La legge Merli (L. n. 319/1976) aveva adottato una nozione di scarico onnicomprensiva: il riferimento allo scarico di qualsiasi tipo (episodico, occasionale, periodico, discontinuo….) o allo scarico indiretto (ad es. tramite autobotte), aveva indotto la giurisprudenza prevalente a ritenere che “la nozione di scarico comprende, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 319/76, qualsiasi sversamento o deposizione di rifiuti, indipendentemente dal modo con cui avvenga, diretto o indiretto, della sua episodicità, dello stato liquido o solido dei rifiuti, ed indipendentemente dal luogo, ossia in acque superficiali o sotterranee, interne o marine, pubbliche o private, in fognatura, sul suolo o nel sottosuolo”.
Con la successiva entrata in vigore del D.P.R. n. 915 del 10 settembre 1982, veniva prevista, all'art. 2, l'applicazione della cit. legge Merli per quanto riguardava "la disciplina dello smaltimento nelle acque, sul suolo e nel sottosuolo dei liquami e dei fanghi, di cui all'art. 2, lettera e), punti 2 e 3, della citata legge, purché non tossici e nocivi” ai sensi dello stesso.
L'art. 9, comma 3, dello stesso D.P.R., sanciva il divieto di scaricare rifiuti di qualsiasi genere nelle acque pubbliche e private.
Nel D.Lgs. n. 133/1992 il legislatore, riprendendo alla lettera la definizione contenuta nella direttiva comunitaria recepita, ha adottato una nozione ampia di scarico, definito come “l'immissione, nelle acque interne superficiali, acque marine territoriali, acque interne del litorale (nonché, per le sole sostanze indicate nell'elenco 1 dell'allegato A, nelle fognature pubbliche) delle sostanze enumerate nell'elenco I o nell'elenco II dell' allegato A, ad eccezione:
Con la successiva entrata in vigore del D.P.R. n. 915 del 10 settembre 1982, veniva prevista, all'art. 2, l'applicazione della cit. legge Merli per quanto riguardava "la disciplina dello smaltimento nelle acque, sul suolo e nel sottosuolo dei liquami e dei fanghi, di cui all'art. 2, lettera e), punti 2 e 3, della citata legge, purché non tossici e nocivi” ai sensi dello stesso.
L'art. 9, comma 3, dello stesso D.P.R., sanciva il divieto di scaricare rifiuti di qualsiasi genere nelle acque pubbliche e private.
Nel D.Lgs. n. 133/1992 il legislatore, riprendendo alla lettera la definizione contenuta nella direttiva comunitaria recepita, ha adottato una nozione ampia di scarico, definito come “l'immissione, nelle acque interne superficiali, acque marine territoriali, acque interne del litorale (nonché, per le sole sostanze indicate nell'elenco 1 dell'allegato A, nelle fognature pubbliche) delle sostanze enumerate nell'elenco I o nell'elenco II dell' allegato A, ad eccezione:
- degli scarichi di fanghi di dragaggio
- degli scarichi operativi effettuati da navi nelle acque marine territoriali
- dell' immissione di rifiuti effettuata da navi nelle acque marine territoriali
Data l'ampiezza, tale definizione includeva, analogamente a quanto previsto dalla legge Merli, anche gli scarichi indiretti.
La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, in tale contesto normativo, ha enunciato il principio di diritto secondo cui “il D.P.R. n. 915 del 1982 disciplina tutte le singole operazioni di smaltimento dei rifiuti (conferimento, raccolta, trasporto, ammasso, stoccaggio) siano essi solidi o liquidi, fangosi o sotto forma di liquami, con esclusione di quelle fasi, concernenti i rifiuti liquidi (o assimilabili) attinenti allo scarico e riconducibili alla disciplina stabilita dalla legge n. 319 del 1976, con l'unica eccezione dei fanghi e liquami tossico e nocivi che sono, sotto ogni profilo, regolati dal D.P.R. n. 915/1982"
(segue)