Io scrivo da dio

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Oggi non voglio postare nulla che riguarda il diritto ambientale.
Oggi mi prendo una piccola pausa per condividere con voi un articolo che mi è piaciuto molto.
Perchè scritto da dio.
Da un Giorgio Faletti coinvolgente che, secondo me a ragione, ridicolizza, dopo averla fatta tatticamente gonfiare un po', una querelle estiva basata sul nulla, e nata dalla pedanteria saccente di persone che, evidentemente, non sanno come meglio impiegare il loro tempo.
Non aggiungo altro per non "rovinare" il piacere della lettura a chi non avesse ancora letto "Scusate se prendo fate per topolini"...

E dunque, eccomi qui. Trascinato sul banco degli imputati da diversi quotidiani e settimanali per il linguaggio del mio ultimo romanzo, Io sono Dio .
O meglio, per cinqute frasi che ho utilizzato nei dialoghi fra i personaggi che, ricordo a tutti, sono americani.
Queste frasi non sono passate invano sotto la lente di due signore. Che non hanno esitato a puntare il dito accusatore, scrivendo a blog e fornendo la loro consulenza per acconci articoli di denuncia.
Con un briciolo di orgoglio premetto che, se a un romanzo giallo con una trama, dei personaggi, un necessario coinvolgimento del lettore, l'unico appunto che può essere mosso è l'uso di cinque frasi, giudico il risultato estremamente positivo. Come i pareri della critica e dei lettori hanno confermato.
Le persone che mi accusano sono due signore che hanno un blasone di tutto rispetto.
Si tratta di Franca Cavagnoli, traduttrice di ben tre premi Nobel, laureata in Questo e Quello e insegnante di Quell'altro e Altro ancora e Eleonora Andretta che può vantare lo stesso tipo di retroterra culturale con il ruolo di esaminatrice per l'ammissione a Cambridge come ciliegina sulla torta.

