Diritti dell’uomo e libertà fondamentali: l’Affaire Giacomelli (2)

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(segue da)

Se la minaccia è grave, questa può privare una persona del suo diritto perché le impedisce di godere del suo domicilio, anche a prescindere dall’esistenza di un pericolo grave per la salute dell’interessato, come avvenuto, fra gli altri, nei casi riguardanti:
  • il rumore provocato dagli aeroplani dell’aeroporto di Heathrow, che aveva diminuito la qualità della vita provata e i piaceri della casa di ciascun ricorrente (causa Powell et Rayner c. Royaume-Uni);
  • l’inquinamento da rumori e odori di un impianto di depurazione (causa López Ostra c. Espagne), nel quale la Corte ha stimato che “i pregiudizi gravi all’ambiente possono ledere il benessere di una persona e privarla del godimento del suo domicilio in maniera da nuocere alla sua vita privata e familiare, senza peraltro mettere in grave pericolo la salute dell’interessato”.
Per verificare se vi è stata una violazione da parte dello Stato dell’art. in questione, occorre valutare se sia stato perseguito il giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti della collettività e quelli del singolo.
La Corte – cui spetta verificare che il processo decisionale sfociante su delle misure di ingerenza sia equo e rispetti doverosamente gli interessi – prosegue elencando gli element
i procedurali da prendere in considerazione (realizzazione di indagini e studi appropriati; accesso al pubblico a questi studi oltre che alle informazioni; possibilità di presentare ricorso per gli individui coinvolti), e ha accertato che:
  • le autorizzazioni rilasciate in relazione all’impianto di inertizzazione non erano state precedute da uno studio appropriato (la procedura di valutazione di impatto ambientale, infatti, si è conclusa soltanto nel 2004, dopo circa quattordici anni dall’inizio dell’attività dell’impianto);
  • la ricorrente non ha potuto contare su adeguate garanzie procedurali e processuali (l’Amministrazione, infatti, oltre ad avere violato le disposizioni nazionali in materia di Valutazione d'impatto ambientale, non ha eseguito due sentenze amministrative, che avevano disposto la sospensione dell’attività dell’impianto.
In definitiva,
«nonostante il margine di apprezzamento riconosciuto allo Stato convenuto, questi non ha saputo ricercare un giusto equilibrio tra gli interessi della collettività di disporre di un impianto di trattamento dei rifiuti industriali tossici e il godimento effettivo per la ricorrente al rispetto del suo domicilio e della sua vita privata e familiare».
Nel caso in esame, la violazione del diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione è avvenuta in conseguenza della protratta inazione dell’amministrazione, che al mero impegno negativo di astenersi da ingerenze arbitrarie, è positivamente obbligata all’effettivo rispetto della vita privata e familiare.

Si configura, pertanto, una violazione dell’art. 8 in tutte le ipotesi in cui le autorita` nazionali non abbiano provveduto, come nella specie, ad assicurare la tutela dei diritti protetti da tale disposizione della Convenzione.

(continua)




Diritti dell’uomo e libertà fondamentali: l’Affaire Giacomelli

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Oggi inauguro una serie di post dedicati ad un argomento interessante: l’affaire Giacomelli, relativo ad una fattispecie riguardante il rumore persistente ed le emissioni nocive generati da impianto di stoccaggio e trattamento di “rifiuti speciali” classificati come pericolosi e non pericolosi, situato a trenta metri da una privata abitazione.

I primi due post riguardano la sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomoCausa Giacomelli contro Italia, ricorso n. 59909/00). Sez. III sent. 2 novembre 2006.


La causa trae origine dal ricorso che, nel lontano 1998, la signora Giacomelli
presentò alla Commissione europea dei Diritti dell’Uomo ai sensi dell’articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali.

La ricorrente – che dal 1950 abita in una casa situata nei dintorni di Brescia, a 30 metri da un impianto di stoccaggio e trattamento di “rifiuti speciali” classificati come pericolosi e non pericolosi (gestito dalla Ecoservizi) – si lamentava, in estrema sintesi, della violazione del suo diritto al rispetto del suo domicilio e della sua vita privata garantiti dall’articolo 8 della Convenzione.

Per la ricostruzione in fatto della lunga e complessa vicenda che, dopo l’autorizzazione alla inertizzazione dei rifiuti industriali, ha visto susseguirsi ben tre procedure giudiziarie, e nella quale si evidenziano i passaggi fondamentali delle procedure di impatto ambientale condotte dal Ministero dell’Ambiente, si rimanda alla lettura del testo integrale della sentenza, che potete leggere sul sito di Lexambiente.

I questa sede, vorrei mettere in evidenza la decisione adottata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo.

La sentenza ha ravvisato, nella specie, la violazione da parte dello Stato Italiano, dell’art. 8, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Prima di proseguire, occorre sottolineare che la Corte europea dei diritti dell’Uomo non contiene disposizioni finalizzate alla salvaguardia dell’ambiente: tuttavia, a partire dagli anni ’70, l’accresciuta sensibilità sociale per le questioni ambientali ha determinato il riconoscimento di un interesse alla protezione dell’ambiente,
«tutelabile attraverso i diritti garantiti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo»: in tal modo è stata perseguita una tutela ambientale anticipata, rendendo possibile «un intervento prima che lo stato dell’ambiente circostante l’individuo sia così degenerato da mettere in pericolo la sopravvivenza di quest’ultimo: indirettamente, per questa via, si rende possibile preservare forme più gravi e irrimediabili di inquinamento ».
Tale principio viene sostanzialmente ribadito anche nella pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo del 2 novembre 2006, che ha affermato che
le minacce al diritto al rispetto del domicilio non riguardano solamente i pregiudizi materiali o corporali, quali l’intromissione nel domicilio di una persona non autorizzata, ma anche i pregiudizi immateriali e incorporei, come i rumori, le emissioni, gli odori e altre ingerenze.



Rigenerazione oli usati: è bello ogni tanto essere i primi della classe

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Un esempio di come anche nel paese del gattopardo le cose possano funzionare. Basta volerlo

Nel post “Dai bulloni alla teoria dei sistemi aperti”, Naide chiosava dicendo che
apportando alcuni correttivi alla filiera di produzione (ad esempio, utilizzando materiali organici in alcune fasi della lavorazione) si fa in modo che gli scarti prodotti siano a loro volta scomponibili ed utilizzabili come materie prime per altre produzioni.

Nella puntata di Report del 09 marzo 2008, dopo aver parlato del drammatico problema relativo al fatto che, purtroppo, spesso le emergenze ambientali vengono utilizzate come ammortizzatori sociali si è accennato a una buona notizia in questo senso, che vede l’Italia in prima fila, una volta ogni tanto: mi riferisco alla storia di un particolare tipo di rifiuto pericoloso, l’olio lubrificante usato, che può diventare, se opportunamente trattato, un prodotto base per olii lubrificanti nuovi di zecca.

La storia – sottolinea Giuliano Marrucci – “di come sia possibile che questo paese, che ai suoi rifiuti non sa mai che fine fargli fare, in questo gioco di prestigio sia un passo avanti a tutti”.

