Il disastro ambientale: cos’era, dal punto di vista giuridico, prima della sua recente introduzione nel codice penale? E – soprattutto – cos’è diventato?

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Sul numero di novembre 2015 della rivista Ambiente & Sicurezza sul lavoro, EPC Editore, è stato pubblicato un contributo a cura di Andrea Quaranta in materia di disastro ambientale incentrato sull'evoluzione del concetto di disastro ambientale, tra perenni vuoti normativi, interpretazioni giurisprudenziali e querelles di stampo politico. 
Dopo una prima parte dedicata alla ricostruzione del contesto in cui ha cominciato a farsi strada il concetto di disastro ambientale (In un momento di totale vuoto normativo, il giudice penale ha fatto spesso uso delle disposizioni presenti nel codice penale, anche forzandone i limiti, pur di offrire una qualche tutela all'ambiente e alla salute: il caso più eclatante è l’utilizzo dell’art. 674 del C.p., relativo al getto pericoloso di cose, per contrastare fenomeni di inquinamento atmosferico ed elettromagnetico), l'articolo prosegue con la trattazione dell'evoluzione giurisprudenziale del disastro ambientale, prima della riforma del 2015. In questo caso la giurisprudenza, in mancanza di una specifica normativa, ha utilizzato in via sussidiaria l'articolo 434 del codice penale (crollo di costruzioni o altri disastri dolosi), in base al quale “chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti , commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene”. Questo mentre parte della dottrina (Ruga Riva) riteneva inconciliabile il delitto di cui all’art. 434 del c.p. con le caratteristiche strutture del danno ecologico e con il bene ambiente.
Segue un riferimento specifico al concetto di disastro ambientale così come configurato dalla Cassazione, la quale ha avuto modo di sottolineare in più occasioni che "per configurare il reato di “disastro” è sufficiente che il nocumento metta in pericolo, anche solo potenzialmente, un numero indeterminato di persone: infatti, il requisito che connota la nozione di “"disastro” ambientale, delitto previsto dall’art. 434 c.p., è la “potenza espansiva del nocumento” anche se non irreversibile, e l’“attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità ”. L'articolo prosegue con un'ampia disamina di altre questioni evidenziate, sempre dalla Cassazione, in relazione al disastro ambientale (per il disastro ambientale basta la consapevolezza; per il risarcimento dei danni da disastro ambientale è sufficiente il patema d'animo) e, nella sua ultima parte, evidenzia le caratteristiche principali della recentissima riforma dei delitti ambientali - Legge, 22/05/2015 n° 68, G.U. 28/05/2015 - , volta - almeno nelle intenzioni del Legislatore - a colmare il vuoto normativo legato al concetto di disastro ambientale e a inserire uno specifico nuovo titolo- gli "eco-reati" - all'interno del codice penale, definendo con chiarezza le fattispecie di reato e le pene connesse. La genesi della riforma è stata tuttavia caratterizzata da un'accesa querelle di stampo politico, nella quale chi ha criticato "questa" riforma ambientale è stato anche accusato di scarso ambientalismo.
Sulla rivista EPC è disponibile l'articolo completo.



Deposito temporaneo di rifiuti: come derogare alla disciplina generale - vademecum su come orientarsi e comportarsi di conseguenza

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Sul sito ipsoa.it - quotidiano, è stato pubblicato il contributo dal titolo "Deposito temporaneo di rifiuti: come derogare alla disciplina generale".
Il deposito temporaneo rappresenta in effetti una delle novità più importanti della normativa sui rifiuti, perché consente di non dover sempre ricorrere, in tempi brevi, a situazioni di smaltimento onerose e sproporzionate rispetto al regime produttivo. Tuttavia, ci sono limiti quantitativi e temporali da rispettare, anche se la norma - che ha subìto molte modifiche perché non scritta bene - ha dato molti grattacapi agli operatori del settore.
L'articolo costituisce un breve vademecum su come orientarsi, e comportarsi di conseguenza.

Dopo aver sinteticamente trattato dell'importanza strategica del deposito temporaneo di rifiuti, sono riassunti in una tabella la definizione di Gestione dei rifiuti, delle varie tipologie di deposito legali con focus sull'ultima definizione di deposito temporaneo.
Le definizioni sono infatti importantissime in questo ambito perché se non si parte da una puntuale individuazione dei caratteri distintivi di tale operazione – attività derogatoria ed eccezionale, collocata funzionalmente a monte della gestione dei rifiuti –  dietro il suo schermo si possono celare discariche abusive o altri gravi illeciti ambientali. Ed è per questo che la definizione di deposito temporaneo ha nel tempo subìto numerose modifiche volte il più delle volte ad allargarne l'ambito operativo. L'articolo ripercorre sinteticamente le principali tappe di questo processo dando conto della stessa "giurisprudenza ampliativa", se così la si vuol chiamare.

Si conclude ricapitolando quelli che costituiscono i limiti attuali al deposito temporaneo secondo i requisiti di prova, categorie omogenee, osservanza delle norme e presidi di sicurezza.


Il decreto legislativo sui nuovi incentivi per le FER diverse dal fotovoltaico: parere favorevole della conferenza Stato-Regioni. Ecco la struttura del decreto

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Poco più di un mese fa la Conferenza unificata Stato-Regioni ha dato il proprio parere favorevole, con modifiche, al testo del decreto legislativo che modifica gli incentivi per le fonti di energia rinnovabile diverse dal fotovoltaico
Il nuovo decreto ha lo scopo di sostenere la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili diverse da quella solare fotovoltaica: 
• attraverso la definizione di incentivi e modalità di accesso semplici, 
• che promuovano a) l’efficacia, l’efficienza e la sostenibilità degli oneri di incentivazione in misura adeguata al perseguimento degli obiettivi stabiliti nella Strategia Energetica Nazionale; b) il graduale adattamento alle Linee guida in materia di aiuti di Stato per l’energia e l’ambiente.
Andiamo a vedere, a grandi linee, la struttura del nuovo decreto incentivi.

