Telenovela discariche di rifiuti: la Cassazione impone vincoli indiretti (parte prima)

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Discariche di rifiuti sotto il mirino della giurisprudenza: la Cassazione sembra mettere un punto fermo in relazione all’interpretazione del regime transitorio (finora prorogato con una costanza “degna di plauso”…)

La sentenza che vi propongo oggi (Cassazione Penale, Sez. III, n. 37559 del 3 ottobre 2008) interviene e mettere ordine nelle diverse interpretazioni relative all’estensione dell’ambito di applicazione del regime transitorio previsto, in materia di discariche di rifiuti, dall’art. 17 del D.Lgs n. 36 del 2003.
In considerazione della sua importanza, ritengo sia necessaria un’analisi dettagliata delle motivazioni della Cassazione.
Prima di parlarvene, però, permettetemi di ripercorrere, sia pure in sintesi, la telenovela delle proroghe al regime delle discariche, che il nostro legislatore ha trasposto con “un certo ritardo” nel nostro Paese il quale, proprio per questo, è stato condannato dalla Corte di Giustizia lo scorso aprile (Natura Giuridica ha commentato la sentenza della Corte di Giustizia in questione in “L'ennesima condanna per l'Italia in materia ambientale").

Il testo originario di cui all’art. 17, commi 1, 2 e 6, lett. a) del D.Lgs n. 36/2003 (attuazione della direttiva 1999/31/CE in materia di discariche di rifiuti, oggetto delle proroghe in oggetto) prevedeva che:
1. “le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del presente decreto possono continuare a ricevere, fino al 16 luglio 2005, i rifiuti per cui sono state autorizzate (c. 1);

2. fino al 16 luglio 2005 è consentito lo smaltimento nelle nuove discariche, in osservanza delle condizioni e dei limiti di accettabilità previsti dalla deliberazione del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984 […] relativamente:
a) nelle discariche per i rifiuti inerti, ai rifiuti precedentemente avviati a discariche di II categoria, tipo A;
b) nelle discariche per rifiuti non pericolosi, ai rifiuti precedentemente avviati alle discariche di prima categoria e di II categoria, tipo B;
c) nelle discariche per i rifiuti pericolosi, ai rifiuti precedentemente avviati alle discariche di II categoria tipo C e terza categoria (c. 2);
3. Sono abrogati:
a) il paragrafo 4.2. e le parti attinenti allo stoccaggio definitivo de paragrafi 5 e 6 della citata deliberazione del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984; ai fini di cui al comma 2, restano validi fino al 16 luglio 2005 i valori limite e le condizioni di ammissibilità previsti dalla deliberazione (c. 6, lett. a)”.
Con l’art. 11 del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, il legislatore ha prorogato il termine per il conferimento in discarica dei rifiuti al 31 dicembre 2005.
La successiva legge n. 248 del 02 dicembre 2005 ha ulteriormente prorogato tale termine, portandolo al 31 dicembre 2006.
Alla vigilia della scadenza di questo termine interveniva prontamente la finanziaria per il 2007 (legge 296 del 27 dicembre 2006), che prorogava, “come da prassi”, il termine de quo di un altro anno, e, giunti nuovamente all’approssimarsi dell’ulteriore scadenza, l’impavido legislatore, guardando la sua agenda, si è ricordato dell’appuntamento annuale, e ha introdotto, nella finanziaria per il 2008 (legge 244 del 24 dicembre 2007), la consueta proroga annuale.
Di tal chè, in attesa della prossima proroga, l’attuale termine di scadenza è "fissato" per il 31 dicembre di quest’anno (ma pare scontato che ci sarà un ulteriore ritocco…).
La vicenda oggetto della sentenza trae origine da un sequestro preventivo di una discarica preesistente all’entrata in vigore del D.Lgs n. 36 del 2003, nell'ambito di un procedimento penale contro il rappresentante legale della società che la gestiva, indagato per il reato di cui all’art. 256, commi 1 e 4, del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, commi 1 e 4, per aver accettato e ricevuto in discarica conferimenti di rifiuti in violazione della autorizzazione, delle prescrizioni imposte con una determina del dirigente del settore ecologia e ambiente della Provincia di Taranto.
Ad avviso del g.i.p. che aveva disposto il sequestro, la società non aveva rispettato le prescrizioni imposte dalla Provincia, come autorità competente, secondo la quale lo smaltimento dei rifiuti doveva avvenire ai sensi del D.M. 3 agosto 2005 (Definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica)
Il Giudice del riesame, tuttavia, sosteneva che:
  • l'inapplicabilità temporanea delle normativa primaria (D.Lgs n. 36/2003, in base al regime delle permanenti proroghe, sopra delineato) comporta anche l'inapplicabilità della normativa secondaria di attuazione (D.M. 3 agosto 2005);
  • di conseguenza, era inapplicabile anche la determina dirigenziale della Provincia, che al decreto ministeriale faceva riferimento (nonostante la correttezza formale, al momento della sua adozione).
In definitiva, secondo il tribunale del riesame difettava:
  • sia il fumus del reato contestato, salvo ipotizzare un accordo illecito tra produttori/detentori dei rifiuti e gestore della discarica, volto al conferimento di rifiuti pericolosi o comunque non ammessi ma muniti di documentazione di accompagnamento formalmente ineccepibile (ma il sequestro preventivo – sottolinea la Cassazione – non può essere strumentalizzato per questo fine investigativo, che va raggiunto invece accertando l'illecito accordo, senza utilizzare una scorretta interpretazione della normativa vigente sulle discariche);
  • sia il periculum in mora, non essendo così evidente che la mancata adozione del sequestro avrebbe aggravato o protratto le conseguenze del reato ipotizzato, dovendosi piuttosto ritenere che la società, regolarmente autorizzata, si sarebbe spontaneamente adeguata alla normativa vigente.
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Il ping-pong giudiziale figlio dell’eterna incertezza giuridica (parte seconda)

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Effettuata, a grandi line, la ricostruzione in fatto e in diritto, vi riporto, di seguito, le massime della sentenza della Corte di Cassazione Penale n. 35235/08.

L’autocertificazione prevista dall’art. 183, lett. n), del D.Lgs. n. 152/06, nel testo vigente prima della modificazione introdotta con il D.Lgs n. 4 del 2008, non è più determinante per individuare la certezza del riutilizzo.

