Bonifiche: responsabilità, contaminazione pregressa, confinamento fisico, acque di falda

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La recente sentenza del T.A.R. Sicilia-Catania, n. 1188 del 17 giugno 2008, che oggi vi propongo, riguarda, in estrema sintesi:
  • operazioni di confinamento fisico come attività di messa in sicurezza d’emergenza in relazione ad uno sversamento accidentale;
  • la necessità dell’accertamento delle responsabilità dell’inquinamento
  • la c.d. “contaminazione pregressa
  • i presupposti per procedere alle attività di M.I.S.E. e di bonifica
  • le acque di falda

Rimandando alla lettura integrale della sentenza per un approfondimento, si vuole, in questa sede, evidenziare quanto sottolineato dal Giudice amministrativo siciliano, in conformità con l’orientamento prevalente della giurisprudenza in materia.

Ecco le massime:

In presenza di una situazione di contaminazione pregressa, storica, e diffusa, imporre ad una società (a seguito di uno sversamento accidentale) la bonifica dell’area “fino all’evidenza di terreno pulito” implica che quest’ultima dovrebbe non solo doverosamente eliminare gli effetti diretti ed indiretti dello sversamento, ma accollarsi anche la rimozione dell’inquinamento precedentemente prodotto da terzi o comunque la cui provenienza non è stata accertata, in violazione delle prescrizioni di cui agli artt. 240 e 242 del Testo Unico Ambientale (D.Lgs 152/06)

E’ illegittima l’imposizione di obblighi di bonifica generalizzati, senza previo accertamento della responsabilità dell’inquinamento e con metodi tecnici di intervento, le cui modalità non siano state in nessuna parte confrontate nel procedimento con le imprese interessate, con violazione dei loro diritti di partecipazione ex lege 241/90.

Nel quadro normativo attuale, i presupposti per procedere alla M.I.S.E. sono del tutto differenti da quelli per ordinare una bonifica: non è pertanto legittimo imporre quest’ultima sub specie di MISE, per l’evidente insufficienza di quest’ultima a porre rimedio ad un fenomeno di inquinamento risalente e radicato (cfr. la sentenza n. 1254/07 del TAR Catania e la sentenza successiva nr. 200/08).

Le acque di falda emunte nel corso delle operazioni di bonifica vanno qualificate non come rifiuti, ma come acque reflue di provenienza industriale (cfr. sentenza TAR Catania n. 1254/07 e n. 207/08).



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Strumento urbanistico e impianti fotovoltaici

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Nella sentenza del TAR del Trentino Alto Adige n. 152 del 2008 il Giudice amministrativo ha affermato che “nella divisione in zone del territorio comunale, operata dallo strumento urbanistico generale, la destinazione agricola di una zona non coincide con l’effettiva coltivazione dei relativi fondi, ma ha spesso la finalità di evitare ulteriori espansioni degli insediamenti e significa, in tal caso, che la zona stessa dev'essere conservata a verde.



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…così (non) mi distraggo un po’…

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L’articolo che vi consiglio di leggere – Caro (nuovo) legislatore (ambientale), ti scrivo … della Proff.ssa Alberta Leonarda Vergine – è stato pubblicato appena pubblicato sul n. 7 del 2008 della rivista Ambiente & Sviluppo dell’IPSOA e un suo estratto, in anteprima, sulla pagine di Giuristi Ambientali.

Si tratta di un articolo che non fa sconti al legislatore ambientale, a prescindere dall’appartenenza politica; sottolinea che la mancanza di un progetto condiviso crea gli sconquassi e l’incertezza che sono sotto gli occhi di tutti e da qualche saggio “consiglio” al legislatore che verrà…incertezza di cui si è parlato anche nelle pagine di Natura Giuridica.

Di seguito vi riporto qualche “chicca”…

“Presentando un lavoro collettaneo su alcune iniziative legislative del governo precedente a quello che ha appena esaurito il proprio mandato, uno dei più sapidi (e qualificati) penalisti italiani, ha sottolineato come quella produzione legislativa (ma, a nostro avviso, il discorso è riferibile, sia pur con doverose precisazioni e limitazioni, anche alle produzioni di governi espressione d’ogni maggioranza) si presentasse come “una interessante operazione di marketing”, ove “la legge [veniva] trattata come bene di consumo”.
E, come, in questo contesto, il “prodotto normativo [fosse] esposto in rutilanti confezioni, anche se talvolta l’etichetta non corrisponde[va] al contenuto […] e [fosse] immesso sul mercato per soddisfare molteplici e diversificati bisogni (veri o supposti) ed ansie dei consumatori-destinatari, e [fosse] oggetto di ampia pubblicità sui mass media che ne esalta[vano] efficacia e proprietà innovative, per altro quasi sempre inesistenti”.
[…]
Per quel che concerne la nostra materia, il Governo precedente a quello che ha appena anticipatamente concluso l’attività, è riuscito a fare approvare, in prossimità del traguardo di fine legislatura, il c.d. Codice Ambientale
[…]
Il successivo Governo, espressione dell’altro schieramento, appena insediato ha posto mano a interventi importanti volti, da un lato a bloccare, per quanto possibile, il “prodotto normativo” non gradito e non condiviso, e dall’altro a inserire “riforme” asseritamente organiche e risolutive e, solo poco prima della sua anticipata cessazione dalle funzioni, dopo clamorosi errori di percorsovi, è riuscito a fare approvare un ulteriore, corposo intervento modificativo di alcune parti del Codice Ambientale, che gli operatori di settore hanno chiamato il “secondo Correttivo”.
Il Governo che si è appena insediato e, quindi, il legislatore ambientale che verrà, si troverà, perciò, a doversi confrontare con un testo normativo decisamente ampio, nel quale sono facilmente riconoscibili scelte gestionali, politiche, organizzative e sanzionatorie espressione di visioni quanto meno diverse, per non dire opposte, le cui logica interna e intima consequenzialità sono già gravemente compromesse
[…]
Noi, da penalisti, auspichiamo che il “nuovo” legislatore ambientale si dimostri “meno frivolo nel maneggiare le categorie, la terminologia e anche i principi penalistici” di quanto non lo siano stati i suoi predecessori, qualunque sia stato l’orientamento d’appartenenza, e meno incline a inserire “con leggerezza il prodotto legislativo nei delicati meccanismi del sistema penale”.
Al contempo, ci auguriamo anche che non vi sia leggerezza neppure nel rifiutare indiscriminatamente tutte le impostazioni precedenti alle quali il cittadino, ormai da due anni, si è dovuto uniformare.
[…]
Proprio anche per questo, chiederemmo al ‘legislatore che verrà di seguire i consigli di indiscussa dottrina penalistica che, ormai tanti anni or sono, sulla base del correttissimo rilievo per il quale “il bene scarso nella economia della giustizia penale è rappresentato dalle sanzioni, (dalle risorse umane e materiali per implementarle e dotarle di impatto ed effettività) e non già dai precetti ( di per sé moltiplicabili ad libitum)”, affermava come, per addivenire a “una riforma realistica, occorra muovere dalle prime (le sanzioni) e non dai secondi (i precetti)”.
In altri termini, suggeriamo al legislatore di tenere doverosamente presente che “il baricentro di ogni moderna riforma della parte generale sta nel sistema delle sanzioni”.
[…]
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero 7/2008 della rivista Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, Milano.
Per leggere l’estratto dell’articolo Caro (nuovo) legislatore (ambientale), ti scrivo … della Proff.ssa Alberta Leonarda Vergine, vai sul sito di Giuristi Ambientali.