La Viscolube rigenera l’olio lubrificante usato, un inquinante pericolosissimo, che contiene sostanze tossiche formatesi durante il suo utilizzo e ha una capacità di penetrazione del sottosuolo e, per questo, inquina le falde più profonde.

L’olio esausto, pertanto, deve essere raccolto e recuperato.

Come?
Attraverso 76 imprese private concessionarie del Consorzio Obbligatorio Oli Usati, che in un anno ritirano qualcosa come 250.000 tonnellate di olio esausto, recuperato per il 90%.

Il risultato?
Dalla rigenerazione si ottengono gasolio, bitume, metalli preziosi.

E non si brucia niente: insomma, si risparmiano materie prime, e non si inquina.

L’unico neo riguarda il fatto che viene dato poco risalto a questo tipo di attività: infatti, quando andiamo al supermercato di oli con su scritto “prodotti da basi rigenerate” non c’è traccia.

Un’ultima annotazione: a differenza di altri settori, l’Italia – insieme al Lussemburgo – con l’Europa a 15 è stata l’unico paese a non essere condannata dalla corte europea del Lussemburgo per non aver rispettato la priorità alla rigenerazione sancita dalla direttiva 75.
Tutti gli altri paesi invece hanno ricevuto questa condanna.
È bello ogni tanto essere i primi della classe, significa che quando parte col piede giusto anche questo disastrato paese qualche speranza c’è, e non solo riguardo ai rifiuti…
Ora, siccome il resto d’Europa non è ancora riuscito a trovare una risposta giusta a questo tipo di rifiuto, cosa stanno pensando: stanno pensando di eliminare l’obbligo per gli stati membri di rigenerare l’olio usato. Speriamo che, prima di gettare la spugna, ci prendano come esempio…almeno in questo.


T.A.R. Friuli V.G. n. 386/08

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La sentenza che vi propongo oggi (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, n.386/2008) riguarda una vicenda che vede protagonista il Consorzio Depurazione Laguna di San Giorgio di Nogaro, titolare di un impianto di depurazione, realizzato allo scopo di risolvere i fenomeni di degradazione dell’ambiente lagunare causati dagli insediamenti industriali.

In estrema sintesi, le vicende che hanno caratterizzato l’impianto sono:
  • dal 1996 al 2000 l’impianto ha trattato acque reflue industriali e domestiche urbane, e rifiuti liquidi - assimilabili a domestici - conferiti su gomma;
  • dal 2000 al 2002 è stata posta in esercizio una sezione di trattamento di ossidazione chimica - processo FENTON - per il pretrattamento dei reflui industriali a bassa biodegradabilità;
  • dopo il 2002, a seguito della cessazione della sezione di ossidazione chimica e del sequestro giudiziario disposto nel febbraio 2003, sono stati trattati gli stessi reflui del primo periodo, ad eccezione dei rifiuti liquidi).
Come potrete notare, la vicenda è lunga è alquanto complessa: per chi volesse approfondirla, rimando al testo integrale della sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia n. 386 del 2008

In questa sede riporto le massime della sentenza
La definizione di “acqua marina costiera” di cui all’All.1 alla parte III del Testo Unico Ambientale (riferito ai corpi idrici significativi), per la sua specialità prevale sulla definizione generale di “acqua costiera” di cui all’art. 74.
(Nella specie, le acque costiere dell’Adriatico, comprese entro la distanza di 3.000 metri dalla costa e, comunque, entro la batimetrica di 50 metri, sono classificabili sia come aree sensibili ex art. 91 del D.Lgs n. 152/2006, sia come acque significative ai sensi del sopra citato All. 1 alla parte terza).

L’accertato superamento dei valori limite, rilevato nel punto di emissione, è sufficiente a consentire alla Provincia, in applicazione dell’art. 108, comma 2, del Testo Unico Ambientale di imporre limiti più restrittivi di quelli di cui all’all. 5, richiamato dall’art. 101.
E invero, a consentire l’esercizio di tale facoltà, è sufficiente l’accertamento dello sversamento nelle acque di sostanze pericolose, a prescindere dall’esistenza o meno di un Piano di Tutela delle Acque.
Il “limite più restrittivo” imposto è rimesso al prudente apprezzamento dell’Amministrazione in relazione alla situazione fattuale dell’impianto e allo stato dell’inquinamento e non può essere contestato se non per macroscopica irragionevolezza.
(Nella specie, le relazioni in atti avevano evidenziato che i valori di cadmio e stagno, rilevati nel punto di emissione, erano superiori ai limiti consentiti; il che – ha sottolineato il TAR Friuli Venezia Giulia – ha creato una situazione, ancorché forse non “drammatica o pericolosa”, sicuramente di grave rischio. Per tali motivi il Giudice ha ritenuto legittima l’imposizione, da parte della Provincia, di limiti più restrittivi di quelli di cui all’all. 5, richiamato dall’art. 101)

L’art. 124 del Testo Unico Ambientale pone espressamente a carico del richiedente “le spese occorrenti per l'effettuazione di rilievi, accertamenti, controlli e sopralluoghi necessari per l'istruttoria delle domande di autorizzazione allo scarico previste dalla parte terza del presente decreto”, ma non anche quelle relative ai controlli periodici sullo stato ecologico del ricettore.
Infatti, l’art. 128 riserva all’“autorità competente” l’effettuazione (e, quindi, anche i costi) del “controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli”.
Attività, questa, il cui onere finanziario - stante la finalità pubblica che la contraddistingue - non può essere senz’altro e totalmente addossato all’interessato (ma che ben può essere ripartito, sulla scorta di apposite convenzioni).
(Nella specie, il TAR del Friuli Venezia Giulia ha ritenuto fondati, in parte qua, i motivi di doglianza del Consorzio, che aveva evidenziato l’illegittimità delle prescrizione con le quali la Provincia aveva imposto al Consorzio di effettuare una valutazione dello stato ecologico del ricettore per quanto concerne la qualità biologica, chimico-fisica e idromorfologica, e di trasmettere i relativi dati alla Provincia e all’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, con accollo dei relativi costi).

La registrazione quotidiana della quantità di fanghi prodotta, a tenore delle disposizioni sui rifiuti, va ovviamente riferita al rifiuto vero e proprio, cioè al residuo di lavorazione inutilizzabile e non più soggetto ad alcun trattamento, che deve effettivamente essere eliminato. Sicchè non è ragionevole imporre l’obbligo di registrazione in una fase intermedia del ciclo di trattamento dei fanghi.
(Nella specie, il TAR Friuli Venezia Giulia ha ritenuto non ragionevole l’imposizione, da parte della Provincia, dell’obbligo di registrazione quotidiana delle quantità di fanghi provenienti dalla nastropressa, in una fase, cioè, intermedia – e non finale – del ciclo di trattamento dei fanghi).


Tentativi di eco-condotta & SOS Tata

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Dai Tentativi di Eco – condotta di Cristina Gabetti a SOS Tata

Qualche giorno fa avevo letto un servizio su Cristina Gabetti a proposito del suo nuovo libro: Tentativi di eco condotta, ed ho pensato che ne avrei scritto una recensione per questa rubrica.