(Nella specie la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza del Tribunale del riesame di Terni, con la quale era stata respinta l’istanza presentata dal titolare di una società, cui era stata sequestrata un’area, posta all’interno dell’azienda, sulla quale erano stati depositate 4000 tonnellate di scarti della lavorazione di pavimenti di linoleum, classificati come rifiuti dal Tribunale per lo stato di abbandono in cui il materiale si trovava e per la mancanza di documentazione idonea a provare l’effettivo riutilizzo)

***
Il deposito dei residui di produzione nel luogo in cui gli stessi vengono prodotti, o nelle vicinanze o in altro luogo non costituisce di per sé elemento univoco per qualificarli come rifiuti, se dalle modalità del deposito, dalla sua durata e da altre circostanze non può desumersi con certezza una situazione di effettivo abbandono.


(Nella specie la Cassazione – dopo aver evidenziato che il Tribunale del riesame non aveva adeguatamente valutato gli elementi probatori forniti dall’indagato – ha annullato con rinvio, in quanto dal provvedimento impugnato non emerge con certezza se l’indagato abbia accumulato il materiale nell’area de qua per smaltirli o, al contrario, per riutilizzarli e conseguire un vantaggio economico.
In relazione a quest’ultimo elemento, la Cassazione ha sottolineato che il criterio economico, anche se è stato esplicitamente richiamato dal legislatore solo con il decreto correttivo n. 4/08, poteva essere legittimamente utilizzato anche prima del richiamo esplicito da parte del legislatore.
Invero, conclude la Corte, il residuo del processo produttivo non viene abbandonato ma gestito come sottoprodotto se il detentore o il produttore di sostanze ricavate da un processo produttivo destinato principalmente ad altre produzioni riceve un vantaggio economico anche dall’utilizzo dei residui).

***

Non si può utilizzare un sequestro probatorio per soddisfare esigenze cautelari per le quali è previsto il sequestro preventivo.

(Nella specie, il Giudice di legittimità ha annullato ha messo in evidenza che il provvedimento impugnato aveva disposto il sequestro non per espletare accertamenti peritali sui residui de quibus – che pure potevano essere utili per individuare le possibilità di una loro effettiva riutilizzazione, ma solo per assicurare la prova del reato, esigenza questa che poteva essere garantita anche con mezzi diversi dal sequestro).

Dell’incertezza normativa ho parlato a lungo nelle pagine di Natura Giuridica, anche in relazione all’insostenibile leggerezza dell’essere…sottoprodotto
L’estenuante ping pong fra Cassazione e Giudice del rinvio, e i continui cambi di direzione dell’uno e dell’altro, non sono altro che uno degli effetti perversi e distorti dell’assurdo modo di condurre la politica ambientale nel nostro Paese…
Alla fine, quello che rimane non è che una sbiadita immagine di un perenne “progredire” a tentoni…con buona pace della certezza del diritto, dello sviluppo economico e della tutela dell’ambiente.

Corte di Cassazione penale, sentenza n. 35235 del 2008

Foto: “ping-pong” originally uploaded by yullya



Verdi per caso!?

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Ho voluto un titolo volutamente provocatorio per questo post, un mix eterogeneo fra un sogno – “declassato”dalla realtà a vaga speranza – e la più prosaica, amara constatazione di come “noi Italiani” facciamo le cose esclusivamente per contrapposizione, per convenienza o per necessità.

In ogni caso, mai spinti da un interesse che trascenda il piccolo orticello del particolarismo fine a se stesso e ci permetta di guardare “più in là”, al nuovo, al diverso, e di essere lungimiranti. Mai per scelta.
Un sogno – ambiente e sviluppo sostenibili – simboleggiato da un colore il cui valore simbolico è stato troppo spesso equivocato, da apprendisti politici di entrambi gli schieramenti che rivendicano a vario titolo la difesa del nuovo baluardo della difesa dell'ambiente.

Questo post prende spunto da un arguto “Buongiorno” di Massimo Gramellini, Al verde del 10 ottobre 2008), e mi auguro che funga da stimolo ad un dibattito finora troppo frettolosamente relegato – in modo colpevolmente semplicistico e fuorviante – nel solito dimenticatoio del paese del gattopardo di cui ho già scritto.



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Il ping-pong giudiziale figlio dell’eterna incertezza giuridica (parte prima)

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La sentenza che vi propongo oggi (Cassazione penale, Sez. III, n. 35235/08, Cioffi), in materia di definizione di rifiuto-sottoprodotto, è l’emblema (un altro…ne sentivamo la mancanza) dell’eterno “immobilismo in continuo movimento” che caratterizza il nostro paese…

La cronica mancanza di una legislazione coerente, duratura, coordinata, autorevole, provoca disagi:
  • negli operatori, che non sanno che pesci prendere, o a che santo votarsi, e
  • negli interpreti delle norme, sballottati fra diverse interpretazioni plausibili
senza riuscire a trovare soluzioni accettabili per l’ambiente e per il mercato.

Con costi enormi per l’uno e per l’altro.

E per la giustizia, ingolfata da processi che spesso cadono in prescrizione, anche a causa di una legislazione che, con la sua (voluta? ricercata?) nebulosità di fatto legittima questo stato di fatto.

Uno degli ultimi esempi di questo cronico incedere è dato dalla sentenza Cioffi (Cassazione penale, Sez. III, n. 35235/08)…


