La sentenza che vi propongo oggi (Cassazione penale, Sez. III, n. 35235/08, Cioffi), in materia di definizione di rifiuto-sottoprodotto, è l’emblema (un altro…ne sentivamo la mancanza) dell’eterno “immobilismo in continuo movimento” che caratterizza il nostro paese…
La cronica mancanza di una legislazione coerente, duratura, coordinata, autorevole, provoca disagi:
- negli operatori, che non sanno che pesci prendere, o a che santo votarsi, e
- negli interpreti delle norme, sballottati fra diverse interpretazioni plausibili
senza riuscire a trovare soluzioni accettabili per l’ambiente e per il mercato.
Con costi enormi per l’uno e per l’altro.
E per la giustizia, ingolfata da processi che spesso cadono in prescrizione, anche a causa di una legislazione che, con la sua (voluta? ricercata?) nebulosità di fatto legittima questo stato di fatto.
Uno degli ultimi esempi di questo cronico incedere è dato dalla sentenza Cioffi (Cassazione penale, Sez. III, n. 35235/08)…
Questa la vicenda:
- in seguito ad una ispezione in un’azienda del ternano era emerso che, su un’area di 7000 metri quadrati erano state depositate, all’interno dell’azienda ivi presente, circa 4000 tonnellate di rifiuti (scarti della lavorazione di pavimenti di linoleum);
- il Cioffi, titolare dell’impresa, chiedeva il riesame del sequestro probatorio dell’area, adibita, secondo l’accusa, a discarica di rifiuti provenienti dal ciclo produttivo;
- il Tribunale annullava il decreto di sequestro, in quanto il materiale de quo non doveva considerarsi rifiuto, bensì sottoprodotto;
- la Cassazione, adita su ricorso del PM, annullava con rinvio tale ordinanza, per “carenza motivazionali sulla natura di sottoprodotto, e più precisamente per omessa motivazione sulla certezza dell’utilizzazione e sulla necessità, ai fini della riutilizzazione, di una dichiarazione del produttore o detentore controfirmata dal titolar dell’impianto";
- il Tribunale del rinvio ribadiva l’annullamento del sequestro, osservando che la natura del materiale rinvenuto appariva compatibile con l’impianto ordinato dalla società per la polverizzazione degli scarti di linoleum e che, stante la coincidenza nella medesima persona del produttore e del riutilizzatore, non era necessaria necessaria alcuna dichiarazione;
- in seguito all’ulteriore ricorso del PM, la Cassazione annullava, di nuovo con rinvio, sostenendo la necessità dell’autocertificazione, nonostante la sopra descritta coincidenza…
- il Tribunale del rinvio, questa volta, respingeva l’istanza presentata dal Cioffi, sostenendo, contrariamente a quanto affermato fino allora, che il materiale de quo era rifiuto (!), “per lo stati di abbandono in cui il materiale si trovava, e per la mancanza di documentazione idonea a provare l’effettivo riutilizzo”;
- questa volta ricorreva in Cassazione il Cioffi, denunciando, inter alia, la violazione dell’art. 183, comma 1, lett. p) del c.d Testo Unico Ambientale, per avere il tribunale omesso di considerare che con il D.Lgs n. 4/2008 era stata riformulata la nozione di sottoprodotto escludendo la necessità della “dichiarazione” precedentemente richiesta.
La Cassazione ha ritenuto sostanzialmente fondato il ricorso, e ha, purtroppo, ancora una volta annullato con rinvio la decisione impugnata…
Dopo una ricostruzione temporale, relativa alla distinzione fra scarti (rifiuti) e sottoprodotti (non rifiuti), in cui la Suprema Corte ha sottolineato la difficoltà di individuare criteri “univoci”, la Cassazione si sofferma sull’importanza di distinguere fra:
- la gestione degli scarti, che comporta costi e oneri, e
- la gestione dei sottoprodotti, la quale, al contrario, arreca vantaggi.
Il valore economico del residuo (il detentore si disfa della cose che non gli servono più, ma non di quelle che possono ancora procurargli vantaggi economici) è un elemento determinante per la distinzione fra scarto e sottoprodotto, anche se spesso è stato trascurato dagli interpreti e dallo stesso legislatore. Ma è stato esplicitamente ripreso con il decreto correttivo n. 4 del 2008.
In relazione alla certezza del riutilizzo, evidenzia la Corte di Cassazione, non ci sono contrasti: le maggiori difficoltà nascono in relazione alle modalità di riutilizzo, che vede contrapposte le posizioni di chi ritiene che:
- il riutilizzo debba avvenire nello stesso processo di produzione e all’interno dell’impresa di provenienza (in sostanza: doveva esistere una identificazione soggettiva del produttore ed utilizzatore ed oggettiva del luogo di produzione), e
- il riutilizzo possa avvenire anche in un processo successivo, sotto forma di sfruttamento o commercializzazione.
Questo contrasto – che, secondo la Corte, è stato risolto con il Testo Unico Ambientale, nella sua formulazione originaria – potrebbe risorgere in seguito alle modifiche apportate dal D.Lgs n. 4/2008 che, oltre ad avere eliminato dalla nozione di sottoprodotti quelli definiti ex lege come tali dal Testo Unico Ambientale, ha stabilito che il riutilizzo del residuo debba avvenire nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato o definito, lasciando intendere un sostanziale ritorno al passato, sia pure con modalità parzialmente diverse…