Sentenza Mayer Parry: nozione di rifiuto e riciclaggio. Trattamento dei rifiuti di imballaggio contenenti metallo (3)

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(segue da - sei nel terzo ed ultimo di 3 articoli che riguardano la sentenza della Corte di Giustizia Mayer Parry)

La definizione di riciclaggio precisa anche che il rifiuto può essere ritrattato in un processo di produzione per la sua funzione originaria «o per altri fini»: di conseguenza, la nozione di riciclaggio non è circoscritta al caso in cui il nuovo materiale o il nuovo prodotto, dalle caratteristiche paragonabili a quelle del materiale originario, è utilizzato per la stessa funzione di imballaggio metallico, in quanto anche un utilizzo per altri scopi integra la detta nozione (che possono essere i più disparati, a condizione che il ritrattamento dei rifiuti di imballaggio non si traduca in una forma di recupero di energia né sia effettuato mediante smaltimento, perché ciò contrasterebbe con la nozione stessa di riciclaggio come modo di recupero dei rifiuti).

Così interpretata, la definizione di riciclaggio soddisfa gli obiettivi della direttiva 94/62, perché assicura un elevato livello di tutela dell'ambiente, oltre a rispondere alle esigenze di chiarezza e di uniformità connesse agli obiettivi della direttiva stessa riguardo al buon funzionamento del mercato interno, consistenti in particolare nella prevenzione degli ostacoli agli scambi e delle distorsioni di concorrenza.

Alla stregua di tali chiarimenti, il materiale di grado 3 B, quale quello prodotto dalla Mayer Parry si può considerare rientrante in tale nozione?

Una premessa è d’obbligo: le parti nella causa principale non contestano che i materiali o gli oggetti alla base della produzione del materiale di grado 3 B fabbricato dalla Mayer Parry sono rifiuti di imballaggio.

Il problema è che la produzione di materiale di grado 3 B non costituisce un ritrattamento di rifiuti di imballaggio contenenti metallo per ripristinare lo stato iniziale di tale materiale, cioè l'acciaio, e riutilizzarlo conformemente alla sua funzione originaria, ovvero la lavorazione di imballaggi contenenti metallo, o per altri fini.
In sostanza, i rifiuti di imballaggio contenenti metallo ritrattati dalla Mayer Parry non sono sottoposti a un ritrattamento nell'ambito di un processo di produzione che conferisce al materiale di grado 3 B caratteristiche paragonabili a quelle del materiale di cui l'imballaggio metallico era costituito: di conseguenza, detto materiale, prodotto dalla Mayer Parry, non può essere considerato un rifiuto di imballaggio riciclato.

A questo punto, alla Corte rimaneva da accertare se l'utilizzo del materiale di grado 3 B nella produzione di lingotti, lamiere o bobine di acciaio, si potesse definire un'operazione di riciclaggio di rifiuti di imballaggio.

La risposta data dalla Corte di Giustizia è positiva, perché il processo di produzione della Marry Parry sfocia nella fabbricazione di nuovi prodotti, che hanno caratteristiche paragonabili a quelle del materiale di cui erano originariamente costituiti i rifiuti di imballaggio e che si possono impiegare per la medesima funzione iniziale cui era desinato il materiale originario, vale a dire per gli imballaggi metallici, o per altri scopi.

Quindi la Corte di Giustizia ha risolto la seconda questione nel senso che la nozione di «riciclaggio» (direttiva 94/62) dev'essere interpretata nel senso che essa non comprende il ritrattamento di rifiuti di imballaggio contenenti metallo quando questi sono trasformati in materia prima secondaria, come il materiale di grado 3 B, ma riguarda il ritrattamento di tali rifiuti quando sono utilizzati per la fabbricazione di lingotti, lamiere o bobine di acciaio.

Infine la Corte di Giustizia – rispondendo alla prima questione – ha affermato che la soluzione, sopra evidenziata, non cambierebbe se si prendessero in considerazione le nozioni di riciclaggio e di rifiuti cui si riferisce la direttiva 75/442…


Sentenza Mayer Parry: nozione di rifiuto e riciclaggio. Trattamento dei rifiuti di imballaggio contenenti metallo (2)

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La Mayer Parry sosteneva che, secondo la giurisprudenza della Corte, esistono quattro principi guida che consentono di stabilire il momento in cui sono stati riciclati rifiuti:
  1. sapere se una sostanza è un «rifiuto» rientrerebbe nella competenza del giudice nazionale e tale questione andrebbe risolta alla luce dell'insieme delle circostanze del caso di specie;
  2. qualsiasi sostanza è un rifiuto se chi la possiede se ne disfa o vuole disfarsene;
  3. esisterebbe una distinzione tra il «recupero dei rifiuti» e il «trattamento industriale normale»;
  4. vi sarebbe recupero se il processo in questione permettesse di ottenere materie prime secondarie utilizzabili in un processo industriale: infatti, quando una materia prima secondaria è stata ottenuta a tale scopo come, nella causa principale, il materiale di grado 3 B prodotto dalla Mayer Parry, il recupero e quindi il riciclaggio si considererebbero ultimati e i materiali non costituirebbero più dei rifiuti.
Dal canto suo, l’Environment Agency – al fine di sapere in quale momento i rifiuti sono da considerarsi riciclati – sosteneva che:
  • da un lato, una sostanza non cessa di essere un rifiuto per il solo fatto che è posseduta da una persona diversa dal produttore originario e che tale persona non ha lei stessa l'intenzione o l'obbligo di disfarsene;
  • dall'altro, sebbene i rifiuti non cessino necessariamente di essere tali solo perché si può affermare che sono stati sottoposti a un'operazione di recupero, la descrizione di talune di queste operazioni potrebbe tuttavia consentire di determinare in quale momento un materiale cessa di essere un rifiuto (così, a titolo di esempio, riteneva che non vi fosse motivo di mantenere i controlli di gestione dei rifiuti su materiali che sono già stati utilizzati per la produzione di energia […)
In conlusione, l’agenzia per l’ambiente non riteneva che le attività di un'azienda quale la Mayer Parry porti al riciclaggio perchè, in qualità di produttore, essa effettuerebbe solamente operazioni di pretrattamento o altre operazioni che modificano la natura o la composizione dei rifiuti contenenti metallo trattati. (vedi testo sentenza Mayer-Parry).

