La sentenza che vi propongo oggi (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, n.386/2008) riguarda una vicenda che vede protagonista il Consorzio Depurazione Laguna di San Giorgio di Nogaro, titolare di un impianto di depurazione, realizzato allo scopo di risolvere i fenomeni di degradazione dell’ambiente lagunare causati dagli insediamenti industriali.
In estrema sintesi, le vicende che hanno caratterizzato l’impianto sono:
- dal 1996 al 2000 l’impianto ha trattato acque reflue industriali e domestiche urbane, e rifiuti liquidi - assimilabili a domestici - conferiti su gomma;
- dal 2000 al 2002 è stata posta in esercizio una sezione di trattamento di ossidazione chimica - processo FENTON - per il pretrattamento dei reflui industriali a bassa biodegradabilità;
- dopo il 2002, a seguito della cessazione della sezione di ossidazione chimica e del sequestro giudiziario disposto nel febbraio 2003, sono stati trattati gli stessi reflui del primo periodo, ad eccezione dei rifiuti liquidi).
Come potrete notare, la vicenda è lunga è alquanto complessa: per chi volesse approfondirla, rimando al testo integrale della sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia n. 386 del 2008
In questa sede riporto le massime della sentenza
La definizione di “acqua marina costiera” di cui all’All.1 alla parte III del Testo Unico Ambientale (riferito ai corpi idrici significativi), per la sua specialità prevale sulla definizione generale di “acqua costiera” di cui all’art. 74.(Nella specie, le acque costiere dell’Adriatico, comprese entro la distanza di 3.000 metri dalla costa e, comunque, entro la batimetrica di 50 metri, sono classificabili sia come aree sensibili ex art. 91 del D.Lgs n. 152/2006, sia come acque significative ai sensi del sopra citato All. 1 alla parte terza).
L’accertato superamento dei valori limite, rilevato nel punto di emissione, è sufficiente a consentire alla Provincia, in applicazione dell’art. 108, comma 2, del Testo Unico Ambientale di imporre limiti più restrittivi di quelli di cui all’all. 5, richiamato dall’art. 101.E invero, a consentire l’esercizio di tale facoltà, è sufficiente l’accertamento dello sversamento nelle acque di sostanze pericolose, a prescindere dall’esistenza o meno di un Piano di Tutela delle Acque.Il “limite più restrittivo” imposto è rimesso al prudente apprezzamento dell’Amministrazione in relazione alla situazione fattuale dell’impianto e allo stato dell’inquinamento e non può essere contestato se non per macroscopica irragionevolezza.(Nella specie, le relazioni in atti avevano evidenziato che i valori di cadmio e stagno, rilevati nel punto di emissione, erano superiori ai limiti consentiti; il che – ha sottolineato il TAR Friuli Venezia Giulia – ha creato una situazione, ancorché forse non “drammatica o pericolosa”, sicuramente di grave rischio. Per tali motivi il Giudice ha ritenuto legittima l’imposizione, da parte della Provincia, di limiti più restrittivi di quelli di cui all’all. 5, richiamato dall’art. 101)
L’art. 124 del Testo Unico Ambientale pone espressamente a carico del richiedente “le spese occorrenti per l'effettuazione di rilievi, accertamenti, controlli e sopralluoghi necessari per l'istruttoria delle domande di autorizzazione allo scarico previste dalla parte terza del presente decreto”, ma non anche quelle relative ai controlli periodici sullo stato ecologico del ricettore.Infatti, l’art. 128 riserva all’“autorità competente” l’effettuazione (e, quindi, anche i costi) del “controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli”.Attività, questa, il cui onere finanziario - stante la finalità pubblica che la contraddistingue - non può essere senz’altro e totalmente addossato all’interessato (ma che ben può essere ripartito, sulla scorta di apposite convenzioni).(Nella specie, il TAR del Friuli Venezia Giulia ha ritenuto fondati, in parte qua, i motivi di doglianza del Consorzio, che aveva evidenziato l’illegittimità delle prescrizione con le quali la Provincia aveva imposto al Consorzio di effettuare una valutazione dello stato ecologico del ricettore per quanto concerne la qualità biologica, chimico-fisica e idromorfologica, e di trasmettere i relativi dati alla Provincia e all’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, con accollo dei relativi costi).
La registrazione quotidiana della quantità di fanghi prodotta, a tenore delle disposizioni sui rifiuti, va ovviamente riferita al rifiuto vero e proprio, cioè al residuo di lavorazione inutilizzabile e non più soggetto ad alcun trattamento, che deve effettivamente essere eliminato. Sicchè non è ragionevole imporre l’obbligo di registrazione in una fase intermedia del ciclo di trattamento dei fanghi.(Nella specie, il TAR Friuli Venezia Giulia ha ritenuto non ragionevole l’imposizione, da parte della Provincia, dell’obbligo di registrazione quotidiana delle quantità di fanghi provenienti dalla nastropressa, in una fase, cioè, intermedia – e non finale – del ciclo di trattamento dei fanghi).