L’accettazione di richieste di accesso ai meccanismi di incentivazione cessa decorsi 30 giorni dal raggiungimento della prima fra le seguenti date: a) il 1° dicembre 2016 (1° dicembre 2017 per gli impianti idroelettrici); b) la data di raggiungimento di un costo indicativo massimo degli incentivi di 5,8 miliardi di euro l’anno. La vecchia normativa, il DM 6 luglio 2012, continua ad applicarsi agli impianti iscritti in posizione utile nelle graduatorie formate a seguito delle procedure di asta e registro svolte ai sensi dello stesso decreto. 

L'accesso ai meccanismi di incentivazione può essere diretto (per impianti eolici di potenza fino a 60 kW; impianti idroelettrici di potenza nominale di concessione fino a 250 kW, se rientrano nelle specifiche categorie elencate nell’art. 4, comma 3, lett. b); per alcuni impianti alimentati a biomassa di potenza fino a 200 kW e per gli impianti alimentati a biogas di potenza fino a 100 kW; per gli impianti oggetto di un intervento di potenziamento, se la differenza tra il valore della potenza dopo l’intervento e quello della potenza prima dell’intervento non sia superiore ai valori massimi di potenza consentiti per la singola FER; così come per gli impianti oggetto di rifacimento aventi potenza complessiva, a valle dell’intervento, non superiore ai valori massimi di potenza consentiti per la singola FER; infine gli impianti realizzati con procedure ad evidenza pubblica da Amministrazioni pubbliche, con potenza fino al doppio del livello massimo consentito per singola FER e gli impianti solari termodinamici di potenza fino a 100 kW), oppure con iscrizione in appositi registri, in posizione tale da rientrare in limiti specifici di potenza (impianti nuovi, integralmente ricostruiti, riattivati, ibridi, oggetto di un intervento di rifacimento totale o parziale, oggetto di un intervento di potenziamento, nei limiti che per ognuno il nuovo D.Lgs analiticamente prevede). Possono richiedere l’iscrizione al registro (e partecipare alle aste) i soggetti titolari dell’autorizzazione o, in alcuni casi specifici, dal proponente. Un'ultima modalità di accesso consiste nella partecipazione a procedure competitive di aste (impianti nuovi, integralmente ricostruiti, riattivati, ibridi la cui potenza è superiore alla pertinente potenza di soglia; impianti oggetto di un intervento di potenziamento qualora la differenza tra il valore della potenza dopo l’intervento e quello della potenza prima dell’intervento sia superiore al valore di soglia vigente per gli impianti alimentati dalla stessa fonte). Il soggetto responsabile degli impianti partecipa a procedure pubbliche d’asta al ribasso, svolte in forma telematica, per la definizione del livello di incentivazione dell’energia elettrica prodotta, nei limiti dei contingenti annui di nuova capacità produttiva.  Gli ex-zuccherifici continuano ad accedere agli incentivi del “decreto rinnovabili” (DM 18.12.2008), alle condizioni e nei limiti previsti dalla delibera del Comitato Interministeriale Bieticolo-saccarifero del 5 febbraio 2015.

Quali le modalità di accesso? Entro 30 giorni dalla data di entrata in esercizio dell’impianto il soggetto responsabile deve presentare al GSE la documentazione prescritta (allegato 3). Entro 90 il GSE procede alla stipula del contratto e all’erogazione dell’incentivo spettante, a decorrere dalla data di entrata in esercizio commerciale.

Per quanto riguarda i valori della potenza di soglia: 5 MW per tutte le tipologie di fonte rinnovabile. La potenza di un impianto è costituita dalla somma delle potenze degli impianti, alimentati dalla stessa fonte, a monte di un unico punto di connessione alla rete elettrica;. Più impianti alimentati dalla stessa fonte, nella disponibilità del medesimo produttore o riconducibili, a livello societario, a un unico produttore e localizzati nella medesima particella catastale o su particelle catastali contigue si intendono come unico impianto, di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti. 

Procedure applicative, controlli e monitoraggio sono a carico del GSE. Questi meccanismi di incentivazione non sono cumulabili con altri incentivi pubblici comunque denominati, fatte salve le specifiche eccezioni già contemplate dalla normativa di incentivazione delle FER (il “decreto Romani”, D.Lgs n. 28/2011). 



Anno nuovo nuovo SISTRI?

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Il Ministro dell'Ambiente illustra il SISTRI che verrà.  
Nel corso del question time dello scorso 15 ottobre 2015, il Ministro dell'Ambiente ha risposto alle più urgenti questioni ambientali del momento: fra queste quella relativa al SISTRI, argomento dibattuto in diversi articoli all'interno di questo blog.
Il nostro sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti rappresenta un'“emergenza cronica” da quasi sei anni, quando fu ideato ed introdotto in Italia. Sei anni nei quali ha subìto molti cambiamenti, molte proroghe, troppi ripensamenti, infinite critiche e le immancabili promesse di riforma. Come l'ennesima illustrata nel corso del question time dal Ministro Galletti, preoccupato dal funzionamento del nostrano sistema di “gestione dei rifiuti”, sul quale si sta lavorando a detta del ministro stesso, “sia con nuove norme nazionali che con un lavoro capillare in sede europea - per colmare i ritardi e riparare le colpe del passato, avviando il Paese verso l’unica prospettiva possibile: quella dell’economia circolare, del riciclo e della rigenerazione delle risorse, vera chiave per città più moderne, vivibili, sostenibili e non invase dai rifiuti”. 
Il nuovo sistema tiene conto delle indicazioni emerse dalla consultazione pubblica delle organizzazioni appartenenti alle categorie di soggetti utenti del SISTRI (produttori, trasportatori, smaltitori) e al mercato di riferimento (produttori di software gestionali e operatori del mercato IT), per raccogliere contributi sulla possibilità di evoluzione di tale sistema. 
Dall’analisi delle principali richieste formulate, emerge la necessità che l’evoluzione del SISTRI dovrà apportare valore aggiunto e non essere di ostacolo alle attività svolte dagli utenti, attraverso l’innovazione e la razionalizzazione del sistema, con l’utilizzo di nuove tecnologie e l’abbandono di sistemi non più efficaci (black.box, chiavette USB), ed in particolare dovrà essere esteso a tutte le tipologie di rifiuti al fine di garantire la “tracciabilità” dell’intero ciclo di vita del rifiuto stesso
Il Ministero sta analizzando la possibilità di introdurre un contributo di iscrizione simbolico per agli aderenti volontari ed ha comunicato inoltre di aver sottoscritto una convenzione con la Consip SpA, per lo svolgimento delle procedure di affidamento in concessione del sistema SISTRI.
Staremo a vedere.
Segnaliamo infine che proprio il giorno 15 ottobre sul sito www.sistri.it/ è stato pubblicato l'aggiornamento del documento GUIDA GESTIONE AZIENDA, manuale di supporto per l’applicativo “Gestione Azienda“, disponibile in area autenticata, attraverso il quale è possibile effettuare, in autonomia, alcune operazioni...buona lettura!


