fondamentale per mettere ordine ad un sistema in cui il rischio è di non punire i reali responsabili di danni ambientali, da un lato, e di prendersela con “il primo che capita”, dall’altro.


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Acque di falda e MTBE: conclusioni del Consiglio di Stato

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Il Collegio, nel caso di specie, ha fatto proprie le stesse ragioni di diritto che erano state affermate nell’impugnata sentenza del TAR Campania: qui, il Giudice si era pronunciato analogamente per i parametri idrocarburi totali e piombo tetraetile, dimenticandosi di pronunciarsi in relazione al parametro dell’MTBE...

Tralasciando, in questa sede, l’analisi storica della vicenda, per cui vi rimando alla lettura integrale della sentenza, e del percorso interpretativo del Consiglio di Stato (per cui vi rimando alla lettura integrale dell’articolo, in corso di pubblicazione sulla rivista ECO, tecnologie per l'ambiente, bonifiche rifiuti, DEA edizioni) in questa sede voglio limitarmi ad una breve considerazione, relativa alla complessità del diritto ambientale.

Gli organi tecnico-scientifici – lo ha detto a chiare lettere il Consiglio di Stato – anche se sono “ispirati” a sacrosanti principi di precauzione, non possono introdurre obblighi nuovi, non previsti dalla normativa primaria, con possibili pesanti conseguenze anche dal punto di vista penale.


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Precauzione o proporzionalità? Questo è il problema

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Spesso si cade nell’errore di abbracciare un’idea, o una ideologia, e di smettere di ragionare con la propria testa, nel nome di dogmi (auto)impostici, di verità preconfezionate, di assurde contrapposizioni da tifoso di curva.

La vita di tutti i giorni, tuttavia, e per fortuna, è più complessa, e certe distinzioni manichee (che suddividono il mondo in bianco e nero; giusto e sbagliato, vero e falso….) lasciano il tempo che trovano.

Il dubbio amletico coinvolge, quasi sempre, anche il diritto ambientale, alla perenne ricerca di una soluzione a questa domanda: proteggere l’ambiente, anche a scapito degli interessi economici, degni di tutela costituzionale, o favorire lo sviluppo, anche a scapito delle esigenze della natura (come se fossero due entità del tutto estranee, senza punti di contatto e senza speranza di trovarne…)?

Perché non cominciare, invece, a cercare un nuovo approccio, che si ponga in un’ottica non di alternativa ma di condivisione?

In parte, questo è il messaggio che si legge nella sentenza del TAR Campania, n. 3727/09, relativa ad un presunto inquinamento atmosferico e alla grave inadempienza al corretto funzionamento del sistema di abbattimento delle emissioni in atmosfera.


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La risposta è dentro di te (e, però, è sbajata!)

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Nei post precedenti abbiamo visto che il confuso modo di legiferare del nostro legislatore ha generato, anche nel settore della bonifica dei siti contaminati, problemi interpretativi.
Parlando di omessa bonifica, abbiamo sottolineato che le recenti modifiche hanno, nei fatti, costituito un modo “forbito” e subdolo di condonare l’inquinamento, e nello stesso tempo posto problemi interpretativi che la giurisprudenza ha risolto in modo non univoco, arrivando a sancire, addirittura, in alcuni casi, la retroattività di norme penali

Ma non è finita qui.


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Le norme penali possono essere retroattive?

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Sembra una bestemmia, e invece è una domanda che sembra ci si debba porre, nel nostro confusionario paese dei balocchi, in cui accanto a condoni, leggi personalizzate di un favor inconcepibile in altri paesi, processi brevi e depenalizzazione di tutto il possibile, “crack finanziari che svaniscono in una bolla di sapone” – solo per fare alcuni, scarni, esempi – convivono interpretazioni suggestive, che portano a ritenere alcune norme penali retroattive….

Eravamo rimasti all’amara considerazione che, in materia sanzionatoria, il legislatore “sembra”

prevedere un evidente condono permanente che elimina alla radice ogni deterrenza della sanzione penale e costituisce oggettivamente un incentivo all’inquinamento...
Rimanendo in tema di omessa bonifica, in definitiva, il Testo Unico Ambientale non solo non ha contribuito a rendere più intelligibile l’equivoca normativa previgente, ma – al contrario – l’ha resa ancora più contorta (dal punto di vista normativo) e sfilacciata (dal punto di vista sanzionatorio).

Il succedersi di norme di questo tipo ha scatenato l’interpretazione giurisprudenziale, chiamata, in qualche modo, ad arginare questa deriva sanzionatoria.
Ma prima delle recenti sentenze, che sembrano aver fatto un po’ di chiarezza in materia, è stata la stessa giurisprudenza di legittimità a buttar benzina sul fuoco dell’incertezza.

