Il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti rappresenta uno strumento molto importante e molto più efficace rispetto ai normali reati contravvenzionali previsti in materia ambientale.
La sentenza della Cassazione n. 26404/13 ci permette non solo di riassumere brevemente gli elementi costitutivi del reato, ma di evidenziare un aspetto importante: che non rientrano tra i presupposti del reato né il danno ambientale né la minaccia grave dello stesso.
Il traffico illecito di rifiuti è un reato che non soltanto mette in pericolo la salubrità dell’ambiente e la salute dell’uomo, ma distorce la concorrenza fra le imprese, a causa della concorrenza sleale operata dalle imprese che si rivolgono al mercato nero dello smaltimento non solo nei confronti delle imprese che operano nella legalità (si calcola che tali imprese riescano ad abbattere fino al 90% dei costi legati alla gestione dei rifiuti), ma anche rispetto alle società che operano nel settore del riciclo di materia (riduzione di attività e, quindi, di fatturato).
Lo strumento più efficace del nostro ordinamento per la lotta al traffico illecito di rifiuti è rappresentato da un articolo del TUA, intitolato “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, che punisce con una sanzione penale chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti.
Il delitto in questione è uno strumento molto importante e molto più efficace rispetto ai normali reati contravvenzionali previsti in materia ambientale: gli inquirenti, anche grazie all’utilizzo di strumenti investigativi particolarmente incisivi (intercettazioni; rogatorie internazionali; prescrizioni più lunghe) sono riusciti a smantellare articolate organizzazioni criminali e strutture transnazionali.
Di recente, proprio per la sua gravità, il delitto de quo è stato introdotto fra quelli di competenza delle procure distrettuali antimafia.
La sentenza della Cassazione n. 26404/13 ha di recente affermato che non rientrano tra i presupposti del reato né il danno ambientale né la minaccia grave dello stesso, atteso che la previsione di ripristino ambientale contenuta nella norma (“il giudice ordina il ripristino dello stato dell’ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente”) si riferisce alla sola eventualità in cui il danno o il pericolo si siano effettivamente verificati e non muta la natura del reato da reato di pericolo presunto a reato di danno.