di Naide Della Pelle
In questo clima di incertezza e di scarso ottimismo, c’è qualcuno che afferma che per i prossimi 10 anni le professioni e i mestieri legati all’ambiente saranno tra i più sicuri.
Secondo un rapporto ISFOL (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale) risalente al gennaio 2008, gli occupati in campo ambientale ammontavano a 372.000 unità ma la cifra ad oggi è certamente cresciuta.
Non parliamo solo di netturbini o boscaioli, ma di molte altre figure professionali, anche con laurea e master: dal tecnico installatore di pannelli solari e fotovoltaici nelle nostre case, agli ingegneri del vento che posizionano le pale eoliche, a chi lavora nel campo delle bio-tecnologie fino alle recenti figure di energy manager e mobility manager.
Alcuni utilizzano il termine “green economy” per sintetizzare in una sola espressione tutti questi nuovi campi professionali: dalla gestione dei rifiuti, alla protezione e risanamento del suolo e delle acque, allo studio delle tecnologie per abbattere i rumori, alla protezione della biodiversità per finire con la razionalizzazione della mobilità.
Ci si avvicina ad una occupazione ambientale partendo sia da un percorso di studi classico, come una laurea in giurisprudenza, sia dallo studio di materie scientifiche e, tramite un master, si acquisiscono le competenze tecniche necessarie per lavorare a vario titolo in campo ambientale.
Esiste una forte domanda di servizi sia da parte delle imprese sia da parte dei privati, ma gli operatori sono ancora pochissimi: la cifra riportata dall’Isfol è irrisoria, se paragonata per esempio al numero di medici e di avvocati nella sola città di Roma.
Una situazione ideale per rimboccarsi le maniche e “inventarsi” un’occupazione in campo ambientale.
Un profilo interessante, e pieno di prospettive, è quello della comunicazione/divulgazione ambientale: l’opinione pubblica, i Cittadini, sono sempre più sensibili e ricettivi verso le tematiche ambientali.
I messaggi dei media possono finalmente abbandonare i soliti toni allarmistici e cominciare a diffondere le buone notizie, senza temere che l’interesse sociale scemi inesorabilmente. Questo significa che è più facile e gratificante comunicare l’ambiente.
All’epoca della mia formazione universitaria a Scienze della Comunicazione, diciamo circa 10 anni fa, chi paventava l’idea di lavorare nel campo del giornalismo e della divulgazione scientifica veniva additato come un pazzo svitato: vigeva infatti l’assunto che i messaggi del tipo:
"smetti di fare questo perché inquina”
oppure
“perché non inizi a fare quest’altro così inquini meno?”
fossero di per sé inutili, perché privi di un pubblico pronto ad ascoltarli.
Oggi il pubblico è abbastanza maturo per esprimere un “bisogno di ambiente” e cercare di soddisfarlo con l’acquisto di servizi, di tecnologie e, soprattutto, con la ricerca di informazioni.
L’offerta formativa, soprattutto in termini di master post lauream, sembra si stia adeguando alla rapida crescita di domanda di formazione ambientale…
Attenzione, però, agli “spacciatori di carta”, sciacalli della formazione, che – specie in un settore in fermento come quello ambientale – non mancano mai, e sono pronti a farsi lautamente pagare per poco più che una pacca sulle spalle…
Attenzione, però, agli “spacciatori di carta”, sciacalli della formazione, che – specie in un settore in fermento come quello ambientale – non mancano mai, e sono pronti a farsi lautamente pagare per poco più che una pacca sulle spalle…
Foto: "Labirinto Verde", originally uploaded by fabiomarin
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