Con termini tecnici, un po’ difficili da masticare per chi non ha a che fare con certi bizantinismi giuridici tutti i giorni, la Cassazione, infatti, in una famosa sentenza del 2000 ha affermato che l’art. 51-bis del “Decreto Ronchi” costituisce (costituiva) una 
“fattispecie omissiva di pericolo presunto, incentrata sull’omessa bonifica” e, per questa via, giungeva a sostenere che la precedente condotta di inquinamento veniva considerata non un elemento essenziale del reato, ma solo un presupposto del fatto: il reato, in sostanza “si consuma ove il soggetto non proceda all’adempimento dell’obbligo di bonifica secondo le cadenza procedimentalizzate dell’art. 17”.
Morale? E’ possibile, seguendo questo iter logico, l'applicazione della norma anche a situazioni verificatesi in epoca anteriore all'emanazione del regolamento (d.m. n. 471/99)... 

La “scossa” è arrivata dalla giurisprudenza, che, fin dalla prima sentenza in materia dopo l’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale, ha operato una sorta di cambiamento di rotta giurisprudenziale: avendo la norma la funzione di estendere la non punibilità in caso di accertata bonifica, anche ad altri ed eventuali reati ambientali, posti in essere attraverso la medesima condotta di inquinamento, la Cassazione è giunta ad affermare che situazioni di contaminazione storica (o pregressa) – che in base alla precedente sentenza potevano essere penalmente perseguite in un momento successivo e sino al presente (trattandosi di situazioni costituenti il mero presupposto del reato) – oggi, dovendosi qualificare elementi costitutivi del reato, ove verificatesi prima dell’entrata in vigore del DM 471/99, non possono più essere perseguite. 

Successive sentenze si sono inserite in questo filone interpretativo, fino ad un periodo di (inevitabile) silenzio giurisprudenziale, dovuto, quasi sicuramente, al fatto che – nelle more dell’approvazione dei primi progetti di bonifica approvati nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 ss. del T.U.A. – i giudici di merito, per dirla con le parole della Proff.ssa Leonarda Vergine,
stanno ancora provvedendo agli ulteriori accertamenti tecnici necessari per verificare sia se quanto ieri (in base al D.M. 471/99) era definibile inquinamento lo sia anche oggi, alla luce della novellata disciplina, sia lo stato del nuovo e complesso procedimento amministrativo che, secondo la nuova disciplina, porterà all’approvazione del progetto di bonifica, che deve fungere da parametro di giudizio per l’accertamento della condizione di punibilità, e che costituisce l’antecedente necessario dell’intervento di bonifica.
(continua)

Foto: “The world in a hand - Il mondo in una mano – 9” originally uploaded by Andrea B Italia


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Orienteering interpretativo: la ricerca della soluzione plausibile (o più comoda?)

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Nel post “Interpretazione del diritto: come districarsi fra leggi e sentenze mettevo in guardia il lettore sulle enormi difficoltà di destreggiarsi nei meandri del diritto ambientale, dovute, in gran parte alla mancanza di normative integrate, chiare, autorevoli, figlie del clima di perenne emergenza, che conduce il nostro legislatore a rincorrere quasi sempre l’ultima improrogabile necessità di “mettere ordine” al caos da lui stesso generato.
Ordine che, se sarà, in mancanza di programmazione, coerenza e lungimiranza, sarà comunque temporaneo

Di recente, un altro esempio di “fretta legislativa” – come dimostrano le modalità con le quali si è provveduto alla sua "approvazione" – è quello che ha visto l’approvazione della legge sulla privatizzazione dell’acqua, spacciata come panacea dei mali della gestione della risorsa idrica.
Su questo tema così delicato ed importante avrò modo di tornare nei prossimi giorni.

Oggi volevo cominciare a parlarvi di un altro esempio del confuso “sistema” di legiferare.
Il “settore”, questa volta, è quello relativo alle bonifiche dei siti contaminati: il tema specifico, quello dell’omessa bonifica.
Chi viene punito, se viene punito, e per cosa? Per l’inquinamento causato, o per non aver proceduto alla bonifica?
Che cos’è l’omessa bonifica? 
Qual è la “portata temporale” delle norme sulla bonifica?
Ho cercato di dare una risposta a questi interrogativi in un articolo pubblicato sul n. 10 della rivista Ambiente & Sviluppo, edita da IPSOA.
Di seguito, riporto alcuni stralci.
Ma procediamo con ordine.

Come sapete, quello che per comodità espositiva viene (pomposamente) chiamato Testo Unico Ambientale, in materia di omessa bonifica, pur avendo apportato all’art. 51-bis del “decreto Ronchi” modifiche tutt’altro che formali, ha mantenuto la criticata formulazione iniziale, in base alla quale “chiunque cagiona l’inquinamento […] è punito […] se non provvede alla bonifica”.
Cosa ha voluto (e cosa vuole) dire, il legislatore, con questa formula (non magica….)?
In sostanza: è punito:
a) l’inquinamento, a condizione che non si sia provveduto alla bonifica o, invece,
b) l’omessa bonifica?
Non si tratta di una domanda oziosa, da “parrucconi” del diritto, che non sapendo bene cosa fare si riuniscono in conciliaboli oscuri per parlare in modo criptico di problemi di cui non importa nessuno.