Questa la vicenda:
  1. in seguito ad una ispezione in un’azienda del ternano era emerso che, su un’area di 7000 metri quadrati erano state depositate, all’interno dell’azienda ivi presente, circa 4000 tonnellate di rifiuti (scarti della lavorazione di pavimenti di linoleum);
  2. il Cioffi, titolare dell’impresa, chiedeva il riesame del sequestro probatorio dell’area, adibita, secondo l’accusa, a discarica di rifiuti provenienti dal ciclo produttivo;
  3. il Tribunale annullava il decreto di sequestro, in quanto il materiale de quo non doveva considerarsi rifiuto, bensì sottoprodotto;
  4. la Cassazione, adita su ricorso del PM, annullava con rinvio tale ordinanza, per carenza motivazionali sulla natura di sottoprodotto, e più precisamente per omessa motivazione sulla certezza dell’utilizzazione e sulla necessità, ai fini della riutilizzazione, di una dichiarazione del produttore o detentore controfirmata dal titolar dell’impianto";
  5. il Tribunale del rinvio ribadiva l’annullamento del sequestro, osservando che la natura del materiale rinvenuto appariva compatibile con l’impianto ordinato dalla società per la polverizzazione degli scarti di linoleum e che, stante la coincidenza nella medesima persona del produttore e del riutilizzatore, non era necessaria necessaria alcuna dichiarazione;
  6. in seguito all’ulteriore ricorso del PM, la Cassazione annullava, di nuovo con rinvio, sostenendo la necessità dell’autocertificazione, nonostante la sopra descritta coincidenza…
  7. il Tribunale del rinvio, questa volta, respingeva l’istanza presentata dal Cioffi, sostenendo, contrariamente a quanto affermato fino allora, che il materiale de quo era rifiuto (!), “per lo stati di abbandono in cui il materiale si trovava, e per la mancanza di documentazione idonea a provare l’effettivo riutilizzo”;
  8. questa volta ricorreva in Cassazione il Cioffi, denunciando, inter alia, la violazione dell’art. 183, comma 1, lett. p) del c.d Testo Unico Ambientale, per avere il tribunale omesso di considerare che con il D.Lgs n. 4/2008 era stata riformulata la nozione di sottoprodotto escludendo la necessità della “dichiarazione” precedentemente richiesta.
La Cassazione ha ritenuto sostanzialmente fondato il ricorso, e ha, purtroppo, ancora una volta annullato con rinvio la decisione impugnata…
Dopo una ricostruzione temporale, relativa alla distinzione fra scarti (rifiuti) e sottoprodotti (non rifiuti), in cui la Suprema Corte ha sottolineato la difficoltà di individuare criteri “univoci”, la Cassazione si sofferma sull’importanza di distinguere fra:
  • la gestione degli scarti, che comporta costi e oneri, e
  • la gestione dei sottoprodotti, la quale, al contrario, arreca vantaggi.
Il valore economico del residuo (il detentore si disfa della cose che non gli servono più, ma non di quelle che possono ancora procurargli vantaggi economici) è un elemento determinante per la distinzione fra scarto e sottoprodotto, anche se spesso è stato trascurato dagli interpreti e dallo stesso legislatore. Ma è stato esplicitamente ripreso con il decreto correttivo n. 4 del 2008.
In relazione alla certezza del riutilizzo, evidenzia la Corte di Cassazione, non ci sono contrasti: le maggiori difficoltà nascono in relazione alle modalità di riutilizzo, che vede contrapposte le posizioni di chi ritiene che:
  • il riutilizzo debba avvenire nello stesso processo di produzione e all’interno dell’impresa di provenienza (in sostanza: doveva esistere una identificazione soggettiva del produttore ed utilizzatore ed oggettiva del luogo di produzione), e
  • il riutilizzo possa avvenire anche in un processo successivo, sotto forma di sfruttamento o commercializzazione.
Questo contrasto – che, secondo la Corte, è stato risolto con il Testo Unico Ambientale, nella sua formulazione originaria – potrebbe risorgere in seguito alle modifiche apportate dal D.Lgs n. 4/2008 che, oltre ad avere eliminato dalla nozione di sottoprodotti quelli definiti ex lege come tali dal Testo Unico Ambientale, ha stabilito che il riutilizzo del residuo debba avvenire nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato o definito, lasciando intendere un sostanziale ritorno al passato, sia pure con modalità parzialmente diverse…

Foto: “Ping Pong interrupted” originally uploaded by Fast Mikie



Affaire Giacomelli: TAR Brescia 782 del 2005 (la storia continua...)

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Il TAR Brescia (sentenza n. 782/05) richiama, a questo punto, l'art. 174 del Trattato C.E. che,
  • al paragrafo 1 indica la protezione della salute umana fra gli obiettivi della politica comunitaria in materia ambientale e,
  • al paragrafo 2, sancisce la forza vincolante del principio di precauzione, il quale si dispone che “la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni …. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”.
L'obbligo giuridico di assicurare un "elevato livello di tutela ambientale" con l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, prosegue il TAR Brescia, tende a spostare il sistema giuridico europeo:
  • dalla considerazione del danno da riparare (principio "chi inquina paga")
  • alla prevenzione (soprattutto mediante la V.I.A.), alla correzione del danno ambientale alla fonte, alla precauzione ed all’integrazione degli strumenti giuridici, tecnici, economici e politici per uno sviluppo economico davvero sostenibile ed uno sviluppo sociale che veda garantita la qualità della vita e l'ambiente quale valore umano fondamentale di ogni persona e della società.
“Per finire”, il TAR Brescia sottolinea che, nonostante il principio di precauzione sia menzionato solamente in relazione alla politica ambientale, lo stesso ha una sfera di applicazione ben più ampia,
estendendo la propria portata a tutti gli ambiti di azione della Comunità, al fine di assicurare un livello elevato di protezione della salute. Ne consegue che esso può essere definito come un principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessi economici: infatti, essendo le istituzioni comunitarie e nazionali responsabili – in tutti i loro ambiti d'azione – della tutela della salute, della sicurezza e dell'ambiente, la regola della precauzione può essere considerata come un principio autonomo che discende dalle disposizioni del Trattato.
Una volta effettuate queste “belle premesse”, tuttavia, il TAR Brescia ha affermato che nel caso in cui la valutazione scientifica non consenta di escludere con certezza il verificarsi di un rischio, la scelta di ricorrere al principio di precauzione dipende generalmente dal livello di protezione scelto dall'autorità competente nell'esercizio del suo potere discrezionale, anche se, naturalmente, tale decisione deve in ogni caso essere conforme al principio della preminenza della tutela della salute, della sicurezza e dell'ambiente sugli interessi economici, nonché ai principi di proporzionalità e di non discriminazione.

