Nel post precedente (Syndial: sentenza 4991/08. Tribunale di Torino. Massime "processuali") ho cominciato a pubblicare le massime della sentenza del Tribunale di Torino n. 4991 (Ministero dell’ambiente contro Syndial), che ha condannato la società a 1,9 miliardi di euro, in relazione ai profili processuali.
Adesso continuo con quelle concernenti il danno ambientale, che si articolano nel seguente modo:
a) oggetto del risarcimento: il danno ambientale risarcibile (sia ai sensi dell’art. 18 della legge 349/1986 sia ai sensi degli artt. 300 e 311 del d.lgs. 152/2006), può consistere in una semplice alterazione, anche transitoria, dell’ambiente, che quale sussiste quando quest’ultimo, anche se non distrutto o danneggiato, viene modificato nelle sue componenti (come la qualità dell’aria, dell’acqua, della flora e della fauna), in modo da non poter assolvere, se non in misura minore, alla sua funzione propria (nel caso di specie, il Tribunale di Torino ha ritenuto che integri la fattispecie una diminuzione di qualità ambientale desumibile dalla comunità di microinvertebrati bentonici e della presenza di DDT nei pesci del fiume e del lago).
b) nesso causale: sussiste il nesso causale tra condotta e danno ambientale laddove non risultino cause alternative di contaminazione e laddove il danno non si sarebbe verificato qualora l’azienda avesse operato in conformità dell’ordinamento per quanto riguarda le modalità di scarico (ossia, nel caso di specie, senza diluire il DDT, mettendo in sicurezza l’impianto, ivi comprese le fognature, oltre che operando una costante manutenzione).
c) Ulteriori danni ambientali: il danno ambientale, diverso ed ulteriore rispetto al danno alle singole componenti dell’ambiente, rientra nell’ambito del danno patrimoniale, ma non può considerarsi una fattispecie di danno punitivo, cosicché per il relativo risarcimento non è sufficiente una condotta criminosa, ma è necessario che tale condotta sia caratterizzata da colpa o dolo “specifici” e che da quest’ultima sia derivato un danno.
d) elemento soggettivo: nella valutazione del grado della colpa ai fini della quantificazione del danno ambientale ex art. 18 della legge 349/1986 si deve tener conto della consapevolezza dell’impresa responsabile della pericolosità del proprio prodotto e degli effetti della propria condotta sull’ambiente, nonché del ruolo dell’impresa nel sistema imprenditoriale nazionale e quindi della circostanza che una società controllata dalla ministero del tesoro avrebbe dovuto agire anche nell’interesse pubblico.
e) quantificazione del danno: nella valutazione del criterio di quantificazione del danno ambientale ex art. 18 della legge 349/1986 rappresentato dai “costi per il ripristino” si deve tener conto dei costi per depurare le acque superficiali e le acque di falda e per le operazioni di drenaggio, essiccazione e smaltimento dei sedimenti accumulati nel periodo considerato.
La valutazione dei danni all’ambiente circostante, ai terreni, alla fauna e alla flora, anche con effetti di alterazione significativa, di cui tuttavia non se ne possano quantificare i costi di ripristino per l’impossibilità di eliminarne gli effetti, non può che essere puramente equitativa (nel caso di specie si trattava in particolare del danno ambientale conseguente alle emissioni in atmosfera di DDT che, in considerazione dell’effetto cd. “a cavalletta” dei POPs Inquinanti Organici Persistenti, aveva provocato inquinamenti riscontrati nell’ambiente circostante all’impianto industriale ma anche sul ghiacciaio del Lys).
La prova del “profitto del trasgressore” ai fini della quantificazione del danno ambientale, in mancanza del deposito in giudizio dei bilanci da parte dell’azienda, può desumersi dalla valutazione dei ricavi aziendali, con un congruo abbattimento per costi di personale, materie prime e attività di produzione, cui deve aggiungersi il risparmio per non aver provveduto all’effettuazione dei necessari lavori sull’impianto di depurazione, fognario e delle opere di contenimento degli inquinanti.
La quantificazione del risarcimento per equivalente del danno ambientale non può essere ridotta in ragione delle spese sostenute dal trasgressore per un progetto di bonifica ove questo intervento non riduca il danno ambientale cagionato, ma si limiti ad evitare ulteriori danni (nella specie erano state realizzate “barriere idrauliche” per impedire che i contaminanti presenti nella falda continuassero a defluire nel lago).