La Corte di Giustizia, dopo aver sottolineato il rapporto fra le due direttive “chiamate in causa” (la direttiva 94/62 dev'essere considerata una legge speciale – lex specialis – rispetto alla direttiva 75/442 cosicché le sue disposizioni prevalgono su quelle di quest'ultima direttiva nei casi che essa intende specificamente disciplinare), ha stabilito quanto segue, partendo dalla seconda questione.

In base alla definizione di riciclaggio, sottolinea la Corte, il rifiuto di imballaggio dev'essere sottoposto a «un ritrattamento in un processo di produzione», il quale implica che il rifiuto di imballaggio dev'essere manipolato per produrre un nuovo materiale o per fabbricare un prodotto nuovo.
In questo senso, il riciclaggio si distingue nettamente da altre operazioni di recupero o di trattamento dei rifiuti previsti dalla normativa comunitaria, quali il recupero di materie prime e di composti di materie prime, il pretrattamento, il miscuglio o altre operazioni che mutano solo la natura o la composizione di detti rifiuti

Inoltre, un rifiuto può essere considerato riciclato solo se è stato sottoposto a un ritrattamento tale da ottenere un materiale nuovo o un prodotto nuovo «ai fini della sua funzione originaria»: in sostanza, il rifiuto dev'essere trasformato nel suo stato originario per poter, eventualmente, essere utilizzato per una funzione identica a quella che aveva inizialmente il materiale all'origine del rifiuto.
Detto in altri termini: un rifiuto di imballaggio contenente metallo dev'essere considerato riciclato quando è stato sottoposto a un ritrattamento nell'ambito di un processo finalizzato alla produzione di un nuovo materiale o a fabbricare un prodotto nuovo dalle caratteristiche paragonabili a quelle del materiale di cui era costituito il rifiuto, per poter essere riutilizzato per la produzione di imballaggi contenenti metallo.


Sentenza Mayer Parry: nozione di rifiuto e riciclaggio. Trattamento dei rifiuti di imballaggio contenenti metallo

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Continua la rassegna di giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla nozione di rifiuto, cominciata con la sentenza Vessoso e Zanetti e proseguita con l’analisi delle sentenze Tombesi, Wallonie, Arco, Fornasar e Palin - Granit.
(I link agli articoli correlati si trovano a fondo pagina).

Oggi, proseguendo in rigoroso ordine cronologico, vi propongo la sentenza Mayer Parry (causa C-444/00).
In breve (il testo della sentenza è accessibile dal link Mayer Parry 444/00), la Mayer Parry è una società specializzata nel trattamento dei rifiuti contenenti metallo, al fine di renderli utilizzabili dalle acciaierie per la produzione dell'acciaio.

La Mayer Parry si procura rifiuti contenenti metallo (fra i quali quelli di imballaggio, in particolare di origine industriale), che hanno un valore commerciale e che la società generalmente deve acquistare.
Quindi raccoglie, ispeziona, controlla la radioattività, smista, pulisce, taglia, separa e frantuma (riduce in frammenti) tali rifiuti: mediante questo processo la Mayer Parry trasforma rifiuti contenenti metallo ferroso in un materiale dalle specifiche del grado 3 B, e lo vende ad acciaierie, che lo utilizzano per la produzione di lingotti, lamiere o bobine di acciaio.

La vicenda che ha condotto alla sentenza della Corte di Giustizia nasce dalla richiesta della Mayer Parry di essere accreditata come «trasformatore» (definito come soggetto le cui attività consistono nel recuperare e riciclare rifiuti) e dal successivo rifiuto da parte dell'Environment Agency inglese.

Nella conseguente controversia la High Court ritenendo che la causa necessitasse dell'interpretazione della normativa comunitaria, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1. Nel caso in cui un'impresa tratti materiali di imballaggio, metalli ferrosi inclusi, che (quando ricevuti da quella impresa) costituiscono rifiuti […] smistandoli, pulendoli, tagliandoli, frantumandoli, separandoli e/o imballandoli in modo tale da rendere questi materiali adatti ad essere utilizzati come materia base nella fornace, per produrre lingotti, lamiere o bobine di acciaio, tali materiali devono considerarsi riciclati e cessano di essere rifiuti, qualora siano stati:
a) resi adatti ad essere utilizzati come materia base, o
b) utilizzati da un produttore di acciaio per la produzione di lingotti, lamiere o bobine di acciaio?
2. Questi materiali devono considerarsi come riciclati qualora siano stati:
a) resi adatti ad essere utilizzati come materia base, o
b) utilizzati da produttori di acciaio per produrre lingotti, lamiere o bobine di acciaio?

Sentenze citate a inizio articolo:
per Vessoso e Zanetti, guarda l'articolo pillole di giurisprudenza
per Tombesi, scarica il testo della sentenza Tombesi
per Wallonie, scarica il testo della sentenza Wallonie
per Arco, guarda l'articolo sulla nozione di rifiuto
per Fornasar, guarda l'articolo sulla qualificazione di rifiuto pericoloso
per Palin Granit, guarda l'articolo dal titolo Palin Granit: il sottoprodotto fa capolino nella giurisprudenza della Corte di Giustizia



Rifiuti, energia e VIA: TAR Bologna n. 3296 2008

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Nella sentenza che vi propongo oggi, il TAR Bologna (sentenza n. 3296 del 2008) affronta un tema particolarmente interessante, oltre che di estrema attualità: quello della combustione di rifiuti per la produzione di energia elettrica, e della necessità o meno della Valutazione d’Impatto Ambientale.