Utilizzo di Pet Coke nella cava di Bernezzo in provincia di Cuneo

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Nel post di oggi parliamo di una vicenda "locale" che costituisce l'esempio classico di quanto accade in tanti altri angoli del nostro Paese. Succede a Bernezzo, in provincia di Cuneo, dove il paese si divide sulla richiesta, da parte dell’azienda Unicalce, di cambiare il combustibile utilizzato per un forno già esistente passando dal metano al pet coke.

La vicenda: la Unicalce come dicevamo decide di convertire un suo forno già alimentato a metano. Dopo sette lunghi anni di attesa per avere un nuovo forno da utilizzare in azienda - aspettando l'autorizzazione da parte della Provincia che arriva solo qualche mese fa - ora, complice la crisi, lo stabilimento di Bernezzo non ha bisogno di un forno in più ma ritiene più utile convertire uno dei due già esistenti. Da questa considerazione è partito lo studio per verificare quale carburante potesse essere più utile e compatibile con la lavorazione e l'ambiente circostante.Dunque, cambiato il mercato, l'azienda ha cercato soluzioni alternative al forno in più, decidendo così di sostituire l'attuale combustibile a metano con uno meno caro ma di uguale resa, se non superiore.La ricerca è caduta sul Pet coke anche dopo aver valutato altre alternative, come la biomassa.Il Pet è un combustibile che viene utilizzato già negli stabilimenti Unicalce, per esempio a Lecco, dove l'impianto è stato costruito proprio sopra la città.

La reazione: gli abitanti di Bernezzo sono preoccupati per l'impatto ambientale che questa conversione potrebbe avere sulla qualità della vita e della attività produttive (coltivazioni biologiche, imprese turistiche) dei cittadini. Alcuni di questi si sono organizzati con petizioni online, raccolta firme, coinvolgendo partiti ed esponenti della politica.
In mezzo, a chiedere di attendere il responso degli enti decretati ad una valutazione di impatto ambientale, il sindaco del paese Laura Vietto – sostenuto da tutti quelli della vallata – e il presidente dell’Unione industriale della Granda, Franco Biraghi. Entrambi sostengono che: “le aziende sono di fondamentale importanza per lo sviluppo economico e sociale del territorio e le valutazioni tecniche in materia di inquinamento vanno lasciate agli enti preposti, vale a dire Arpa e Provincia”. 
In luglio è arrivata l'opinione dell'Arpa che, nella sua relazione inviata come risposta al progetto presentato da Unicalce, non ha richiesto la Valutazione di Impatto Ambientale escludendo la possibilità per le istituzioni locali (Comune e Provincia) di poter rappresentare l’opinione dei cittadini in merito alla decisione dell’Azienda di utilizzare un combustibile che fino al 2002 veniva considerato un rifiuto.
Dal canto suo l'Arpa, già lo scorso febbraio aveva stilato un rapporto a riguardo, concludendo in questo modo: "considerate le valutazioni effettuate, si possono ragionevolmente definire irrilevanti gli impatti sull’ambiente dovuti alla variante al progetto autorizzato dell’impianto Unicalce di Bernezzo". A fine giugno, dopo ulteriori accertamenti e analisi, è arrivata anche la comunicazione in merito alla necessità o meno di procedere con la V.I.A. o valutazione di impatto ambientale.
Nel documento si conclude che: "Considerati i flussi massicci di inquinanti in gioco, le caratteristiche del combustibile proposto, le risultanze preliminari della modellistica diffusionale analizzata, i requisiti associati all'applicazione delle Migliori Tecniche Disponibili del settore della calce, l'esperienza accumulata in merito all'utilizzo di analogo combustibile solido in un contesto territoriale di competenza dello scrivente Dipartimento, si ritiene che il progetto possa essere compiutamente analizzato e valutato nell'ambito degli iter amministrativi di RIESAME di AIA cui il progetto verrà sottoposto ai sensi della Direttiva IED sulle emissioni industriali, e che pertanto possa essere, a meno di diverse indicazioni da parte dì codesta Amministrazione, escluso dalla fase di Valutazione".
Quanto riportato rimane valido a condizione che, nell'ambito delle procedure autorizzative di cui sopra, vengano affrontati seguenti temi:
a) rettifica degli errori materiali ravvisati nello studio diffusionale sugli inquinanti aerodispersi;
b) valutazione degli inquinanti CO e COT e completo raccordo con i livelli emissivi associati all'uso delle Migliori Tecniche Disponibili (BAT Conclusione)
c) rivisitazione del tenore di ossigeno di riferimento per gli inquinanti emessi dai forni di cottura e della tempistica di riferimento (oraria -> giornaliera)
d) perseguimento di un bilancio emissivo meno sfavorevole attraverso: - minimizzazione delle emissioni di ossidi di azoto dal forno interessato dall'uso di petcoke - logiche compensative da realizzarsi sui limiti emissivi di altri parametri inquinanti e/o di altri impianti dello stabilimento - ricerca di configurazioni produttive che possano limitare l'impatto aggiuntivo derivante dall'uso del combustibile solido (stagionalità o periodicità favorevoli alla dispersione degli inquinanti, ecc..)
e) verifica dell'opportunità dell'eventuale dotazione di Sistema di Monitoraggio in Continuo delle emissioni (SME).
Insomma, l'ARPA emette un sì condizionato; tuttavia se per l'Arpa gli impatti sull'ambiente di questa conversione sono irrilevanti,  ora la palla passa all'Ente Provincia, l'unico che potrebbe, allo stato attuale, richiedere la Valutazione d'Impatto Ambientale.
La legge attribuisce specifica competenza in materia di rilascio dell’autorizzazione in questione alla Regione o al soggetto da essa delegata, la provincia di Cuneo nel caso specifico. Il relativo procedimento di rilascio dell’autorizzazione prevede il coinvolgimento di una pluralità di soggetti, anche nell’ambito di una specifica conferenza di servizi, ma tra questi soggetti non figura il Ministero dell’Ambiente, che non ha dunque facoltà di intervenire nello specifico procedimento, né di sindacare sull’operato dell’autorità competente. Peraltro nel merito il problema appare mal posto, poiché il PET Coke è un combustibile ammesso dalla norma, pertanto non pare legittimo vietarne a priori l’impiego. In base alla normativa vigente invece, nel corso dell’istruttoria presso la competente provincia di Cuneo, verrà effettuata la dovuta analisi sulle prestazioni (e in particolare sui livelli di emissione di inquinanti) che l’installazione deve garantire, a prescindere dal tipo di combustibile impiegato, prestazioni che dovranno di norma conformarsi ai livelli di emissione (BAT-AEL) specificamente fissati per i cementifici dal documento comunitario “Conclusioni sulle BAT” del marzo 2013. Si tratta di una tematica molto delicata, che per essere affrontata necessita di un esame approfondito di tutti gli aspetti ambientali, ivi compresi, soprattutto, quelli di diritto. Natura Giuridica, studio di consulenza ambientale integrata, offre ai suoi clienti una gamma completa di servizi nel settore ambientale. Per contatti, per farvi aiutare nella difesa collegarsi al sito di Natura Giuridica, che da quasi 15 anni si occupa di consulenza in tutti i settori del diritto dell'ambiente. E soprattutto di diritto all'ambiente.


