Il CDR, acronimo di combustibile da rifiuti, rappresenta uno dei concetti più controversi nella gestione dei rifiuti: qualificato, dopo annose discussioni dottrinal-filosofiche, come rifiuto speciale, continua ad essere al centro di dibattiti merceologici-qualitativi, da un lato, e burocratico-amministrativi, dall’altro.
Quale regime utilizzare?
Non è questa la sede opportuna per una disamina approfondita delle numerose problematiche giuridiche connesse a tale tipologia di rifiuto: in questa sede voglio limitarmi a segnalarvi questa recente sentenza del Consiglio di Stato (5916/08), chiamato a pronunciarsi su una sentenza del TAR Veneto con la quale era stato respinto il ricorso proposto per l’annullamento di una determinazione del settore ecologia della Provincia di Verona, in forza della quale una società era stata autorizzata all’attività di recupero rifiuti non pericolosi…
Si tratta di un argomento che tocca molti “tasti dolenti” del diritto ambientale, fortemente interconnessi: la gestione dei rifiuti (e il metodo di autorizzazione all’attività di recupero rifiuti non pericolosi), la concessione edilizia, il recupero dell’energia, la cogenerazione, l’incenerimento dei rifiuti, la vendita dell’energia elettrica, la termodistruzione, la termovalorizzazione, la valutazione di impatto ambientale.
Senza scendere nei particolari del fatto, per cui vi rimando alla lettura del testo integrale della sentenza, in questa sede voglio evidenziare gli aspetti più rilevanti toccati dal Consiglio di Stato.
Innanzitutto, a dimostrazione dell’interconnessione necessaria fra i diversi settori del diritto dell’ambiente, il giudice d’appello amministrativo sottolinea che l’autorizzazione prevista dal D.P.R. n. 203/88 – che si riferisce alla tutela della qualità dell’aria – non esaurisce l’ambito dei controlli previsti per l’attività di produzione di energia elettrica da rifiuti, che ha la duplice valenza di attività industriale e di smaltimento di rifiuti.
In questo caso, la società coinvolta nella vicenda non aveva assolto all’onere di indicare, nell’istanza per la valutazione d’impatto ambientale, gli specifici rifiuti liquidi e solidi che intendeva trattare, ma aveva indicato con precisione all’amministrazione procedente i rifiuti che intendeva bruciare solo in un momento successivo…
Di conseguenza, è solo a partire da questo successivo momento (in cui è stato resa evidente la diversità da quello che aveva permesso il rilascio dei pregressi assensi ministeriali e comunale) che è sorto l’obbligo per l’amministrazione provinciale di controllare la compatibilità ambientale dell’attività prospettata, prima di autorizzarne l’attivazione.
Il combustibile derivante da rifiuti è qualificato come rifiuto speciale dal decreto Ronchi (quello del 1997…): per tale tipo di rifiuti è consentito osservare la procedura semplificata (destinata a sostituire l’autorizzazione) solo in presenza della pianificazione (regionale e provinciale) o, in alternativa, di uno specifico accordo di programma, e fatta salva, in ogni caso, la necessità degli altri provvedimenti di assenso richiesti dalla normativa urbanistica ed edilizia, oltre che da quella in materia di inquinamento atmosferico.
In assenza della pianificazione o dell’accordo di programma, però, è chiaro che si deve escludere la surrogabilità delle ordinarie procedure di valutazione ambientale a mezzo della procedura semplificata.
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Foto:“ S' i' fosse foco, arderei 'l mondo” originally uploaded by MaranzaMax