Il caso

Alcuni residenti nel comune di Medicina avevano appreso in modo informale che su un terreno agricolo di fronte alle loro abitazioni sarebbe stato realizzato un impianto industriale per la produzione di fertilizzanti e “biogas”: a tal fine sarebbe stata impiantata una centrale a cogenerazione di media potenza per la combustione del gas (prodotto da biomasse vegetali ed in parte con liquami animali) e la produzione, :
  • di elettricità, da cedere all’ENEL, e
  • calore per il teleriscaldamento.
In seguito alla richiesta di ricollocare l’impianto in questione in un altro sito e alla conferenza di servizi, che invece rilasciava l’autorizzazione, i residenti proponevano ricorso al TAR, il quale, dopo la fase cautelare, nel merito ha accolto il ricorso.

Rimandando al testo integrale della sentenza del TAR Bologna n. 3296 del 2008 per l’approfondimento della parte in fatto e degli aspetti di diritto tralasciati in questa sede, occorre qui segnalare i passi più significativi della sentenza.

Il Giudice amministrativo emiliano ha sottolineato che l’allegato C alla parte quarta del Testo Unico Ambientale, elenca espressamente tra le operazioni di recupero dei rifiuti la loro utilizzazione come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (categoria R1) e che, pertanto, l’utilizzazione del rifiuto per produrre energia comporta la sottoposizione dell’impianto realizzato alla normativa in materia di recupero dei rifiuti.
Per quanto riguarda il liquame zootecnico, lo stesso è elencato tra i rifiuti […]: pertanto, ai sensi del Testo Unico Ambientale, non possono rientrare nella nozione di sottoprodotto; quando inoltre il loro utilizzo per produrre energia richiede la trasformazione in biogas, e quindi una trasformazione tramite un successivo processo produttivo, essi esulano dalla nozione generale di sottoprodotto di cui all’articolo 183 dello stesso Testo Unico Ambientale, i cui requisiti devono ritenersi cumulativi.
La sopravvenuta normativa di cui al D.Lgs. n. 4 del 2008, modificando l’articolo 185 del D.Lgs. n. 152/2006, ha incluso “potenzialmente” i liquami tra i sottoprodotti qualora utilizzati per produrre biogas: tuttavia, i liquami non sono inclusi automaticamente tra i sottoprodotti, ma soltanto qualora siano soddisfatte le condizioni di cui alla lettera p).
Ciò richiede una specifica valutazione in ordine all’impiego certo ed integrale dei liquami sin dalla fase di produzione e al soddisfacimento dei requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissione ed impatti ambientali qualitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati.

In relazione, infine, alle disposizioni normative interne, queste vanno interpretate in modo coerente con il diritto comunitario, ed in particolare con l’interpretazione data dalle sentenze della CE, che hanno efficacia vincolante erga omnes per i giudici interni e per l’autorità amministrativa.
In relazione ai liquami in questione, anche qualora ricorrano i presupposti per considerarli sottoprodotti, occorre valutare l’ulteriore requisito, imposto dal diritto comunitario.
In parole povere, se per riutilizzo occorrono operazioni di deposito che:
  • possono avere una certa durata (e, quindi, rappresentare un onere per il detentore), nonché
  • essere potenzialmente fonte di quei danni per l’ambiente che la direttiva mira specificamente a limitare,
esso non può essere considerato certo, ma prevedibile solo a più o meno lungo termine.
Di conseguenza, la sostanza di cui trattasi deve essere considerata, in linea di principio, come rifiuto.

Foto 2



12 L’espressione “inquinamento legislativo ” si fa risalire a A. A. Martino, La progettazione legislativa
nell’ordinamento inquinato, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, n. 38, 1977.
L’informazione è tratta da R. Pagano, Introduzione alla legistica, cit., p. 14, nota 16.

Deriva energetica italiana

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Ieri ho parlato dell’Italia dei NO a (quasi) tutto.
Oggi anche.
Perché è bene soffermarsi su dati e cifre, per comprendere, per dialogare e confrontarsi.
Per informare e formare una coscienza ambientale, oggi ancora troppo “elitaria”…
L’articolo che vi propongo oggi è di tre mesi fa, e porta la firma dei due autori de “La casta”, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.

Il titolo e il sottotitolo la dicono lunga. Energia, l'Italia dei no. Eolico, nucleare, rigassificatori: tutti bocciati. I consumi? Come mezzo miliardo di africani”.

