Inceneritore/termovalorizzatore e salute della popolazione: prima dell’AIA occorre un’indagine epidemiologica.
Ambiente, salute e lavoro: sembra di dover sfogliare la margherita.
M’ama, non m’ama, e via discorrendo.
Cosa fare, ad esempio, in caso di un inceneritore, o termovalorizzatore che dir si voglia.
Scegliere la tutela dell'ambiente, quella della salute o il lavoro?
Scegliere l'inceneritore (soprattutto quale inceneritore), scegliere nulla, spingere verso altre forme di raccolta dei rifiuti (ma non dimentichiamoci che i rifiuti industriali non possono essere trattati con il porta a porta...), tutelare i lavoratori, optare per altre forme di valorizzazione dei rifiuti (ad esempio il coincenerimento dei rifiuti), ...?
Fermo restando che, favorevoli o contrari, ma motivatamente, occorre essere sinceri e non truffaldini con la parole: un impianto di incenerimento, anche se recupera energia, è pur sempre un impianto di smaltimento e non di recupero dei rifiuti, occorre in ogni caso cercare di mediare, fra queste tre diverse esigenze, e non scegliere un’opzione a discapito delle altre.
Proteggere l’ambiente e la salute, e promuovere il lavoro.
Con una recente sentenza, il Consiglio di Stato ha cercato di fare proprio questo.
La vicenda riguarda il “termovalorizzatore” di Scarlino.
I giudici di palazzo Spada hanno affermato – valle di una unga ricostruzione storica della vicenda, per la quale si rinvia il lettore al sito di Natura Giuridica – che nel caso di specie assume valenza assorbente quanto meno la circostanza che lo stato di salute delle popolazioni coinvolte e le condizioni dei corpi idrici presenti nell’area interessata dallo stabilimento in questione non sono state convenientemente disaminate e considerate.
Un dato – sottolineano al Consiglio di Stato – che pur non avendo acquisito un rilievo oggettivo sulla base di disposizioni di legge ha comunque un rilievo sotto il profilo procedimentale, poiché ragionevolmente evidenzia un consistente livello di esposizione della popolazione coinvolta dall’impianto per cui è causa, livello di esposizione che non è stato, di per sé, valutato e considerato adeguatamente in sede di rilascio dell’A.I.A.
Quindi, a fronte delle numerose e documentate circostanze di sforamento dei vari valori di riferimento per l’inquinamento, sia dell’aria che dei corpi idrici presenti in loco, l’affermazione di carattere generale del soggetto proponente l’iniziativa (secondo la quale “nella sostanza non verranno apportate sostanziali modifiche ai processi degli impianti come attualmente configurati”) doveva essere seguita da una specifica attività istruttoria, in ordine agli effettivi agenti inquinanti già presenti e alla potenziale incidenza che su di essi si sarebbe potuta riscontrare a seguito dello svolgimento dell’attività, oggetto delle istanze della società.
Che non c’è stata, così come è mancato uno studio epidemiologico dell’area interessata dalla realizzazione dell’impianto, posto che i dati alquanto risalenti nel tempo elaborati dal proponente non adeguatamente possono raffrontarsi, al fine di pervenire ad un apprezzamento della situazione concretamente in essere, con quelli ricavabili dall’indagine specificamente svolta al riguardo dalla medesima Azienda U.S.L. n. 9, comprendenti il periodo 2000 – 2009 (indagine che peraltro la stessa U.S.L. ha definito non ottimale e dalla quale si rileva che nel lasso di tempo considerato sussisterebbe un incremento del 36% dei tumori alla vescica per la popolazione maschile e del 117% per quella femminile, oltreché un sensibile incremento di nascite premature e di ricoveri per linfoma non-Hodgkin).
In definitiva, essendo primarie le esigenze di tutela della salute ai sensi dell’art. 32 Cost. rispetto alle pur rilevanti esigenze di pubblico interesse soddisfatte dall’impianto in questione, il rilascio dell’A.I.A. – qualora siano risultati allarmanti dati istruttori – debba conseguire soltanto all’esito di un’indagine epidemiologica sulla popolazione dell’area interessata che non può per certo fondarsi sulle opposte tesi delle attuali parti processuali e sugli incompleti dati istruttori ad oggi disponibili - oltre a tutto riferiti a situazioni ormai risalenti nel tempo – ma che deve essere condotta su dati più recenti e ad esclusiva cura degli organismi pubblici a ciò competenti.
Quindi un NO all’inceneritore motivato, ma in ogni caso un’apertura al possibile rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, se i risultati dell’indagine epidemiologica dovessero evidenziare dati meno allarmanti di quelli ipotizzati, ma in parte già evidenziati nella precedente indagine.
Della serie che le cose - qualsiasi sia l'angolo visuale - devono essere fatte bene...