Martedì sera però è arrivata una folgorazione davanti alla TV sintonizzata su La 7. Trasmettevano l’ennesima replica di SOS Tata, programma cult delle trentenni di oggi che prima o poi sforneranno dei pargoli.

Ebbene, ho scoperto che l’eco – condotta di cui parla la Gabetti e la buona cura ed educazione dei figli hanno molto in comune.
Se tieni lontani i tuoi bambini dalla TV o dai centri commerciali e invece li porti al parco o in campagna sta meglio l’ambiente (meno energia consumata, meno consumismo sfrenato), tu ti godi i tuoi bambini e loro sono felici e attivi.

Questo è un po’ anche il messaggio di SOS Tata. Per chi non lo conoscesse, si tratta di un mini – reality in cui una tata esperta cerca di riportare equilibrio e serenità in famiglie caotiche.

Il pregio del libro della Gabetti è quello di spiegarci quali sono i comportamenti auspicabili per difendere l’ambiente dandoci tutti gli strumenti e le informazioni per cominciare a farlo.
Lo sfondo è costituito dal racconto di concreti stili di vita, descritti con spirito comprensivo ma non indulgente.
Mostrando cioè come ci comportiamo davvero quando ci sentiamo pigri, indifferenti, distratti o ingordi, e quanto danno facciamo all’ambiente, la sig. ra Gabetti ci parla dandoci del tu rammentandoci che, oltre a chiudere i rubinetti, le luci, e le spie degli elettrodomestici, tante sono le pratiche che possiamo adottare per migliorare la nostra salute e quella dell’ambiente.

Il testo propone moltissimi riferimenti a siti web dove trovare le informazioni sulla banca del tempo, i gruppi di acquisto, la ricerca dei punti di distribuzione della spesa alla spina, dove acquistare e scambiare gli abiti di fibre naturali e non trattati, gli studi e le ultime ricerche in campo ambientale.

Un libro scorrevole e, soprattutto, niente affatto noioso che, anziché riproporre il teatrino mediatico, dove l’allarmismo riferito all’ambiente si alterna all’assenza completa di questo argomento dai palinsesti, ci dice con semplicità che tutto è nelle nostre mani, che per dare concretezza alle risoluzioni dei governi occorrono milioni di buone pratiche, l’eco condotta appunto.

I tentativi di eco – condotta rappresentano una piccola grande rivoluzione culturale, la chiave di volta per entrare con consapevolezza nel presente.
La Gabetti ce lo dice in tutte le salse: mettiamoci in testa che l’eco – condotta non solo fa bene all’ambiente ma anche a noi che la pratichiamo rendendoci più soddisfatti e felici.

Il programma di La7 ci mostra invece che il sottofondo continuo della TV o della play station, la smania di acquistare e di mangiare a qualsiasi ora rende i bambini depressi e infelici.
La tata entra in queste famiglie rumorose e tristi per ricordare che vi sono ritmi da rispettare, che per comunicare occorre non essere distratti da mille luci e suoni, che fa bene passare del tempo insieme a giocare e all’aria aperta. E come per miracolo genitori tristi e stressati con bambini capricciosi e viziati ritrovano la serenità, la felicità.

Leggere il libro della Gabetti e guardare la tata all’opera ci ricorda quanto è bello non ascoltare i disfattisti, quelli che dicono che fare la differenziata non serve perché poi in discarica viene riunito tutto, quelli che ci dicono che i figli sono solo fonte di preoccupazioni e responsabilità…

Naide Della Pelle






Scarichi indiretti e rifiuti liquidi

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Il Tribunale di Macerata - Sezione distaccata di Civitanova Marche, con sentenza del 27 ottobre 2006, affermava la responsabilità penale del Sig. Benedetti Goffredo in ordine al reato di cui all’art. 51, 1° comma, del Decreto Ronchi D.Lgs. 5 febbraio per avere – quale imprenditore individuale esercente attività di autolavaggio - effettuato lo stoccaggio non autorizzato, in vasche di decantazione, di rifiuti speciali non pericolosi consistenti in fanghi da autolavaggio derivanti dalla depurazione dei reflui.

Nel ricorso per Cassazione presentato dal Benedetti, la difesa deduceva la violazione di legge, in quanto non si sarebbe dovuto applicare nella specie la disciplina dei rifiuti liquidi, bensì quella degli scarichi, poiché le acque provenienti dall’autolavaggio andavano a defluire direttamente nelle vasche di decantazione.

La Cassazione ha respinto il ricorso, evidenziando che – in relazione al problema del coordinamento della disciplina dei “rifiuti” con quella degli “scarichi” – anteriormente all’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale la giurisprudenza costante della stessa Corte ha affermato che

la distinzione tra “acque di scarico” e “rifiuti liquidi” non va ricercata nelle caratteristiche della sostanza, bensì nella diversa fase del suo processo di trattamento,
sicché ha costantemente enunciato che nella disciplina delle acque rientra unicamente la fase dello “scarico”, cioè della immissione diretta nel corpo ricettore.

Diversamente, ogni altro sversamento rientra nel concetto di “rifiuto”: nozione, quest’ultima, destinata a ricomprendere “l’immissione di reflui non effettuata attraverso un sistema canalizzato di raccolta e di scarico”.

In definitiva, le violazioni in materia di scarico trovano applicazione soltanto se il recapito dei reflui nel corpo ricettore sia “diretto”.
Se, al contrario, presenta momenti di soluzione di continuità (ed è questo il caso dello scarico dei reflui in vasche e del successivo trasporto in altro luogo tramite autobotte), si è in presenza di un rifiuto-liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato.

Richiamata questa costante giurisprudenza, la Cassazione evidenzia che

qualche incertezza può sorgere in seguito alla nuova definizione di “scarico”, introdotta dall’art. 74, 1° comma – lett. ff), del Testo Unico Ambientale, ove non è più previsto che la immissione di acque reflue debba essere “diretta tramite condotta” e non sono più specificate le varie tipologie di scarichi (acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili), pur continuando l’art. 185 del D.Lgs. n. 152/2006 a disporre, comunque, che “non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto: ... b) gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi contenuti in acque reflue” (l’art. 8, comma i - lett. e, del DLgs. n. 22/1997 faceva riferimento, invece, ai “rifiuti allo stato liquido”).
Tuttavia, questo apparente ostacolo letterale è già stato affrontato dal Giudice di legittimità, che ha affermato che, anche dopo l’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale, integra “scarico” in senso giuridico qualsiasi sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza - senza soluzione di continuità, artificiale o meno - i reflui dal luogo di produzione al corpo recettore.

In conclusione, nonostante i difetti di chiarezza e di coordinamento delle nuove disposizioni normative, deve continuare a ritenersi che i cd. “scarichi indiretti”, cioè quelli che non raggiungono immediatamente un corpo ricettore o un impianto di depurazione, continuino ad essere disciplinati dalla normativa sui rifiuti ed invero, qualora il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è interrotto, viene meno lo scarico per fare posto allo smaltimento del rifiuto liquido.

