Federalismo sanzionatorio: la pena come supplente dell’incapacità amministrativa dello Stato

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Lo scorso 6 novembre 2008 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, contenente “Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale".

In breve, il decreto legge prevede:
  1. per tutta la durata dello stato di emergenza (rectius: perenne emergenza. Da noi va di moda l’ossimoro…) nel settore dello smaltimento dei rifiuti in Campania sono previste misure per incentivare il conferimento di rifiuti ingombranti, di imballaggi usati e di rifiuti di imballaggio, attraverso l’autorizzazione alla raccolta e al trasporto occasionale o saltuario nella misura massima di 100 chilogrammi al giorno. In cambio, al soggetto conferente il materiale spetta un indennizzo forfetario;
  2. in via sperimentale, naturalmente sempre solo fino a quando durerà lo stato d’emergenza (ma non era finita?) chi provvede al conferimento dei rifiuti ingombranti a soggetti pubblici o privati, autorizzati a svolgere il servizio di raccolta a domicilio e' esentato dal pagamento degli oneri di trasporto e di smaltimento;
  3. allo scopo di fronteggiare il fenomeno dell'illecito abbandono dei rifiuti sul territorio della Campania, i soggetti pubblici competenti dispongono la rimozione ed il trasporto di cumuli di rifiuti (anche pericolosi) presenti su aree pubbliche o private da parte di soggetti in possesso dei necessari titoli abilitativi, anche in deroga alle procedure vigenti…e sempre in deroga (ma sempre, s'intende, fino a quando l’emergenza non finirà…) i soggetti pubblici competenti individuano apposite aree attrezzate o da attrezzare quali siti di stoccaggio provvisorio per la salvaguardia dell'ambiente, presso cui conferire i rifiuti rimossi per il tempo necessario ad una prima selezione e caratterizzazione […];
  4. sono previsti il commissariamento degli enti locali ubicati nei territori nei quali vige lo stato d’emergenza, nel caso in cui non siano osservati gli obblighi posti a carico delle province o dei comuni, ciascuno in relazione alle proprie competenze; l’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti nella provincia di Caserta (art. 4); nuovo lavoro straordinario per il personale militare (art. 5); una campagna informativa e di comunicazione, volta a sensibilizzare e responsabilizzare la popolazione sul sistema di raccolta differenziata dei rifiuti (art. 7); il potenziamento delle strutture di contrasto al fenomeno degli incendi (art. 8); una norma di interpretazione autentica di un articolo di un altro decreto-legge (DL n. 90/2008. art. 10); nuovi incentivi per la realizzazione di inceneritori, che si sostanziano in una proroga “inderogabile” (!) e in una piccola aggiunta al comma 1117 della legge n. 296 del 2006 (la finanziaria 2007, quella che prevedeva incentivi e finanziamenti alle fonti energetiche assimilate…insomma, agli inceneritori), la quale fa “salvi i finanziamenti e gli incentivi di cui al secondo periodo del comma 1117 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per gli impianti, senza distinzione fra parte organica ed inorganica, ammessi ad accedere agli stessi per motivi connessi alla situazione di emergenza rifiuti che sia stata, prima della data di entrata in vigore della medesima legge, dichiarata con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri”.
Ma, soprattutto, sono previste nuove sanzioni penali nel caso del verificarsi di determinate condotte – in particolare l’abbandono di rifiuti ingombranti aventi determinate dimensioni – costituenti mero illecito amministrativo nel restante territorio italiano, nonché l’incriminazione, come delitti, di altri fatti – per es. raccolta, trasporto, smaltimento ecc. di rifiuti pericolosi in mancanza dell’autorizzazione – che altrove costituiscono contravvenzioni, punendoli altresì con pene notevolmente più severe di quelle applicabili nelle altre regioni italiane.

Bertolaso, a proposito, ha auspicato che la minaccia del carcere venga spalmata a tutto il territorio italiano, in modo da “sfruttare l’esperienza campana per risolvere i problemi dei rifiuti in tutta Italia”, non senza sottolineare alcune contraddizioni, e i limiti, dell’attuale normativa, e ricordare che la bontà del Decreto Legge è dimostrata dal fatto che il Presidente Napoletano lo ha firmato

Sulle sanzioni penali federaliste si sono pronunciati anche gli ambienti accademici: come riassume Carlo Ruga Riva sul sito Lexambiente:
  • secondo quanto riportato dai quotidiani ben due ex Presidenti della Corte Costituzionale (A. Baldassarre e V. Onida) hanno espresso forti perplessità a proposito di una disciplina reputata a rischio di illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio di uguaglianza (“Limitare l’arresto a una sola regione è una violazione dell’articolo 3 della Costituzione”; “la limitazione territoriale è un problema. L’abbandono di un frigo o di un mobile arreca lo stesso pregiudizio all’ambiente in qualsiasi regione. Il fatto che in Campania ci sia un’emergenza rifiuti mi sembra una considerazione debole. Se in una località ci fossero più furti che altrove, sarebbero giustificate pene più severe?”
  • mentre altri autorevoli penalisti (G. Marinucci e di C.E. Paliero) non hanno ravvisato violazioni dell’art. 3 Cost. (“non si può affermare che la norma sia discriminatoria…perché è agganciata alla dichiarazione dello stato di emergenza…, con il rimando all’art. 2 della legge 225 del 1992”; “paradossalmente il problema di ragionevolezza della norma, che così come è congegnata è corretta, sorgerebbe se si decidesse di estenderla a tutto il territorio…si creerebbe una sproporzione nell’apparato sanzionatorio del tutto ingiustificata. La pena diventerebbe un supplente dell’incapacità amministrativa dello stato).

Foto: “L’Italia fra le nuvole” originally uploaded by gicap


Elettrosmog e Radio Vaticana: irrazionalità del sistema e incertezze giuridiche (III)

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L’astratta configurabilità potrebbe non essere tuttavia corretta dal punto di vista ermeneutico?


Nel post precedente ho sottolineato gli aspetti essenziali toccati dalla sentenza Radio Vaticana, in relazione all’interpretazione ermeneutica dell’espressione “gettare cose”.

