Lo scorso 6 dicembre 2008 è stata pubblicata sulla G.U.C.E. (Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea) la direttiva sulla tutela penale dell’ambiente (2008/99/CE).
Il testo della Direttiva 2008/99/CE è liberamente scaricabile sulla pagine del sito di Natura Giuridica.
Domani continuerò a parlare del testo della direttiva: per il momento voglio sottolineare alcuni dei punti focali della Direttiva 2008/99/CE, sottolineati nei “considerando”.
Il Parlamento e il Consiglio muovono dalla preoccupazione legata all’aumento dei reati ambientali e alle relative conseguenze, “che sempre più frequentemente si estendono al di là delle frontiere degli Stati in cui i reati vengono commessi”.
Occorre, pertanto, una risposta adeguata.
Si, ma quale?
L’esperienza accumulata nel corso degli anni ha dimostra che i sistemi sanzionatori vigenti non sono sufficienti per garantire la piena osservanza della normativa in materia di tutela dell’ambiente.
Occorre, quindi, secondo il Parlamento e il Consiglio, un rafforzamento della tutela, attraverso la disponibilità di sanzioni penali, che “sono indice di una riprovazione sociale di natura qualitativamente diversa rispetto alle sanzioni amministrative o ai meccanismi risarcitori di diritto civile”, e sono maggiormente dissuasive per le attività che danneggiano l’ambiente, che generalmente provocano o possono provocare un deterioramento significativo della qualità dell’aria, compresa la stratosfera, del suolo, dell’acqua, della fauna e della flora, compresa la conservazione delle specie.
La legislazione elencata negli allegati della direttiva – che contiene l’elenco della normativa comunitaria adottata in base al trattato CE la cui violazione costituisce un illecito (penale) ai sensi della direttiva 2008/99/CE – contiene disposizioni che dovrebbero essere soggette a misure di diritto penale per garantire che le norme sulla tutela dell’ambiente siano pienamente efficaci.
Tuttavia, come spesso accade nelle direttive – i cui contenuti sono molto “generici” – viene lasciata ampia libertà agli Stati membri, per quanto concerne la misura dei divieti, da introdurre nelle legislazioni nazionali in fase di recepimento della direttiva 2008/99/CE.
A tale proposito, il considerando (10) della direttiva precisa che “gli Stati membri a prevedere nella loro legislazione nazionale sanzioni penali in relazione a gravi violazioni delle disposizioni del diritto comunitario in materia di tutela dell’ambiente”, e che non sono previsti obblighi “per quanto riguarda l’applicazione di tali sanzioni, o di altri sistemi di applicazione della legge disponibili, in casi specifici”.
E, più sotto, si legge che, poiché la direttiva detta soltanto norme minime, gli Stati membri hanno facoltà di mantenere in vigore o adottare misure più stringenti finalizzate ad un’efficace tutela penale dell’ambiente, che devono essere compatibili con il trattato.
Insomma: un rafforzamento è sicuramente necessario, doveroso, urgente.
Ma, al di là di una futura (futuribile) introduzione di ferree (almeno nelle intenzioni) norme penali a macchia di leopardo – nonostante i propositi di cui al considerando n. 4, il base al quale l’introduzione di regole comuni sui reati consente di usare efficaci metodi d’indagine e di assistenza, all’interno di uno Stato membro o tra diversi Stati membri – non sarebbe opportuno cominciare dall’applicare (applicare, senza limitarsi a declamare) le fin troppo numerose norme che già regolano il diritto ambientale, invece di introdurre discipline che corrono il rischio di rimanere delle grida manzoniane?
Siamo sicuri che occorra sempre andare alla ricerca di soluzioni sempre “nuove”, tralasciando poi di metterle in pratica, una volta presentate come la panacea di tutti i mali?
Nei manuali di diritto dell’ambiente all’Università, mi ricordo, si esaltavano le "virtù" delle sanzioni amministrative, capaci, al contrario di quelle penali (specie in Italia, dove la giustizia a volte sembra essere un concetto così astratto da diventare un’opinione…), di colpire l’imprenditore nel cuore dei suoi interessi…