Lo stoccaggio di fanghi, conclude la Corte, è operazione ben diversa dallo scarico finale: nella caso di specie, il giudice del merito ha accertato in punto di fatto che nelle vasche di decantazione dell’azienda erano depositati fanghi decantati non smaltiti per una quantità complessiva di circa 50 quintali e che l’ultimo smaltimento risaliva all’anno 2002.

Cassazione Penale, Sez. III, sent. n. 6417 dell’11 febbraio 2008, Ric. Benedetti

Per un approfondimento, leggi l'articolo: "Acque reflue convogliate a impatto depurativo: scarico o rifiuto?", di commento alla sentenza del T.A.R. VENETO, Sez. III – 26 gennaio 2005, n. 248, pubblicata sul sito di Giuristi ambientali.



Economia sostenibile: in Francia ci provano

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L’economia può essere (ri)orientata in modo sostenibile: in Francia il ministro dell’Ambiente Jean Luois Borloo ha deciso di proporre quella che qualcuno ha già ribattezzato “tassa picnic”…

L’idea è quella di “tassare” tutti i prodotti usa e getta (quelli di cui fanno incetta la grande distribuzione e i fast food, tanto per intenderci), per il fatto che, dal punto di vista ambientale, il loro utilizzo ha un costo decisamente superiore rispetto ai prodotti riutilizzabili

Così tutti i vari tipi di imballaggi, gli imballaggi degli imballaggi, le posate di plastica e via discorrendo diventerebbero meno “comodi”, meno accattivanti, e il grido d’assalto del consumismo fine a se stesso, destinato unicamente a vendere vendere vendere (ripetuto come un mantra, come faceva la Sandrelli in “Non ci resta che piangere”…) si smorzerebbe un po’…

In questo modo si riesce, da un lato, ad educare ecologicamente il cittadino e, dall’altro, a coprire, almeno in parte, i costi legati alla raccolta differenziata e del recupero.

Staremo a vedere se come e quando questa tassa verrà varata (ed applicata…): ma si tratta di un buon punto di partenza, innanzitutto perché si muove per riportare il cittadino nell’alveo di comportamenti più ecosostenibili (sensibilizzandolo all’utilizzo di prodotti riutilizzabili) e, in secondo luogo, perché costringe i colossi del consumismo sfrenato a correggere il tiro, rivedendo politiche dannose per l’ambiente (adottando, ad esempio, sulla scia dei comportamenti eco sostenibili dei consumatori consapevolizzati). Un’idea, insomma, nel senso della sostenibilità, che segue altre iniziative del Governo francese: il bonus malus ecologico per determinate categorie di rifiuti (frigoriferi, scooter, pneumatici, computer, televisori,…); la campagna di sensibilizzazione negli asili per convincere i genitori della bontà dell’utilizzo dei pannolini lavabili in luogo di quelli usa e getta (portata avanti dal sottosegretario all’ambiente Nathalie Kosciusko-Morizet); la tassa sul passaggio dei mezzi pesanti; i prestiti a tasso zero per le aziende verd; gli sgravi fiscali a favore dei cittadini che intendono ristrutturare le proprie abitazioni utilizzando tecnologie volte al risparmio energetico, fino alla discussa tassa sull’obesità, che ha creato più di qualche malumore in aziende che adottano slogan pubblicitari tanti seducenti quanto poco aferenti alla realtà...

Mai sentito parlare di Greenwashing?



Coke da petrolio e rifiuto a confronto

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Continuando la rassegna di giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee in materia di nozione di rifiuto, è la volta di analizzare, in breve, l’ordinanza “Saetti e Frediani del 15 gennaio 2004, cui avevo accennato in un post precedente.

La vicenda nasce dall’ordinanza con la quale il 19 giugno 2002 il GIP presso il Tribunale di Gela ha sottoposto alla Corte ben quattro questioni pregiudiziali in materia di rifiuti.

Ma procediamo con ordine.

La perizia tecnica effettuata nello stabilimento della raffineria di petrolio di Gelacoke da petrolio, risultante dalla raffinazione del petrolio grezzo, come combustibile per la centrale di cogenerazione di vapore e di elettricità. – disposta dal PM presso il Tribunale di Gela in seguito ad una serie di denunce – ha accertato che la raffineria utilizzava il coke da petrolio, risultante dalla raffinazione del petrolio grezzo, come combustibile per la centrale di cogenerazione di vapore ed elettricità.

Il pubblico ministero ha ritenuto che il coke da petrolio costituisse un rifiuto soggetto al decreto legislativo n. 22/97…

Poiché questo era depositato ed utilizzato senza l'autorizzazione amministrativa prescritta dal Decreto Ronchi, il PM ha accusato i sigg. Saetti e Freudiani – direttore ed ex direttore della raffineria di petrolio di Gela gestita dall'AGIP Petroli SpA – del reato di inosservanza delle prescrizioni relative a tale autorizzazione.

Inoltre, il pubblico ministero ha ottenuto dal Giudice per le indagini preliminari il sequestro dei due depositi di coke da petrolio che alimentano la centrale di cogenerazione della raffineria (sequestro cui è stato posto fine in seguito all’entrata in vigore del decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, il quale ha previsto che l'utilizzo del coke da petrolio è autorizzato, se ricorrono determinate condizioni).

IL GIP, dopo la conversione in legge del cit. decreto legge, continuava a ritenere che il coke da petrolio costituisse un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442 e che, in assenza di una normativa comunitaria relativa al coke da petrolio, le autorità nazionali non potessero escluderlo dal campo di applicazione del decreto legislativo Ronchi.

Alla luce di queste circostanze il Giudice per le indagini preliminari decideva, quindi, di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
  1. Il coke da petrolio rientra nella nozione di rifiuto fornita dall'art. 1 della direttiva 75/442?
  2. Il suo utilizzo come combustibile costituisce attività di recupero a norma dell'art. 1 della stessa direttiva?
  3. Il coke da petrolio, utilizzato come combustibile per uso produttivo, rientra tra le categorie di rifiuti escludibili da uno Stato membro dall'applicazione della normativa comunitaria sui rifiuti, previa specifica regolamentazione a norma dell'art. 2 della direttiva 75/442?
  4. Infine, la sua utilizzabilità nel luogo di produzione, anche nei processi di combustione mirati a produrre energia elettrica o termica con finalità non funzionali ai processi propri della raffineria, purché le emissioni rientrino nei limiti stabiliti dalle disposizioni in materia, rappresenta una misura necessaria e sufficiente per assicurare che tale rifiuto sia recuperato senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti e metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente?
Rinviando al testo integrale dell'ordinanza l’approfondimento dell’iter logico seguito dalla Corte di Giustizia, in questa sede è sufficiente riportare la massima, con la quale il Giudice comunitario ha stabilito che
il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE.


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Wikia Green: la comunità ecoBlogica

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L’ideatore di Wikia Green – Jimmi Wales, co-fondatore di Wikipedia – ci tiene a sottolineare che lo scopo di Green Wikia è quello di "creare una community ambientale dinamica e flessibile, in grado di coprire le tematiche ambientali reperibili sui blog ecologici […]
Stiamo realizzando la migliore risorsa per gli abitanti della Terra affinché conoscano l'ambiente e imparino come vivere una vita più sostenibile".