Le conseguenze di tale mancanza di certezze giuridiche non sono di poco conto dal punto di vista pratico:
a) nel primo caso, infatti l’illecito non si perfeziona fintanto che non si verifica l’omessa bonifica;
b) nel secondo, invece, il reato si è già perfezionato, e viene escluso solo l’assoggettamento a pena, ma non anche l’applicazione di misure di sicurezza, come la confisca dell’area inquinata.
Ma non è finita qua: optare per una soluzione interpretativa o l’altra ha delle precise “influenze” anche sull’efficacia della funzione premiale connessa alla bonifica – stimolo (nel primo caso) o impedimento (nel secondo) – e sull’estensione (o meno) della responsabilità penale ai concorrenti estranei alla riparazione.
Dulcis in fundo: l’art. 257 del D.Lgs. n 152/06 ha previsto che l’osservanza dei progetti approvati (vale a dire: la bonifica) costituisce una condizione di non punibilità….
In pratica: un modo “forbito” e subdolo di condonare anche l’inquinamento...
Molti commentatori, infatti, hanno messo in evidenza il reale, sotteso interesse del Governo in materia sanzionatoria: 
“prevedere un evidente condono permanente che elimina alla radice ogni deterrenza della sanzione penale e costituisce oggettivamente un incentivo all’inquinamento”...


Foto: “Topografia..” originally uploaded by paolopenna




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Critica della ragion pura

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Le domande che sempre più di frequente molti lettori di Natura Giuridica mi pongono riguardano le fonti di energia rinnovabile, che rappresentano il futuro energetico per il nostro pianeta.
Tutti i quesiti, immancabilmente, ruotano attorno alle problematiche pratiche ed interpretative dovute alla difficile comprensione-applicazione delle innumerevoli e contraddittorie normative nel settore.

La parte del leone la fanno l’eolico (e, di recente, anche il minieolico, su cui tornerò presto con approfondimenti, sia sul sito che sul blog, dato l’enorme potenziale che questo tipo di fonte rinnovabile ha) e il fotovoltaico: due fonti di energia rinnovabile che, inspiegabilmente, nel nostro Paese, trovano tanti ostacoli, burocratici, politici e sociali…che si spingono oltre il dovuto, e necessario, contemperamento di altri interessi, oltre a quello strettamente energetico….

Dico questo con un realistico rammarico, nonostante qualche personaggio, poco incline al dialogo (figuriamoci alle critiche costruttive) potrebbe tacciarmi di essere anti-italiano…



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Orario di chiusura al pubblico ed inquinamento acustico: quando scatta la responsabilità della P.A.?

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La sentenza che vi segnalo oggi, pubblicata sul sito di Natura Giuridica riguarda una fattispecie comune a molte realtà italiane: il rumore notturno proveniente da attività come pub e bar, che rende a volte intollerabile la vita di coloro che risiedono nelle immediate vicinanze.

Nel caso di specie, in seguito ad accertamenti effettuati dall’ARPAM – che evidenziavano il superamento dei livelli di inquinamento acustico previsti dalla normativa vigente – il Sindaco di un Comune marchigiano ordinava la limitazione dell’orario di chiusura di un bar alle ore 22.00…

Nel giudizio amministrativo che ne è seguito, il TAR di Ancona (sentenza n. 143 del 2009), analizzando le questioni relative alla disciplina dettata in materia di inquinamento acustico (più nello specifico: il criterio del valore differenziale), al potere di ordinanza del Sindaco, alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente e al risarcimento, ha affermato che la responsabilità patrimoniale della pubblica Amministrazione conseguente all’adozione di provvedimenti illegittimi deve essere inserita nel sistema delineato dagli articoli 2043 e seguenti del codice civile.

Detto in parole povere: l'imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell’illegittimità del provvedimento, dovendo verificarsi che la predetta adozione (e la successiva esecuzione dell’atto impugnato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi.

Il giudice amministrativo – in sede di accertamento della responsabilità della pubblica Amministrazione per danno a privati – può affermare la responsabilità solo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato.

La dovrà, invece, negare quando si è in presenza di un errore scusabile.

In definitiva, l’interessato, oltre a dare prova dell’entità del pregiudizio che assume di avere subito, deve dimostrare anche la sussistenza dell’elemento psicologico (dolo o colpa della P.A.) ed il relativo nesso di causalità...

Foto: “Pub gone to the dogs” originally uploaded by Michael_Gant



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Cogenerazione fra vincoli paesaggistici e valutazione d’impatto ambientale

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La lunga e complessa vicenda relativa alla realizzazione e all’esercizio di un impianto di cogenerazione alimentato ad olio combustibile, da costruirsi nel comune di Rovigo – analizzata nella sentenza del TAR Venezia n. 1539/09 – riguarda argomenti di attualità, che investono problematiche connesse al tema del diritto ambientale e del diritto dell’energia.

Il ricorso oggetto della pronuncia del TAR veneto prende le mosse dall’impugnazione, da parte del Comune di Rovigo, di una serie di deliberazioni della regione Veneto, con la quale si autorizzava una società alla realizzazione e all’esercizio di un impianto di cogenerazione.

Quando occorre la sottoposizione di un progetto a valutazione d’impatto ambientale?


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