Nei post precedenti ho cominciato a pubblicare le massime della sentenza del Tribunale di Torino n. 4991 (Ministero dell’ambiente contro Syndial), che ha condannato la società a 1,9 miliardi di euro, in relazione ai profili processuali, e a quelli concernenti il danno ambientale.
Con quello di oggi si conclude la “trilogia” di post dedicati alle massime della sentenza 4991 dell’8 luglio 2008, che si articolano nel seguente modo.
In relazione ai "rapporti" della disciplina sul danno all'ambiente con l'art. 2043 del codice civile:
La responsabilità ex art. 18 della legge 349/1986 non assorbe quella di cui agli artt. 2043 e 2050 c.c. in quanto le norme possono concorrere tra loro, tenuto conto che la prima tutela l’ambiente in sè considerato, mentre gli artt. 2043 e 2050 tutelano i singoli beni ambientali.
La condotta di una società che gestisce uno stabilimento di produzione del DDT che immetta in fiumi e in un lago DDT ed altri composti chimici, danneggiando l’alveo, le acque e la fauna ittica, integra sia la fattispecie di cui all’art. 2043 c.c., a fronte di una accertata condotta contraria alle norme di comune esperienza (omessa verifica dello stato dei macchinari e degli scarichi, mancata osservanza di linee guida aziendali), sia quella di cui all’art. 2050 c.c. laddove non si provi che siano stati adottati tutti gli accorgimenti idonei ad evitare l’inquinamento dei corsi d’acqua.
Quanto, infine, alle connessioni con la normativa sulla tutela delle acque dall’inquinamento e sulla gestione dei rifiuti:
a) Il danno all’ambiente è ristorabile anche ai sensi degli artt. 2043 e 2050 c.c. trattandosi di danno patrimoniale ancorché afferente beni non aventi un valore di mercato in quanto facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato, con la possibilità di riconoscere anche il danno da lucro cessante, con la conseguenza che i responsabili sono tenuti in solido al pagamento del debito ex art. 2055 c.c. (a meno che tale risarcimento non venga richiesto solo in via alternativa all’accoglimento della domanda ex art. 18 della legge 349/1986).
b) La miscelazione di acque di processo e di acque di raffreddamento allo scopo di rendere lo scarico dell’impianto industriale conforme ai limiti di legge, con la possibilità di eseguire controlli sullo scarico solo a valle di tale miscelazione, costituisce violazione dell’art. 9 della legge 10 maggio 1976, n. 319 sul divieto di diluizione, per cui il conseguente danno all’ambiente integra la fattispecie di cui all’art. 18 della legge 349/1986.
Sulla base della disciplina attuale, le acque contaminate da DDT non possono essere considerate un rifiuto tossico nocivo, per cui in caso di illecito sversamento nell’ambiente trova applicazione la disciplina sanzionatoria in materia di tutela delle acque dall’inquinamento e non quella in materia di gestione dei rifiuti.
Massime sui profili processuali
Massime concernenti il danno ambientale
Massime sui rapporti fra la disciplina sul danno all'ambiente e l'art. 2043 c.c. e la normativa sulla tutela delle acque e sulla gestione dei rifiuti
Massime sui rapporti fra la disciplina sul danno all'ambiente e l'art. 2043 c.c. e la normativa sulla tutela delle acque e sulla gestione dei rifiuti