Devo dire che ho inizialmente osservato con un certo divertimento il nascere di questa polemica balneare e non ho ritenuto opportuno disturbare queste due signore mentre si godevano i loro cinque minuti di popolarità.
Ma ora che la polemica si è spostata dalle mie scelte letterarie alla mia onestà di essere umano, penso che anche la difesa abbia diritto a far sentire la sua timida voce. Per prima cosa vediamo le cinque frasi incriminate.
«Non girare intorno al cespuglio». In Inglese, per esortare una persona che sta tergiversando si dice: «Don't beat around the bush», frase idiomatica che nella traduzione letterale diventa esattamente quella che ho utilizzato io. Per quel che mi riguarda la frase raggiunge benissimo lo scopo che si prefigge e credo che un autore, se vuole fare girare la gente intorno al cespuglio invece che fargli menare il can per l'aia, sia quantomeno libero di farlo.
«Pensavo che una ventina di grandi vi avrebbero fatto comodo». Nel gergo dei bassifondi i biglietti da mille dollari vengono chiamati «grands». Forse se avessi utilizzato il termine «verdoni» niente sarebbe successo, perché è una parola ormai acquisita nel linguaggio italiano, dimenticando che nasce dal fatto che i dollari sono verdi e che dunque in Italia non dovrebbe avere significato alcuno.
«Non te ne devo una, ma mille». Secondo la Pubblica Accusa il concetto per avere un senso dovrebbe essere espresso con la frase «Ti devo un favore grosso come una casa». In Piemonte c'è un modo di dire: «Questa la puoi raccontare per una», che si usa ad esempio quando qualcuno esce vivo per miracolo da un incidente stradale. Potrei, volendo, essere accusato anche di «piemontesismo», ma allora temo sia nei guai pure Andrea Camilleri…
«La fata del dentino a te porta la marijuana». Lo so benissimo che da noi esiste il topolino e non la fata e di questo faccio pubblica ammenda. Tuttavia devo confessare di avere dei complici. Proprio l'altra sera, vedendo un film con Ben Affleck, Il diario di Jack, mi sono accorto che in un dialogo i protagonisti parlavano della fatina del dentino. Avvertirò i distributori italiani che la mannaia sta per abbattersi anche sul film. A meno che questo fatto non sia passato inosservato e dunque c'è da chiedersi maliziosamente perché.
«Smettere di sentirsi falene davanti a una candela». Questa è un piccolo personale orgoglio. Pur essendo depositario di un decoroso inglese, ignoravo del tutto l'espressione «Like mooths to flame» quindi questa espressione, che indica precarietà, è del tutto frutto della mia fantasia. A meno che non mi si voglia far credere che le falene italiane indossino perennemente una tuta d'amianto.
Ecco, tutto qui.
Questi sono i capi d'accusa.
Confesso di non riuscire a trattenere un sorriso e di sentirmi anche un poco stupido nell'aver avuto la necessità di rispondere a qualcosa che, onestamente, ha un leggero tocco di ridicolo.
Quello che mi ha spinto a farlo, come ho detto all'inizio, è che da questa risibile querelle estiva e premestruale si sia arrivati come sempre a ipotizzare un fantomatico scrittore fantasma che è il vero autore dei libri che pubblico a mio nome. Per carattere e per scelta ho sempre condotto la mia vita privata al di fuori dei «si dice» e dei «pare che», facendo il mio lavoro con onestà e nei limiti delle mie capacità, tenendomi lontano dai gossip e dai mezzucci di fortuna per agguantare al volo un successo passeggero.
Ho corso dei rischi quando avrei potuto restare a coltivare un orticello che nel corso del tempo avrebbe dato ortaggi sempre più avvizziti. Questo qualcuno può chiamarlo incoscienza ma io, nel mio piccolo lessico provinciale, mi ostino a chiamarlo coraggio.
Forse non sono e non sarò mai un grande scrittore ma ho la fortuna di scrivere storie che appassionano dei lettori e di essere il solo responsabile di quello che faccio, disposto a riscuotere i meriti e ad accollarmene i demeriti. Utilizzando sempre e ancora il coraggio e la determinazione di cui parlavo prima.

A questo punto tuttavia, essendo anche un essere umano, concedetemi, una breve risposta alle mie due amiche pluriblasonate. Non ho motivo di dubitare del valore della signora Franca Cavagnoli come traduttrice. Ma il fatto che si traducano dei Premi Nobel a volte può essere fuorviante e indurre a facili entusiasmi, che andrebbero tenuti a bada. Non credo che il barista di Del Piero nel tempo si sia convinto di saper tirare le punizioni anche lui. Sul fatto poi che usare quelle frasi sarebbe come tradurre «L'ultima cena», che in inglese si dice «The last supper» con il termine «L'ultima zuppa», suvvia signora, mi stupisco di lei. Anche la mia povera mamma, a forza di andare al supermercato e trovarsi sugli scaffali dei barattoli di Campbell, sapeva che in inglese la zuppa si chiama soup.
Ricordo invece alla signora Andretta, di certo padrona di un inglese migliore del mio, che la lingua italiana è piena di modi di dire mutuati da lingue straniere ormai talmente parte del linguaggio che nessuno ci fa più caso. Penso di essere solo responsabile, nel caso, di averne introdotti dei nuovi. Ho visto la sua foto sul settimanale da cui ha lanciato la sua polemica e devo dire che sono rimasto colpito dal suo viso assorto mentre regge fra le mani il mio libro.
Pensare che una signora così piacente e così colta abbia trascurato la sua vita privata per esaminare i miei discutibili scritti e impiegato parte del suo tempo per scrivere al blog di Beppe Severgnini mi onora. E mi rende nello stesso tempo invidioso, perché con me il tempo è così avaro che me ne resta pochissimo, impegnato come sono nel mio lavoro, che è scrivere personalmente i miei romanzi.