La Cassazione, a questo punto, passa in rassegna alcune decisioni massimate, evidenziando che:
  1. la tesi della inapplicabilità ai campi elettromagnetici dell'art. 674 c.p. è stata finora espressamente seguita soltanto dalla sentenza Suraci (Sez. I, 30 gennaio 2002, n. 8102) la quale osserva che è da escludere l'astratta possibilità di inquadramento della condotta di chi genera campi elettromagnetici nella fattispecie penale di cui all'art. 674 cod. pen. in quanto questa disposizione descrive due ipotesi di comportamento materiale che differiscono in maniera sostanziale da quello consistente nella emissione di onde elettromagnetiche, perché l'azione del «gettare in luogo di pubblico transito... cose atte ad offendere, o imbrattare o molestare persone» è ontologicamente, oltre che strutturalmente, diversa dal generare campi elettromagnetici. L’equiparazione fra l’emissione di gas, vapori o fumi con la propagazione di onde elettromagnetiche sarebbe del tutto arbitrario, comportando una non consentita applicazione analogica in malam partem della norma incriminatrice;
  2. la maggioranza delle decisioni (tutte peraltro relative a misure cautelari reali) sono invece solitamente accomunate in un unico orientamento maggioritario, favorevole all'applicabilità dell'art. 674 c.p. alle onde elettromagnetiche, anche se per la verità l'accorpamento non è poi così scontato perché le loro motivazioni sono spesso divergenti, specialmente su altre questioni connesse, ma ugualmente rilevanti (per un esame delle massime citate, e delle specifiche peculiarità di ognuna, v. la sentenza "Radio Vaticana", Cass. Pen., n. 36845/08).

In sostanza, secondo questo secondo orientamento occorre tenere conto:
  • non solo del significato proprio delle singole parole,
  • ma anche di quello derivante dalla loro connessione.
Da ciò emerge che l'espressione «gettare una cosa» può essere di per sé idonea ad includere anche l'azione di chi emette o propaga onde elettromagnetiche.

Di conseguenza, l'astratta configurabilità del reato di cui all'art. 674 c.p. per l'emissione di onde elettromagnetiche non costituisce il risultato di una inammissibile applicazione analogica della norma penale ad una fattispecie diversa da quella in essa prevista e caratterizzata dalla stessa ratio, ma è il frutto di una semplice interpretazione estensiva, diretta ad enucleare dalla disposizione il suo effettivo significato, che ad essa - in mancanza di altre norme da cui possa emergere una diversa volontà del legislatore - può attribuirsi, anche se non evidente a prima vista.

Però, il fatto che tale interpretazione sia astrattamente ammissibile non significa che sia anche corretta sotto il profilo ermeneutico, perché potrebbe darsi che:
  1. dalla interpretazione unitaria dell’art. 674 c.p., o
  2. dalla considerazione del vigente sistema normativo relativo all’elettromagnetismo si ricavi una volontà del legislatore, oggettiva ed attuale, nel senso che esso abbia invece voluto che tale fenomeno sia sottoposto ad una disciplina diversa da quella relativa al «getto pericoloso di cose».
E, quindi, l’interpretazione estensiva porti ad una disciplina manifestamente incongrua ed irrazionale, o ad irragionevoli disparità, o a palesi violazioni del principio di necessaria offensività del reato. Con la conseguenza che essa andrebbe disattesa, in applicazione del fondamentale canone ermeneutico per cui, nel dubbio, deve sempre essere preferita l'interpretazione adeguatrice, “costituzionalmente orientata”, che eviti, cioè, possibili contrasti con norme e principi costituzionali.


In relazione al primo profilo, basti pensare che l’interpretazione favorevole all’applicabilità dell’art. 674 c.p. alle onde elettromagnetiche ha visto contrapposti:
  • coloro i quali sostenevano che, anche in presenza di una normativa di settore (o di un provvedimento dell’autorità che regoli l’attività) che imponga dei limiti, e anche nel caso in cui questi limiti non siano superati, l’art. 674 c.p. sarebbe ugualmente configurabile, nel caso in cui l'attività abbia comunque prodotto emissioni eccedenti i limiti di tollerabilità alla luce dei parametri indicati dall'art. 844 cod. civ., ed eliminabili mediante opportuni accorgimenti tecnici. E
  • quelli che, al contrario, ritenevano che l'espressione «nei casi non consentiti dalla legge» contenga una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni di fumi, vapori o gas che non superino la soglia fissata dalle norme speciali in materia.
Quindi, l’art. 674 c.p. non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento


A questo punto, l’analisi, quindi si sposta sulle conseguenze irrazionali che deriverebbero dall’applicazione di tale principio alla sola seconda ipotesi di cui all’art. 674 c.p., e sui ragionamenti “giuridico-filosofici” illustrati dalla Corte di Cassazione per evitare tali irrazionali conseguenze.


Foto: “View on Radio Vaticana” originally uploaded by geo1971



Piccola lezione sul clima

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di Naide Della Pelle

Piccola lezione sul clima di Kerry Emanuel è un libro di neppure 100 pagine in cui l’autore ci racconta a che punto è arrivata la conoscenza scientifica dei cambiamenti climatici sul nostro pianeta. 
Kerry Emanuel è professore di meteorologia al Mit di Boston ed è molto conosciuto per le sue pubblicazioni in materia di atmosfera e dinamiche degli uragani tropicali. Parlandoci di quali sono le conclusioni cui la scienza è arrivata, Kerry ci mette davanti all’importante ruolo dei giornalisti, ed in particolare dei divulgatori scientifico-ambientali, nell’istruire l’opinione pubblica a proposito dei cambiamenti climatici che si sono verificati e si verificheranno nel nostro pianeta.

Oggi la comunità scientifica per esempio riconosce come un dato di fatto l’influenza dell’Uomo sul cambiamento del clima. 



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Rifiuti. Direttiva 2008/98/CE

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Lo scorso 22 novembre 2008 è stata pubblicata sulla G.U.C.E. (Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea) la nuova direttiva sui rifiuti 2008/98/CE, che sostituirà le direttive 2006/12/CE rifiuti, 91/689/CEE rifiuti pericolosi e 75/439/CEE eliminazione degli oli usati.
Gli Stati membri avranno a disposizione due anni per adottare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2008/98/CE. 
Nelle prossime settimane non mancheranno articoli di approfondimento: per il momento voglio sottolineare alcuni dei punti focali della Direttiva 2008/98/CE, sottolineati nei “considerando”.