Se occorre correlare – nel singolo caso di specie – gli interventi connessi alle misure protettive con il pericolo temuto, la fissazione di un grado di rischio “tollerabile” per la società costituisce una decisione che implica un’elevata responsabilità sul piano politico, alla quale si può far fronte soltanto se – prima di essa – l'incertezza sia stata ridotta al minimo grazie all'impiego delle migliori risorse scientifiche disponibili: dopo un approfondimento completo ed esauriente si deve stabilire il grado di rischio di volta in volta tollerabile, rientrante nell'ambito di potere discrezionale rimesso alle autorità competenti.
Calando questi principi astratti al caso concreto, il TAR Brescia afferma che pur in presenza di pericoli connessi al trattamento di rifiuti pericolosi – l’amministrazione ben può compiere una valutazione che tenda a privilegiare l’interesse pubblico all’esercizio di un’attività socialmente utile, dopo aver adottato tutte le misure che arretrano la soglia del rischio di danno ambientale ad un livello che possa ritenersi accettabile nell’ottica della tutela di un valore fondamentale quale quello della salute umana garantita dall'art. 32 Cost.
Fin qui mi sembra un discorso ragionevole ed equilibrato, nell’ottica dello sviluppo sostenibile…sempre che sia fatto con una valutazione ex ante...
Nella specie, invece, il TAR Brescia ha considerato legittimo il decreto di compatibilità ambientale ex post, pur avendo accertato che l’impianto assoggettato a VIA e la piattaforma nel cui ambito lo stesso era collocato non garantivano un livello di certezza assoluta per la salute umana.
Insomma: il mancato svolgimento della valutazione d'impatto ambientale precedentemente al rilascio dell’autorizzazione rappresenta una mera irregolarità…
La motivazione?
Trattandosi di un impianto già in esercizio da molti anni, che rispondeva ad esigenze di interesse nazionale, secondo il TAR Brescia la scelta dell’amministrazione non era viziata, anche se non garantiva una tutela assoluta del diritto alla salute dei cittadini.
E, ad ogni modo, il rilascio del provvedimento di VIA ex post, nella specie, era da ritenersi privo di conseguenze, essendo stato, comunque, esercitato il potere pubblicistico in materia di valutazione di impatto ambientale.
Capito?
Una valutazione, che dovrebbe essere effettuata prima della (eventuale) realizzazione dell'opera, viene legittimata se effettuata, comunque, ex post, per ragioni di supremo interesse nazionale…
...nelle premesse al decreto sulla V.I.A. si osserva che l’impianto “si pone al servizio del nord Italia e del territorio nazionale, con percentuali di potenzialità autorizzata pari al 27% della capacità di trattamento degli impianti autorizzati nel nord Italia e pari al 23% della potenzialità disponibile a livello nazionale” ed inoltre “risponde all’esigenza di trattamento di inertizzazione per ridurre la pericolosità dei rifiuti tossico-nocivi, evitando quindi la realizzazione di discariche dedicate”.
E’ pacifico che la piattaforma ove la Società ricorrente esercita l’attività di trattamento di rifiuti non pericolosi e pericolosi non garantisce un livello di sicurezza assoluta, e tuttavia gli adempimenti imposti con gli ultimi provvedimenti autorizzatori prospettano soluzioni accettabili attraverso il compimento di una serie di interventi di salvaguardia ed una costante azione di monitoraggio dei rischi sotto l’attenta regia delle autorità competenti.
Per fortuna, come vedremo nella "prossima puntata" dell'Affaire Giacomelli, lo stesso TAR Brescia, di recente, ha modificato questa sua visione delle cose…

(continua)
Foto: "Misty Bresa" originally uploaded by andrea francesco


Le professioni dell’ambiente

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di Naide Della Pelle

Il mercato delle occupazioni ambientali è in crescita
In questo clima di incertezza e di scarso ottimismo, c’è qualcuno che afferma che per i prossimi 10 anni le professioni e i mestieri legati all’ambiente saranno tra i più sicuri.

Secondo un rapporto ISFOL (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale) risalente al gennaio 2008, gli occupati in campo ambientale ammontavano a 372.000 unità ma la cifra ad oggi è certamente cresciuta.
Non parliamo solo di netturbini o boscaioli, ma di molte altre figure professionali, anche con laurea e master: dal tecnico installatore di pannelli solari e fotovoltaici nelle nostre case, agli ingegneri del vento che posizionano le pale eoliche, a chi lavora nel campo delle bio-tecnologie fino alle recenti figure di energy manager e mobility manager.

Alcuni utilizzano il termine “green economy” per sintetizzare in una sola espressione tutti questi nuovi campi professionali: dalla gestione dei rifiuti, alla protezione e risanamento del suolo e delle acque, allo studio delle tecnologie per abbattere i rumori, alla protezione della biodiversità per finire con la razionalizzazione della mobilità.

Ci si avvicina ad una occupazione ambientale partendo sia da un percorso di studi classico, come una laurea in giurisprudenza, sia dallo studio di materie scientifiche e, tramite un master, si acquisiscono le competenze tecniche necessarie per lavorare a vario titolo in campo ambientale.



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Affaire Giacomelli: TAR Brescia 782 del 2005

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Con la sentenza n.782 del 2005 il TAR di Brescia è intervenuto nel ricorso intentato dalla Sig.ra Giacomelli, di cui ho già parlato nelle pagine di Natura Giuridica (Affaire Giacomelli 1; Affaire Giacomelli 2).

La Società Ecoservizi S.p.a. gestisce – nel territorio del Comune di Brescia – una piattaforma integrata per il trattamento dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi per conto terzi, localizzata nelle immediate vicinanze dell’abitazione della ricorrente.

Con sette distinti riscorsi, riuniti dal TAR Brescia in quanto connessi sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la Sig.ra Giacomelli impugnava le plurime determinazioni assunte dall’autorità regionale e dai ministeri competenti, con le quali era stato autorizzato l’esercizio dell’attività di trattamento di rifiuti speciali, non pericolosi e pericolosi.


Per la ricostruzione particolareggiata del fatto, nonché per l’analisi più approfondita della parte in diritto, rimando al testo integrale della sentenza del TAR Brescia n. 782 del 2005.

In questa sede voglio porre l’attenzione su un passaggio fondamentale della sentenza: quello relativo all’“asserita” indebita inversione dell’ordine procedimentale, essendo l’autorizzazione intervenuta prima della completa attuazione delle prescrizioni.

A tale proposito, il TAR di Brescia, dopo aver ricordato di aver avuto già modo di sottolineare come
il mancato rispetto del corretto iter procedimentale sia qualificabile come mera violazione formale priva di conseguenze quando un’infrastruttura già realizzata abbia solamente in seguito costituito oggetto di valutazione sotto il profilo dell’impatto ambientale, e pertanto il potere pubblicistico attribuito dalla Costituzione e dal legislatore all’autorità statale e regionale sia stato comunque esercitato affrontando in modo esauriente le questioni sostanziali connesse al compimento dell’opera
ha dichiarato di non condividere l’affermazione in base alla quale l’autorizzazione avrebbe dovuto essere rilasciata solo dopo la completa attuazione delle prescrizioni: tale scelta, infatti, secondo il TAR Brescia
avrebbe significato – nel doveroso bilanciamento degli interessi in gioco – il blocco assoluto ed ingiustificato di un’attività di pubblica utilità, rispetto alla quale la valutazione di compatibilità ambientale si era conclusa in senso favorevole.
La ricorrente – “sulla scorta” dei numerosi incidenti che nel corso degli anni si sono verificati, e che testimonierebbero i gravi rischi connessi all’esercizio dell’attività con particolare riguardo alla salute pubblica – ha, inoltre, censurato l’irragionevolezza della scelta finale dell’amministrazione circa la compatibilità ambientale dell’opera.
La discrezionalità dell’amministrazione, infatti, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto incontrare un limite logico nella ratio delle disposizioni legislative che prescrivono – per le attività di recupero o di smaltimento dei rifiuti – di non esporre a pericolo la salute dell’uomo e di non utilizzare metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente.

