Il produttore (o detentore) dei rifiuti può affidare la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti ad altri soggetti privati affinché svolgano per conto suo tali attività, ma in tal caso ha l’obbligo di controllare che gli stessi siano autorizzati alle attività di raccolta e smaltimento o recupero e, qualora tale doverosa verifica sia omessa, il detentore risponde a titolo di colpa, per inosservanza della regola di cautela imprenditoriale, dei reati configurati dall’illecita gestione.
Alcuni titolari di imprese, individuali e collettive, avevano conferito i rifiuti prodotti dalle loro attività ad un impianto di gestione degli stessi in forma semplificata soltanto de facto, perché de jure non abilitato a riceverli, a causa la mancanza delle prescritte autorizzazioni.
Tutte le difese degli imputati hanno sottolineato, a diverso titolo, l’assoluta buona fede dei loro assistiti: la responsabilità doveva essere, infatti, imputata al trasportatore, che li aveva tratti in inganno circa la sussistenza del titolo abilitativo in capo al destinatario, esibendo un’autorizzazione al trasporto che contemplava i codici CER dei rifiuti conferiti e la verbale dichiarazione di essere in possesso anche dell’autorizzazione per lo smaltimento.
In una recente sentenza, la Cassazione ha affermato che il detentore dei rifiuti può affidare la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti ad altri soggetti privati affinché svolgano per conto suo tali attività, ma in tal caso ha l’obbligo di controllare che gli stessi siano autorizzati alle attività di raccolta e smaltimento o recupero e, qualora tale doverosa verifica sia omessa, il detentore risponde a titolo di colpa, per inosservanza della regola di cautela imprenditoriale, dei reati configurati dall’illecita gestione.
La responsabilità non è evidentemente esclusa dal fatto che il terzo sia munito di autorizzazione, ma relativa a rifiuti diversi da quelli oggetto di conferimento, perché ciò si risolve nella mancanza di autorizzazione per i rifiuti conferiti; né si configura come inammissibile forma di responsabilità oggettiva, conseguendo viceversa alla negligenza nella verifica della esistenza di specifica autorizzazione.
Nel caso di specie, la Corte rileva che gli imputati erano perfettamente in grado di sviluppare le verifiche e le cautele necessarie se solo avessero usato «una pur minima diligenza» e non avessero ceduto alla tentazione di risparmiare sui costi di smaltimento.
Non vale, quindi, invocare l’inganno come causa di non punibilità.
Il TUA pone dunque gli oneri relativi alle attività di smaltimento completamente a carico dei produttori, escludendo la loro responsabilità solo nel caso di conferimento a soggetti autorizzati: i produttori sono perciò gravati da una vera e propria posizione di garanzia in ordine al corretto andamento del ciclo del rifiuto.
In tale quadro è onere di tali soggetti di verificare in modo rigoroso che colui al quale i rifiuti vengono conferiti per le ulteriori fasi, tanto più per lo smaltimento, sia munito del necessario titolo autorizzativo, non potendo costoro in alcun modo invocare la buona fede, ove non dimostrino di aver fatto quanto era nelle loro possibilità per compiere quella verifica.