Innanzitutto, la direttiva sottolinea – e non è pleonastico farlo, specie nel nostro Paese… – che l’obiettivo principale di qualsiasi politica in materia di rifiuti dovrebbe consistere nel ridurre il più possibile le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente. 
Per questo motivo, la politica ambientale in materia di rifiuti dovrebbe puntare alla riduzione dell’uso delle risorse e alla promozione dell’applicazione concreta della gerarchia dei rifiuti.


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Elettrosmog e Radio Vaticana: irrazionalità del sistema e incertezze giuridiche. L’appello, il ricorso per Cassazione e gli orientamenti giurisprudenziali

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La sentenza d’appello (4 giugno 2007), invece, assolse gli imputati, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato: far rientrare la fattispecie di emissione di onde elettromagnetiche nella previsione di cui alla prima parte dell'art. 674 c.p. costituisce, secondo il Giudice d’Appello, non il frutto di una semplice interpretazione estensiva, ma quello di una vera e propria applicazione analogica della norma penale ad una diversa fattispecie caratterizzata dalla identità di ratio.
Applicazione che, nel nostro ordinamento, non è consentita in materia penale.
E veniamo al ricorso per Cassazione nel quale, in sostanza, il quesito posto da tutti i ricorrenti riguardava:
  • la possibilità e la correttezza giuridica di un’interpretazione che inquadri il fenomeno della emissione di onde elettromagnetiche nella fattispecie dell'art. 674 c.p e
  • più in particolare, se tale eventuale inquadramento costituisca il risultato di una mera interpretazione estensiva della disposizione ovvero se ad esso si possa in realtà pervenire soltanto mediante un’applicazione analogica della disposizione stessa ad una diversa fattispecie caratterizzata dalla eadem ratio, applicazione non consentita in campo penale.

Due le osservazioni preliminari della Cassazione:
  1. il criterio ermeneutico da adottare non è quello soggettivo ma quello oggettivo: la legge, cioè, va interpretata non secondo la volontà storica del legislatore che l'ha promulgata, ma secondo il senso proprio ed oggettivo delle parole che compongono la disposizione, interpretate nel momento in cui la stessa deve essere applicata, alla luce del sistema normativo vigente in tale momento inteso nel suo complesso, comprese eventuali normative speciali che possano dimostrare una volontà oggettiva dell'ordinamento di disciplinare in modo diverso la materia in esame;
  2. a seguito delle modifiche intervenute nel sistema normativo con l'introduzione di una legislazione speciale, non sembra che si possa continuare ad attribuire valore decisivo al principio di precauzione, quanto piuttosto a quelli di tipicità e di determinatezza delle fattispecie penali, di necessaria offensività del reato, di soggezione del giudice alla legge, nonché il principio generale del divieto di analogia in materia penale.
Inizia, quindi, la lunga ricostruzione evolutiva, volta a verificare la possibilità di attribuire all'espressione «gettare cose» un significato più ampio di quello che apparentemente da essa risulta, tale da farvi comprendere anche la propagazione di onde elettromagnetiche
Per uno studio approfondito dei due orientamenti che si confrontano, entrambi molto articolati, si rinvia al testo integrale della sentenza.

Volendo in questa sede sintetizzare al massimo la sentenza, basti sottolineare come:
  1. secondo l'orientamento favorevole all'estensione ermeneutica – che osserva che il termine «cosa» è di per sé suscettivo di esprimere una pluralità di significati, comprese le onde elettromagnetiche, perché la scienza contemporanea ha ormai da tempo superato il dualismo ottocentesco tra materia ed energia, ed ha chiarito che le energie (tra le quali sono comprese le onde elettromagnetiche) sono altrettanto dotate di corporeità e di materialità quanto le res quitangi possunt, e quindi vanno considerate cose sia per la loro individualità fisica, sia per la loro attitudine ad essere misurate, percepite ed utilizzate. Sarebbe erroneo ritenere che il secondo periodo dell’art. 674 limiti indirettamente la nozione di «cosa» ai soli oggetti solidi e liquidi, perché gas, vapori e fumo debbono essere ritenuti una specie del genere più ampio (cose) di cui parla il primo periodo.
  2. l'orientamento contrario all'estensione ermeneutica, invece, attraverso una lunga e articolata analisi linguistica delle espressioni usate per esprimere la condotta (gettare o versare), arriva a sostenere che solo tramite una “smaterializzazione” della condotta tipica prevista dal legislatore si può arrivare ad applicare l’art. 674 alle onde elettromagnetiche: ma allora è evidente, in sintesi, che non si è più nell'ambito di una interpretazione estensiva, ma si è entrati in quello della applicazione analogica della norma penale.
Foto: “Fear.” Originally uploaded by ithil



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Non perdersi in un bicchier d'acqua

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(segue da)

Altrettanto inevitabile, in questo quadro, sembra essere quanto avvenuto nell’estate del 2007:
  • ne “La calda estate dei veleni” (“A volte penso mi piacerebbe vivere dentro un rebus…” “Perché non è così? Non viviamo tutti dentro un rebus?”: V. Gassman e C. Deneuve in “Anima persa”), in cui si prende atto della semplicistica sottovalutazione dei problemi, e dell’amara constatazione che le soluzioni, se non si cercano, non si trovano...
  •  ne “Agosto: pozzo che vince, pozzo che perde” (“Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchete, chchch…E’ giù, nel cortile, la povera fontana malata: che spasimo! Sentirla tossire”; A. Palazzeschi) viene sottolineato che “nella bruttissima storia era coinvolta tutta la migliore politica nostrana, che cercò fino all’ultimo di darla a bere all’opinione pubblica, continuando a rassicurare i cittadini, continuando nei proclami di apertura dei pozzi e di potabilità dell’acqua…come se anche questa volta si fosse trattato della solita campagna elettorale nella quale bisognava convincere persone a credere alle solite promesse”.
Una politica messa sotto accusa, una “casta rurale, spesso bucolica e rozza nelle sue forme più comuni”, invischiata anche nelle altre piaghe di “ordinaria ruberia” (le truffe e le tangenti di Fira, Montesilvano e Pescara), che, peraltro, sembravano più lievi e avevano il “pregio” di “rubare soltanto, senza avvelenare”…