Tuttavia, il TAR Brescia non ha condiviso tale impostazione, e ha richiamato il principio di precauzione…

Foto: "Misty Bresa" originally uploaded by andrea francesco



Legge, cultura e responsabilità per la tutela dell’Ambiente

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Venerdì 17 ottobre 2008 si è tenuta, presso il Consiglio regionale del Piemonte, a Torino, un convegno intitolato “Legge, cultura e responsabilità per la tutela dell’Ambiente”.


Anch’io ho partecipato in qualità di relatore: nel mio intervento ho cercato di delineare, contestualizzandolo, il ruolo delle regioni nella politica ambientale.
Per ovvi motivi di tempo, non ho potuto scendere a livello di dettaglio: per questo motivo ho predisposto, per chi volesse approfondire, una relazione, il cui testo completo si può scaricare sul sito internet di Natura Giuridica.

Quello che segue è un breve riassunto.

La mia analisi è partita da un citazione del Prof. Maddalena, Giudice della Corte Costituzionale, che:
  • ha sottolineato la difficoltà di definire l'ambiente sul piano giuridico, e di indicare i presupposti giuridici della sua tutela;
  • ha posto l’accento sulla profonda crisi del sistema normativo, nel quale il diritto, diventato pura forma e procedimento (osservati questi, qualsiasi interesse può prevalere…) ha perso molta della sua forza) e
i valori tradizionali, ed in particolare il valore della giustizia, sembrano regredire di fronte all'avanzata, possente e distruttiva insieme, dell'interesse economico.
Questa crisi in campo ambientale è più evidente che mai, e investe tutti i livelli di governo.
Di qui si è, quindi, sviluppata la mia analisi:
  • sull’evoluzione della legislazione normativa italiana che, figlia di un modo di legiferare perennemente emergenziale (…continuamente prorogato…), ha creato notevoli problemi pratici fra gli operatori del settore, ha influito negativamente sullo sviluppo economico del nostro Paese (frenandolo) e, soprattutto, ha impedito un’efficace tutela dell’ambiente. Legislazione che neanche il c.d. Testo Unico Ambientale è riuscito a razionalizzare, semplificare e coordinare (di questo ho già cominciato a parlare nelle pagine di Natura Giuridica).
  • sul ruolo della giurisprudenza nella tutela dell’ambiente e della salute dell’uomo.

Effettuata questa doverosa premessa, necessaria per contestualizzare il mio intervento, ho:
  • sottolineato che la crisi del diritto ambientale si complica se, dal livello nazionale, ci si spinge ad un’analisi delle varie legislazioni regionali;
  • evidenziato le problematiche attinenti alla ripartizione delle competenze Stato-Regioni, così come stabilite nel Testo Unico Ambientale;
  • sintetizzato la giurisprudenza della Corte Costituzionale,
al fine di verificare, in concreto, quali sia il ruolo della Regione nella materia de qua.

Dopo una breve panoramica della politica ambientale piemontese, prima delle conclusioni ho sottolineato l’importanza dell’InFormazione e della comunicazione dell’ambiente in generale, e del diritto ambientale: cioè la mission di Natura Giuridica.

Anche le conclusioni iniziano con una citazione.
Se, come dice Aristotele, la legge non ragiona di cose particolari e presenti, ma di cose future e generali e se il futuro (specie in ambiti in cui sono coinvolte questioni tecnico-scientifiche) è caratterizzato dall’incertezza, dalla varietà dei casi ogni giorno più sorprendenti, non si può non convenire che il diritto ambientale dimostri come il legislatore tenda ad essere sempre più spesso scavalcato, ridimensionato e limitato.
"E infatti, costretto nelle pastoie di procedure lunghe e complesse, sballottolato nel teatro nazionale della politica, questi resta costantemente indietro rispetto al regolato formale, affannandosi in una sorta di corsa contro il tempo che inevitabilmente produce sovrapposizioni, contrasti incertezze".
Credo, in estrema sintesi, che l’unica azione credibile, dopo anni di velleitarie politiche settoriali, consiste in interventi coordinati e razionali, strutturali e strutturati, sia in campo giuridico che in campo economico: una politica dell’ambiente integrata e di ampio respiro, dinamica, che sia al tempo stesso incentivante e dissuasiva, adeguata e, soprattutto, effettivamente operativa, capace di dare, finalmente, una seria e concreta risposta all’esigenza di tutela, troppo a lungo disattesa.

Questo a livello di politica ambientale.

Ma “le odierne sfide ambientali impongono di guardare oltre l’approccio strettamente normativo e di assumere una strategia su più fronti, capace di indurre i necessari cambiamenti dei nostri modelli di produzione e di consumo”.

In sostanza, non è sufficiente “delegare” il problema ambiente alla classe politica, per pensare di poterlo risolvere: occorre responsabilizzarsi, uscire dal pantano di cinismo rassegnato in cui ci dimeniamo, dalla miopia culturale.

Bisogna prendere coscienza e consapevolezza delle possibilità e del potere dei piccoli gesti quotidiani, cominciare a informarci, comunicare, dialogare e collaborare veramente, come capita in altri paesi più civili del nostro, per la costruzione di un bene comune: in sostanza, formare una solida cultura della legalità ambientale.

Fondamentale, in questa prospettiva, è il ruolo della governance, ovvero di un nuovo modo di governare, basato su un approccio condiviso ed allargato, alternativo al tradizionale intervento politico dall’alto: nell’attuazione delle politiche ambientali diventano così prioritari i comportamenti degli attori pubblici e privati, di interessi economici e di singoli cittadini, quotidianamente chiamati, con le loro azioni, a mettere in pratica la sostenibilità.

Da ciò l’importanza della comunicazione e dell’informazione ambientale, volte a rendere consapevole il cittadino delle problematiche ambientali e delle politiche mese in atto per la loro risoluzione.

Foto Torino B&W originally uploaded by Semaone.



L’insostenibile leggerezza dell’essere…sottoprodotto

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È stato da poco pubblicato il n. 4-5 del 2008 della Rivista Consulting, Geva Edizioni.


Questo è il sommario (collegandovi al sito della GEVA potete leggere l’editoriale):

Massimo Jandolo, ne "L'uso dei silicati minerali per eliminare l'acido fluoridrico" illustra una nuova tecnica di smaltimento.

