Disastro ambientale: pugno duro della Cassazione

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Con questa importante sentenza (9418 del 2008) la Corte di Cassazione adotta il pugno duro nei confronti di chi, attraverso un illecito smaltimento di ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi, mette in serio pericolo la salute dei cittadini e l’ambiente.

Il caso

Tutto parte da un’imponente attività istruttoria (rappresentata da appostamenti, riprese filmate, sequestri e dichiarazioni di soggetti coinvolti nelle indagini e da intercettazioni telefoniche), che costituiva lo sviluppo di altri filoni investigativi (convogliati nelle operazioni Madre Terra I e Madre Terra II).
Il quadro emerso individuava l’esistenza di una organizzazione criminale dedita al traffico illecito dei rifiuti.

In estrema sintesi, secondo la impostazione accusatoria:
  • i rifiuti speciali pericolosi costituiti dai fanghi derivanti dal ciclo di depurazione delle acque
  • i rifiuti liquidi delle navi approdate nel porto di Napoli
  • destinati ai centri di compostaggio di alcune società
invece di essere sottoposti al necessario trattamento, erano smaltiti illecitamente (quasi tutti sparsi su terreni agricoli o nei corsi d'acqua).

Il tutto avveniva attraverso un collaudato meccanismo di complicità fra produttori di rifiuti, gestori degli impianti di compostaggio, titolari e dipendenti delle ditte di trasporto, titolari di aziende agricole.

Rimandando al testo integrale della sentenza della Cassazione n. 9418 del 2008 per l’approfondimento della vicenda, è importante, in questa sede, sottolineare, quanto statuito dalla Cassazione in relazione alla nozione di disastro ambientale.

Per configurare il reato di “disastro” è sufficiente che il nocumento metta in pericolo, anche solo potenzialmente, un numero indeterminato di persone.
Infatti, il requisito che connota la nozione di "disastro" ambientale, delitto previsto dall'art.434 c.p., è la "potenza espansiva del nocumento" anche se non irreversibile, e l'"attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità".

Nella caso di specie, i Giudici hanno evidenziato una imponente contaminazione di siti realizzata dagli indagati mediante l'accumulo sul territorio e lo sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi: tali condotte hanno insita una elevata portata distruttiva dell'ambiente con conseguenze gravi, complesse ed estese ed hanno una alta potenzialità lesiva tanto da provocare un effettivo pericolo per la incolumità fisica di un numero indeterminato di persone idonee a confermare gli arrestati domiciliari a un imprenditore per lo smaltimento illecito di rifiuti speciali pericolosi.

Il termine “disastro” (nella specie ambientale) implica che esso sia cagione di un evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità "straordinariamente grave e complesso", ma non "eccezionalmente immane" (Cassazione Sez. V, n° 40330/2006).
Pertanto, "è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone"


Quando la durata in termini temporali e l'ampiezza in termini spaziali delle attività di inquinamento (in specie gestione illecita di rifiuti), giustificano la sussunzione della fattispecie concreta nella contestata ipotesi di reato di disastro innominato; questo delitto comporta un danno, o un pericolo di danno, ambientale di eccezionale gravità non necessariamente irreversibile, ma certamente non riparabile con le normali opere di bonifica.

La Cassazione ha, così, confermato gli arresti domiciliari per il titolare di un’azienda (sedicente!) ecologica, indagato per traffico illecito di rifiuti, che aveva cercato di sminuire il suo ruolo fino a sostenere che la sua attività si limitava al trasporto dei rifiuti agli impianti di compostaggio e non era “notiziato” del loro successivo destino.