B&B (Bed and Breakfast) e rifiuti: assimilazione agli alberghi?

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In questo post cerchiamo di rispondere alla seguente domanda: quale tariffa per i rifiuti è opportuno applicare nei casi in cui un immobile o parte di esso viene utilizzato dal proprietario residente per svolgere attività di bed and breakfast?

Cominciamo subito col dire che B&B significa “Bed and Breakfast”, non “Banda Bassotti”!

Quanti B&B ci sono in Italia? 
Sempre di più, perché dormire in un Bed and Breakfast è più bello, più familiare, caldo, accogliente. Più. 
Ed è un modo come un altro – mica tanto “come gli altri”: è più simpatico, amichevole, alla mano, naturale – per “arrotondare”. 
E qualcuno – per far cassa, per cos'altro? - ha pensato bene di approfittare del successo dei B&B, assimilandoli agli alberghi ai fini della determinazione della tassa rifiuti. 
Ma qui casca l'asino.
Come dimostrare, e giustificare, questa asserita assimilazione, specie quando – sovente, sovente – manca un'espressa previsione in tal senso nei Regolamenti comunali, e soprattutto dal momento che – secondo una logica elementare – le caratteristiche fisiologiche dei bed and breakfast implicano 
necessariamente il contrario, vale a dire la non assimilazione agli immobili destinati ad alberghi? 

Caratteristiche dei B&B ai fini del calcolo della tassa sui rifiuti
L’immobile destinato a B&B deve necessariamente essere classificato catastalmente come residenziale.
Il conduttore dell’attività ha l’obbligo di residenza e dimora abituale nello stabile.
Dal punto di vista quantitativo, il B&B produce rifiuti in modo saltuario, in funzione:
  • della presenza, o meno, più o meno periodica, anche a secondo delle località prese in considerazione, dei turisti/clienti/produttori di rifiuti urbani.
  • della risibile produzione di rifiuti (non si consumano neanche i pasti, ma solo . Lo dice il nome stesso, il breakfast)

Tant'è che – per fortuna – in numerosi casi le commissioni tributarie di volta in volta adite sanciscono l'illegittimità della tariffa al metro quadrato applicata ai locali adibiti a Bed and Breakfast, secondo la destinazione di alberghi, invece di quella propria della residenza, visto che si tratta di locali strutturati e funzionali come abitazioni. 
Con la conseguenza che la tariffa di riferimento per capacità e produttività di rifiuto non può che essere quella deliberata per le utenze domestiche. 

Del resto la stessa ANCI – che riunisce tutti i comuni italiani, compresi quelli che sposano la tesi dell'assimilabilità dei B&B agli alberghi – ha affermato che 
“poiché l’attività svolta dai bed and breakfast è considerata dalla legislazione vigente come non professionale si ritiene che la stessa non possa essere equiparata all’attività ricettiva svolta professionalmente. In mancanza di un’indagine sull’effettiva produzione di rifiuti che consenta di individuare una specifica categoria di riferimento per i B&B, non pare che vi siano alternative all’equiparazione all’utenza domestica di cui il B&B è un’integrazione”.
Nel fare queste affermazioni, richiama una copiosa giurisprudenza che – in mancanza di un’istruttoria che desse supporto alle scelte effettuate – ha ritenuto illegittima una tariffa più elevata per l’utenza alberghiera nei confronti di quella per l’utenza domestica”. 
Come a dire, se proprio un Comune effettua l'equiparazione, almeno che sia motivata (e ti voglio vedere...), specie se si considera che, oltre a pretendere una tassa che – nella migliore ed inverosimile delle ipotesi – deve comunque essere giustificabile e giustificata, spesso l'esattore-Comune si spinge ad irrogare sanzioni. Insomma, il danno oltre alla beffa... 