Stefano Bernardi indica "Le corrette norme di comportamento" nella gestione di rifiuti aziendali, mentre Gian Luca Montel spiega i perché della “Sicurezza della trattrice agricola”.

Nella rubrica GREenERGY l’Ing. Leonardo Evangelista delinea le "Luci e…soprattutto le ombre del fotovoltaico", oggi.
Anch’io ho collaborato alla redazione della Rubrica GREenERGY, in questo numero, con un articolo in materia di sottoprodotti, che ho voluto intitolare, un po’ provocatoriamente: L'insostenibile leggerezza dell'essere... sottoprodotto - Le modifiche alla nozione di sottoprodotto introdotte nel secondo decreto correttivo”

Seguono gli articoli di
Paolo Ghelfi: "Metodi ed esperienze per l'organizzazione aziendale - L'importanza della misura dei fenomeni"

Marilena Serafini: "Domande e risposte sulla certificazione energetica"

Nicola G. Grillo: "Tecnico o consulente Tecnico? - Gestione aziendale e imprenditorialità"

Lidia Mancini: "Testo Unico e sicurezza sul lavoro - Diverse idee, ma ancora poche soluzioni concrete"

Domenico Grillo: "Caro petrolio... Quanto costi realmente?"

Nello Speciale, l’Ing. Grillo parla di "Energia nucleare: Riprendere o lasciare?"

Per informazioni sull’abbonamento, collegati al sito della GEVA Edizioni.

Vi riporto alcuni stralci del mio articolo: "L’insostenibile leggerezza dell’essere…sottoprodotto".


Nel primo paragrafo, intitolato “Le modifiche alla nozione di sottoprodotto introdotte nel secondo decreto correttivo”, analizzo le novità introdotte, nella disciplina sulla gestione dei rifiuti, in relazione alla definizione di sottoprodotto, sottolineando come
nel complesso – è stato sottolineato in dottrina – “si tratta di certo di un testo senza dubbio migliore rispetto al precedente anche sotto il profilo della tecnica legislativa […].
Ciò non toglie, peraltro, che rimane qualche dubbio riguardo alla opportunità della scelta stessa di fissare in un testo legislativo dei criteri che - essendo unicamente il frutto di elaborazioni giurisprudenziali - sono ovviamente di difficile interpretazione e mutevoli nel tempo”: la tecnica legislativa, infatti, può suscitare perplessità “in quanto fotografa un fenomeno in evoluzione che, con il tempo, rischia di essere sempre meno fedele rispetto all’oggetto rappresentato, così da obbligare il legislatore italiano a continui interventi di riallineamento della disposizione interna alla norma comunitaria, quando la differenza non sia più colmabile attraverso il ricorso all’interpretazione adeguatrice”.
Nel secondo paragrafo, "La comunicazione interpretativa sui rifiuti e sui sottoprodotti", dopo aver delineato i punti salienti della “Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa alla Comunicazione interpretativa sui rifiuti e sui sottoprodotti” del 21 febbraio 2007, nella quale la Commissione ha evidenziato che, in alcuni casi, è problematico distinguere fra:
  • materiali che non sono l'obiettivo primario di un processo di produzione (ma che possono essere considerati sottoprodotti non assimilabili a rifiuti), e
  • materiali che devono invece essere trattati come rifiuti
analizzo le linee fondamentali delle linee guida interpretative:

1) la prima riguarda il materiale risultato di una scelta tecnica […]
2) nella seconda la Commissione elenca le tre condizioni che gli stessi devono soddisfare per essere considerati sottoprodotto (e non rifiuto):
  • la certezza del suo utilizzo;
  • l’assenza di una previa trasformazione preliminare del residuo di produzione.
  • la continuità del processo di produzione.
3) nella terza, infine, la Commissione “snocciola” altri elementi che, sulla base dell’esperienza “vagliata” dalla Corte di Giustizia, possono essere utili - pur non costituendo una prova irrefutabile – per distinguere, nel concreto, fra rifiuti e sottoprodotti.
Nel terzo paragrafo, "La posizione comune definita dal Consiglio il 20 dicembre 2007: meno limiti per i sottoprodotti…?", viene analizzata brevemente la posizione comune del 20 dicembre 2007, adottata dal Consiglio dell’Unione e dal Parlamento in vista dell’adozione delle nuova direttiva in materia di rifiuti, mentre nel paragrafo successivo ("…e la raccomandazione del Parlamento"), si accenna al Progetto di risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 18 aprile 2008, che ha ritenuto opportuno di intervenire ulteriormente in materia.



Nelle conclusioni finali sottolineo come l’assenza di chiarezza giuridica ha sicuramente reso difficile l'applicazione della definizione di rifiuto, sia per le autorità competenti che per gli operatori economici, creando, a volte, disparità nel trattamento fra gli operatori economici e ostacolando il mercato interno.

“non si tratta di discorsi meramente teorici:
- da un lato, un'interpretazione troppo ampia della definizione di rifiuto imporrebbe alle aziende costi superflui, rendendo meno interessante un materiale che, invece, sarebbe potuto invece rientrare nel circuito economico;
- dall’altro, un'interpretazione troppo restrittiva potrebbe tradursi in danni ambientali e pregiudicare l'efficacia della legislazione e delle norme comunitarie in materia di rifiuti.
Credo che – stante la già difficile ricerca di un’adeguata nozione di rifiuto, oltre alla complessità dei “processi di produzione” (“partecipati”, nella preparazione del materiale per il suo riutilizzo, anche da utilizzatori successivi e intermediari, senza che per questo si debba necessariamente ritenere di essere in presenza di un «diverso» processo produttivo) – la nozione di sottoprodotto, imbavagliata in stretti parametri giuridici, che non riescono a descrivere l’analitica realtà quotidiana, sia… “insostenibile”, e che continuare a mantenere (in Italia, e introdurre, in Europa) una definizione “statica” di un “fenomeno” in continua evoluzione sia controproducente.

Così come, ad avviso di scrive, non sembra condivisibile l’orientamento rigido della Cassazione, che tende a negare aprioristicamente la possibilità di configurare un «sottoprodotto» nel caso di intervento di un terzo nell’ambito del processo produttivo (anche a titolo di mera detenzione della sostanza)…
Come ha giustamente sottolineato la Commissione nelle linee guida del 21 febbraio 2007, è preferibile il ricorso a linee guida, strumento più…“leggero”, flessibile e meglio adattabile al cospetto dell’incessante evolversi della tecnologia.
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Bonifica di siti di interesse nazionale: articolazione del procedimento e impugnabilità delle Conferenze di servizi

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La sentenza che vi propongo oggi (T.A.R. di Brescia n. 1278 del 2007) ha per oggetto la bonifica dell’inquinamento da mercurio del S.I.N., sito di interesse nazionale, di Mantova.
Qui, nel 2002, la Polimeri Europa Spa ha acquistato il ramo d’azienda “attività chimiche e strategiche” di Enichem Spa dove, dalla metà degli anni ’50 e fino al 1991, erano in funzione impianti per la lavorazione di cloro e soda.
Proprio a partire dal 1991 – in concomitanza con la cessazione di tale lavorazione – il mercurio non è più stato scaricato nel canale.