In questo mondo barbaro e bizantino, ognuno esibisce il blasone che ha, ricco o povero che sia. Il cronista del quotidiano che ha sollevato il vespaio conclude il suo pezzo con un inquietante interrogativo, con un afflato molto più cabarettistico che letterario. Prendendo a prestito una canzone di Carosone, dopo avermi rivolto l'appunto «tu vuo' fa l'americano» mi chiede «sient'a me chi t'o fa fà»? Mi sia concesso terra terra di rispondere con un'altra domanda: 12 milioni di copie vendute solo in Italia possono essere considerate un motivo esauriente? E credo che questo sia in definitiva il mio vero crimine.

In questo paese dove il successo è considerato una colpa è estremamente facile trovarsi di fronte a dei censori animati da uno spirito che gli inglesi indicano con la parola envy che, come possono testimoniare le mie amiche traduttrici, ha un significato inequivocabile. Si traduce in italiano con una semplice parola: invidia.



Scelta condivisa

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(segue da: "I, mammeta e tu")

Certo, non si possono fare i processi alle intenzioni.
Ma almeno segnalare le contraddizioni di chi, ad esempio, tace del tutto il fatto che gli stessi incentivi, che nel testo della mozione 155 si criticano, vengono generosamente elargiti ad altre forme di produzione di elettricità (incenerimento dei rifiuti, fonti assimilate alle rinnovabili), senza che questo produca negli attuali detrattori-“moralizzatori economici” il benché minimo sdegno.
Un incentivo – come definirlo? – “a targhe alterne”…
O tace, ancora, dei tanti difetti e costi che l’attuale, installabile, “modello nucleare” comporta, a fronte di inequivocabili scelte energetiche effettuate più di vent’anni fa.
Natura Giuridica ha affrontato in più occasioni lo spinoso problema del nucleare:
O, ancora, degli snervanti iter burocratico-amministrativi che ancora oggi, e nonostante l’istituzione dell'orwelliano Ministero della Semplificazione, soffocano le velleità di chi vuole cimentarsi nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.



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I, mammeta e tu

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Certo che leggere i nomi dei firmatari della “mozione 155” sulla promozione dell’energia solare fa un certo effetto… 
Rappresentano la c.d. “crema” della crema – se solo ci mettessimo d’accordo sul significato da dare a questo termine, ormai geneticamente modificato, che oggi non si nega a nessuno…tutti, a modo loro, costituiscono la crema di qualcosa, ci avete mai fatto caso?! – della “politica” italiana, sempre loro, i sempreverdi infestanti tuttologi improvvisati del niente...

Ma tant’è, il Governo, lo scorso 28 luglio 2009, ha espresso parere favorevole sulla mozione n. 155 del PDL, appunto, nella quale si richiede di privilegiare le fonti energetiche "più convenienti", a discapito del solare termodinamico.

Cosa si dice in questo "capolavoro" (manifesto, sic!) culturale?
La mozione n.155 28 luglio 2009 inizia con un’introduzione volta a magnificare le virtù del nucleare (ma non, che ne so, dell’eolico…), che richiede meno spazio (in realtà l’unica virtù indicata dal ristretto gruppo di saggi), a fronte delle difficoltà realizzative dovute al “siting” necessario per il solare termodinamico.


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Omessa bonifica: la Cassazione torna a far chiarezza

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In dottrina c’è chi ha parlato di “omesso orientamento”, a proposto del silenzio serbato per quasi due anni dalla Cassazione in materia di omessa bonifica.
Dopo il “letargo giurisprudenziale, la Suprema Corte è tornata a far chiarezza, con la sentenza “Cappucciati (Cassazione Penale, n. 9492/09).