Ma allora perché si continua questa opera di assimilazione preventiva, senza istruttoria e – in definitiva – ingiustificata? 
Perché nel cavilloso giuridichese italico non mancano sentenze che dicono il contrario, sia pure con diverse sfumature. 
È il caso della sentenza della Cassazione n. 16972 di quest'anno, nella quale il giudice di legittimità ha affermato che 
“deve ritenersi legittimo da parte del Comune istituire, pur nell'ambito della destinazione a civile abitazione, una tariffa differenziata per l'uso che si fa di un immobile, a prescindere dalla destinazione catastale, verificando l'utilizzo in concreto da parte del proprietario di servizi come il cambio della biancheria, la pulizia dei locali, la fornitura del materiale di consumo a fini igienico - sanitari, la manutenzione ordinaria degli impianti e gli altri analoghi, quando tali servizi non siano riferibili solo al proprietario, ma anche ai clienti della struttura adibita a "bed & breakfast". 
Questo perché, conclude la Cassazione, “essendo l'imposta correlata alla capacità produttiva di rifiuti deve ritenersi legittima la determinazione …. di prevedere una sottocategoria (C4) con valori e coefficienti di quantità e qualità intermedi tra le sottocategorie di civile abitazione (C1) e alberghi (C4) che tenga conto della promiscuità tra l'uso normale abitativo e la destinazione ricettiva a terzi”, con esclusione tuttavia dal novero della superficie delle aree scoperte pertinenziali o accessorie delle abitazioni: balconi, terrazze, posto macchina, scoperti, inidonei alla produzione di rifiuti. 
Parola chiave: capacità produttiva.
Cioè qualcosa di astratto, non di concreto. 
Cioè quello che, alla fine della fiera, conta. 
O meglio, dovrebbe contare. 
Perché un conto è produrre rifiuti, un altro – e ben diverso – è come gestire il loro “fine vita”, ovvero il recupero e/o lo smaltimento. 

Più di recente, la Cassazione (sentenza n. 21363 del 21 ottobre 2015) ha affermato che, anche se i bed &breakfast non possono essere assimilati alle strutture alberghiere, è comunque legittimo per il Comune fissare tariffe della tassa rifiuti diverse da quelle per le abitazioni, anche se l'esercizio dell'attività non determina un mutamento della destinazione d'uso dell'immobile. 
Ma la tassa non si paga sulle aree scoperte pertinenziali. 

Alla fine di questo breve riassunto, mi domando se non sarebbe il caso di passare all'effettiva raccolta differenziata porta a porta generalizzata, e applicare una tariffa basata sulla reale produzione di rifiuti dei restanti rifiuti non altrimenti recuperabili (il “secco”, per utilizzare la terminologia del Comune nel quale risiedo, dove viene effettuata la raccolta differenziata porta a porta, ma si continua ad applicare la tassa sui rifiuti...).
Consuma di più una villa nella quale abitano due persone che lavorano tutto il giorno fuori, o un appartamento in cui abita una famiglia con tre figli? 
Dando atto della facile risposta a tale domanda, perché allora paga di più il primo? 
Una sorta di patrimoniale mascherata? 
Oppure vogliono farci credere che i B&B siano parte della grande famiglia delle Banda Bassotti, e che quindi sia giustificato il prelievo forzato di questa tassa scollegata da ogni dato reale? 



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Sul numero di Settembre della rivista Ambiente&Sicurezza sul Lavoro edita da EPC è stato pubblicato un articolo dal titolo Disciplina AIA, come elaborare la relazione di riferimento che riporta i casi in cui è obbligatorio presentare la documentazione, le modalità per procedere alla stesura e le indicazioni ministeriali sulla tempistica dell'Autorizzazione integrata ambientale.
L'articolo è di interesse per quanti devono redigere il documento relativo allo stato di suolo e acque sotterrane nel sito dell'installazione, al fine di effettuare un raffronto in termini quantitativi con lo stato al momento della cessazione definitiva dell'attività. Si ricorda infatti che recentemente sono state emanate le "Linee Guida sulle relazioni di riferimento di cui all'articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali", con le quali pochi mesi prima (16 maggio 2014) la Commissione europea aveva fornito dettagliate indicazioni per consentire un'attuazione uniforme della direttiva da parte di tutti gli Stati membri. A distanza di pochi mesi da quelle linee guida, il nostro legislatore, dopo aver emanato le prime, generali, linee di indirizzo in materia di AIA ha promulgato dapprima il D.M. n. 272/2014, con il quale ha, invece, dettato le modalità per la redazione della relazione di riferimento (RdR), e quindi le "seconde linee guida AIA",che hanno riguardato anche la RdR. L'articolo in allegato è dunque una mini-guida operativa utile a chi deve, anche solo in potenza, effettuare la relazione di riferimento.