Ulteriore aggravante: “Gli enti sapevano: la scandalo nello scandalo” (“Anche i fiori piangono, e ci sono stupidi che pensano sia rugiada”; J. Morrison): “segreti velenosi resi possibili solo grazie alla totale schermatura degli enti pubblici, che a dispregio delle leggi hanno deciso di non mettere in pratica nessuna forma di trasparenza. Una blindatura di fatti e notizie custoditi dalla casta degli eletti.
In uno strano gioco di botta e risposta, di documenti (allegati al libro), di affermazioni e di negazioni, viene sottolineata la mancanza di dialogo, o forse la scarsa comprensione delle carte tra i vari enti nei diversi passaggi…

E così, dopo l’estate dei caldi veleni arriva l’“Autunno a secco: Scatta la chiusura dei pozzi” (“La nazione che distrugge il suo suolo distrugge se stessa”; F. D. Roosvelt).
Le manovre compensative previste dall’ATO non sono in grado di evitare disagi, ma ciò nonostante continuano i messaggi rassicuranti.
Del resto, siamo abituati ad un Governo che, nonostante la realtà, continua imperterrito a comunicare, anche con una certa “bravura”, messaggi non veritieri…

Nell’autunno senza acqua, il clima politico fra gli enti con competenze sull’acqua, già infuocato di suo, viene alimentato dalla polemica sull’escavazione dei famosi pozzi all’interno di un parcheggio, attraverso “scelte irresponsabili”, mentre, nel frattempo, emerge un quadro dei danni economici e di immagine a macchia di leopardo, “con disagi distribuiti su tutto il territorio ma con differenze notevoli anche fra aziende confinanti”.
Fra inviti alle società di gestione del ciclo idrico integrato per una maggiore efficienza, trasparenza e responsabilità, e appelli alla popolazione a “non allentare il controllo democratico sull’evolversi della vicenda”, spunta anche una “commuovente” proposta di azzeramento delle indennità di carica per le presenze dei Consigli di Amministrazione, “per innovare e dare un segnale forte del cambiamento alla gente”.
Intanto, a novembre arrivano quattro commissari straordinari, “una squadra che darà una credibilità al sistema idrico abruzzese”…

Ma, passato l’inverno, le indagini si concludono e… “È primavera, spuntano 33 avvisi di garanzia” (“C’è un temporale in arrivo. C’è un temporale in arrivo senti l’elettricità. C’è un temporale in arrivo sulla mia città”, L. Jovanotti”).
Il PM Aceto ricostruisce ciò che i vertici ACA e ATO sapevano, ma tacquero.
Un’altra volta in ossequio alla "regola non scritta" che recita "Acqua in bocca", diktat di una casta politica che fa acqua da tutte le parti...
Emerge un mondo parallelo, che si muoveva in tutta tranquillità per coprire i problemi reali, mentre un’intera regione, per un’estate intera, ha continuato a gridare allo scandalo.
Mentre chi di dovere dava letture consapevolmente riduttive del fenomeno dell’inquinamento, effettuava controlli attraverso laboratori più (o meno) compiacenti, manipolava dati, optava per scelte tampone “valide solo per tamponare situazioni provvisorie, ma non utili ad eliminare del tutto il pericolo di immissione in rete di sostanze dannose per la salute umana”
Perché si trattava, "in effetti", solo di un ingiustificato allarmismo…e non sembrava opportuno “spaventare chi non sa”. 
La solita vecchia solfa: tenere a bada una popolazione ignorante, nel senso, in questo caso, che non conosce (perché tenuta all’oscuro…) è molto, molto più facile rispetto a dover gestire migliaia di cittadini informati, consapevoli, determinati.
Insomma: la solita vecchia manfrina per tirare acqua al proprio mulino...

Il libro si conclude con un’altra amara constatazione: “E le discariche sono sempre lì” (“Parlare è più facile che fare: promettere più facile di mantenere”; Proverbio popolare), in cui “a colpire non è affatto la solita inerzia di amministratori e politici, quanto l’assoluta inefficacia della legge (sempre aggirata) e della giustizia (che nel caso di Scurcola – nel cui sottosuolo sono ancora “nascosti” 90 mila tonnellate di rifiuti tossici – non ha prodotto effetti). Non solo, molti degli attori, pure identificati, comprese alcune società, hanno continuato a muoversi nel campo dei rifiuti e ad essere segnalati in altre inchieste”.

Insomma: ci sono pochi dubbi sul fatto che l’Abruzzo si sta avviando a grandi passi verso la “bancarotta ambientale”…
Il libro si conclude sottolineando che si chiedeva all’amministrazione una svolta radicale…ma la classe politica, cui questo compito era demandato, “non cerca di risolvere questi problemi, ma continua a proporre interventi devastanti…
L’incapacità della classe politica di governare, il prevalere dei particolarismi sull’interesse generale, la mattanza che il territorio subisce quotidianamente, la violazione delle regole, la commistione fra politica e affari, la scarsa trasparenza e la moltiplicazione dei conflitti di interesse, le infiltrazioni criminali organizzate non lasciano dubbi: in Abruzzo è emergenza criminale e democratica”.

Un libro da leggere, non per crogiolarsi nello sterile piagnisteo italico, nel disfattismo fine a se stesso, ma per cercare di capire qualcosa in più, per tenersi informati su quanto accade alle nostre spalle, ma anche, e sempre più spesso, purtroppo, sotto il nostro naso…e a volte anche con complicità e con il tacito assenso che, per paura (ignoranza, lassismo, pigrizia…tornaconti personali), le persone non informate, e formate, sui fatti tendono a concedere a chi gli fa credere di….
O gli dice o promette quello che vuole sentirsi dire…

Un libro, insomma, da leggere per diventare un po’ più consapevoli, e non perdersi in un bicchier d’acqua


Foto: “Acqua” originally uploaded by gattiluna

Foto: “Sweet poison” originally uploaded by xelisax



Ce l'hanno data a bere...

