Pillole di Giurisprudenza: la nozione di rifiuto interpretata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee

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Fin dalla sua prima pronuncia in materia, la Corte di Giustizia europea si è costantemente pronunciata, in tutti i casi sottoposti al suo esame, nel senso di un’interpretazione estensiva della nozione di rifiuto.
Ora vediamo, passo dopo passo, quali sono state, nel corso degli anni, le motivazioni poste alla base di questo orientamento.

Sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee del 28 marzo 1990 – procedimenti riuniti C-206/88 e C-207/88, Vessoso e Zanetti.

Massima
La nozione di rifiuto, ai sensi dell' art . 1 delle direttive del Consiglio 75/442 e 78/319, non deve intendersi nel senso che esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica.
Essa non presuppone che il detentore che si disfa di una sostanza o di un oggetto abbia l'intenzione di escluderne ogni riutilizzazione economica da parte di altre persone.

Breve riassunto della vicenda
Nel lontano 1987, la procura di Asti aveva sottoposto alla Corte una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione dell' art . 1 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti.
La questione era stata sollevata nell'ambito di due procedimenti penali a carico di esercenti di imprese di trasporto accusati di aver trasportato talune sostanze per conto di terzi senza previa autorizzazione, contravvenendo così al D.P.R. 10 settembre 1982, n . 915, che comminava sanzioni penali nei confronti di chi procedeva allo smaltimento, ivi compreso il trasporto, di rifiuti per conto di terzi senza aver ottenuto l' autorizzazione della regione italiana competente.

Nelle loro difese, gli imputati avevano sostenuto che le sostanze da essi trasportate non costituivano rifiuti ai sensi del cit. DPR 915/82 che, nell' art. 2, che definisce rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umana o da cicli naturali, abbandonato o destinato all' abbandono".
Nel caso di specie, infatti, le sostanze trasportate sarebbero state suscettibili di riutilizzazione economica e quindi non sarebbero state abbandonate o destinate all'abbandono: le sanzioni penali previste, di conseguenza, non sarebbero state applicabili.

La pretura di Asti aveva ritenuto, invece, di dover interpretare la definizione fornita dall'art. 2 del DPR 915/82 nel senso che per rifiuto si intende "qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l' obbligo di disfarsi secondo le disposizioni nazionali vigenti".

Le questioni pregiudiziali
La pretura di Asti ha pertanto sospeso i due procedimenti ed ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
1. L’art. 1 della direttiva 75/442/CEE, e l’art. 1 della direttiva 78/319/CEE vanno intesi nel senso che nella nozione giuridica di rifiuto devono essere comprese anche le cose, di cui il detentore si sia disfatto, suscettibili però di riutilizzazione economica?
2. Inoltre, la nozione di rifiuto postula un accertamento sull'esistenza dell'animus dereliquendi nel detentore della sostanza od oggetto"?

L’orientamento della Corte
In relazione alla prima delle due domande, la Corte ha evidenziato che entrambe le direttive:
- sottolineano la necessità di favorire il recupero dei rifiuti e l'utilizzazione dei materiali di recupero per preservare le risorse naturali;
- definiscono smaltimento dei rifiuti le operazioni di trasformazione necessarie al riutilizzo, al recupero o al riciclo degli stessi;
- obbligano gli Stati membri ad adottare le misure atte a promuovere la prevenzione, il riciclo, la trasformazione dei rifiuti e l'estrazione dai medesimi di materie prime ed eventualmente di energia, nonché ogni altro metodo che consenta il riutilizzo dei rifiuti.

In sintesi, la C.G.C.E. mette in luce che da questa disposizioni emerge che una sostanza di cui il detentore si disfi può costituire un rifiuto, ai sensi delle direttive 75/442 e 78/319, anche quando sia suscettibile di riutilizzazione economica: quindi “si deve risolvere la prima parte della questione nel senso che la nozione di rifiuto […] non deve intendersi nel senso che esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica”.

In relazione alla seconda questione, la Corte sottolinea che, in generale, entrambe le direttive:
- si riferiscono ad ogni sostanza e ad ogni oggetto di cui il detentore si disfi, senza distinguere a seconda dell'intenzione del detentore che si disfa della cosa;
- precisano che costituiscono rifiuti anche le sostanze o gli oggetti di cui il detentore "abbia l' obbligo di disfarsi secondo le disposizioni nazionali vigenti" e, di conseguenza, il detentore può essere tenuto, in forza di una norma nazionale, a disfarsi di una cosa senza per questo avere l'intenzione di escluderne ogni riutilizzazione economica da parte di altre persone .
Lo scopo essenziale delle direttive sarebbe compromesso se l'applicazione delle due direttive dipendesse dall'intenzione del detentore di escludere o no una riutilizzazione economica, da parte di altre persone, delle sostanze o degli oggetti di cui egli si disfa.

In conclusione, si deve quindi risolvere la seconda questione nel senso che la nozione di rifiuto […] non presuppone che il detentore che si disfa di una sostanza o di un oggetto abbia l' intenzione di escluderne ogni riutilizzazione economica da parte di altre persone.

Testo completo della sentenza Vessoso e Zanetti.