Il Tribunale di Macerata - Sezione distaccata di Civitanova Marche, con sentenza del 27 ottobre 2006, affermava la responsabilità penale del Sig. Benedetti Goffredo in ordine al reato di cui all’art. 51, 1° comma, del Decreto Ronchi D.Lgs. 5 febbraio per avere – quale imprenditore individuale esercente attività di autolavaggio - effettuato lo stoccaggio non autorizzato, in vasche di decantazione, di rifiuti speciali non pericolosi consistenti in fanghi da autolavaggio derivanti dalla depurazione dei reflui.
Nel ricorso per Cassazione presentato dal Benedetti, la difesa deduceva la violazione di legge, in quanto non si sarebbe dovuto applicare nella specie la disciplina dei rifiuti liquidi, bensì quella degli scarichi, poiché le acque provenienti dall’autolavaggio andavano a defluire direttamente nelle vasche di decantazione.
La Cassazione ha respinto il ricorso, evidenziando che – in relazione al problema del coordinamento della disciplina dei “rifiuti” con quella degli “scarichi” – anteriormente all’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale la giurisprudenza costante della stessa Corte ha affermato che
Diversamente, ogni altro sversamento rientra nel concetto di “rifiuto”: nozione, quest’ultima, destinata a ricomprendere “l’immissione di reflui non effettuata attraverso un sistema canalizzato di raccolta e di scarico”.
In definitiva, le violazioni in materia di scarico trovano applicazione soltanto se il recapito dei reflui nel corpo ricettore sia “diretto”.
Se, al contrario, presenta momenti di soluzione di continuità (ed è questo il caso dello scarico dei reflui in vasche e del successivo trasporto in altro luogo tramite autobotte), si è in presenza di un rifiuto-liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato.
Richiamata questa costante giurisprudenza, la Cassazione evidenzia che
In conclusione, nonostante i difetti di chiarezza e di coordinamento delle nuove disposizioni normative, deve continuare a ritenersi che i cd. “scarichi indiretti”, cioè quelli che non raggiungono immediatamente un corpo ricettore o un impianto di depurazione, continuino ad essere disciplinati dalla normativa sui rifiuti ed invero, qualora il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è interrotto, viene meno lo scarico per fare posto allo smaltimento del rifiuto liquido.
Lo stoccaggio di fanghi, conclude la Corte, è operazione ben diversa dallo scarico finale: nella caso di specie, il giudice del merito ha accertato in punto di fatto che nelle vasche di decantazione dell’azienda erano depositati fanghi decantati non smaltiti per una quantità complessiva di circa 50 quintali e che l’ultimo smaltimento risaliva all’anno 2002.
Cassazione Penale, Sez. III, sent. n. 6417 dell’11 febbraio 2008, Ric. Benedetti
Per un approfondimento, leggi l'articolo: "Acque reflue convogliate a impatto depurativo: scarico o rifiuto?", di commento alla sentenza del T.A.R. VENETO, Sez. III – 26 gennaio 2005, n. 248, pubblicata sul sito di Giuristi ambientali.
Nel ricorso per Cassazione presentato dal Benedetti, la difesa deduceva la violazione di legge, in quanto non si sarebbe dovuto applicare nella specie la disciplina dei rifiuti liquidi, bensì quella degli scarichi, poiché le acque provenienti dall’autolavaggio andavano a defluire direttamente nelle vasche di decantazione.
La Cassazione ha respinto il ricorso, evidenziando che – in relazione al problema del coordinamento della disciplina dei “rifiuti” con quella degli “scarichi” – anteriormente all’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale la giurisprudenza costante della stessa Corte ha affermato che
la distinzione tra “acque di scarico” e “rifiuti liquidi” non va ricercata nelle caratteristiche della sostanza, bensì nella diversa fase del suo processo di trattamento,sicché ha costantemente enunciato che nella disciplina delle acque rientra unicamente la fase dello “scarico”, cioè della immissione diretta nel corpo ricettore.
Diversamente, ogni altro sversamento rientra nel concetto di “rifiuto”: nozione, quest’ultima, destinata a ricomprendere “l’immissione di reflui non effettuata attraverso un sistema canalizzato di raccolta e di scarico”.
In definitiva, le violazioni in materia di scarico trovano applicazione soltanto se il recapito dei reflui nel corpo ricettore sia “diretto”.
Se, al contrario, presenta momenti di soluzione di continuità (ed è questo il caso dello scarico dei reflui in vasche e del successivo trasporto in altro luogo tramite autobotte), si è in presenza di un rifiuto-liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato.
Richiamata questa costante giurisprudenza, la Cassazione evidenzia che
qualche incertezza può sorgere in seguito alla nuova definizione di “scarico”, introdotta dall’art. 74, 1° comma – lett. ff), del Testo Unico Ambientale, ove non è più previsto che la immissione di acque reflue debba essere “diretta tramite condotta” e non sono più specificate le varie tipologie di scarichi (acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili), pur continuando l’art. 185 del D.Lgs. n. 152/2006 a disporre, comunque, che “non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto: ... b) gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi contenuti in acque reflue” (l’art. 8, comma i - lett. e, del DLgs. n. 22/1997 faceva riferimento, invece, ai “rifiuti allo stato liquido”).Tuttavia, questo apparente ostacolo letterale è già stato affrontato dal Giudice di legittimità, che ha affermato che, anche dopo l’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale, integra “scarico” in senso giuridico qualsiasi sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza - senza soluzione di continuità, artificiale o meno - i reflui dal luogo di produzione al corpo recettore.
In conclusione, nonostante i difetti di chiarezza e di coordinamento delle nuove disposizioni normative, deve continuare a ritenersi che i cd. “scarichi indiretti”, cioè quelli che non raggiungono immediatamente un corpo ricettore o un impianto di depurazione, continuino ad essere disciplinati dalla normativa sui rifiuti ed invero, qualora il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è interrotto, viene meno lo scarico per fare posto allo smaltimento del rifiuto liquido.
Lo stoccaggio di fanghi, conclude la Corte, è operazione ben diversa dallo scarico finale: nella caso di specie, il giudice del merito ha accertato in punto di fatto che nelle vasche di decantazione dell’azienda erano depositati fanghi decantati non smaltiti per una quantità complessiva di circa 50 quintali e che l’ultimo smaltimento risaliva all’anno 2002.
Cassazione Penale, Sez. III, sent. n. 6417 dell’11 febbraio 2008, Ric. Benedetti
Per un approfondimento, leggi l'articolo: "Acque reflue convogliate a impatto depurativo: scarico o rifiuto?", di commento alla sentenza del T.A.R. VENETO, Sez. III – 26 gennaio 2005, n. 248, pubblicata sul sito di Giuristi ambientali.