Il ricorso a misure di messa in sicurezza di emergenza, anche per il carattere immediato e a breve termine dell’intervento, deve essere collegato alla necessità di evitare, nell’immediato e al di fuori del percorso procedimentale descritto dal codice ambientale, fenomeni di estensione o propagazione del fenomeno inquinante che generino rischi concreti e imminenti per l’ambiente e la salute.
Nessuna messa in sicurezza di emergenza nel caso di contaminazioni storiche.
TAR di Napoli (n. 3660/13): una società operante nel settore della produzione di resine e vernici, con stabilimento in un ex SIN, impugna due provvedimenti con i quali il ministero dell’ambiente aveva ordinato di attivare idonee misure di messa in sicurezza d’emergenza attraverso l’emungimento delle acque di falda e il successivo trattamento/smaltimento, al fine di impedire la diffusione della contaminazione a valle idrogeologico dell’area.
L’ordine di adottare la MISE, motivato sulla base della non conformità ai limiti di legge sia per i suoli che per le acque di falda, veniva dato dal ministero a ben sei anni di distanza.
In risposta al provvedimento, la società:
- non solo inviava al ministero una relazione tecnico-ambientale dalla quale emergevano le ragioni per cui non avrebbero potuto essere adottati interventi di messa in sicurezza d’emergenza.
- ma proponeva anche ulteriori indagini per il documento di analisi di rischio, propedeutico alla presentazione del piano operativo di bonifica.
- la potenziale contaminazione da metalli dell’acquifero superficiale era riconducibile soprattutto a fenomeni naturali, mentre quella da tetracloroetilene era ricollegabile a modesti sversamenti avvenuti in passato (dal 1992 tale sostanza non viene più utilizzata nello stabilimento);
- l’attività di emungimento indiscriminato, senza opportune indagini preliminari conoscitive della successione stratigrafica locale, avrebbe comportato il “richiamo di plume di potenziale contaminazione dalle aree interne dello Stabilimento verso le zone di valle idrogeologico”;
- trattandosi di contaminazioni storiche e, comunque, di fenomeni privi di rischi immediati per la salute e per l’ambiente, non era possibile disporre l’attivazione di messa in sicurezza di emergenza, ma quell’articolo del testo unico ambientale (242, comma 11), in base al quale nel caso di eventi avvenuti anteriormente all’entrata in vigore del TUA, che si manifestino successivamente in assenza di rischio immediato per l’ambiente e per la salute pubblica, il soggetto interessato comunica alla regione, alla provincia e al comune competenti l’esistenza di una potenziale contaminazione unitamente al piano di caratterizzazione del sito, al fine di determinarne l’entità e l’estensione con riferimento ai parametri indicati nelle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC).
È vero (teoria), infatti, che le condizioni di urgenza previste dal TUA assumono analoga consistenza e gravità, e quindi non è illogico che un inquinamento della falda profonda sia trattato alla stregua di una condizione di emergenza al fine di adottare, se possibile, interventi immediati o a breve termine mirati a rimuovere le fonti dell’inquinamento e ad evitare la diffusione della contaminazione.
Ma è altrettanto vero (pratica) che, com’è accaduto nel caso di specie, quando si è in presenza di una situazione di risalente contaminazione, che necessita di interventi di bonifica per i quali già da tempo il responsabile ha avviato presso il Ministero il relativo procedimento, volto a conseguire risultati di ripristino ambientale strutturali e il più possibile durevoli, il ricorso a misure di messa in sicurezza di emergenza, anche per il carattere immediato e a breve termine dell’intervento, deve essere collegato alla necessità di evitare, nell’immediato e al di fuori del percorso procedimentale descritto dal codice ambientale, fenomeni di estensione o propagazione del fenomeno inquinante che generino rischi concreti e imminenti per l’ambiente e la salute.