Il risultato di questo progetto – nato in seguito ad una conversazione con Al Gore, l’ex vicepresidente degli Stati Uniti – consiste in una piattaforma ecologista, incentrata sulle tematiche ambientali e i diversi aspetti del vivere sostenibile.

Wikia Green possiede una suddivisione in canali e aree a tema, l'elenco dei servizi disponibili compreso un “green glossary” per termini complessi ed è integrata con video e mappe.
Ma oltre a ciò, Green Wikia cerca di coinvolgere l'utente in azioni concrete che possano essere facilmente applicabili alla vita quotidiana e che promuovano uno stile più sostenibile.
“Alla luce della crisi climatica e delle altre sfide ecologiche che ci si pongono innanzi – si legge sul sito di Green Wikia, così come riportato da “La Repubblica” – le persone stanno iniziando ad essere più consapevoli dei problemi ambientali e a intraprendere azioni che attenuino il loro impatto. Tuttavia, conoscere l'ambiente può essere spesso complicato e fonte di confusione.
La visione in materia di ambiente, si sa, non è mai univoca (basti pensare alla questione dei biocarburanti) e all’interno dell’eco-inciclopedia si possono ritrovare le diverse posizioni di attivisti, governi, società, gruppi di consulenza e no-profit, (solo per citarne alcune) ognuna con il proprio punto di vista. Per questo uno spazio particolarmente importante è quello del Village Pump, in cui la comunità che ruota attorno al portale ha la possibilità di avviare spazi di discussione e organizzazione di iniziative e nuovi servizi. Ora non ci resta che aspettare la versione italiana"
Da marzo 2008, data dell’attivazione (guarda a caso lo stesso mese dello stesso anno in cui è nata Natura Giuridica) sono stati pubblicati 650 articoli: pochi, per il momento, ma, così come è successo per Wikipedia, credo che il numero degli articoli crescerà a livello esponenziale, e Wikia Green diventerà uno dei punti di riferimento del panorama ecologico sul web.


Lo scopo di Natura Giuridica – che è un ecoBlogico di InFormazione, comunicazione e diritto ambientale – è quello di diffondere e condividere informazione e comunicazione ambientale approfondita, comprensibile e imparziale.
Come dice il nome stesso, Natura Giuridica si propone di trovare un dialogo equilibrato fra le esigenze della natura, dell’ambiente, dell’ecologia, da un lato, e quelle della “legge dell’uomo”, dall’altro.

Per questo darò anch’io il mio contributo, perché, anche attraverso Wikia Green, i contenuti del blog Natura Giuridica possano avere la maggior diffusione possibile, e contribuire così all’acquisizione di una maggiore informazione ambientale e, quindi, una migliore consapevolezza di ciò che siamo in grado e dobbiamo fare per difendere l’ambiente in cui viviamo.



Dai bulloni alla teoria dei sistemi aperti

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Finora gli scarti dei processi industriali sono stati considerati come qualcosa di scarso valore rispetto al prodotto, o di fortemente inquinato, di cui liberarsi nel modo più rapido e meno dispendioso possibile.

Oggi invece il modo di rapportarsi all’ambiente e ai processi produttivi cambia radicalmente: se nel passato recente si è cercato di ridurre l’impatto delle attività umane sull’ecosistema ponendo come obiettivo l’impatto zero (non peggiorare lo status quo già gravemente compromesso), è possibile, oggi, ripensare le produzioni, in modo da rispecchiare i principi di metabolizzazione della natura, da non produrre scarti e tendere, anzi, a migliorare la salute del pianeta.

Nella società moderna il livello di stress è giunto a livelli tali che per fermarci a pensare non sono più sufficienti le vacanze estive: occorre associarle ad un malanno “interrompi–vacanze”.

Ci hanno “insegnato” che sotto l’ombrellone il cellulare non va spento, e che il massimo che ci si può concedere è un rotocalco, un libro giallo o una granita.

L’infermità, invece, ci costringe a mettere in moto il cervello…


E così, in un noiosissimo pomeriggio estivo, in cui mi è proibito godere del sole e del mare, mi imbatto in un articolo interessante: “L’ecologia del processo”.

L’inizio è duro da digerire, mi sembra di tornare indietro negli anni a quando leggevo i periodi, spesso incomprensibilmente tradotti, del signor Luhman, insigne esponente della teoria dei sistemi.

Tuttavia, il linguaggio chiaro e, soprattutto, il ricorso agli esempi, mi facilita la lettura.

La teoria dei sistemi aperti trova una rivoluzionaria applicazione nei processi industriali: una frase criptica, da manuale di educazione tecnica, uno di quei libri di testo da cui tutti scappavamo non appena suonata l’ultima campanella di giugno.

In realtà, la frase sintetizza un passaggio direi epocale del processo di bilanciamento tra esigenze economiche e sociali e tutela dell’ambiente che può essere spiegato con un semplice esempio: oggi, per produrre dei bulloni in modo intelligente – risparmiando sui costi di produzione e guadagnando con la commercializzazione degli scarti – occorre ripensare al processo di approvvigionamento delle materie prime e alla produzione degli scarti di lavorazione.

Apportando alcuni correttivi alla filiera di produzione (ad esempio, utilizzando materiali organici in alcune fasi della lavorazione) si fa in modo che gli scarti prodotti siano a loro volta scomponibili ed utilizzabili come materie prime per altre produzioni.

E così, a chi produce bulloni conviene espandere la propria conoscenza ad altri processi produttivi (come la realizzazione di componenti per l’industria ottica…) se non vuole perdere una ghiotta occasione di guadagno.

Naide Della Pelle

L’ecologia del processo
: Come ripensare le produzioni in modo che gli scarti della lavorazione diventino materie per altri articoli


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Recoplastica del dopo meeting: se non ci assecondano, scendiamo in campo

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Nel post Recoplastica: bene ma non esageriamo paventavo il rischio di una strumentalizzazione politica dell’“affaire Recoplastica”, e concludevo con plauso al progetto, con l’invito a non esagerare con il rappresentare una realtà che non esiste, (la presunta quanto miracolosa risoluzione dell'emergenza campana) e con il finirla con i messaggi di occulta propaganda politica che sfruttano la eco che ha avuto a livello mediatico un progetto condivisibile negli intenti.

Insomma: guai a esasperare i toni, rischiando di banalizzare la delicata questione relativa al recupero dei rifiuti semplificandola con discorsi fin troppo semplici e semplicistici - l’immagine del vecchietto che tira avanti grazie agli aiuti della Recoplastica può far sicuramente colpo, da un punto di vista mediatico, ma un conto è fare marketing, altro è supportare un’idea, per quanto valida, con un progetto serio e solido, da contestualizzare nelle regole - e meritevoli di un ben altro approfondimento, e riducendola ad una contrapposizione fra i buoni(Recoplastica, che vuole comprare i rifiuti) e cattivi (una particolare categoria di politici, quelli di centro sinistra, che ostacolerebbero il progetto…).