Insomma: una deriva energetica


Al di là degli approfondimenti – sempre e più che mai in questo caso necessari, per evitare di continuare a trasformare l’ambiente in un motivo di scontro ideologico fra diversi, ma ugualmente sterili, integralismi – ho trovato l’articolo provocatorio, perché pone l’accento sul deserto culturale che oggi domina in Italia, mentre in altri paesi…
[…]
Alberto Asor Rosa un rovello ce l'ha: «A fronte della minaccia di scempio del paesaggio non è da escludersi il ricorso alle centrali nucleari».
E come lui, uno dei protagonisti dell'intellighenzia di sinistra italiana, cominciano ad averlo in tanti. Piuttosto che distese immense di pannelli solari e sconfinate foreste metalliche di mulini a vento, non sarà il caso di tornare all'energia atomica?
Ma per carità, s'infiamma Alfonso Pecoraro Scanio: «Chernobyl ha dimostrato che le dimensioni del rischio nucleare sono inaccettabili e immorali. Per difendere il bello non c'è bisogno di giocare alla roulette dell'atomo».
Meglio le centrali a carbone? No, le centrali a carbone no.
Meglio le centrali a petrolio? No, le centrali a petrolio no.
Meglio il gas, che però chiede i rigassificatori, cioè impianti che riportino il combustibile dalla forma liquida a quella gassosa? Ma per carità!
È vero che si potrebbero usare le piattaforme dove un tempo si estraeva metano, già allacciate ai metanodotti e abbandonate in mare aperto nell'Adriatico, ma prima «bisogna preparare una valutazione sugli impatti ambientali insieme con i nostri vicini, soprattutto con la Slovenia, ma anche con la Croazia ».
Allora l'eolico? Adagio: «Alcuni impianti si possono fare. Però non dobbiamo installare torri gigantesche proprio sulle rotte degli uccelli migratori, che vengono sterminati dalle pale».
Di più: «L'Europa ci condannerebbe».
L'Europa, a dire il vero, ha fatto scelte diverse. […]
Siamo alla mercé dei capricci degli altri. Il che, se l'Italia fosse una comunità di Amish della Pennsylvania che si alzano al levar del sole, si coricano al tramonto e vivono rifiutando la modernità, non sarebbe un problema enorme.
Il guaio è che non lo siamo (né vogliamo esserlo, aggiungerei io…)
L’articolo prosegue enumerando una serie di dati che rendono l’idea della vastità dl problema. Che mettono i brividi, come sottolineano Stella e Rizzo
Secondo Eurostat, l'Italia «brucia» tanta energia elettrica quanto Turchia, Polonia, Romania e Austria le quali messe insieme hanno 136 milioni di abitanti. O se volete (stavolta i dati sono dell'Aie, l'Agenzia internazionale dell'energia) quanto mezzo miliardo di africani. E avanti di questo passo nel 2025 consumeremo il 5,3% di tutta l'energia prodotta nel pianeta con lo 0,7% della popolazione mondiale. Bene: esaurita ogni possibilità di sfruttare ancora di più le risorse idriche (ogni salto, dalle Alpi valdostane ai monti Nebrodi, è già stato usato) e poveri come siamo di materie prime, la nostra autonomia è pari al 12% del totale. Per il resto dipendiamo dall'estero.
Il 12% lo compriamo direttamente dai Paesi vicini, il che significa, spiega l'ingegner Giancarlo Bolognini, «che all'estero ci sono 8 centrali nucleari della potenza di quella di Caorso che lavorano a pieno regime per noi». Il 75% ce lo facciamo da noi ma solo grazie a materie prime acquistate da governi e società stranieri (gas dalla Russia e dall'Algeria, petrolio da più parti).
Risultato finale: l'energia elettrica prodotta in Italia costa il 60% più della media europea […]
Siamo il Paese europeo che (nonostante il gas naturale copra ormai la metà del settore) dipende di più dal petrolio. Nel solo 2005 ne abbiamo consumato nelle centrali circa 6 milioni e mezzo di tonnellate, pari a 32 superpetroliere come la Exxon Valdez che anni fa affondò in Alaska causando un disastro ecologico. Sei volte di più che la Germania o la Francia, dodici volte più che il Regno Unito.[…]
Un Paese serio, davanti a un quadro così fosco di dissesto energetico e alla minaccia di blackout come quello che paralizzò ore e ore l'Italia il 28 settembre del 2003 per un guasto dovuto alla caduta in un albero in Svizzera, non si darebbe pace nella ricerca di vie d'uscita. Nucleare o solare, eolica o geotermica: ma una soluzione.La cronaca di questi anni, invece, è un impasto di veti, controveti, velleitarismi, fughe in avanti, viltà e retromarce. Nel caos più totale.[…]
Ma resta il tema: o facciamo qualcosa o restiamo appesi, con le nostre fabbriche e le nostre lampadine, ai capricci degli stranieri che ci tengono in pugno. Ed è lì che si vede la disastrosa incapacità della nostra classe dirigente, non solo dei «signor no» dell'ambientalismo talebano, di fare delle scelte.
Anche gli svedesi, per dire, votarono a favore del progressivo abbandono del nucleare. Molto prima di noi, nel 1980. Ma dandosi scadenze lunghe lunghe. Per spegnere completamente la centrale di Barsebäck hanno aspettato venticinque anni e l'ultima chissà quando la chiuderanno davvero dato che tutti i sondaggi dicono che la stragrande maggioranza dei cittadini ha cambiato idea: piuttosto che finire ostaggio degli stranieri, meglio il nucleare. In ogni caso, si sono mossi. Cercando sul serio le alternative possibili.Come hanno fatto tutti i governi seri in tutto il mondo. Compresi quelli che il petrolio ce l'hanno. Noi invece…
Per leggere l'intero articolo "Energia, l'Italia dei no"







Eolico, benzina e le contraddizioni dei NO a tutto

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La cattiva notizia non è che il parco eolico off-shore sulle coste del Molise si farà, (anzi…), ma le modalità con cui ciò è avvenuto: la totale assenza di un progetto globale condiviso.

È bastato, infatti, cambiare Governo “et voilà, les jeux sont faits”…
Un anno fa il progetto per la costruzione di 54 turbine off-shore al largo della costa molisana fu affossato: nella fila dei contrari al progetto c’era anche l’allora Ministro per le Infrastrutture Di Pietro, molisano, alleato dei verdi, che dovrebbero fare delle energie rinnovabili uno dei cavalli di battaglia…

Oggi alla guida del dicastero dell’Ambiente c’è un esponente del centro destra – lo stesso che con Scajola vanta i benefici di un nucleare ormai desueto – ed è arrivato l’ok…

Un (micro)mondo, quello italiano, (che sembra girare) al contrario: più che altro, direi, è un mondo che contraria.
Piccolo cabotaggio, pochezza e pigrizia culturale, miopia politica e sociale, assoluta mancanza di volontà di cercare, trovare e condividere un progetto ambientale globale, integrato, comune, come avviene in altri paesi europei, molto più seri ed evoluti del nostro.
Paesi in cui, con pochi, ma sani, ingredienti (serietà, competenza, coraggio, fantasia, ricerca) quelle che da noi vengono tacciate, in modo eufemistico, come idee visionarie, diventano realtà.
Da noi, invece, in assenza di qualsiasi progetto, le innovative” idee, nate già vecchie, vengono sbandierate con fierezza, manco fossero destinate a cambiare i nostri destini (un po’) meschini…

E il cancan selettivo che, di volta in volta, viene sollevato attorno a questa o quella vicenda non fa che buttare benzina sul fuoco delle sterili “contrapposizioni ideologiche”, che frenano qualsiasi velleità riformatrice nel nostro paese, il paese del NO (quasi a) tutto…

No
alle antenne per la telefonia mobile (salvo essere il paese con una delle percentuali di telefonini fra le più elevate al mondo);
No alle discariche e agli inceneritori (salvo non ridurre la produzione dei rifiuti e non fare la raccolta differenziata spinta);
No alla TAV (salvo poi lamentarsi delle conseguenze del trasporto su gomma);
No ad un altro modello di consumo e ad un altro stile di vita (perché costa sacrifici e necessità disciplina)
No a……..non continuo perché l’elenco è decisamente troppo lungo
Beninteso, alcuni dei No sono sacrosanti, ma non si può ridurre tutto a manicheismo ideologico

Ma…benzina sul fuoco, dicevo
Benzina.
Già, perché questo è uno dei deliri del nostro paese, che spreca risorse e non ha materia prime, che non vuole le pale eoliche “perché deturpano il paesaggio” ma poi non si cura dello scempio ambientale costituito dalle piattaforme petrolifere che, a macchia di leopardo, si trovano lungo le coste di quello stesso adriatico che si vuole “proteggere”…

Rino Gaetano lo descriveva già tanti anni fa, le contraddittorietà dell’italiano medio, che…





Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior

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Non siamo a via del campo, ma in un’azienda agricola in provincia di Modena.
E dal letame non nascono solo fiori, ma anche energia elettrica, che serve per alimentare l’azienda zootecnica e per realizzare profitto, grazie alla vendita del surplus energetico al gestore della rete.