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Recensione del libro inchiesta, scritto nonostante la "regola non scritta" che recita "Acqua in bocca", diktat di una casta politica che fa acqua da tutte le parti...
Ci sono alcuni eventi che per la loro portata si definiscono spesso, a volte anche in maniera affrettata, "sconvolgenti".
Tra questi, la maggior parte sono in grado di cambiare il futuro di un gruppo, di un insieme di persone, di un territorio.
Ci sono, invece, altri tipi di eventi che, oltre ad incidere pesantemente sul presente e sul futuro della società civile, riescono in qualche modo a cambiare anche il passato. 
Meglio: l'idea di un certo passato che l'opinione pubblica aveva fino ad un dato momento.

Inizia così “Ce L’hanno data a bere”, il libro-inchiesta di due giornalisti abruzzesi del quotidiano on line PrimaDaNoi.it, pubblicato da Il mio libro.

Un libro che cerca di ricostruire, attraverso documenti e testimonianze, quanto accaduto nell’“isola felice” – l'Abruzzo, "un posto che oggi appare sempre più come una terra stuprata dalla mano incivile dell’uomo" – per avere uno sguardo di insieme sulla complessa vicenda e per capire cosa fosse realmente successo. 
E perché.

Il libro è ben costruito, e a parte qualche imprecisione normativa (il D.Lgs n. 152/06 – il c.d. “Testo Unico Ambientale” – non è l’ex DM 471/99…), si legge con piacere.
Ma anche con tanta amarezza…

Ogni capitolo si apre con una citazione, che riassume, in qualche modo, il successivo contenuto.

La storia inizia con un altro “modo di dire” che, dopo il titolo, sembra sottolineare in modo beffardo ciò che silenziosamente gli abruzzesi hanno mandato giù…
In “Acqua in bocca”, infatti, sono raccolte alcune frasi celebri, da quella del sindaco di Bussi, che nel maggio del 2007 affermò che 
«I nostri cittadini sono le prime vittime. Noi paghiamo lo scotto di cento anni di chimica. Siamo fieri perché grazie allo stabilimento ci siamo fatti anche un nome, ma le stesse industrie hanno portato molti problemi e morti» 
fino al 
«Non siamo il carrozzone mangia soldi che descrivono»
con la quale Bruno Catena, presidente dell’Aca – Azienda Comprensoriale Acquedottistica – rispondeva, in politichese, alle critiche che piovevano a destra e a manca, passando per il pilatesco e triste 
«Io vivo a Teramo…»
con il quale Dante Caserta, presidente Wwf Abruzzo, chiosava alla domanda se fosse opportuno bere l’acqua dei rubinetti in Val Pescara...

Il primo capitolo, Il polo chimico delle libertà (“In natura non ci sono né ricompense né punizioni: ci sono conseguenze”: R. G. Ingersoll), racconta una storia che tutti, in realtà, sapevano già…
Una storia fatta di silenzi omertosi, di interessi economici troppo forti per poter essere combattuti, di mobbing ante litteram, a tratti di un’ingenuità disarmante (“allora il discrimine era uno solo: puzza, non puzza. Il mercurio, per esempio, non puzzava, e costituiva un consolidato passatempo per i giovani degli anni ‘60”…) e di implicazioni sociali che hanno condizionato le stesse vittime dell’inquinamento provocato dalla discarica di Bussi sul Tirino. 
“Tutti possono cadere dalle nuvole, tranne noi, e per una ragione semplicissima”, dice ai giornalisti di PrimaDaNoi Pino Greco. “Perché noi abbiamo visto, abbiamo ascoltato, abbiamo respirato. Perché noi siamo stati testimoni. E forse anche complici. La discarica della vergogna, quel deposito di centinai di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici sparsi fra la ferrovia ed il fiume Pescara, non ha niente di abusivo. Essa è semplicemente la discarica della nostra fabbrica”…
Nelle pagine di Natura Giuridica ho già parlato di una situazione analoga, in cui sottolineavo che "la perdurante accettazione sociale, politica ed economica di grandi siti inquinati in ragione della salvaguardia del posto di lavoro sia stata ingannevole e si sia svelata, nel tempo, come un compromesso sbagliato […] ed abbia distorto la realtà creando una situazione di grave connivenza tra controllore e controllato, quasi una perversa simbiosi, tale da allentare qualsiasi forma efficiente di monitoraggio ambientale”.
In “Un fiume e un commissario straordinari” (“Gli uomini discutono, la natura agisce”: F. Voltaire) vengono delineate le cause del silenzio creatosi attorno a tale omertà, e i nebulosi contorni dello spirito di casta, mentre ne “In principio fu la mega discarica di Bussi” (“Il mondo è cambiato…lo sento nell’acqua…lo sento nella terra…lo avverto nell’aria…molto di ciò che era si è perduto”: da “Il signore degli anelli”) viene ripercorsa, per sommi capi, la storia dell’industrialismo sviluppista del polo chimico di Bussi-Popoli, corredato da annotazioni sul generale lassismo abruzzese rispetto l’applicazione delle normative ambientali, e dell’atteggiamento spesso troppo semplicistico con cui la politica ha trattato il problema, e non lo ha comunicato…

Seguono, inevitabili, le “Soluzioni tampone tra rassicurazioni e paure” (“Le bugie più crudeli sono spesso dette in silenzio”: R. Stevenson), dove i due giornalisti di PrimaDaNoi sottolineano che, a parole, Governo e Commissione bicamerale, si dicevano pronti a fare la propria parte, salvo poi, nei fatti, secretare l’audizione presso quest’ultima del PM Aceto (pag. 35)…operazione, quest’ultima, che ha sollevato qualche dubbio in proposito…

Il tutto, in un quadro generale di forti commistioni fra professionisti esterni e l’ACA (“ACA e ATO: così andavano le cose”: “I guai sono come i fogli di carta igienica: ne prendi uno, ne vengono dieci”. W. Allen), fatte di continue richieste di consulenze esterne, i cui costi, e le cui modalità…attuative lasciano pochi dubbi sullo strisciante clientelismo, e sulle sue inevitabili inefficienze…
I numeri spiattellati da “Ce l’hanno data a bere” dovrebbero “far riflettere dopo le polemiche legate al “partito dell’acqua”, agli scandali legati alle inchieste sull’acqua avvelenata e alla depurazione (Fangopoli)”.
Mentre il piano industriale presentato da ACA per la risoluzione dei problemi, fa acqua da tutte le parti



Foto: “..:GlassOfWater:.. *108/365*” originally uploaded by amnesiak1978


Buonanotte Abruzzo

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di Naide Della Pelle

Una domenica pomeriggio decido di interrogare la rete per capire qualcosa di più sullo stato dell’ambiente nella Regione Abruzzo.

