La politica ambientale nel paese del Gattopardo (7). La lenta e tortuosa vicenda della nozione di scarico (parte terza)

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Anche a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 22/97 (sui rifiuti) e del D.Lgs. 152/99 (sulla tutela delle acque), stante la parziale coincidenza tra «acque di scarico» e «rifiuti liquidi», il criterio di discrimine tra le due discipline non è la differenza della sostanza, bensì la diversa fase del processo di trattamento della sostanza stessa, per cui è riservata alla disciplina della tutela sulle acque solo la fase dello «scarico», cioè quella dell'immissione diretta nel corpo recettore.

La nuova definizione di scarico, secondo la Suprema Corte di Cassazione, costituisce il parametro di riferimento per stabilire, per le acque di scarico e per i rifiuti liquidi, l'ambito di operatività delle normativa in tema di tutela delle acque e dei rifiuti, sicché solo lo scarico di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili, diretto in corpi idrici ricettori, specificamente indicati, rientra in tale normativa.

Per contro, i rifiuti allo stato liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfaccia senza versamento diretto nei corpi ricettori, avviandole cioè allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato, rientrano nella disciplina dei rifiuti e il loro smaltimento deve essere autorizzato.

Coerentemente con questa impostazione, la Suprema Corte ha, in seguito, affermato che l'immissione non autorizzata di acque reflue industriali senza il tramite di una condotta, o di un sistema di convogliabilità, non è punita ai sensi del D.Lgs. n. 152/99, attesa la nozione di scarico contenuta nell'art. 2 comma 2 lett. bb) del citato decreto, dovendosi diversamente configurare l'ipotesi di abbandono incontrollato di rifiuti (liquidi) sanzionata all'art. 51 D.Lgs. n. 22/97.

La giurisprudenza successiva all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/99 ha, quindi, salvo alcune sentenze di segno opposto, ribadito la scomparsa dello scarico indiretto, affermando che non sembra dubitabile la scomparsa di quello che la giurisprudenza qualificava come scarico indiretto, ovvero la sua trasformazione in rifiuto liquido.

Più esattamente, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 152/1999, se per scarico si intende il riversamento diretto nei corpi recettori, quando il collegamento tra fonte di riversamento e corpo ricettore è interrotto,viene meno lo scarico (indiretto) per far posto alla fase di smaltimento del rifiuto liquido.

Sottolineare, come fa la Corte di Cassazione, che l'assenza di qualsiasi versamento diretto nei corpi ricettori (includendovi tutti i casi di avvio dei reflui allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato) rende applicabile la disciplina di cui al decreto Ronchi, non ha, tuttavia, risolto tutti i dubbi interpretativi riguardo al significato da attribuire al termine "diretto".

Questa precisazione (comunque non canalizzato) poteva essere interpretata nel senso che un sistema che comunque canalizza (senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno) i reflui dal luogo di produzione al corpo ricettore, è sottoposto alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 152/99.

La giurisprudenza ha ritenuto che i reflui, così immessi, costituiscono rifiuti allo stato liquido e non acque reflue, in quanto non sono convogliati direttamente in un corpo idrico ricettore.

Anche in dottrina si è sostenuto che la nozione di scarico debba essere valutata ed intesa in senso formale giuridico, cosi come delineato dallo stesso D.Lgs. n. 152/99 (con la conseguente applicazione della normativa sui rifiuti in tutti quei casi in cui, nonostante la presenza di una serie di condutture, che collegano i reflui dal luogo in cui sono prodotti al corpo ricettore, non si possa configurare uno scarico in senso giuridico).