Non si butta via niente, nell’azienda agricola “I giardini del Duca” a Castelfranco Emilia, in Provincia di Modena, già premiati a Ecoprofit.

Come funziona?
Nella corsia centrale del capannone un raschiatore, una sorta di grande rastrello, passa per ben sei volte al giorno a “raccogliere” le sostanze organiche degli animali, e le convoglia in una vasca di cemento.
a qui, attraverso una conduttura, le deiezioni animali sono fatte arrivare in un’altra vasca dove, tramite un impianto di riscaldamento si ottiene una miscela di gas metano e anidride carbonica, necessaria ad ottenere energia.
Il gas ottenuto, infatti, viene convogliato verso un vicino compattatore, che a sua volta alimenta un trasformatore che genera energia elettrica.

Occorre aggiungere, per completezza d’informazione, che la lavorazione del letame riduce il cattivo odore della stalla ed elimina l’ammoniaca, riducendo l’inquinamento (il liquido destinato a concime contiene una percentuale minore di nitrati).

È proprio il caso di dirlo: in natura nulla di crea, nulla si distrugge.
E tutto si può riutilizzare.
Basta volerlo






Danno ambientale per inquinamento da DDT: Tribunale Torino condanna Syndial a 1,9 miliardi di euro

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In questo post parlo del danno ambientale per inquinamento da DDT scoperto nel 1996 nelle acque del Lago Maggiore.
La storia dello stabilimento chimico di Pieve Vergonte dal quale provenvivano le sostanze inquinanti è lunga, e vi si intrecciano numerosi cambi di proprietà, molteplici linee di produzione, riconversioni…

Ma, soprattutto, è una storia di uno stillicidio: quello dell’inquinamento ambientale, “scoperto” solo nel 1996, quando una rilevazione fatta dal laboratorio cantonale di Lugano sulle acque del Lago Maggiore denunciò una «contaminazione diffusa» da DDT dei pesci pescati nel lago, superiore ai limiti della legge elvetica.
Furono informate le autorità italiane, che l’11 giugno dello stesso anno fecero analisi sui pesci, trovando una contaminazione che superava i limiti di legge.



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Danno Ambientale e responsabilità: segnalazione del volume “La responsabilità per danno all'ambiente”

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In materia di danno ambientale, vi consiglio di leggere il volume La responsabilità per danno all'ambiente. L'attuazione della direttiva 2004/35/CE, a cura di Franco Giampietro

L'opera illustra la nuova normativa del Testo Unico dell'Ambiente (D.Lgs. n. 152/2006), entrato in vigore il 29 aprile 2006, in materia di prevenzione, ripristino e risarcimento del danno all'ambiente, evidenziando le modifiche alle normative previgenti e abrogate, con un esame contestuale dei profili attinenti al regime amministrativo e a quello civilistico del danno, nei rispettivi contenuti sostanziali, procedimentali e processuali.

Poiché il nuovo sistema di prescrizioni è diretto a dare attuazione alla direttiva 2004/35/CE "sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale", l'opera commenta le prescrizioni e gli obiettivi comunitari in riferimento alla politica europea sull'ambiente e alle disposizioni attuative del medesimo T.U., con richiami comparativi a quelle di altri partners dell'Unione (Germania, Gran Bretagna ecc.)

L'approccio interdisciplinare con i contributi di giuristi, di esperti tecnici e di economisti consente una lettura "complessiva" ed "integrata" della nuova disciplina e l'identificazione dei suoi "limiti", al fine di una sua futura razionalizzazione e semplificazione.

I contributi sono di:
  • Andrea Quaranta: La direttiva comunitaria 2004/35/CE nel contesto della politica comunitaria sull'ambiente;
  • Riccardo Montanaro: La direttiva sulla responsabilità ambientale nel quadro della disciplina europea in materia di ambiente 
  • Luca Prati: Diritto alla salubrità dell'ambiente e danno esistenziale in rapporto alla direttiva 35/2004/CE 
  • Alberto Muratori: La "dimensione tecnica" del danno ambientale nella direttiva 2004/35/CE; L'accertamento del danno ambientale: i profili tecnici. La disciplina sul danno ambientale e i problemi (ancora) aperti dopo il testo unico n. 152/2006 
  • Francesca Quercia:La direttiva 2004/35/ce e lo sviluppo della politica comunitaria sul suolo: implicazioni sulla gestione dei siti contaminati 
  • Maddalena Mazzoleni: Il risarcimento del danno ambientale nella prassi italiana: le iniziative di riforma sino al D.Lgs. N. 152/2006 
  • Francesco Fonderico: Le competenze degli enti locali in materia di danno ambientale: profili generali 
  • Marco Calabrò: Il ruolo delle associazioni ambientaliste in tema di prevenzione e riparazione del danno ambientale 
  • Franco Giampietro: La responsabilità per danno all'ambiente e bonifica dei siti contaminati. La linea evolutiva del testo approvato con il D.Lgs. n. 152/2006 alla luce della direttiva n. 2004/35/CE; Prevenzione, ripristino, risarcimento dei danni all'ambiente nel D.Lgs. n. 152/2006. Esame delle disposizioni di rinvio alla bonifica 
  • Daniele De Strobel: Le problematiche assicurative del danno ambientale 
  • Maurizio Franzini: I metodi di valutazione economica e il danno ambientale: le ragioni di un difficile rapporto 
  • Paolo Liberatore: La quantificazione economica del danno ambientale nel D.Lgs. N. 152/2006: applicabilità e limiti del costo del ripristino e degli altri metodi di stima in ambito giuridico-processuale 
  • Francesca Benedetti: Prevenzione e riparazione del danno ambientale in Europa. Legislazione in materia ambientale e applicazione della direttiva 2004/35/CE nei paesi dell'unione europea 
  • David Rottgen: Il danno ambientale nel diritto federale tedesco 
  • Annalisa Bavaresi: Il danno ambientale nel Regno Unito 
  • Vittorio Giampietro: Linee guida per le misure di prevenzione e ripristino ambientale negli Stati Uniti


Palin Granit: il sottoprodotto fa capolino nella giurisprudenza della Corte di Giustizia (3)

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(segue da)

Tuttavia, tenuto conto dell'obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere l’argomentazione relativa ai sottoprodotti alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione.