Il problema della presenza di mercurio è stato oggetto di studio fin dagli anni ’90: questi studi hanno evidenziato che il mercurio risulta essere in concentrazione maggiore in profondità, mentre diminuisce negli strati superficiali, si trova in forma non solubile, non è biodisponibile e non interessa in maniera significativa i pesci e la vegetazione.

La Regione, nel prendere atto di tali risultati, disponeva l’esecuzione di un progetto di bonifica con specifica analisi di rischio mediante biondicatori attivando, a tal fine, una serie di conferenze di servizi.
Per l’approfondimento della lunga vicenda amministrativa che ha condotto alla pronuncia del TAR di Brescia, rinvio al testo integrale della sentenza.


In questa sede riporto le massime

Le determinazioni decisorie delle Conferenze di Servizi sono immediatamente impugnabili, una volta recepite dalla determinazione motivata dell’autorità procedente (Dirigente del MATTM) senza che sia necessario attendere il formale provvedimento di conclusione dell’intero procedimento di bonifica: di conseguenza, deve affermarsi che tutte le relative doglianze vanno proposte entro il termine decadenziale decorrente dal momento di avvenuta conoscenza delle stesse.
Decorso detto termine non sono più ricevibili censure che avrebbero potuto essere dedotte immediatamente salvo, ovviamente, quelle riguardanti vizi propri del provvedimento conclusivo.

(Nella specie, il TAR di Brescia ha sottolineato che il provvedimento conclusivo – un Decreto del Direttore Generale per la qualità della vita del Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare, che ha considerato come definitive tutte le prescrizioni stabilite nei due precedenti verbali delle Conferenze di servizi che si erano succedute nel tempo – va inteso quale atto tipico che conclude formalmente una sottofase procedimentale che contempla determinazioni decisorie, aventi quindi valore provvedimentale).


***

In forza del generale principio di distinzione tra attività di governo e attività di gestione che presiede l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche, gli atti del procedimento di bonifica dei siti di interesse nazionale, compresi quelli conclusivi, rientrano nella competenza tecnico-gestionale degli organi esecutivi (dirigenti) poiché non contengono elementi di indirizzo politico-amministrativo che possono attrarre detta competenza nella sfera riservata agli organi di governo.

Il Decreto Dirigenziale, che ha concluso formalmente una sottofase procedimentale che contempla determinazioni decisorie, pur nella sua estrema semplicità, non può essere considerato provvedimento atipico del procedimento di bonifica poiché, oltre alla disciplina speciale dello stesso (art. 15 del DM 471/99 e ora art. 252 del D.Lgs. n. 152/2006), deve trovare applicazione la disciplina generale del procedimento amministrativo.
La circostanza che detto provvedimento non concluda l’intero procedimento di bonifica del sito in oggetto non pare essere rilevante nei procedimenti complessi come quello in esame (ex art. 242 T.U.A.), che possono essere (e sono) articolati in fasi e sotto-fasi (individuazione del sito, perimetrazione, progettazione e attuazione di misure di prevenzione e di MISE, esame e approvazione del piano di caratterizzazione, esame dell’analisi di rischio, esame e approvazione del progetto di bonifica), sempreché, ovviamente, il frazionamento della procedura non determini un ingiustificato aggravio del procedimento ai sensi dell’art. 1 comma 2 della stessa Legge n. 241/90.

L’art. 242 del D.Lgs. n. 152/2006 prevede tre distinte conferenze di servizi per l’approvazione del piano di caratterizzazione (commi 3 e 13), per l’approvazione del documento di analisi del rischio (comma 4) e per l’approvazione del progetto di bonifica (commi 7 e 13), a dimostrazione del fatto che il procedimento sia strutturalmente articolato in fasi autonome ancorché coordinate tra loro.

(Nel caso in esame, il Collegio ha sottolineato che assume rilevanza l’art. 14-ter comma 6-bis della Legge n. 241/90 secondo cui, “all'esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al comma 3, l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede”).


***

L’obbligo motivazionale di cui all’art. 14-ter., comma 6-bis della legge n. 241/90 non può considerarsi una pleonastica ripetizione del generale obbligo di motivazione di cui all’art. 3 della stessa, attesa la peculiarità del modulo procedimentale in esame in cui si fondono, in una unica determinazione conclusiva, le valutazioni istruttorie e le decisioni provvedimentali (autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati) di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla conferenza di servizi.
Di conseguenza, data l’ampia portata del provvedimento ex art. 14-ter comma 6-bis della Legge n. 241/90, lo stesso deve contenere una congrua motivazione, non solo con riferimento agli esiti della conferenza (o delle conferenze) e alle posizioni ivi espresse, ma anche con riferimento ai vari affetti provvedimentali che ne conseguono e che interferiscono con la sfera giuridica di soggetti terzi.
Ciò anche per garantire trasparenza e univocità dell’azione e delle determinazioni amministrative.




Greenwashing e marketing: l'altra faccia dell'ambiente

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Sempre più spesso il marketing moderno insegue il “miraggio del green”, non perché intimamente convinto della necessità di cambiare la rotta all’attuale modello (di crescita? e) di consumo, ma più prosaicamente perché lusingato dai maggiori ricavi che il richiamo alla natura, all’ambiente, all’ecologia, al biologico può generare…

E così sempre più sovente i supermercati vengono letteralmente “invasi” di prodotti sedicenti sani, naturali, ecologici, che si richiamano ad antiche tradizioni…

Spesso, però, si tratta solo di una questione di immagine, di facciata, perché di verde questi prodotti hanno solo il colore dell’etichetta.

In gergo questo comportamento viene definito Greenwashing, di cui ho cominciato a parlare nel post del 4 settembre 2008.
Il pericolo di questo “lifting markettaro” è quello di confondere le idee al “consumatore medio”, non sufficientemente informato sui fatti (e, anzi, spesso disinformato) e sempre più in difficoltà nel distinguere le millanterie dai fatti reali.

