Danno morale per patema d’animo: risarcimento per il disastro ambientale di Seveso

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La Cassazione Civile (sentenza n. 11059/09) ha affrontato un tema molto delicato, relativo alle conseguenze risarcitorie/patrimoniali del disastro ambientale di Seveso (i tags principali, per riassumere, sono: danno ambientale, risarcimento del danno non patrimoniale, mezzi di prova, risarcibilità, diossina, disastro ambientale, danno esistenziale, Class action).

Il “patema d’animo” dei cittadini, preoccupati per le ripercussioni sulla salute, causate dalle sostanze tossiche sprigionatesi in seguito al disastro ambientale di Seveso, deve essere risarcito come danno morale, nonostante le tesi sostenute, a gran voce, dall’Icmesa nel ricorso presentato in Cassazione per l’annullamento della sentenza di secondo grado che, confermando quanto già statuito dal Tribunale di Milano, aveva condannato a società ad un risarcimento pari a 5.000 € per ciascun ricorrente.

Tesi che ruotavano tutte intorno a questo concetto: non esistono i presupposti per il danno morale perché, inter alia, non c’è la prova che i residenti della “zona della nube tossica” avessero avuto delle ripercussioni nella vita sociale o anche di relazione…

La Cassazione, con un sentenza che vi consiglio vivamente di leggere d’un fiato (potere liberamente scaricare la sentenza della Corte di Cassazione Civile n. 11059/09 sul sito di Natura Giuridica, consulenza ambientale per imprese e pubbliche amministrazioni) ha statuito, invece, e per fortuna giuridico-ambientale, che è giuridicamente corretto inferire l’esistenza di un danno non patrimoniale, ravvisato nel patema d’animo indotto dalla preoccupazione per il proprio stato di salute e per quello dei propri cari, ove tale turbamento psichico sia provato in via documentale.

Il danno non patrimoniale può essere provato anche per presunzioni e la prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l’unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell’uno in dipendenza dell’altro, secondo criteri di regolarità causale.

Si tratta, del resto di principi affermati già in passato (Cass. Sez. Un. civ. n. 2515/2002, in caso di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro colposo - art. 449 c.p.) nel caso del verificarsi di un delitto di pericolo presunto a carattere plurioffensivo: qui la Cassazione sottolineava che alla lesione dell’interesse adespota all’ambiente ed alla pubblica incolumità, si affianca il pregiudizio causato alla sfera individuale dei singoli soggetti che si trovano in concreta relazione con i luoghi interessati dall’evento dannoso, in ragione della loro residenza o frequentazione abituale. Ove sia dimostrato che tale relazione è stata causa di uno stato di preoccupazione è configurato il danno non patrimoniale in capo a detti soggetti, danno risarcibile in quanto derivato da reato.

In armonia con un’altra decisione della Cassazione (Cass. Sez. Un. civ. n. 26972/2008) il giudice di legittimità delle leggi ha, inoltre, stabilito che va esclusa l’autonomia del c.d. danno esistenziale, il quale non rappresenta altro che una delle voci del danno non patrimoniale.
Nel caso in cui il fatto illecito, da cui è derivato il danno, si configuri come reato, il danno non patrimoniale è risarcibile nella sua più ampia accezione di danno determinato da lesioni di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica.

In questo contesto, la sofferenza morale può ben protrarsi anche per lungo tempo e la sua durata assume rilievo ai fini della quantificazione del risarcimento, e il Giudice ha il compito di accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome ad esso attribuito.

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