La mia curiosità nasce dalla lettura di un articolo, apparso su “La Stampa” del 09 ottobre 2008, a proposito di un sorprendente documento sull’ambiente dei vescovi della diocesi di Abruzzo e Molise, nel quale si prende posizione nei confronti del progetto di costruire il Centro Oli di Ortona.
Il Centro Oli di Ortona in Abruzzo non è un frantoio, ma un centro di prima raffinazione del greggio estratto dalle colline ortonesi...

Rimango “esterrefatta” dal tono e dal contenuto della denuncia dei vescovi:
Sentiamo il dovere di farci voce delle paure del popolo di Ortona e della zona frentana per la costruzione di un centro di raffineria per l’idrosolfurizzazione del petrolio. Si tratta infatti di una attività industriale considerata tra le più inquinanti e devastanti per le risorse naturali del territorio circostante, con conseguenze anche gravissime sulla salute degli abitanti.
E mi sorge un dubbio, e molti interrogativi: com’è che la Chiesa sente il dovere di prendere posizione in modo così intenso e accorato?
Dove sono gli “interlocutori istituzionali” in materia ambientale come WWF e Legambiente, che di solito si fanno portavoce di queste esigenze?
Che peso hanno i loro documenti, i rapporti e le denunce nella determinazione della decisione politica?

Cercando qualche informazione in più, mi accorgo che, durante tutta l’estate 2008, diversi soggetti – Legambiente WWF e Corpo Forestale dello Stato - hanno messo in guardia la politica abruzzese sullo stato dell’Ambiente in Abruzzo, denunciando situazioni preoccupanti nelle quali, se da una parte si moltiplicano gli illeciti, come descritto nel rapporto annuale sulle ecomafie, dall’altro si moltiplicano gli sforzi per evitare che se ne parli, come viene riportato nell’articolo che ho tratto dal sito di Unimondo sull’aumento dei reati ambientali in Abruzzo, e come denuncia Prima Da Noi.



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Centro oli Ortona: ubi maior…?!

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Nel secondo ricorso – più “interessante” per via di un’affermazione del Giudice – le associazioni ambientaliste sottolineavano che la realizzazione della centrale era suscettibile di arrecare notevoli danni all’ambiente: da ciò derivava l’interesse al ricorso nei confronti di tutti gli atti della sequenza procedimentale, a partire dalla deliberazione CIPE del 2002 (!!) con la quale, in esecuzione della c.d. legge obiettivo, il Ministero delle attività produttive aveva individuato tra i lavori prioritari la realizzazione della suddetta opera come di preminente interesse nazionale

Perché il TAR ha dichiarato il ricorso inammissibile?

Il ragionamento del TAR, da un punto di vista formale, non fa una piega.
Però…

Procediamo con ordine.

La legittimazione ad agire dinanzi al giudice amministrativo in favore delle associazioni ambientaliste – sottolinea in esordio il TAR de L’Aquila – va limitata alla lesione di beni ambientali in senso stretto, quali risultano dalla normativa afferente al Ministero dell’ambiente o da altra normativa di qualificazione di beni ambientali in senso giuridico.

Se il WWF avesse la facoltà di impugnare gli atti che, in astratto, possono arrecare danni a delle coltivazioni agricole, ancorché di pregio – prosegue il TAR Abruzzo – verrebbe completamente svisata la funzione demandata alle associazioni ambientaliste.
Con la conseguenza che tali associazioni si dovrebbero ritenere abilitate all’impugnativa di qualsiasi opera (pubblica o privata) eventualmente in grado di arrecare danni all’ambiente, considerato in tutti i suoi aspetti (quindi, anche quelli urbanistici. A tale proposito, il TAR richiama gli articoli 13 e 18 della legge n. 349/86, i quali non legittimano affatto le associazioni ambientaliste ad impugnare provvedimenti di tale natura).

Ma al di là di tale aspetto generale, nel caso specifico bisogna constatare (era ora…) che l’atto in ipotesi in grado di arrecare danno all’ambiente (la deliberazione del CIPE del 2002, che ha localizzato l’impianto…) non è stato proprio impugnato.
Fin qui, nulla da eccepire.
Però…

Però, da un punto di vista sostanziale, desta qualche…perplessità (?) l’affermazione di principio con la quale il giudice amministrativo abruzzese ha precisato che

per quanto riguarda le valutazioni inerenti l’impatto nei riguardi della coltivazione di pregiate colture agricole, che anche la ricerca e la lavorazione di idrocarburi è del pari tutelata ed assume una valenza pari se non addirittura superiore a quella agricola, nel momento attuale in cui l’economia italiana sopporta i gravi disagi economici conseguenti alla situazione mondiale nel campo delle risorse energetiche.

Che ci debba essere un giusto contemperamento fra le esigenze dell’ambiente e quelle produttive è logico, oltre che inevitabile (a meno di non voler giocare a fare gli ipocriti…)

Ma: un conto è il giusto contemperamento fra esigenze divergenti e meritevoli di tutela…
Un altro è porre i gravi disagi economici che il nostro (lungimirante…!) Paese sta attraversando per giustificare qualsiasi tipo di scelta, ed arrivare ad affermare che la ricerca e la lavorazione di idrocarburi è del pari tutelata ed assume una valenza pari se non addirittura superiore alla tutela dell’ambiente…

Come siamo arrivati a questa crisi?
Non sarebbe più opportuno non nascondersi dietro la (inevitabile, viste le premesse) crisi, e affrontare i problemi (non solo energetici…) in modo prospettico, e con un programma credibile?
Non sarebbe ora di smetterla di sfuggirli, i problemi, per affrontarli di petto con coraggio e autorevolezza?