Ora però, come segnalano GigaOm e Visionpost sono arrivati due siti che intendono portare un po' di chiarezza nella giungla del green.
Due siti web vogliono riportare i consumatori coi piedi per terra, fornendo loro informazioni pratiche e utili su quello che è veramente verde, sano ed ecologico.

Del primo – Green Wikia, basato sul principio del crowdsourcing, della partecipazione dal basso – ho già parlato nelle pagine di Natura Giuridica.

Il secondo, GoodGuide si propone di classificare – un po’ come fa la guida al consumo critico – una quantità crescente di prodotti di largo consumo sulla base di oltre un centinaio di criteri.

L'idea – si legge su Visionpost – è di Dara O'Rourke, un professore del Mit e di Berkeley, che un giorno si chiese cosa contenesse la crema solare che stava spalmando alla figlia. Quando scoprì che uno dei suoi ingredienti era tossico capì quanto i consumatori sappiano poco dei prodotti che utilizzano e come sia difficile trovare informazioni al riguardo.
Allora, mettendo insieme un gruppo di professori e professionisti della tecnologia (da Amazon a Google), ha messo in piedi GoodGuide, che, nella pagina di presentazione, esordisce così:
Increasingly, you want to know about the impacts of the products you buy. On your health. On the environment. On society. But unless you’ve got a Ph.D, it is almost impossible to find out the impacts of the products you buy. Until now...
Il giudizio su ogni prodotto costituisce l'espressione di tre parametri, tre performance: la salute (del consumatore), l'ambiente e il sociale.
L'utente può quindi confrontare marche diverse, avere un aiuto nella lettura dei loro ingredienti (che altrimenti restano imperscrutabili a chiunque non sia un chimico), farsi una lista di preferiti da consultare quando va a fare la spesa…

Inoltre, GoodGuide cerca di coinvolgere quanto più possibile il consumatore, chiamato ad esprimere la proprie idee al riguardo, contribuendo a costruire una community consapevole che la vera forza risiede nel consumatore, il quale, se opportunamente e costantemente informato e consapevolizzato, può orientare per davvero i comportamenti delle multinazionali del consumo.
E questo loro lo sanno….

Al riguardo, vi consiglio vivamente di guardare il film-documentario “The Corporation”, tratto dal libro di Joel Bakan.


Nel documentario – come brillantemente sintetizzato sul sito film.it – non v’è
nessuna retorica sarcastica, né tracce di propaganda ideologica.
Piuttosto gusto sottile ed ironia brillante nello scardinare punto per punto le più sofisticate strategie di marketing e brand communication, quel “mondo rassicurante”, che sa di tradizione, tante volte profuso dal cinema stesso.
Con gli stessi mezzi, un linguaggio nuovo.
Immagini di repertorio anni 50, del sogno americano, video didattici, educativi al perfetto consumatore, cartoon, il tutto in un “blob” incandescente che rompe gli schemi, amplia la nostra visione, per sollecitarci sì, ma non al consumo. E nel finale importanti fessure, come spiragli, puntano dritto verso di noi, “spettatori”, sprofondati nelle poltrone.



Acque emunte e bonifica: quale gestione?

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Il tema trattato dalla sentenza oggetto del post di oggi – le problematiche sottostanti la gestione delle acque emunte dalle falde sotterranee durante le operazioni di bonifica – è già stato oggetto di analisi nelle pagine di Natura Giuridica.

In particolare, ho cercato di delineare, se pure a grandi linee, le difficoltà relative:
  • alla qualificazione giuridica delle acque de quibus;
  • al regime autorizzatorio degli impianti di depurazione delle stesse e, infine,
  • ai limiti di emissione applicabili allo scarico.
oltre a segnalarvi alcuni dei più recenti interventi giurisprudenziali in materia (in partcolare: TAR Catania, ordinanza n. 788 del 07.06.2007; TAR Puglia – Sezione di Lecce n. 2247 del 4 aprile 2007; TAR Friuli Venezia Giulia (sentenza n. 90 del 28 gennaio 2008).

Nella sentenza in esame oggi, la vicenda trae origine da un ricorso proposto dalla Syndial contro una nota della provincia di Siracusa con la quale l'Amministrazione ha ritenuto di “non poter esprimere” il parere di VIA in merito alla richiesta fatta dalla società.

In sostanza: la Provincia ha ritenuto che, dal confronto del progetto definitivo di bonifica autorizzato con il progetto di V.I.A. presentato, l’impianto di trattamento costituirebbe “un impianto di trattamento di rifiuti liquidi costruito in assenza di autorizzazione ex art. 27 d.lgs n. 22/97, ora art. 208 d.lgs n. 152 del 2006”.

Di qui la dichiarazione di “non poter esprimere” il parere richiesto, stante l’impossibilità di procedere con la valutazione di impatto ambientale “in sanatoria”, ed il conseguente arresto del procedimento avverso il quale la ricorrente ha proposto il ricorso de quo.

Rimandando alla lettura del testo integrale della sentenza per un approfondimento, in questa sede voglio evidenziare che il giudice amministrativo ha ritenuto illegittimo
l’arresto procedimentale disposto dalla Provincia di Siracusa sulla base dell’asserita omessa autorizzazione dell’impianto di trattamento acque di falda ai sensi della normativa sui rifiuti, posto che le disposizioni di cui al Testo Unico Ambientale, in vigore, sanciscono che tali acque non sono soggette al regime dei rifiuti bensì a quello, del tutto diverso dal primo, degli scarichi idrici.

E’ palese a tale proposito, il contenuto dell’art. 243, primo comma, del Testo Unico Ambientale, a norma del quale “le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissioni di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto”.
Conclude, quindi, affermando, sulla scia della giurisprudenza già citata nel blog, che
l’art. 243 del Testo Unico Ambientale individua una disciplina per queste tipologie di acque reflue che può dirsi speciale rispetto alla nozione di scarico ordinaria e dalla quale si evince l’intenzione del legislatore di riferirsi, per la gestione delle acque di falda emunte nelle operazioni di MISE/bonifica, alla normativa sugli scarichi idrici e non a quella sui rifiuti.
Da ciò consegue la non applicabilità, per le stesse acque, della disciplina sui rifiuti, che è incompatibile con la prima ai sensi ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. b) del Testo Unico Ambientale (che modifica parzialmente il precedente art. 8 del d.lgs n. 22 del 1997). L’art. 185, comma 1, lett. b) del d.lgs n. 152 del 2006, infatti, esclude dalla normativa sui rifiuti “gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi costituiti da acque reflue”.


Foto “Pozzo” Originally uploaded by Sarevskij