Spesso si cade nell’errore di abbracciare un’idea, o una ideologia, e di smettere di ragionare con la propria testa, nel nome di dogmi (auto)impostici, di verità preconfezionate, di assurde contrapposizioni da tifoso di curva.
La vita di tutti i giorni, tuttavia, e per fortuna, è più complessa, e certe distinzioni manichee (che suddividono il mondo in bianco e nero; giusto e sbagliato, vero e falso….) lasciano il tempo che trovano.
Il dubbio amletico coinvolge, quasi sempre, anche il diritto ambientale, alla perenne ricerca di una soluzione a questa domanda: proteggere l’ambiente, anche a scapito degli interessi economici, degni di tutela costituzionale, o favorire lo sviluppo, anche a scapito delle esigenze della natura (come se fossero due entità del tutto estranee, senza punti di contatto e senza speranza di trovarne…)?
Perché non cominciare, invece, a cercare un nuovo approccio, che si ponga in un’ottica non di alternativa ma di condivisione?
In parte, questo è il messaggio che si legge nella sentenza del TAR Campania, n. 3727/09, relativa ad un presunto inquinamento atmosferico e alla grave inadempienza al corretto funzionamento del sistema di abbattimento delle emissioni in atmosfera.
Il giudice partenopeo, infatti, sottolinea che il principio di precauzione – secondo cui è consentito alla Pubblica Amministrazione di adottare i provvedimenti necessari dove tema rischio di una lesione di un interesse tutelato, anche in mancanza di un rischio concreto – deve armonizzarsi con il principio di proporzionalità, secondo cui le stesse pubbliche autorità non possono imporre, con atti normativi e amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà dei cittadini in misura superiore a quella strettamente necessaria al raggiungimento dello scopo.
Ne consegue che tutte le decisioni adottate dalle autorità, competenti in materia ambientale, devono essere assistite da un apparato motivazionale particolarmente rigoroso, che tenga conto di un’attività istruttoria parimenti ineccepibile.
Sulla scia di queste considerazioni, ha ribadito un concetto fondamentale nel nostro ordinamento: è esclusa qualsiasi “responsabilità da posizione” per eventi di inquinamento.
No, quindi, alla previsione di responsabilità di tipo oggettivo, perché, in concreto, occorre sempre la dimostrazione della sussistenza di un nesso di causalità fra azione ed evento.
Purtroppo, però, abbiamo già visto che si tratta di un’opinione non condivisa da tutta la giurisprudenza…
Dico purtroppo perché, spesso, dietro l’invocazione della responsabilità oggettiva (in alcuni casi inevitabile) si nascondono altre insidie, non percepibili “a prima vista”: ossia pericolose commistioni fra i diversi piani scientifici, economici, sociali, da un lato, e quello discrezionale della pubblica amministrazione, che si potrebbe sentire (e in alcuni casi si sente) depositaria di uno jus vitae ac necis (diritto di vita o di morte), dall'altro...
Fuori di metafora: le inaccettabili commistioni fra i diversi livelli (nel caso di specie: fra quello scientifico e quello politico-discrezionale) possono produrre, e nei fatti questo avviene spesso, perversi favoritismi e clientele, con grave danno non solo per l’efficienza e l’efficacia dell’azione pubblica, ma anche per la tutela dei diritti dei cittadini e, ultimo ma non meno importante, dell’ambiente.
CVD: i problemi sono complessi, e non si risolvono in effimere contrapposizioni ideologiche, ma con una paziente opera di mediazione di interessi ed esigenze contrapposte, ma entrambe, anche se per motivi diversi, meritevoli di tutela.
Precauzione e proporzionalità: il problema è la mancanza di dialogo.
Anche aspro, se necessario, ma dialogo…