Già non mi sembra che l’Italia brilli per lungimiranza politica, in generale, né in investimenti in innovazioni nel campo energetico ambientale…
Certo, non è compito del Giudice.
Ma sta di fatto che affermazioni come questa, a prescindere dall’inevitabile dichiarazione di inammissibilità del ricorso in questione, non fanno che aggravare ulteriormente il già penoso status quo che caratterizza questo paese per vecchi

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Centro Oli di Ortona: un ricorso che non s’aveva da fare

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Questa settimana Natura Giuridica si occuperà dell’Abruzzo, Regione ultimamente al centro di “scandali di varia natura”, specie in campo ambientale…

In futuro tornerò ad occuparmi del “Caso Abruzzo”…questa settimana vi parlerò delle due sentenze del 22 settembre 2008 sul “Centro oli” di Ortona (oggi e domani), del peculiare ruolo della Chiesa nelle vicende ambientali regionali (Natura allo specchio di mercoledì) e dello scandalo della discarica di Bussi e dell’inquinamento del fiume Pescara, attraverso le recensione di “Ce l’hanno data a bere”, "il libro-inchiesta del quotidiano on line PrimaDaNoi.it, che ricostruisce con documenti e testimonianze tutto quello che è accaduto nell’“isola felice”, un posto che oggi appare sempre più come una terra stuprata dalla mano incivile dell’uomo" (giovedì e venerdì).
Una Regione dove alcuni degli avvenimenti succedutisi nel corso degli ultimi anni, "oltre ad incidere pesantemente sul presente e sul futuro della società civile, riescono in qualche modo a cambiare anche il passato
Meglio: l'idea di un certo passato che l'opinione pubblica aveva fino ad un dato momento".

Con due sentenze del 22 settembre 2008 (117 e 116) il TAR Abruzzo, sede de L’Aquila, ha dichiarato inammissibili due ricorsi presentati da associazioni ambientaliste e da produttori agricoli del settore vitivinicolo contro “tutti gli atti della sequenza procedimentale” (testuali parole...Considerando che l’atto che ha dato il là al progetto del Centro oli è la deliberazione del CIPE del 2002…tale curiosa "approssimazione" fa storcere il naso al giurista che legge…Non esistono termini per l’impugnazione?) che hanno definito la localizzazione e la realizzazione di un centro oli nel Comune di Ortona.

Nel primo ricorso, il TAR Abruzzo, dopo aver ricordato, non senza una venatura polemica, che
deducendo un interesse che attiene sostanzialmente alla violazione dell’ambiente sarebbe necessario che i ricorrenti non rappresentino interessi agricoli di carattere produttivo, limitati ad un preciso ambito territoriale, ma interessi diffusi alla tutela dell’ambiente
si è limitato a richiamare “la giurisprudenza”, la quale
ha sempre affermato che nella materia urbanistica può essere ammessa l'azione impugnatoria solo da parte di chi abbia effettivamente un legame immediato con il territorio interessato dagli atti di pianificazione.
Con la conseguenza che una società produttiva di carattere agricolo non è legittimata ad impugnare provvedimenti che incidano sul governo del territorio: la sua posizione, infatti,

non si presenta differenziata e qualificata rispetto a quella propria della generalità dei cittadini, laddove la legittimazione al sindacato giurisdizionale presuppone la specificazione, con riferimento alla situazione concreta e fattuale, del come, perché ed in quale misura il provvedimento impugnato si rifletta negativamente sulla propria posizione sostanziale, determinandone una lesione concreta, immediata e di carattere attuale.
Oltretutto, nella specie:
  • non veniva dedotta la possibilità di un danno alla salute di un singolo cittadino (che potrebbe astrattamente rientrare tra coloro che sono abilitati a dedurre censure contro un insediamento produttivo), ma un mero interesse economico produttivo;
  • nella specie gli interessati non hanno provato – né sotto il profilo della propria posizione in senso di vicinitas, né sotto i reali effetti dannosi che l’impianto in questione possa provocare alla agricoltura della zona – che l’impianto possa provocare una lesione concreta e definitiva per la sua attività, "ma si sono limitati ad affermare, in modo apodittico, che tale struttura produttiva rappresenta un danno reale per l’ambiente (censurandolo, poi, sotto il mero profilo urbanistico)".
Dulcis in fundo, il TAR non ha potuto che constatare che:
il ricorso è stato prodotto solo al momento della adozione di una variante, mentre tutti gli atti della sequenza procedimentale erano già stati adottati da tempo, mentre l’eventuale danno si era in realtà concretizzato già al momento dell’adozione da parte del Ministero della localizzazione della struttura.
Insomma: questo ricorso non s’aveva (ormai…) da fare.

Del secondo – più “interessante” per via di una discutibile affermazione del Giudice – parlerò domani.

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Elettrosmog e Radio Vaticana: irrazionalità del sistema e incertezze giuridiche. Il primo grado

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Nella sentenza che comincerò a delineare oggi (Cassazione Penale, Sez. III, n. 36845 del 26 settembre 2008) il tema trattato è particolarmente delicato e ostico: i rapporti intercorrenti fra l’art. 674 del codice penale (getto pericoloso di cose) e la normativa di settore.