Nuovi criteri ammissibilità rifiuti in discarica ex DM 24/06/2015

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La normativa sui criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, materia regolata a livello nazionale dal D.M. 27 settembre 2010, non era soltanto bisognosa di essere adeguata all'evoluzione del quadro normativo comunitario ma doveva anche essere resa conforme alla decisione del Consiglio n. 33/2003/Ce, come richiesto dalla Ue all'Italia. 
Sulla Gazzetta Ufficiale dell'11/09 è stato pubblicato il DM 24 giugno 2015, che ha integrato il DM 27 settembre 2010, il quale aveva modificato la precedente normativa sui criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica.
Scrivendo la parola "fine" riguardo un contenzioso con la Commissione Europea - all'Italia venivano contestate alcune non conformità del DM 27 settembre 2010 ad una decisione del Consiglio (2003/33/CE) - la nuova normativa ha sancito abrogazioni riguardanti: la verifica di conformità, gli impianti di discarica per i rifiuti inerti, i limiti di accettabilità per i composti organici in discariche per rifiuti inerti, gli impianti di discarica per rifiuti non pericolosi, le sottocategorie di discariche per rifiuti non pericolosi. 

Nel DM 24 giugno 2015 sono altresì presenti delle novità in materia di: 
  1. impianti di discarica per rifiuti non pericolosi (il nuovo DM prevede che nelle discariche per rifiuti non pericolosi possano essere smaltiti anche rifiuti pericolosi stabili non reattivi che siano stati sottoposti: 1. a idonee prove geotecniche dimostrano adeguata stabilità fisica e capacità di carico; 2. alla valutazione della capacità di neutralizzazione degli acidi, utilizzando i test di cessione secondo i metodi CEN/TS 14429 o CEN/TS 14997);
  2. impianti di discarica per rifiuti pericolosi (come in precedenza, sarà possibile servirsi dei valori per il TDS – solidi disciolti totali – in alternativa ai valori per il solfato e per il cloruro. Il limite di concentrazione per il parametro TDS non si applica alle tipologie di rifiuti riportate nella precedente nota. Il nuovo DM specifica, tuttavia, che i parametri solfati e cloruri o, in alternativa il parametro TDS, dovranno essere verificati). 
Il decreto contiene inoltre delle sostituzioni precisando che cosa si intende per rifiuti pericolosi stabili non reattivi; il decreto modifica anche il campo di applicazione del limite di concentrazione per il parametro DOC e prevede un ulteriore requisito che che i rifiuti pericolosi devono possedere per essere smaltiti in discariche per rifiuti pericolosi. 

Infine, viene interamente sostituito l’allegato 3 – relativo al campionamento e all’analisi dei rifiuti. 



I nuovi criteri di ammissibilità in discarica
Oneri
Il campionamento, le determinazioni analitiche per la caratterizzazione di base e la verifica di conformità sono effettuati a carico del detentore dei rifiuti o del gestore della discarica, da persone ed istituzioni indipendenti e qualificate
Garanzia della qualità
Il campionamento e le determinazioni analitiche possono essere effettuate dai produttori di rifiuti o dai gestori qualora essi abbiano costituito un appropriato sistema di garanzia della qualità, compreso un controllo periodico indipendente
Rifiuti urbani biodegradabili
Il campionamento della massa di rifiuti da sottoporre alla successiva analisi deve essere effettuato tenendo conto della composizione merceologica, secondo il metodo di campionamento ed analisi IRSA, CNR, NORMA CII-UNI 9246
Eluati e rifiuti
Occorre ottenere un campione rappresentativo secondo i criteri, le procedure i metodi e gli standard di cui alla norma UNI 10802
La valutazione della capacità di neutralizzazione degli acidi (ANC), é effettuata secondo le metodiche CEN/TS 14997 o CEN/TS 14429
Rifiuti contenenti amianto
Analisi del rifiuto
Il contenuto di amianto in peso deve essere determinato analiticamente utilizzando una delle metodiche analitiche quantitative previste dal D.M. 6 settembre 1994 del Ministro della sanità, la percentuale in peso di amianto presente, calcolata sul rifiuto dopo il trattamento, sarà ridotta dall’effetto diluizione della matrice inglobante rispetto al valore del rifiuto iniziale.
Densità apparente: è determinata secondo le normali procedure di laboratorio standardizzate.
Densità assoluta: è determinata come media pesata delle densità assolute dei singoli componenti utilizzati nelle operazioni di trattamento dei rifiuti contenenti amianto e presenti nel materiale finale.
Densità relativa: è calcolata come rapporto tra la densità apparente e la densità assoluta. 

Analisi del particolato aerodisperso contenente amianto
Vanno adottate le tecniche analitiche di microscopia ottica in contrasto di fase (MOCF); per la valutazione dei risultati delle analisi si deve far riferimento ai criteri di monitoraggio indicati nel D.M. 6 settembre 1994 del Ministro della sanità.



Sotto il profilo sistematico, dunque, il testo di riferimento continua ad essere il Dm 27 settembre 2010, così come modificato dal nuovo D.M.
Sotto il profilo sostanziale, smaltire i rifiuti in discarica sarà più costoso e difficile, specie se si considera che i rifiuti con codice CER 101208 non potranno più essere smaltiti in discarica senza la preventiva autorizzazione, dato che sono stati introdotti la valutazione di neutralizzazione degli acidi dei rifiuti pericolosi stabili non reattivi per lo smaltimento nelle discariche di rifiuti non pericolosi e i criteri per garantire la adeguata stabilità fisica e capacità di carico dei rifiuti pericolosi stabili e non reattivi prima di consentire la loro ammissione in discariche per rifiuti non pericolosi, ed è stata eliminata la deroga al parametro TOC per i criteri di ammissibilità dei rifiuti nelle sottocategorie di discariche per non pericolosi di cui all’art. 7, D.M. 27 settembre 2010.
Sotto il profilo formale occorrerà, invece, valutare se-come-quanto la novella normativa verrà applicata.
E soprattutto come: nello spazio, nel tempo e nell’interpretazione, e in tutte quelle altre sfumature che, in Italia, non permettono mai all’operatore del settore di sapere come muoversi senza incappare in una qualche non conformità.

L'articolo completo sarà pubblicato sul n. 11-12/2015 della rivista "Ambiente & Sviluppo" eidita da IPSOA e, in editio minor, è sul sito di IPSOA.


