Qualche settimana, alla vigilia delle elezioni politiche, fa sulle pagine del Sole 24 Ore Giulio Tremonti cominciava il suo panegirico sul nucleare con uno dei suoi “celebri giochi di Parole” (virgolettato del giornalista, Alberto Orioli), e si chiedeva, retoricamente – sull'onda della presa di coscienza che la strategia delle riforme ha perso il suo effetto magico: “finora abbiamo delocalizzato il lavoro, perché ora non delocalizziamo il nucleare per localizzare il lavoro? ».
Dopo un rapido excursus, infarcito di citazioni dotte e riferimenti storici, su un libro di Giuseppe Vitaletti («La fiera delle tasse»), in cui l'Autore “sosteneva una tesi visionaria”; in seguito alle ovvie accuse alla sinistra, colpevole di aver voluto e attuato una riforma costituzionale che ha fermato l'Italia; dopo aver accennato alla crisi delle infrastrutture in generale, Tremonti ha cominciato a delineare il piano di quello che sarebbe stato fatto dal nuovo (sicuro) Governo, dal momento del suo insediamento, in materia di infrastrutture energetiche...
In sostanza: due, dice l'attuale Ministro dell'Economia, sono le anomalie del nostro Paese (specificando, forse a mo' di…scusa, “se vedi l'Italia da fuori”), vale a dire “l'alto debito pubblico e l'alto debito energetico su cui noi paghiamo una bolletta energetica di 30 miliardi che vanno all'estero. Un fatto che spiazza l'industria e penalizza la domanda con un effetto di impoverimento della struttura produttiva e sociale italiana”.
L'Italia, si sa, è un paese in perenne emergenza, e sempre “a corto di energia”, che importiamo in grandi quantità dall'estero: cosa fare, allora, per renderci indipendenti dal debito energetico di cui sopra?
“Nel futuro – dice Tremonti – ci sono due ipotesi, forse tra di loro non in alternativa: il solare o l'idrogeno”.
Espletato questo richiamo in un certo senso dovuto (come possibile ignorarlo?) a due delle molteplici fonti rinnovabili, spuntava il primo “ma”....
“Ma tra lo stato di necessità attuale e l'eventuale futuro radioso c'è un intervallo, diciamo di medio periodo, colmabile solo con il nucleare”...
Ma il punto più “virtuoso” dell'intervista si raggiungeva quando l'attuale Ministro dell'Economia, distinguendo tra tempi tecnici e tempi politici (i primi sempre più corti, a differenza dei secondi...), disquisendo sul paradosso italiano (abbiamo la tecnologia e i capitali, ma una forte refrattarietà industriale, figlia di un referendum...“manicheo”...), arrivava a pronunciare il suo “celebre gioco di parole”...: “finora abbiamo delocalizzato il lavoro, ora possiamo delocalizzare il nucleare per rilocalizzare il lavoro”.
Quale lavoro?
Semplice: “se l'industria paga meno l'energia aumenta la competitività, quindi anche la produttività che può anche essere redistribuita al fattore lavoro. Si toglie così la tassa energetica, la prima tassa da ridurre sia per le imprese sia per le famiglie”.
Come?
Semplice anche in questo caso: attraverso joint ventures nucleari fra paesi al di là dell'Adriatico – che avrebbero grandi difficoltà tecnologiche a creare le centrali (e, aggiungerei, una normativa ambientale meno...pregnante della nostra, quantunque quest'ultima possa essere definita confusa e confusionaria...) e l'Italia, che ha il know how.
In conclusione, questo era il Tremonti-pensiero: costruire centrali nucleari fuori dall'Italia, con meno “complicazioni” burocratiche e piena sostenibilità dei costi per il trasporto dell'energia così prodotta.
Un “pensiero laterale” che finge di tener conto di quanto detto da molti, Carlo Rubbia in primis, sull'unica fonte alternativa duratura, il sole.
Dico finge perchè, dietro le parole di Tremonti scorgo un “intanto cominciamo a costruire le centrali nucleari, poi si vedrà....”
Della serie: e “chi si è visto si è visto”, con buona pace delle fonti rinnovabili…
Il neo Ministro dello Sviluppo Economico, all’indomani delle elezioni, in concomitanza con il discorso di Emma Marcegaglia nel giorno del suo insediamento alla presidenza della Confindustria, ha tuonato: “entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione nel nostro paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione [...] un solenne impegno assunto da Berlusconi, con la fiducia, che onoreremo con convinzione e determinazione".
Per migliorare le infrastrutture energetiche, si legge sulle pagine del Giornale, il ministro intende semplificare gli iter autorizzativi e premiare con incentivi le popolazioni interessate ai nuovi insediamenti…
Si tratta di un argomento complesso, che richiede sicuri e futuri approfondimenti…per il momento mi limito a porre alla vostra attenzione due domande...
Al di là delle mie personali convinzioni (diversificazione, certo, ma rinnovabile prima di tutto, con finanziamenti, ricerca, sviluppo, abolendo gli "incentivi" più o meno “leciti” ai soliti produttori di fonti fossili), al di là della divergenza intergovernativa sul dove e quando realizzare le centrali nucleari, la tecnologia sbandierata da Tremonti (e Scajola) è quella, già vecchia prima di nascere, della “terza generazione”?
Se i tempi di approvazione-costruzione-collaudo di una centrale sono dell’ordine di grandezza di tre lustri, è proprio necessario riempirsi la bocca di frasi e progetti senza futuro?
