Centro Oli di Ortona: un ricorso che non s’aveva da fare

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Questa settimana Natura Giuridica si occuperà dell’Abruzzo, Regione ultimamente al centro di “scandali di varia natura”, specie in campo ambientale…

In futuro tornerò ad occuparmi del “Caso Abruzzo”…questa settimana vi parlerò delle due sentenze del 22 settembre 2008 sul “Centro oli” di Ortona (oggi e domani), del peculiare ruolo della Chiesa nelle vicende ambientali regionali (Natura allo specchio di mercoledì) e dello scandalo della discarica di Bussi e dell’inquinamento del fiume Pescara, attraverso le recensione di “Ce l’hanno data a bere”, "il libro-inchiesta del quotidiano on line PrimaDaNoi.it, che ricostruisce con documenti e testimonianze tutto quello che è accaduto nell’“isola felice”, un posto che oggi appare sempre più come una terra stuprata dalla mano incivile dell’uomo" (giovedì e venerdì).
Una Regione dove alcuni degli avvenimenti succedutisi nel corso degli ultimi anni, "oltre ad incidere pesantemente sul presente e sul futuro della società civile, riescono in qualche modo a cambiare anche il passato
Meglio: l'idea di un certo passato che l'opinione pubblica aveva fino ad un dato momento".

Con due sentenze del 22 settembre 2008 (117 e 116) il TAR Abruzzo, sede de L’Aquila, ha dichiarato inammissibili due ricorsi presentati da associazioni ambientaliste e da produttori agricoli del settore vitivinicolo contro “tutti gli atti della sequenza procedimentale” (testuali parole...Considerando che l’atto che ha dato il là al progetto del Centro oli è la deliberazione del CIPE del 2002…tale curiosa "approssimazione" fa storcere il naso al giurista che legge…Non esistono termini per l’impugnazione?) che hanno definito la localizzazione e la realizzazione di un centro oli nel Comune di Ortona.

Nel primo ricorso, il TAR Abruzzo, dopo aver ricordato, non senza una venatura polemica, che
deducendo un interesse che attiene sostanzialmente alla violazione dell’ambiente sarebbe necessario che i ricorrenti non rappresentino interessi agricoli di carattere produttivo, limitati ad un preciso ambito territoriale, ma interessi diffusi alla tutela dell’ambiente
si è limitato a richiamare “la giurisprudenza”, la quale
ha sempre affermato che nella materia urbanistica può essere ammessa l'azione impugnatoria solo da parte di chi abbia effettivamente un legame immediato con il territorio interessato dagli atti di pianificazione.
Con la conseguenza che una società produttiva di carattere agricolo non è legittimata ad impugnare provvedimenti che incidano sul governo del territorio: la sua posizione, infatti,

non si presenta differenziata e qualificata rispetto a quella propria della generalità dei cittadini, laddove la legittimazione al sindacato giurisdizionale presuppone la specificazione, con riferimento alla situazione concreta e fattuale, del come, perché ed in quale misura il provvedimento impugnato si rifletta negativamente sulla propria posizione sostanziale, determinandone una lesione concreta, immediata e di carattere attuale.
Oltretutto, nella specie:
  • non veniva dedotta la possibilità di un danno alla salute di un singolo cittadino (che potrebbe astrattamente rientrare tra coloro che sono abilitati a dedurre censure contro un insediamento produttivo), ma un mero interesse economico produttivo;
  • nella specie gli interessati non hanno provato – né sotto il profilo della propria posizione in senso di vicinitas, né sotto i reali effetti dannosi che l’impianto in questione possa provocare alla agricoltura della zona – che l’impianto possa provocare una lesione concreta e definitiva per la sua attività, "ma si sono limitati ad affermare, in modo apodittico, che tale struttura produttiva rappresenta un danno reale per l’ambiente (censurandolo, poi, sotto il mero profilo urbanistico)".
Dulcis in fundo, il TAR non ha potuto che constatare che:
il ricorso è stato prodotto solo al momento della adozione di una variante, mentre tutti gli atti della sequenza procedimentale erano già stati adottati da tempo, mentre l’eventuale danno si era in realtà concretizzato già al momento dell’adozione da parte del Ministero della localizzazione della struttura.
Insomma: questo ricorso non s’aveva (ormai…) da fare.

Del secondo – più “interessante” per via di una discutibile affermazione del Giudice – parlerò domani.

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