Il Governo ha adottato il DDL di delegazione europea 2015 per l'attuazione di 8 direttive e l'adeguamento a 6 regolamenti. Tra le materie trattate: l'uso delle borse di plastica e la qualità di diesel e benzina

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Il 10 settembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato il DDL di delegazione europea 2015: il provvedimento contiene deleghe legislative per l’attuazione, in alcuni casi con indicazione di criteri specifici di delega, di 8 direttive europee e l’adeguamento della normativa nazionale a 6 regolamenti europei. 
In particolare, il Governo dovrà adottare la direttiva 2015/720/UE, relativa all’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero (termine di recepimento 27 novembre 2016), e la direttiva 2015/652/UE, che stabilisce i metodi di calcolo e gli obblighi di comunicazione relativamente alla qualità della benzina e del combustibile diesel (termine di recepimento 21 aprile 2017). 

Nel DL che tre anni e mezzo fa ha dettato le “misure straordinarie e urgenti in materia ambientale” (D.L. n. 2/2012, convertito nella legge n. 28/2012), l’allora Governo aveva previsto anche delle “disposizioni in materia di commercializzazione di sacchi per asporto merci nel rispetto dell’ambiente”: oltre a prorogare (parzialmente, ovvero soltanto per specifiche categorie di shopper) il termine previsto anni addietro (finanziaria per il 2007) ai fini del divieto di commercializzazione di sacchi per l’asporto merci, tale D.L. dettava norme volte: 
  • ad individuare le eventuali ulteriori caratteristiche tecniche ai fini della commercializzazione dei sacchetti, anche prevedendo forme di promozione della riconversione degli impianti esistenti, nonché le modalità di informazione ai consumatori; 
  • a favorire il riutilizzo del materiale plastico proveniente dalle raccolte differenziate;
  • a sanzionare coloro che commercializzano i sacchi non conformi a quanto previsto dalla normativa. 
Ad oggi, in attuazione del citato D.L. n. 2/2012, il decreto del ministero dell’Ambiente del 18 marzo 2013 – “Individuazione delle caratteristiche tecniche dei sacchi per l’asporto delle merci” – ha permesso la commercializzazione dei sacchi per l’asporto delle merci prevedendo l'utilizzo di varie possibilità: dai sacchi monouso biodegradabili e compostabili, sacchi composti da polimeri diversi rispetto ai primi, con determinate caratteristiche tecniche e spessori, nonché i sacchi di carta o di stoffa e comunque in materiali diversi dai polimeri.
Il 6 maggio di quest’anno è stata pubblicata sulla GUCE la direttiva 2015/720/UE che ha dettato nuove norme per la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero.
A distanza di quattro mesi, il 10 settembre il Consiglio dei Ministri ha approvato il DDL di delegazione europea 2015, che contiene anche la delega al Governo per il recepimento di tale direttiva.
Lo scopo della normativa è quello di prevenire o ridurre l’impatto degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sull’ambiente: le buste in plastica, infatti, ai sensi della direttiva costituiscono un «imballaggio», ma in precedenza non si prevedevano misure specifiche sul loro utilizzo.
Per questi motivi, la nuova direttiva ha previsto che gli Stati membri dovranno adottare misure per diminuire in modo significativo l’utilizzo di tali imballaggi in materiale leggero – in linea con gli obiettivi generali della politica sui rifiuti e con la gerarchia dei rifiuti dell’Unione di cui alla direttiva 2008/98/CE – che dovranno tenere conto degli attuali livelli di utilizzo di borse di plastica nei singoli Stati membri. 
L'UE in questo caso suggerisce vere e proprie  misure restrittive come le restrizioni alla commercializzazione o la fissazione del prezzo, delle imposte e dei prelievi.

Nella seconda delega ambientale DDL prevede anche il recepimento della direttiva 2015/652/UE sul metodo di calcolo e comunicazione da parte dei fornitori, dell’intensità delle emissioni di gas a effetto serra prodotte durante il ciclo di vita dei combustibili e dell’energia.

L'articolo completo è sul sito di IPSOA


Rifiuti radioattivi, dal 20 agosto vige la nuova classificazione - ex D lgs 4 marzo 2014, n.45

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Il decreto del MiSE del 7 agosto 2015, emanato ai sensi dell'articolo 5 del Dlgs 4 marzo 2014, n. 45, stabilisce la classificazione dei rifiuti radioattivi associando a
ciascuna categoria specifici requisiti in relazione alle diverse fasi di gestione dei rifiuti stessi.

Il nuovo decreto è volto ad assicurare che i lavoratori, la popolazione e l'ambiente siano protetti dai pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti, tenendo conto dell'impatto sulle generazioni future, a ridurre al minimo ragionevolmente praticabile, tanto in termini di attività che di volume, la produzione di rifiuti radioattivi e ad assicurare una gestione funzionale alla tipologia del rifiuto, considerato che i rifiuti radioattivi presentano caratteristiche molto variabili anche in relazione allo loro origine. Nel decreto viene stabilita la classificazione dei rifiuti radioattivi, anche in relazione agli standard internazionali, associando a ciascuna categoria specifici requisiti in relazione alle diverse fasi di gestione dei rifiuti stessi. 

La nuova classificazione dei rifiuti radioattivi sostituisce quella definita nella Guida Tecnica n. 26 del lontano 1987, e si riferisce ai rifiuti radioattivi solidi condizionati. All'atto della generazione, i rifiuti radioattivi solidi e liquidi sono preliminarmente classificati in relazione alla tipologia di condizionamento per essi prevista nel rispetto dell'obiettivo di minimizzazione dei volumi finali dei rifiuti condizionati prodotti. Tuttavia, il decreto non detta le modalità e i requisiti di gestione di ciascuna categoria dei rifiuti radioattivi, che saranno invece oggetto di apposite guide tecniche. 