Nella sentenza “Cappucciati” la Cassazione, nell’esaminare l’assorbente motivo sullo ius superveniens (costituito, nella materia de qua, dall’art. 257 del D.Lgs. n. 152/06), dopo aver sottolineato che “in tema di gestione dei rifiuti, la nuova disposizione (art. 257 del D.Lgs. n. 152/06) è meno grave di quella previgente, atteso che viene ridotta l'area dell'illecito ed attenuato il trattamento sanzionatorio”, ha affermato che, di conseguenza, “per la riformulazione della fattispecie criminosa, il caso in esame va valutato alla stregua della nuova disciplina secondo il principio di stretta legalità che non consente un'interpretazione estensiva delle norme (ancorché basata sulle esigenze di tutela della salute e dell'ambiente, come ritenuto nella sentenza impugnata) tale da comportare effetti in malam partem nei confronti dei singoli”.

Alla luce di questa premesse, il Supremo Collegio ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, perché i giudici di merito “hanno accertato l'evento di pericolo (cioè il rischio concreto e attuale di superamento dei predetti limiti di accettabilità) e non quello di danno (superamento degli stessi limiti di accettabilità) del reato ipotizzato, senza ritenere il reato d'inquinamento e di omessa bonifica del sito alla luce della più favorevole normativa sopravvenuta, mancando qualsiasi verifica dell'evento inquinamento richiesto come elemento essenziale della nuova figura criminosa”.

Da segnalare anche la sentenza del Tribunale di Roma (sentenza “Scanabucci” Tribunale ordinario di Roma in composizione monocratica, sentenza n. 8980 del 22 maggio 2009, inedita) con la quale il Tribunale ordinario di Roma ha assolto l’imputato dal reato ascrittogli perché alla data dell’accertamento della situazione di inquinamento “nessun progetto di bonifica era stato approvato, sicché nessun obbligo avrebbe potuto sorgere in merito all’esecuzione del piano di bonifica”.


Per un approfondimento in materia di omessa bonifica, v. "Omessa bonifica: silenzio inevitable della Cassazione"

Foto: “Dimenticanze” originally uploaded by Majordomo



Grid Parity ed equilibrio giornalistico

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di Naide Della Pelle

Leggo abitualmente l’inserto Nova del Sole24ore, soprattutto per aggiornarmi sulle nuove frontiere del web e della banda larga (abito in un paesino di montagna e so qualcosa di “digital divide”…) ebbene, gli occhi mi cadono su un termine, grid parity che non conosco e che voglio approfondire.

Il termine si trova citato in un articolo di Marco Magrini dell’11 giugno 09 sul Sole24ore e dal testo emerge che la grid parity è il punto di equilibrio in cui produrre elettricità dal sole con pannelli fotovoltaici costa quanto produrla dai combustibili fossili.
In sostanza, la Grid Parity o GP è un insieme di condizioni economiche caratterizzate dalla coincidenza del costo del kWh fotovoltaico con il costo del kWh prodotto da fonti convenzionali, per tutte le categorie di utenti e per tutte le fasce orarie.

La grid parity è anche conosciuta come legge di Hoffmann (presidente dell’Epia – European Photovoltaics Industry Association), dal nome di colui che per primo coniò questo termine nel 1998.
Hoffmann, intervistato dal Sole24ore, a proposito della grid parity in Sicilia, dice che se si considerano tre fattori - l’irraggiamento solare di cui gode, gli incentivi governativi in vigore e i prezzi delle forniture di energia elettrica - in Sicilia si è già arrivati alla grid parity.
Hoffmann riferisce che, nel giro di pochi anni (5 o 6), l’evoluzione tecnologica porterà il fotovoltaico al punto di parità anche senza l’aiuto degli incentivi statali, e che il punto di equilibrio si estenderà anche al resto d’Italia.



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Inquinamento storico: responsabilità delle società

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Con la sentenza n. 1913 del 2007 (commentata su Natura Giuridica nel post: "La responsabilità per l'inquinamento risalente nel tempo"), riguardante la fattispecie di un inquinamento di un sito industriale, risalente agli anni ’60, e gli obblighi di bonifica a carico del successore a titolo universale della società responsabile dell’inquinamento – il T.A.R. di Milano, dopo alcune premesse relative ai principi applicabili al fenomeno di successione per incorporazione di una società nell’altra, sottolineava le peculiarità della fattispecie sottoposta al suo esame, evidenziando che, nel caso, “le obbligazioni di bonifica del sito ove esercitava la propria attività la società Saronio fino agli anni ‘60 risultanti dall’applicazione dell’art. 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 nei confronti dell’inquinatore non potevano configurarsi come sussistenti in alcun modo nel patrimonio della Saronio medesima, non essendo ancora stata emanata la relativa disciplina normativa, né sussistendone una analoga”.