Tanto che la Suprema Corte di Cassazione lo affronta in una corposa sentenza, nella quale, prima di giungere alla definizione del caso concreto, si dilunga nell’esegesi evolutiva dell’art. 674 c.p. effettuata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, e sottolinea le difficoltà interpretative, sempre al limite dell’irrazionalità del sistema normativo

Prima di procedere all’analisi della sentenza, è opportuno riportare il testo dell’art. 674 del codice penale, in modo da rendere più agevole la comprensione della sentenza:

Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone,
ovvero,
nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti,
è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a 206 euro.
L’attore protagonista della vicenda è Radio Vaticana: la vicenda, in estrema sintesi, è la seguente:

Il cardinale Roberto Tucci, mons. Pasquale Borgomeo, D. G. e l'ing. Costantino Pacifici, vice direttore tecnico, vennero rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 674 c.p. “per avere, quali responsabili della Radio Vaticana, diffuso, tramite gli impianti siti in Santa Maria in Galeria, radiazioni elettromagnetiche atte ad offendere o molestare persone residenti nelle aree circostanti […] arrecando alle stesse disagio, disturbo, fastidio e turbamento”;

La sentenza di primo grado (9 maggio 2005), dichiarò il card. Tucci e mons. Borgomeo responsabili del reato loro ascritto e li condannò all’“esemplare” pena di dieci giorni di arresto ciascuno (sospensione condizionale della pena) e con la condanna al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata sede.
Assolse invece l'ing. Pacifici per non aver commesso il fatto.


In sostanza, il Giudice di prime cure osservò che:

1) l'emissione di onde elettromagnetiche poteva farsi rientrare, in via di interpretazione estensiva e non di applicazione analogica, nell'ambito della prima delle due ipotesi previste da 674 c.p.;

2) per la sussistenza del reato non era necessario il superamento dei limiti imposti dalle leggi speciali, perché la clausola «nei casi non consentiti dalla legge» si riferisce esclusivamente alla seconda ipotesi di reato di cui all'art. 674 c.p., ossia alle sole emissioni di gas, vapori e fumo;

3) per molestia si deve intendere anche come il semplice arrecare generalizzata preoccupazione ed allarme circa eventuali danni alla salute da esposizione ad emissioni inquinanti;

4) di conseguenza, erano irrilevanti sia la mancanza di una attitudine all’«offesa» alla persona, sia l'entrata in vigore della L. n. 36/2001 ("Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici"), la quale, nello stabilire i limiti di emissione delle onde elettromagnetiche, configura il loro superamento (art. 15) come un illecito amministrativo.

5) tale ultimo illecito può concorrere con il reato di cui all'art. 674 c.p. quando – come nella specie – sia provato che è stata arrecata molestia alle persone: tra le due disposizioni, infatti, non è applicabile il principio di specialità;

6) doveva presumersi che i limiti fissati dal d.m. n. 381 del 1998 (Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana) fossero stati superati prima del 2002, in quanto a) un teste, infatti, aveva dichiarato che Radio Vaticana aveva accettato di rientrare nei limiti previsti «per cortesia diplomatica» in seguito all'accordo raggiunto con lo Stato italiano 1'8 giugno 2001; b) i disturbi agli apparecchi domestici si erano attenuati dopo il 2002, e c) comunque le questioni relative al superamento dei limiti non incidevano sulla sussistenza del reato anche successivamente al 2002, attesa la presenza di rilevanti molestie fino al febbraio 2004.
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    Affaire Giacomelli: ultimo atto? (parte seconda)

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    Quindi, prosegue il TAR Brescia,
    «la VIA intervenuta in una fase successiva all’autorizzazione dell’impianto e all’inizio dell’attività non ha effetto sanante nè rispetto ai provvedimenti di autorizzazione né rispetto all’attività svolta dai committenti o dai gestori».
    In conclusione, secondo il TAR Brescia, una valutazione di impatto ambientale a posteriori «non è in grado di ottenere gli stessi risultati di un esame tempestivamente svolto prima dell’autorizzazione»; ne è derivato, nella specie, un indebolimento «della tutela prevista per i beni della vita individuali e collettivi (proprietà, domicilio, salute, ambiente)».

    Di seguito riporto le conclusioni che l’Avv. Milone ha tratto nel suo interessante articolo “VIA postuma: il TAR Lombardia conferma i principi della Corte europea dei diritti dell’uomo”, pubblicato sul numero 8 /2008 della rivista “Ambiente & Sviluppo”.

    Con la pronuncia in epigrafe, il TAR si è così conformato alla pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui l’ingerenza nell’esercizio del diritto di cui all’art. 8 della Convenzione è da ritenere assolutamente eccezionale e può essere giustificata soltanto nel caso in cui «il processo decisionale sfociante su delle misure di ingerenza sia equo e rispetti doverosamente gli interessi dell’individuo».
    Quindi nella specie, è stato ritenuto che l’interesse pubblico all’esercizio dell’attività di trattamento di rifiuti non potesse giustificare un’ingerenza da parte dell’amministrazione nell’esercizio dei diritti garantiti dall’art. 8 della CEDU.

    Del tutto diversa è in genere l’impostazione della giurisprudenza nazionale che tende a considerare l’interesse pubblico all’iniziativa economica pubblica e privata (soprattutto nel caso in cui si tratti della realizzazione di opere, come nella specie, di interesse strategico) prevalente rispetto all’interesse alla tutela della salute e dell’ambiente, anche a prescindere dall’esistenza di garanzie procedurali per i soggetti interessati, nell’ambito dei processi decisionali.

    Un esempio in tal senso è offerto dalla giurisprudenza in materia di VIA per le grandi opere, prevista dagli artt. 182, e segg. D.Lgs. n. 163/2006.
    Tale disciplina, che ha abrogato e riprodotto le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 190/2002, prevede norme di semplificazione del procedimento di VIA delle opere di rilevante interesse pubblico e strategico.

    Com’è noto, infatti, la finalità degli artt. 182, e seguenti del D.Lgs. n. 163/2006, consiste nella realizzazione, nel più breve tempo possibile, delle opere individuate dal Governo come di interesse strategico.

    Le disposizioni in materia di VIA per le grandi opere hanno, tra l’altro, notevolmente semplificato la fase di partecipazione del pubblico - fase fondamentale della procedura di VIA ai sensi della Direttiva n. 85/337/Cee – nel cui ambito sono state notevolmente limitate e ridotte le garanzie dei soggetti interessati.

    Ciononostante, la giurisprudenza amministrativa non ha mai riconosciuto la difformità della disciplina nazionale di cui agli artt. 182, e segg., D.Lgs. n. 163/2006, con la Direttiva comunitaria…

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    Foto: “the end mosaic” originally uploaded by m kasahara