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Nel secondo ricorso – più “interessante” per via di un’affermazione del Giudice – le associazioni ambientaliste sottolineavano che la realizzazione della centrale era suscettibile di arrecare notevoli danni all’ambiente: da ciò derivava l’interesse al ricorso nei confronti di tutti gli atti della sequenza procedimentale, a partire dalla deliberazione CIPE del 2002 (!!) con la quale, in esecuzione della c.d. legge obiettivo, il Ministero delle attività produttive aveva individuato tra i lavori prioritari la realizzazione della suddetta opera come di preminente interesse nazionale…
Perché il TAR ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ragionamento del TAR, da un punto di vista formale, non fa una piega.
Però…
Procediamo con ordine.
La legittimazione ad agire dinanzi al giudice amministrativo in favore delle associazioni ambientaliste – sottolinea in esordio il TAR de L’Aquila – va limitata alla lesione di beni ambientali in senso stretto, quali risultano dalla normativa afferente al Ministero dell’ambiente o da altra normativa di qualificazione di beni ambientali in senso giuridico.
Se il WWF avesse la facoltà di impugnare gli atti che, in astratto, possono arrecare danni a delle coltivazioni agricole, ancorché di pregio – prosegue il TAR Abruzzo – verrebbe completamente svisata la funzione demandata alle associazioni ambientaliste.
Con la conseguenza che tali associazioni si dovrebbero ritenere abilitate all’impugnativa di qualsiasi opera (pubblica o privata) eventualmente in grado di arrecare danni all’ambiente, considerato in tutti i suoi aspetti (quindi, anche quelli urbanistici. A tale proposito, il TAR richiama gli articoli 13 e 18 della legge n. 349/86, i quali non legittimano affatto le associazioni ambientaliste ad impugnare provvedimenti di tale natura).
Ma al di là di tale aspetto generale, nel caso specifico bisogna constatare (era ora…) che l’atto in ipotesi in grado di arrecare danno all’ambiente (la deliberazione del CIPE del 2002, che ha localizzato l’impianto…) non è stato proprio impugnato.
Fin qui, nulla da eccepire.
Però…
Però, da un punto di vista sostanziale, desta qualche…perplessità (?) l’affermazione di principio con la quale il giudice amministrativo abruzzese ha precisato che
per quanto riguarda le valutazioni inerenti l’impatto nei riguardi della coltivazione di pregiate colture agricole, che anche la ricerca e la lavorazione di idrocarburi è del pari tutelata ed assume una valenza pari se non addirittura superiore a quella agricola, nel momento attuale in cui l’economia italiana sopporta i gravi disagi economici conseguenti alla situazione mondiale nel campo delle risorse energetiche.
Che ci debba essere un giusto contemperamento fra le esigenze dell’ambiente e quelle produttive è logico, oltre che inevitabile (a meno di non voler giocare a fare gli ipocriti…)
Ma: un conto è il giusto contemperamento fra esigenze divergenti e meritevoli di tutela…
Un altro è porre i gravi disagi economici che il nostro (lungimirante…!) Paese sta attraversando per giustificare qualsiasi tipo di scelta, ed arrivare ad affermare che la ricerca e la lavorazione di idrocarburi è del pari tutelata ed assume una valenza pari se non addirittura superiore alla tutela dell’ambiente…
Come siamo arrivati a questa crisi?
Non sarebbe più opportuno non nascondersi dietro la (inevitabile, viste le premesse) crisi, e affrontare i problemi (non solo energetici…) in modo prospettico, e con un programma credibile?
Non sarebbe ora di smetterla di sfuggirli, i problemi, per affrontarli di petto con coraggio e autorevolezza?
Già non mi sembra che l’Italia brilli per lungimiranza politica, in generale, né in investimenti in innovazioni nel campo energetico ambientale…
Certo, non è compito del Giudice.
Ma sta di fatto che affermazioni come questa, a prescindere dall’inevitabile dichiarazione di inammissibilità del ricorso in questione, non fanno che aggravare ulteriormente il già penoso status quo che caratterizza questo paese per vecchi…
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