Volevo andare al meeting di Moncalieri per cercare di capirne qualcosa di più…
Non ci sono riuscito perché, pare, le domande di partecipazione superavano di gran lunga le possibilità di accoglienza…

Chi c’è andato, però, a quanto pare, non è stato entusiasta di quanto sentito…
Movimento Impatto Zero, infatti, sottolinea che
Roberto Gravinese assessore eletto nella lista civica di S. Gillio "L'Italia che pensa", consigliere di Recoplastica, nonchè padre spirituale dell'iniziativa […] apparso in perfetto stile business rampante, sembrava appena uscito fresco da un corso di marketing di Publitalia. Avventuratosi in discorsi un po’ urlati, arte evidentemente affinata dalla militanza politica, forniva più l'impressione che stesse vendendo la propria azienda anzichè proporre un progetto…
Scendendo nel dettaglio, il MIZ racconta con dovizia di particolari l’assoluta mancanza di dati relativi alla fattibilità economica del progetto, e il tentativo velleitario di addossare, in qualche modo, le colpe al sistema del porta a porta, senza tralasciare di mettere in evidenzia il rischio che gli ecopunto, se non applicati al porta a porta e ad altre azioni per ridurre il rifiuto a monte
potrebbero fungere anche da incentivo per la maggiore produzione del rifiuto stesso.
Non manca anche un riferimento al mio post del 9 settembre (Recoplastica: bene, ma non esageriamo), e al pericolo di strumentalizzazione politica:
per il centro-destra sarebbe la ricetta ideale per nascondere la soluzione del problemi legati allo smaltimento dei rifiuti: l'iniziativa privata, che puntualmente risolve ogni cosa, tanto più se si prevede da parte del governo un riassetto dei consorzi obbligatori di riciclo. Credo che la fretta con cui è stato organizzato il meeting si spieghi con l'esigenza di ottenere una risonanza mediatica, ovvero pubblicitaria.
Chi volesse leggere per intero l’interessante post di MIZ, clicchi qui: Meeting Recoplastica: the day after.
Che la strumentalizzazione politica fosse più che un dubbio personale lo dimostrano anche le parole (con venature “vetero-populiste”) con cui Gravinese spiega che
Il rifiuto è di proprietà dei cittadini che l’hanno comprato […] Credo sia giusto che siano proprio i cittadini a ricapitalizzarlo direttamente in modo efficiente ed eccellente
Non vogliamo che l’iniziativa venga strumentalizzata politicamente, ma nel caso in cui dovessero esserci rimostranze da parte delle amministrazioni comunali, i 320 negozi aperti in franchising diventeranno altrettante sedi di partito, “L’Italia che pensa”, di cui sono segretario nazionale”. L’Italia che pensa è un movimento politico costituitosi a Moncalieri lo scorso 5 giugno.
Appunto…



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TAR Lecce 59/08: energia elettrica da combustibili non convenzionali, compatibilità ambientale, VIA

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Il Comune di Manduria impugnava una determina del Dirigente del settore ecologia della Regione Puglia, con il quale era stato espresso parere favorevole circa la compatibilità ambientale dell’impianto di produzione di energia elettrica da biomasse, rifiuti non pericolosi e C.D.R., nel territorio del Comune stesso.
Il progetto, in estrema sintesi, prevede la realizzazione di un impianto di energia elettrica da combustibili non tradizionali, di potenzialità pari a 12,2 MW.
In seguito all’emanazione del parere favorevole regionale, il Responsabile del Servizio Ecologia del Comune di Manduria ha rappresentato alla Regione Puglia il proprio avviso sfavorevole in ordine alla realizzazione del progetto de quo, non solo sotto il profilo della compatibilità ambientale, ma anche sotto quello della localizzazione dell’impianto nell’ambito del territorio comunale di Manduria
Anche il Consiglio comunale aveva avuto occasione di esprimersi negativamente in merito alla realizzazione dell’impianto, sottolineando, in particolare:
  • l’impatto negativo che il progetto in questione, se realizzato, avrebbe sortito sul complessivo stato di salubrità del territorio comunale;
  • la negativa interferenza che l previsto posizionamento dell’impianto avrebbe sortito in relazione alle previsioni programmatiche del Piano regionale dei ‘siti inquinanti’, con conseguenti ricadute negative sulla gestione della bonifica e dello sviluppo del territorio comunale;
  • la circostanza che l’impugnato parere regionale fosse stato espresso nonostante la mancata approvazione del piano energetico regionale ambientale che rappresenterebbe, sotto il profilo pianificatorio, un elemento preliminare indefettibile per l’assentibilità del progetto.
Il TAR Lecce - T.A.R. Lecce, sentenza n. 59 del 10 gennaio 2008 - ha respinto il ricorso, sottolineando, in particolare, la correttezza dell’operato del competente Settore regionale nella parte in cui ha ritenuto di potersi pronunciare in ordine alla compatibilità ambientale del progetto de quo svolgendo un apposito procedimento e senza internalizzare la pronuncia nell’ambito del procedimento unico di cui al d.lgs. 387 del 2003.
Infatti, evidenzia il Giudice amministrativo pugliese
l’esame del pertinente quadro normativo porta ad affermare che la procedura di V.I.A. costituisca un procedimento autonomo rispetto a quello finalizzato all’autorizzazione dell’impianto nel suo complesso, se pure le determinazioni adottate all’esito del primo (endo-)procedimento risultano necessarie e strumentali al fine dell’adozione delle determinazioni conclusive del diverso (e principale) procedimento autorizzativo.
Dall’esame della norma in questione emerge, quindi, che in via ordinaria la pronuncia in sede V.I.A. vada resa in modo autonomo rispetto ai lavori della Conferenza stessa (ed all’esito di un autonomo procedimento), mentre l’ipotesi in cui tale pronuncia venga – per così dire – internalizzata nell’ambito del procedimento principale è limitata alle ipotesi – per così dire – ‘patologiche’, in cui la pronuncia in sede V.I.A. non venga resa entro i termini all’uopo previsti.