È allora evidente che, oltre al criterio derivante dalla natura o meno di residuo di produzione di una sostanza, il grado di probabilità di riutilizzo di tale sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare, costituisce un secondo criterio utile ai fini di valutare se essa sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442.

Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare la sostanza, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di tale riutilizzo è alta.
In un'ipotesi del genere la sostanza in questione non può più essere considerata un ingombro di cui il detentore cerchi di «disfarsi», bensì un autentico prodotto.

Nel caso di specie il governo finlandese evidenziava giustamente che le uniche modalità prevedibili di riutilizzo dei detriti nella loro forma esistente (ad esempio per lavori di riporto o per la costruzione di porti e frangiflutti) necessitano, comunque, nella maggior parte dei casi, di operazioni di deposito che possono avere una certa durata, rappresentare un intralcio per chi sfrutta la cava ed essere potenzialmente fonte di quel danno per l'ambiente che la direttiva 75/442 mira specificamente a limitare.

Il riutilizzo, quindi, non è sicuro ed è prevedibile solo a più o meno lungo termine, cosicché i detriti possono essere considerati solo «residui provenienti dall'estrazione», di cui l'imprenditore ha «deciso o [ha] l'obbligo di disfarsi», ai sensi della direttiva 75/442, e che quindi rientrano nella categoria di cui al punto Q 11 dell'allegato I della suddetta direttiva.

La Corte, quindi, ha concluso dichiarando che i detriti de quibus sono da considerarsi rifiuti.

Sentenza della Corte di Giustizia Palin Granit Oy, Causa C-9/00

Palin Granit: il sottoprodotto fa capolino nella giurisprudenza della Corte di Giustizia (2)

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(segue da)

La decisione della Corte di Giustizia:
la Corte, pur respingendo gli argomenti proposti dalla società, ha esaminato “d’ufficio” (Paone) un’ulteriore questione che, per la sua importanza, riporterò integralmente di seguito. 
Nella sentenza ARCO Chemie Nederland e a., la Corte ha sottolineato l'importanza di verificare se la sostanza sia un residuo di produzione, cioè un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale al fine di un utilizzo ulteriore.
Nella specie, la produzione di detriti non è lo scopo primario della Palin Granit: i detriti, infatti, vengono prodotti solo in via accessoria e l'impresa cerca di limitarne la quantità, e per questo motivo devono esser qualificati come rifiuti.

A tale interpretazione – e qui inizia l’analisi “d’ufficio” – potrebbe essere opposto l'argomento che un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale l'impresa non ha intenzione di «disfarsi» […] ma che essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni per lei favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari.

Un'analisi del genere non contrasterebbe con le finalità della direttiva 75/442.In effetti non vi è alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni di quest'ultima, che sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti.

Tuttavia…

(continua)

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Palin Granit: il sottoprodotto fa capolino nella giurisprudenza della Corte di Giustizia

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La sentenza di oggi è di quelle particolarmente interessanti, perché pone per la prima volta l’accento su una questione particolarmente delicata, di cui abbiamo già avuto modo di parlare nelle pagine di questo blog: il concetto di sottoprodotto.

E’ a partire dalla sentenza Palin Granit Oy, infatti, che la Corte di Giustizia ha delineato la nozione di un residuo estraneo all’area del rifiuto, ipotizzando che un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale l’impresa non ha intenzione di disfarsi, intendendolo, invece, sfruttare o commercializzare a condizioni per lei favorevoli, in un processo successivo, senza oprare trasformazioni preliminari. Ma procediamo con ordine:

la vicenda trae origine dalla richiesta, effettuata da una società finlandese, la Palin Granit Oy, di un'autorizzazione ambientale per installare una cava di granito.

Tale domanda includeva un piano di gestione dei detriti e menzionava la possibilità di recuperarli utilizzandoli come ghiaia o materiale di riporto.
Nella domanda si comunicava, inoltre, che i detriti derivanti dallo sfruttamento, per un quantitativo di circa 50 000 m3 all'anno (pari a circa il 65-80% del volume globale estratto), sarebbero stati depositati in un'area adiacente.

L’autorità competente rilasciava un'autorizzazione ambientale temporanea, soggetta a varie condizioni per soddisfare il requisito del minor impatto dannoso dello sfruttamento nei confronti della popolazione e dell'ambiente.

A seguito dell’annullamento di tale autorizzazione (dovuto al fatto che i detriti de quibus erano da considerarsi rifiuti, e che la loro area di deposito doveva qualificarsi come discarica) la Palin Granit Oy presentava un ricorso, contestando la qualificazione di rifiuto data ai detriti.

La Palin Granit Oy sottolineava che i rifiuti, la cui composizione restava la stessa della roccia originaria dalla quale erano estratti, venivano depositati per brevi periodi, in vista di un ulteriore utilizzo, senza necessità di alcuna misura di recupero, e che essi non comportavano alcun pericolo per la salute delle persone o per l'ambiente.




NTV: meglio affidare ai (soliti…) privati o al pubblico (…provato)?

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Ieri, 16 luglio 2008, sul sito di Greenreport e della casa editrice Arianna sono stati pubblicati due interessanti articoli riguardanti, entrambi, la NTV, la nuova società che fa capo a Montezemolo, Diego Della Valle, Alberto Bombassei e Intesa San Paolo con Corrado Passera, e che ha già ottenuto la licenza d’impresa ferroviaria dal ministero dei Trasporti e si avvia a diventare il primo competitore privato delle ex ferrovie dello Stato…

I due articoli che mettono in rilievo alcuni punti che ritengo doveroso riassumere, data la loro problematicità, e la non (corretta?) completa informazione data, al riguardo…

Il primo pone l’accento sulla necessità di garantire:
- il trasporto pubblico senza lasciarlo alle dinamiche del mercato e
- la programmazione strategica delle politiche per la mobilità delle merci e delle persone, che deve obbligatoriamente afferire al comparto pubblico.
Quest’ultimo, infatti, deve tenere in bilancio:
  • non solo i costi da sostenere e i ricavi ottenibili da un programma di trasporti collettivi, 
  • ma anche i ritorni complessivi che si ottengono dalle politiche che mirino alla loro implementazione (riduzione delle emissioni di anidride carbonica; diminuzione delle patologie legate all’inquinamento, per fare solo due degli esempi che si possono fare…)
Un tale bilancio “non potrà però mai essere quello strutturato da una impresa privata, che dovrebbe internalizzare costi che sono a capo dell’amministrazione pubblica e non all’impresa privata. La quale anzi – in un processo di libero mercato - chiederà di avere più spazio per poter operare. Naturalmente nella direzione che più le conviene e che difficilmente coinciderà con quella che è la funzionalità richiesta dal sistema pubblico”.