Esclusioni: il nuovo decreto non si applica ai rifiuti radioattivi aeriformi e liquidi per i quali è previsto lo smaltimento nell'ambiente sotto forma di effluenti, né ai residui contenenti radionuclidi di origine naturale provenienti dalle attività lavorative con particolari sporgenti naturali di radiazioni, che saranno oggetto di specifica disciplina di attuazione della direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio del 5 dicembre 2013, per le attività industriali comportanti l'utilizzo di materie con radionuclidi naturali. 

Classificazione dei rifiuti radioattivi: i rifiuti radioattivi derivanti dalle attività disciplinate dalle norme vigenti sull'impiego pacifico dell'energia nucleare e sulle sorgenti di radiazioni ionizzanti sono classificati come segue:

  1. Rifiuti radioattivi a vita media molto breve. I rifiuti radioattivi contenenti radionuclidi con tempo di dimezzamento molto breve, inferiore a 100 giorni, che richiedono sino ad un tempo massimo di 5 anni per raggiungere concentrazioni di attività inferiori ai valori determinati ai sensi dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, in materia di sicurezza nucleare degli impianti nucleari e 2011/70/Euratom in materia di gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi derivanti da attività civili. Si tratta di rifiuti che hanno origine prevalentemente da impieghi medici e di ricerca. 
  2. Rifiuti radioattivi di attività molto bassa. I rifiuti radioattivi con livelli di concentrazione di attività che non soddisfano i criteri stabiliti per i rifiuti esenti, ma comunque inferiori a 100 Bq/g di cui al massimo 10 Bq/g per radionuclidi alfa emettitori a lunga vita (rientrano in questa categoria principalmente quei materiali derivanti dalle attività di mantenimento in sicurezza e di smantellamento delle installazioni nucleari, da terreni o detriti contaminati risultanti da attività di bonifica. 
  3. Rifiuti radioattivi di bassa attività. Sono i rifiuti radioattivi che non soddisfano i criteri stabiliti per i rifiuti esenti e che ai fini dello smaltimento necessitano di un confinamento e di un isolamento per un periodo di alcune centinaia di anni (rientrano in questa categoria i rifiuti radioattivi caratterizzati da livelli di concentrazione di attività inferiori o uguali a 5 MBq/g per i radionuclidi a vita breve, inferiori o uguali a 40 kBq/g per gli isotopi a lunga vita del Nichel e inferiori o uguali a 400 Bq/g per i radionuclidi a lunga vita. 
  4. Rifiuti radioattivi di media attività ( i rifiuti radioattivi con concentrazioni di attività superiori ai valori indicati per i rifiuti di bassa attività, tali comunque da non richiedere, durante il deposito e lo smaltimento, l'adozione di misure per la dissipazione del calore generato). 
  5. Rifiuti radioattivi di alta attività: sono quelli con concentrazioni di attività molto elevate, tali da generare una significativa quantità di calore o elevate concentrazioni di radionuclidi a lunga vita, o entrambe tali caratteristiche, che richiedono un grado di isolamento e confinamento dell'ordine di migliaia di anni ed oltre. Per tali rifiuti è richiesto lo smaltimento in formazioni geologiche.


Sintesi e commento delle seconde linee di indirizzo AIA - D.Lgs n. 46/2014 sulle emissioni industriali

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Sulla rivista Ambiente & Sviluppo, edita da Ipsoa - Milano (n. 8-9/2015), è stato dato ampio spazio all'analisi della disciplina introdotta nel nostro ordinamento con il D.Lgs n. 46/2014 (il c.d. decreto “emissioni industriali ”) con articoli di autorevoli giuristi. In particolare, questi contributi hanno trattato dei due atti con i quali il Governo ha inteso fornire chiarimenti applicativi in relazione alla disciplina appena introdotta (1. le (allora) “prime linee” di indirizzo sulle “modalità applicative” della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, emanate dal ministero dell’ambiente a valle dei “primi approfondimenti” fino ad allora svolti dal Coordinamento istituito proprio dal decreto “emissioni industriali” per l’uniforme applicazione [dell’AIA] sul territorio nazionale , e 2. le modalità per la redazione della nuova relazione di riferimento. ).

Nell'ulteriore contributo pubblicato nella rivista nel numero di luglio si da conto degli "ulteriori sviluppi della vicenda, fornendo una comoda tavola sinottica  degli ulteriori criteri sulle modalità applicative dettati dal MATTM a distanza di pochi mesi dai primi. Lo scopo dichiarato è quello di ottenere che le norme contenute nel decreto siano applicate il più uniformemente possibile, ovviando al sempiterno problema delle norme soggette a molteplici - e spesso completamente discordanti - interpretazioni.
Tali chiarimenti nascono alla luce di quelli “forniti dalla D.G. ambiente della Commissione europea, attraverso parerei relativi alle più frequenti domande (FAQ) inerenti l’applicazione della direttiva 2010/75/UE, anche in riscontro a quesiti pervenuti in merito dalle autorità competenti al rilascio di autorizzazione integrata ambientale e dalle associazioni di categoria degli operatori economici interessati”. Il quadro d'insieme che ne risulta può essere - pur con qualche ombra - valutato positivamente anche se nonostante le numerose (e motivate) critiche, il Governo non ha detto nulla circa i rapporti fra la relazione di riferimento e la disciplina sulla bonifica dei siti contaminati: cosa (e quanto, e come) bisogna aspettare per avere delucidazioni al riguardo?
E ancora, a discapito del dichiarato obiettivo di omogeneità applicativa,  anche questa ulteriore circolare, nel fornire suggerimenti alle autorità competenti, si premura di mantenere ferma “la competenza di ogni singola autorità competente di organizzare le tempistiche secondo le proprie specifiche esigenze e carichi di lavoro”: una porta spalancata per consentire interpretazioni volte a difendere il ricorso a modalità di gestione personalizzate, anche per esigenze ulteriori, rispetto a quelle meramente temporali e/o legate a problemi di gestione dei carichi di lavoro.