Raccolta differenziata. Ecopiazzole: finalmente la nuova disciplina

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Sul numero 7 del 2008 della rivista Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, è stato pubblicato un interessante articolo dell’Ing. Alberto Muratori, dedicato ad una delle novità meno «radiografate»: l’introduzione della definizione di «centro di raccolta», ovvero
un’«area presidiata ed allestita, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento».
Prima di iniziare l’analisi del testo normativo, l’autore sottolinea che
a prescindere dall’incertezza del linguaggio e dalla dubbia interpunzione - per non dire della ridondanza dell’inciso «senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica» - quella di «centro di raccolta» poteva sembrare, in prima lettura, solo una delle tante declaratorie general-generiche (oltretutto, anche piuttosto imprecisa), che frequentemente appesantiscono il nostro apparato normativo senza apprezzabili ricadute, anche in considerazione del fatto che, in presenza di così numerose ed eclatanti inadempienze nell’adozione di provvedimenti esecutivi solo preannunciati dalle norme di rango superiore, ma mai concretizzati, era ben difficile attendersi un percorso preferenziale per il decreto cui il cit. art. 183 aveva demandato la fissazione della disciplina relativa alle cosiddette «ecopiazzole», oltretutto, previa parere della Conferenza Unificata Stato - Regioni - Citta` e Autonomie locali.
Quindi, l’autore prosegue con una disamina della vexata quaestio relativa al regime autorizzatorio delle ecopiazzole, che vedeva contrapposti due orientamenti dottrinari, mentre la Magistratura, sia penale che amministrativa, si attestava su posizioni nella quasi totalità dei casi “garantiste”…
Segue un’approfondita disamina dei contenuti del DM 8 aprile 2008, volto ad approfondire:
  • cosa sono i centri di raccolta disciplinati dal decreto;
  • quali sono i soggetti che possono conferire rifiuti e quali quelli che gestiscono tali isole ecologiche;
  • quali sono i rifiuti che possono essere conferiti nelle ecopiazzole;
  • le norme tecnico-costruttive;
  • le prescrizioni relative all’esercizio
Complessivamente, conclude l’Ing. Muratori
la disciplina dei «Centri di Raccolta» di cui al D.M. 8 aprile 2008 […] sembra adeguatamente ampia ed articolata, e del tutto in grado di assicurare quelle finalità di agevolazione-incentivazione non tanto della raccolta differenziata «in sé e per sé» - cui, abbastanza a torto, alcune componenti dell’ambientalismo militante sembrano riconoscere poteri taumaturgici - quanto piuttosto, grazie al controllo sui conferimenti e sul deposito, delle effettive possibilità di riciclaggio e recupero, che flussi omogenei praticamente privi impurezze, così selezionabili, sono senza dubbio in grado di consentire, a condizioni ottimali, e a costi decisamente contenuti.
E ciò , in un quadro di elevata protezione sostanziale dell’ambiente, anche in assenza del «pezzo di carta» rappresentato dall’autorizzazione ex art. 208, e dalla ridondanza di una procedura d’impatto ambientale del tutto spropositata per la generalità delle fattispecie.
E tutto questo, con buona pace di qualche commentatore che, stracciandosi ora le vesti per tali snellimenti procedurali, nello sposare inopinatamente tesi ultra-garantiste, sembra dimostrare totale sfiducia nel principio di sussidiarietà.
Ma il mondo, si sa, è bello perché é vario, e tutte le opinioni hanno diritto di cittadinanza.
Per leggere l’intero articolo: Ecopiazzole: finalmente un decreto a dettarne la disciplina, stop ai conflitti interpretativi, collegati al sito di Lexambiente.
Per informazioni sull’abbonamento alla rivista, vai al sito dell’Ipsoa.

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Consiglio di Stato 3016/08: le conferenze di servizi sono atti di natura endoprocedimentale

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Con la sentenza che vi propongo oggi il
Consiglio di Stato ha confermato quanto già statuito dal TAR Toscana: le conferenze di servizi sono atti di natura endoprocedimentale.
In breve: con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana la FINTECNA domandava l'annullamento del verbale di una conferenza di sevizi […] “nella parte relativa agli interventi di messa in sicurezza di emergenza e di caratterizzazione, e di bonifica nelle aree interne al perimetro di un sito di bonifica di interesse nazionale".
Per la ricostruzione del fatto si rimanda alla lettura del testo integrale della sentenza del Consiglio di Stato n. 3016 del 2008.
In questa sede è sufficiente segnalare le massime del Consiglio di Stato:
Il procedimento per l’individuazione degli interventi di bonifica di siti inquinati di interesse nazionale – e dei responsabili ai quali imputarne gli oneri realizzativi – è diretto dal Ministero dell’Ambiente e del Territorio, può trovare un esito provvisorio in casi di conclamata urgenza e si conclude, di regola, con il provvedimento di approvazione del progetto definitivo degli interventi da realizzarsi a cura del Ministero dell’Ambiente.
In detto iter la conferenza di servizi, pur avendo natura decisoria, costituisce un mero passaggio procedimentale, in funzione servente del provvedimento finale, da cui solo scaturiscono effetti giuridici autonomi, in conformità, peraltro, al modello di cui alla legge 241/90.
Non esiste alcun collegamento fra efficacia immediata e vincolante delle prescrizioni adottate dalla conferenza di Servizi decisoria, inerzia del destinatario e potere di esecuzione d’ufficio.
Il procedimento di esecuzione in danno, infatti, trova nella mancata adozione da parte dell’interessato di misure di salvaguardia giudicate idonee una condizione negativa e non già la sua causa: l’adozione di tali misure resta, sino alla definizione del procedimento, rimessa alla spontanea cooperazione del provato. Il che non esclude, in mancanza di detta cooperazione, l’apertura di un autonomo procedimento volto ad intervenire d’ufficio sull’area interessata al termine della procedura e non sulla base di un provvedimento endoprocedimentale.
Nella specie il Consiglio di Stato ha respinto l’appello proposto da una società, volto ad ottenere l’annullamento di una sentenza del TAR Toscana, con la quale il giudice di prime cure aveva qualificato l’atto impugnato – il verbale di una conferenza di Servizi decisoria – come atto di natura endoprocedimentale e, come tale, inidoneo a definire il relativo procedimento; mentre l’appellante sosteneva che il regime della bonifica – ex art. 417/1999 – doveva ritenersi regolato secondo una disciplina speciale del procedimento rispetto al modello generale, ex legge n. 241/1990 e che, nella specie, la prescrizione imposta come misura di sicurezza di emergenza doveva ritenersi immediatamente lesiva, attesa la loro natura di misure urgenti, munite, nella specie, di clausola di esecuzione in danno, alla scadenza del termine assegnato al soggetto obbligato.


Per una nota critica, v. F. Giampietro, “Bonifica dei siti contaminati: la disciplina speciale delle Conferenze di servizi decisorie prima e dopo il T.U. ambientale”, in Riv. giur. edilizia 2007, 3, 1113
In materia di bonifiche, v. “Gli orientamenti del giudice amministrativo sulla bonifica nel passaggio tra il vecchio ed il nuovo regime”, di F. GIAMPIETRO – A. QUARANTA, in Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, nn. 3-4/2008, di cui ho già fatto cenno nelle pagine di Natura Giuridica, in tre diversi post (1, 2, 3)


Il Paese che rispetta l'ambiente

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Ieri ho chiesto ad una mia amica che vive in un Paese che rispetta l’ambiente di descrivermi una sua giornata tipo per capire quali sono i comportamenti da attuare nella quotidianità per rispettare e difendere l’ambiente.

Ecco cosa mi ha detto:

“Non ritengo di fare granché per l’ambiente: non sono attivista in nessuna associazione ambientalista e non ho mai partecipato come volontaria alla bonifica di siti dalla spazzatura. Comunque, ti dirò come si svolge una mia giornata tipo: al mattino mi alzo e come ogni giorno apro il frigo per prendere il latte fresco, quello che ho acquisto nella latteria ambulante dove, a giorni alterni, mi reco per riempire i miei contenitori con latte alla spina.