Indipendentemente dalle scelte che si faranno, al nostro Paese serve una politica lungimirante, che sappia prevedere e prevenire il futuro, e non personaggi (in cerca di autore o di un’effimera gloria?) capaci solo di rincorrere il passato.
Dopo un rapido excursus, infarcito di citazioni dotte e riferimenti storici, su un libro di Giuseppe Vitaletti («La fiera delle tasse»), in cui l'Autore “sosteneva una tesi visionaria”; in seguito alle ovvie accuse alla sinistra, colpevole di aver voluto e attuato una riforma costituzionale che ha fermato l'Italia; dopo aver accennato alla crisi delle infrastrutture in generale, Tremonti ha cominciato a delineare il piano di quello che sarebbe stato fatto dal nuovo (sicuro) Governo, dal momento del suo insediamento, in materia di infrastrutture energetiche...
In sostanza: due, dice l'attuale Ministro dell'Economia, sono le anomalie del nostro Paese (specificando, forse a mo' di…scusa, “se vedi l'Italia da fuori”), vale a dire “l'alto debito pubblico e l'alto debito energetico su cui noi paghiamo una bolletta energetica di 30 miliardi che vanno all'estero. Un fatto che spiazza l'industria e penalizza la domanda con un effetto di impoverimento della struttura produttiva e sociale italiana”.
L'Italia, si sa, è un paese in perenne emergenza, e sempre “a corto di energia”, che importiamo in grandi quantità dall'estero: cosa fare, allora, per renderci indipendenti dal debito energetico di cui sopra?
“Nel futuro – dice Tremonti – ci sono due ipotesi, forse tra di loro non in alternativa: il solare o l'idrogeno”.
Espletato questo richiamo in un certo senso dovuto (come possibile ignorarlo?) a due delle molteplici fonti rinnovabili, spuntava il primo “ma”....
“Ma tra lo stato di necessità attuale e l'eventuale futuro radioso c'è un intervallo, diciamo di medio periodo, colmabile solo con il nucleare”...
Ma il punto più “virtuoso” dell'intervista si raggiungeva quando l'attuale Ministro dell'Economia, distinguendo tra tempi tecnici e tempi politici (i primi sempre più corti, a differenza dei secondi...), disquisendo sul paradosso italiano (abbiamo la tecnologia e i capitali, ma una forte refrattarietà industriale, figlia di un referendum...“manicheo”...), arrivava a pronunciare il suo “celebre gioco di parole”...: “finora abbiamo delocalizzato il lavoro, ora possiamo delocalizzare il nucleare per rilocalizzare il lavoro”.
Quale lavoro?
Semplice: “se l'industria paga meno l'energia aumenta la competitività, quindi anche la produttività che può anche essere redistribuita al fattore lavoro. Si toglie così la tassa energetica, la prima tassa da ridurre sia per le imprese sia per le famiglie”.
Come?
Semplice anche in questo caso: attraverso joint ventures nucleari fra paesi al di là dell'Adriatico – che avrebbero grandi difficoltà tecnologiche a creare le centrali (e, aggiungerei, una normativa ambientale meno...pregnante della nostra, quantunque quest'ultima possa essere definita confusa e confusionaria...) e l'Italia, che ha il know how.
In conclusione, questo era il Tremonti-pensiero: costruire centrali nucleari fuori dall'Italia, con meno “complicazioni” burocratiche e piena sostenibilità dei costi per il trasporto dell'energia così prodotta.
Un “pensiero laterale” che finge di tener conto di quanto detto da molti, Carlo Rubbia in primis, sull'unica fonte alternativa duratura, il sole.
Dico finge perchè, dietro le parole di Tremonti scorgo un “intanto cominciamo a costruire le centrali nucleari, poi si vedrà....”
Della serie: e “chi si è visto si è visto”, con buona pace delle fonti rinnovabili…
Il neo Ministro dello Sviluppo Economico, all’indomani delle elezioni, in concomitanza con il discorso di Emma Marcegaglia nel giorno del suo insediamento alla presidenza della Confindustria, ha tuonato: “entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione nel nostro paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione [...] un solenne impegno assunto da Berlusconi, con la fiducia, che onoreremo con convinzione e determinazione".
Per migliorare le infrastrutture energetiche, si legge sulle pagine del Giornale, il ministro intende semplificare gli iter autorizzativi e premiare con incentivi le popolazioni interessate ai nuovi insediamenti…
Si tratta di un argomento complesso, che richiede sicuri e futuri approfondimenti…per il momento mi limito a porre alla vostra attenzione due domande...
Al di là delle mie personali convinzioni (diversificazione, certo, ma rinnovabile prima di tutto, con finanziamenti, ricerca, sviluppo, abolendo gli "incentivi" più o meno “leciti” ai soliti produttori di fonti fossili), al di là della divergenza intergovernativa sul dove e quando realizzare le centrali nucleari, la tecnologia sbandierata da Tremonti (e Scajola) è quella, già vecchia prima di nascere, della “terza generazione”?
Se i tempi di approvazione-costruzione-collaudo di una centrale sono dell’ordine di grandezza di tre lustri, è proprio necessario riempirsi la bocca di frasi e progetti senza futuro?
Indipendentemente dalle scelte che si faranno, al nostro Paese serve una politica lungimirante, che sappia prevedere e prevenire il futuro, e non personaggi (in cerca di autore o di un’effimera gloria?) capaci solo di rincorrere il passato.