Inquinamento storico: responsabilità delle società

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Con la sentenza n. 1913 del 2007 (commentata su Natura Giuridica nel post: "La responsabilità per l'inquinamento risalente nel tempo"), riguardante la fattispecie di un inquinamento di un sito industriale, risalente agli anni ’60, e gli obblighi di bonifica a carico del successore a titolo universale della società responsabile dell’inquinamento – il T.A.R. di Milano, dopo alcune premesse relative ai principi applicabili al fenomeno di successione per incorporazione di una società nell’altra, sottolineava le peculiarità della fattispecie sottoposta al suo esame, evidenziando che, nel caso, “le obbligazioni di bonifica del sito ove esercitava la propria attività la società Saronio fino agli anni ‘60 risultanti dall’applicazione dell’art. 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 nei confronti dell’inquinatore non potevano configurarsi come sussistenti in alcun modo nel patrimonio della Saronio medesima, non essendo ancora stata emanata la relativa disciplina normativa, né sussistendone una analoga”.


Inapplicabile, al caso concreto, il concetto di reato permanente, valida solo “a condizione che il soggetto che ha posto in essere la condotta all’epoca in cui non vigeva ancora il d.lgs. n. 22/97 sia lo stesso che opera al momento del verificarsi dell’inquinamento successivamente all’entrata in vigore di tale normativa”: di conseguenza non può essere applicata in tutte quelle circostanze in cui l’inquinatore si è estinto, altrimenti si verrebbe arbitrariamente a scomporre la fattispecie dell’illecito, la cui porzione imputabile consisterebbe nel solo evento, che, isolatamente considerato, non può, invece, dar luogo ad alcuna responsabilità.

La sentenza è stata impugnata e il Consiglio di Stato, (sentenza n. 6055 /08) nel confermare la decisione di primo grado, ha tuttavia fornito una nuova e diversa motivazione…

La peculiarità dell’istituto disciplinato dall’art. 17 del “Decreto Ronchi”, sottolinea il Consiglio di Stato, risiede nella sua natura di misura ablatoria personale (cfr. art. 23 Cost.), la cui adozione crea in capo al destinatario un obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati.
Le norme di leggi precedenti (e.g.: del T.U.L.S. n. 1265/1934) non avevano tale connotazione e, pertanto, non rappresentavano un antecedente dell’art. 17.

Ponendo a confronto l’art. 17 del d.lgs. n. 22/97 con il plesso normativo composto dagli artt. 2043, 2050 (considerata, nella specie, l’obiettiva pericolosità dell’attività industriale di produzione di coloranti) e 2058 del codice civile (sul risarcimento in forma specifica), le differenze tra gli istituti rispettivamente disciplinati sono talmente numerose e tanto profonde, da non consentire la formulazione di alcun giudizio di continuità tra le stesse.

Il Consiglio di Stato ha, quindi, respinto l’appello delle tre amministrazioni locali lombarde, soccombenti in primo grado, che avevano chiesto la riforma di una sentenza di primo grado del TAR Milano, con la quale il Giudice amministrativo aveva annullato una serie di provvedimenti delle stesse autorità, adottati in applicazione degli art. 17, comma 2, del D.Lgs. n. 22/1997 e del D.M. n. 471/1999, con i quali la E., nella qualità di successore a titolo universale della S., fu diffidata alla redazione di un piano di caratterizzazione delle aree de quibus.

Il Consiglio di Stato, innanzitutto, ha ritenuto non concludente il richiamo, effettuato dalle amministrazioni, ai molteplici formanti normativi già esistenti all’epoca: questi ultimi, infatti posti a presidio della conservazione del valore ambiente, con finalità di contrasto delle varie condotte suscettibili di ingenerare inquinamento – contemplavano essenzialmente divieti o doveri, taluni dei quali pure rinforzati da sanzioni amministrative o penali, ma nessuna delle previsioni invocate conteneva specifici obblighi di fare del genere di quelli prescritti dall’art. 17 del decreto Ronchi.

Il Consiglio di Stato, infine, ha affermato che non esiste continuità normativa fra l’art. 2043 del c.c. e l’art. 17 del decreto Ronchi: pertanto, la seconda previsione non si presenta come meramente procedimentale rispetto alla prima, e un’eventuale applicazione dell’art. 17 ad un soggetto estinto prima del 1997 trasmoderebbe in una non consentita applicazione retroattiva della legge.

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