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Recoplastica: bene ma non esageriamo

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Nel post Ecopunto Informativo di Recoplastica. esordivo così
"Oggi voglio cominciare con una bella notizia, che fa parte di un circuito virtuoso che, per fortuna, esiste - il concetto e l’abitudine della spesa alla spina, di cui ho già parlato in questo blog in articoli dedicati alla spesa alla spina, ne costituisce un esempio - e che tuttavia non viene per niente pubblicizzato, né fatto oggetto di propaganda…se non nei pochi blog che si occupano, pro quota, di tematiche ambientali… Natura Giuridica, prefiggendosi di trovare il necessario dialogo fra il mondo della natura, dell’ambiente, dell’ecologia, da un lato, e quello del suo utilizzo da parte dell’uomo e delle sue leggi, dall’altro (oltre che di InFormare sul – e comunicare il – diritto ambientale), rientra a pieno titolo fra questi…"
Nel successivo intervento (2 settembre 2008, Recoplastica. Franchising. Meeting del 13 settembre 2008) ho ribadito, in modo chiaro ed inequivoco, quanto già avevo sottolineato allora nelle mie “conclusioni”:
"E, personalmente, sono convinto che il riutilizzo, prima ancora del recupero, sia la strada da perseguire: ma penso che iniziative come questa debbano essere seguite e incoraggiate, proprio perché, inserite in un contesto integrato, rappresentano il contributo che ci si aspetta da ognuno di noi, e perché concorrono a diffondere una cultura ambientale, indispensabile base per costruire, giorno dopo giorno, un mondo migliore".
Non ho assolutamente cambiato idea, anzi.

Però con altrettanta chiarezza vorrei dire che non condivido quanto affermato dalla Recoplastica nel suo comunicato del 04 settembre 2008, nel quale, dopo i ringraziamenti di rito per le oltre 150.000 (pare) persone che hanno visitato il sito della società dal maggio di quest’anno, e dopo aver ribadito la bontà del loro progetto (che condivido, nei termini sopra richiamati), si dilunga in una propaganda politica che trovo, sinceramente, fuori luogo.
Infatti, dopo un richiamo – peraltro sibillino – ad una millantata indipendenza politica
un governo per lo più amico, non può esimersi dal valutare con estrema attenzione un progetto che piace a tutti gli italiani, indipendentemente dal colore politico perché ricordiamo che i prodotti che noi compriamo come materie prime, inclusi anche i contenitori, non hanno bandiera [...]
il comunicato incredibilmente prende una piega diversa, facendo passare, fra le righe, un messaggio che, invece, con l’indipendenza politica nulla ha a che fare…
Nel comunicato, infatti, si legge che
il presidente Berlusconi ha dimostrato che per l'ambiente nulla è impossibile pulendo in 3 mesi una città come Napoli e una regione come la Campania, che è stata agli occhi del mondo, per un sistema mediatico internazionale, per il suo stato di degrado.
Ci stiamo rendendo conto che le amministrazioni di centro-destra vedono gli ecopunti con maggior interesse, e di questo siamo dispiaciuti, perché l'attenzione agli interessi dei cittadini più deboli dovrebbe essere la priorità assoluta di ogni governo ad ogni livello.
Ci siamo recati a Napoli lunedì 1 settembre scorso ed abbiamo incontrato una popolazione solare e splendida che per interessi di qualcuno ha subìto l'angheria di vedersi dipinta come la più incivile del mondo per la discarica a cielo aperto che è stata creata per le vie cittadine.
Ribadisco: condivido il progetto Recoplastica, nei termini sopra richiamati, e non si discute della solarità dei partenopei.
Il fatto è che – a prescindere da come, e da chi, e con quali mezzi, è stata gestita la questione napoletana in tutti questi lunghi anni di emergenza – come molti napoletani testimoniano, l’emergenza è tutt’altro che finita.
Semplicemente, non se ne parla più come prima.
Ma non per questo significa che non esista…

Un video girato proprio il primo settembre da Graziella Mazzoni, e pubblicato su You Tube, infatti, mostra una realtà ben diversa da quella idealizzata dalla Recoplastica…

E in un post di qualche giorno prima (28 agosto 2008), apparso su Notecologiche, Marianna Sansone, napoletana, nel suo blog sottolinea, con amarezza, che se nessuno ne parla non è emergenza…

Un’altra, a titolo di esempio, è quella comparsa sul sito di Ecquologia, in cui Michele Buonuomo, presidente della sezione campana di Legambiente, afferma che
dire che oggi l’emergenza rifiuti è superata è come se un vigile del fuoco, dopo aver svuotato una casa allagata dicesse che è stato risolto il problema del dissesto idrogeologico in Italia… Quello che si può dire è che c’è stata un’azione straordinaria di pulizia e sicuramente sono state individuate alcune soluzioni che per essere temporanee vanno anche bene, ma guai se confondessimo queste azioni con la soluzione del problema. Serve un approccio ben diverso che richiede un’azione radicale diversa
Quindi: un plauso al progetto, ma non esageriamo con il rappresentare una realtà che non esiste…
E, soprattutto, finiamola con i messaggi di occulta propaganda politica che sfruttano l’eco che ha avuto a livello mediatico un progetto condivisibile negli intenti.

4 novembre 2011


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Disastro innominato colposo: configurabilità

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La sentenza che vi propongo oggi (Cassazione, Sez. IV, Sent. n. 19342 del 18 maggio 2007, Pres. Marzano , Est. Licari, Ric. Rubiero) trae origine dall’incendio di un enorme cumulo di rifiuti avvenuto l’11 settembre 1997 nel rodigino.

Le fiamme assunsero proporzioni tali da imporre l'intervento dei Vigili del Fuoco: nell’incendio si sprigionarono imponenti fumi che furono analizzati dai tecnici del Comune, i quali rivelavarono la presenza nell'aria di una quantità di acreolina (gas tossico intensamente irritante, altamente volatile, capace di raggiungere considerevoli distanze e rimanere inalterato nel suo potere di tossicità, dall'odore pungente, con effetti lacrimatoli e punto di combustione a 234^ C) tale da destare allarme nelle autorità locali e da determinare l'avvio di nuove indagini da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo.

Tra l’altro, quello dell’11 settembre 1997 non fu l’unico, ma il più grave di una serie di incendi…

Tralasciando, in questa sede, la minuziosa analisi della vicenda giuridica di primo e secondo grado, per la quale si rimanda il lettore al testo integrale della sentenza, è interessante sottolineare quanto statuito dalla Cassazione:
Per la configurabilità del reato di disastro innominato colposo di cui agli articoli 449 e 434 cod. pen. è necessaria una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità, nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all'attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti.

A tal fine, l'effettività della capacità diffusiva del nocumento (cosiddetto pericolo comune) deve essere, con valutazione "ex ante", accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, eventualmente, l'evento dannoso non si è verificato: ciò perché si tratta pur sempre di un delitto colposo di comune pericolo, il quale richiede, per la sua sussistenza, soltanto la prova che dal fatto derivi un pericolo per l'incolumità pubblica e non necessariamente anche la prova che derivi un danno.