Il secondo, invece, se la prende con la “pubblicità ingannevole” spacciata per giornalismo nel TG1 del giorno precedente…

“La società NTV [...] è stata presentata nella veste del benefattore che investirà il proprio denaro nell’acquisto di 25 nuovi treni ad alta velocità e nella creazione di 1.500 nuovi posti di lavoro.
In realtà la società facente capo a Montezemolo non ha investito un solo euro nella costruzione delle infrastrutture per il TAV che da 17 anni dissanguano le finanze pubbliche, ed è “scesa in campo” solamente oggi alettata dalla prospettiva di creare utile gestendo un servizio che potrà diventare economicamente produttivo alla luce del fatto che sono stati i cittadini a finanziare l’intera operazione”.

Così come, prosegue l’articolo, i lavoratori chiamati “nuovi” sono, in realtà, personale sottratto alle FS…

Quanto alle “qualità ecologiche” dei treni ad alta velocità, nell’articolo si contesta che si finge “d’ignorare che tali supposte (e mai dimostrate) qualità sono legate esclusivamente al previsto utilizzo dell’infrastruttura per il trasporto delle merci che attualmente corrono sui TIR”.
Previsto, appunto, ma mai messo in pratica, perché “fino ad oggi sulle infrastrutture del TAV non è transitato un solo treno merci e chi si occuperà di gestire il servizio in futuro, come NTV, lo farà preoccupandosi esclusivamente dei passeggeri”.

Dopo un’ultima critica, relativa alle tratte, ecco la chiosa finale: “pessime bufale dunque, tanto più gravi in quanto spacciate come verità dal principale canale della TV nazionale che sta sempre più specializzandosi nel produrre ottima disinformazione di bassa qualità”.

Meglio affidare ai (soliti…) privati o al pubblico (…provato)?

La centrale fotovoltaica più grande del Piemonte

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A Boves sorge la più grande centrale fotovoltaica del Piemonte: sto parlando della centrale fotovoltaica che il gruppo Cavallo ha costruito sui tetti delle proprie officine ed uffici: l’energia prodotta non solo garantisce l’autosufficienza energetica al gruppo, ma consente anche di vendere all’ENEL il surplus di energia non utilizzato.

Il progetto – spiega il responsabile Luciano Cavallo sulla pagine de La Guida – serve per rispondere al problema del costo dell’energia, che in Italia, più che in altri paesi, è particolarmente elevato.

Grazie ai contributi statali per la produzione di energia pulita, il gruppo Cavallo ha installato ben 1936 pannelli solari.
Gli impianti, con una struttura in acciaio inox, sono stati progettati per durare a lungo: quando sarà ora di sostituire i pannelli divenuti obsoleti, la struttura portante e la rete sotterranea potranno continuare ad essere utilizzati.

Nel frattempo continuano le ricerche nel settore: un gruppo di ricercatori olandesi ha scoperto che utilizzando nano cristalli come semiconduttori, la capacità di produzione di energia delle celle solari viene triplicata.





I residui da demolizione e costruzione: rifiuti o sottoprodotti? (2)

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Per quanto riguarda gli inerti provenienti da demolizioni edili o da scavi, la Cassazione effettua un rapido excursus della normativa:
1) sotto la vigenza del decreto Ronchi, gli inerti provenienti da demolizioni edili o da scavi costituivano rifiuti speciali (salvo che fossero destinati ad essere riutilizzati secondo le condizioni – contestuali – di cui all'articolo 14 della legge n. 178 del 2002); in questo periodo la giurisprudenza prevalente della Cassazione aveva affermato la non assimilazione degli inerti alle terre e rocce da scavo, perché:
  • il materiale proveniente da demolizioni non è costituito soltanto da terriccio e ghiaia, come quello proveniente da scavi (ma anche da cemento, asfalto, mattoni, etc..., sostanze che costituiscono rifiuti);
  • l'attività di demolizione e costruzione che riguarda gli edifici o le strade è strutturalmente diversa dagli scavi che riguardano i terreni
2) il Testo Unico Ambientale ha ribadito che il materiale derivante da attività di demolizione e costruzione è rifiuto: la giurisprudenza ha evidenziato la continuità normativa, ritenendo che “gli inerti provenienti da demolizioni di edifici o da scavi di manti stradali erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al Testo Unico Ambientale, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l'obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento” (Cassazione Penale, sentenza n. 23788 del 2007).

Questo materiale può, e se si quando, essere considerato un sottoprodotto?

Come ho già avuto modo di scrivere in questo blog, affinché un materiale possa essere qualificato come sottoprodotto occorrono, cumulativamente, alcune condizioni: nella fattispecie quel materiale, per essere riutilizzato come sottofondo, doveva subire un trattamento preliminare, perché costituito da pezzature di rilevanti dimensioni, e il suo riutilizzo è stato escluso dal tribunale di primo grado perché, in base al progetto, non era prevista la costruzione di alcun piazzale dove impiegare gli inerti in questione come sottofondo.

Per quanto riguarda la buona fede, cui accennavo in esordio, rilevo soltanto che la Cassazione ha ribadito che nei reati contravvenzionali si risponde anche a titolo di colpa, per la sussistenza della quale è sufficiente che il comportamento sia stato determinato da imprudenza, negligenza o imperizia.L'ignoranza della legge penale scusa l'autore dell'illecito solo se incolpevole a cagione della sua inevitabilità (Corte Costituzionale sentenza n 364 del 1988): nel caso di specie i giudici del merito hanno escluso che l'imputato abbia assolto con la dovuta diligenza l'onere dell'informazione che incombe su chi esercita a titolo professionale una determinata attività.D'altra parte, la L. n 178 del 2002, art. 14 richiamato dal prevenuto per giustificare la sua buona fede, ha si posto delicati problemi interpretativi, ma essi riguardavano essenzialmente la compatibilità con la nozione comunitaria di rifiuto perchè la norma anzidetta la restringeva, ma era comunque certo, per il tenore letterale dell'articolo, che un determinato residuo poteva essere sottratto alla disciplina sui rifiuti solo a condizione che fosse riutilizzato senza subire trattamenti preliminari e fosse certa la riutilizzazione senza danni per l'ambiente

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