Inapplicabile, al caso concreto, il concetto di reato permanente, valida solo “a condizione che il soggetto che ha posto in essere la condotta all’epoca in cui non vigeva ancora il d.lgs. n. 22/97 sia lo stesso che opera al momento del verificarsi dell’inquinamento successivamente all’entrata in vigore di tale normativa”: di conseguenza non può essere applicata in tutte quelle circostanze in cui l’inquinatore si è estinto, altrimenti si verrebbe arbitrariamente a scomporre la fattispecie dell’illecito, la cui porzione imputabile consisterebbe nel solo evento, che, isolatamente considerato, non può, invece, dar luogo ad alcuna responsabilità.

La sentenza è stata impugnata e il Consiglio di Stato, (sentenza n. 6055 /08) nel confermare la decisione di primo grado, ha tuttavia fornito una nuova e diversa motivazione…

La peculiarità dell’istituto disciplinato dall’art. 17 del “Decreto Ronchi”, sottolinea il Consiglio di Stato, risiede nella sua natura di misura ablatoria personale (cfr. art. 23 Cost.), la cui adozione crea in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati.
Le norme di leggi precedenti (e.g.: del T.U.L.S. n. 1265/1934) non avevano tale connotazione e, pertanto, non rappresentavano un antecedente dell’art. 17.

Ponendo a confronto l’art. 17 del d.lgs. n. 22/97 con il plesso normativo composto dagli artt. 2043, 2050 (considerata, nella specie, l’obiettiva pericolosità dell’attività industriale di produzione di coloranti) e 2058 del codice civile (sul risarcimento in forma specifica), le differenze tra gli istituti rispettivamente disciplinati sono talmente numerose e tanto profonde, da non consentire la formulazione di alcun giudizio di continuità tra le stesse.

Il Consiglio di Stato ha, quindi, respinto l’appello delle tre amministrazioni locali lombarde, soccombenti in primo grado, che avevano chiesto la riforma di una sentenza di primo grado del TAR Milano, con la quale il Giudice amministrativo aveva annullato una serie di provvedimenti delle stesse autorità, adottati in applicazione degli art. 17, comma 2, del D.Lgs. n. 22/1997 e del D.M. n. 471/1999, con i quali la E., nella qualità di successore a titolo universale della S., fu diffidata alla redazione di un piano di caratterizzazione delle aree de quibus.

Il Consiglio di Stato, innanzitutto, ha ritenuto non concludente il richiamo, effettuato dalle amministrazioni, ai molteplici formanti normativi già esistenti all’epoca: questi ultimi, infatti posti a presidio della conservazione del valore ambiente, con finalità di contrasto delle varie condotte suscettibili di ingenerare inquinamento – contemplavano essenzialmente divieti o doveri, taluni dei quali pure rinforzati da sanzioni amministrative o penali, ma nessuna delle previsioni invocate conteneva specifici obblighi di fare del genere di quelli prescritti dall’art. 17 del decreto Ronchi.

Il Consiglio di Stato, infine, ha affermato che non esiste continuità normativa fra l’art. 2043 del c.c. e l’art. 17 del decreto Ronchi: pertanto, la seconda previsione non si presenta come meramente procedimentale rispetto alla prima, e un’eventuale applicazione dell’art. 17 ad un soggetto estinto prima del 1997 trasmoderebbe in una non consentita applicazione retroattiva della legge.

Foto: “ai confini della civiltà” originally uploaded by SuperUbO