Qual è il reale costo delle rinnovabili, e in particolare di quelle intermittenti?
Da tempo si tenta di dare una risposta soddisfacente a questo interrogativo, al fine di trovare una soluzione di equilibrio in grado di rendere il mercato elettrico sostenibile, da un lato, e di marginalizzare le esternalità negative, dall’altro, senza che tuttavia gli sforzi profusi abbiano prodotto risultati apprezzabili.
Poche settimane fa, il CESE, Comitato Economico e Sociale Europeo, ha approvato un “parere esplorativo” sugli effetti economici dei sistemi elettrici con una quota crescente di energie rinnovabili intermittenti, che hanno acceso un vivace dibattito sulle conseguenze tecniche ed economiche di questa tendenza.
Il motivo è presto detto: oltre una certa quota del mix energetico, le FER intermittenti rendono necessario completare il sistema energetico mediante alcune componenti aggiuntive: estensioni della rete; impianti di stoccaggio; capacità di riserva; sforzi per un’utilizzazione flessibile.
Tali componenti aggiuntive sono indispensabili per evitare di dover fronteggiare situazioni di indisponibilità della produzione energetica, o di sovraccarico delle reti e dei sistemi di controllo che, a catena:
- avrebbero conseguenze negative sull’efficienza degli impianti;
- minaccerebbero l’approvvigionamento energetico e la sostenibilità del mercato energetico europeo;
- produrrebbero un aumento dei prezzi dell’energia elettrica, con ulteriori danni a cascata per la concorrenzialità dell’industria europea (delocalizzazione verso Paesi extra-UE dove l’energia costa meno, ma è più inquinante) e nuovi oneri, che peserebbero, in particolare, sulle categorie socialmente svantaggiate.
Ma non si tratta soltanto di investimenti: occorre anche intervenire sull’assetto degli incentivi, perché “sussidi inappropriati e incentivi differenti da un paese europeo all’altro possono causare costi aggiuntivi”, e l’intero problema dei costi (comprese anche strategie energetiche alternative) deve quindi essere discusso in modo aperto e trasparente, occupandosi anche della questione dei costi esterni dei vari sistemi energetici e della loro interdipendenza.
In definitiva, occorrono una politica energetica comune dell’Europa e un mercato interno dell’energia, in grado di fornire la base per un quadro legislativo affidabile che ispiri fiducia e consenta investimenti nell’energia e la creazione di sistemi paneuropei, realizzando l’obiettivo di fondo di tutti gli sforzi volti a costruire una Comunità europea dell’energia.
La questione dei costi
Le rinnovabili non programmabili presentano una serie di costi:
- legati allo sviluppo e al funzionamento del sistema completo (dal produttore al consumatore di energia), da un lato, e al loro impatto sulla capacità economica, la competitività e la sostenibilità sociale, dall’altro, che negli ultimi anni sono cresciuti in maniera significativa in tutti i comparti del settore energetico, a maggior ragione in un settore come quello delle rinnovabili, caratterizzatosi da una “dose cospicua” di sussidi e meccanismi di sostegno necessari per aiutare la loro penetrazione sul mercato;
- indiretti (derivanti dallo sviluppo della rete, “dall’erogazione regolare di energia e dalla garanzia di capacità di riserva”) ed esterni, che variano da una tecnologia energetica all’altra.
Se la tendenza all’aumento degli impianti alimentati da fonti rinnovabili intermittenti continuerà, inevitabilmente i costi sistemici indiretti finiranno per superare quelli diretti degli impianti di produzione dell’elettricità, e anche se i costi diretti di tali impianti sono ormai scesi considerevolmente, essi non costituiscono ancora un’alternativa competitiva in assenza di sussidi e anzi contribuiscono ancora ad aumentare la bolletta energetica.
L’analisi su questo specifico punto, a valle delle criticità sopra rilevate, si conclude con una serie di moniti:
- innanzitutto, occorrerà dare la priorità all’installazione e messa in servizio delle componenti mancanti al completamento del sistema, in particolare a infrastrutture di trasmissione e sistemi di stoccaggio adeguati, e a sistemi per il consumo flessibile (in alternativa, bisognerà modificare le regole sull’immissione prioritaria;
- un’altra opzione consisterà nel livellare le differenze regionali in termini di eccesso di fornitura e di domanda in momenti specifici, attraverso interconnessioni adeguate;
- le reti di trasmissione dell’elettricità prodotta da rinnovabili (tipicamente a basso e medio voltaggio) dovranno essere maggiormente sviluppate ed integrate con reti intelligenti;
- anche le reti di trasmissione ad alta tensione dovranno essere potenziate “dal momento che interconnessioni insufficienti causano il passaggio imprevisto di flussi di energia che mettono a rischio la sicurezza del funzionamento dei sistemi di trasmissione”;
- ultimo, ma non meno importante, la gestione della domanda e l’elettromobilità. Il trasferimento della domanda dai periodi di picco ai periodi di traffico normale (“stoccaggio funzionale dell’energia”), compresa l’elettromobilità, può contribuire ad attutire gli effetti dell’intermittenza.
- da una parte una serie di centrali elettriche alimentate con le energie rinnovabili, che inevitabilmente richiederanno una capacità in eccesso significativa che dev’essere utilizzata;
- dall’altra una seconda serie di centrali con capacità di riserva tradizionali, stoccaggio dell’elettricità, nuove capacità di trasmissione e sistemi di gestione della domanda per i consumatori finali.
Fatte queste premesse, quali passi si devono fare per:
- tenere al più basso livello possibile l’aumento dei costi che si verificherà,
- renderne accettabile l’impatto,
- recare un beneficio alla forza economica dell’Europa e
- garantire l’approvvigionamento energetico?
Occorre globalizzarsi, insomma, nella costante ricerca di un equilibrio fra la tutela dal fenomeno della povertà energetica delle categorie sociali a basso reddito, da un lato, e la protezione dei settori industriali a più elevata intensità energetica dai continui aumenti del costo dell’energia, per evitare che risulti compromessa la loro competitività globale, e si verifichi la deindustrializzazione.
A tal fine, sono necessari ricerca e sviluppo, “anziché lanci sul mercato di larga scala affrettati e prematuri. La distinzione fra ricerca, sviluppo e dimostrazione da una parte e sostegno e lanci di mercato su larga scala dall’altra deve rimanere netta altrimenti, fra le altre cose, si rischiano situazioni di mercato che potrebbero impedire l’innovazione”.
Una distinzione che dovrebbe riguardare anche il latu sensu sistema di sostegno delle rinnovabili, che, visto con il senno di poi, ma in una logica prospettica di medio-lungo periodo, eviti il procrastinarsi di quelli che, con il tempo, da aiuti necessari per far fronte agli alti costi si sono trasformati in occulte forme di “assistenzialismo protezionista” (il CESE richiama espressamente il sistema degli incentivi previsti in passato per il fotovoltaico).
Come a dire che occorre lanciare gli investimenti – che “generano ottimismo, contribuendo a creare posti di lavoro e ad instaurare un clima di fiducia” – e non continuare ad alimentare speculazioni finanziarie, che sono a vantaggio di pochi e producono costi indiretti ulteriori a danno della collettività.
In conclusione, le rinnovabili costano, ma non per questo devono essere accantonate.
Si tratta di rivedere le modalità del loro utilizzo, e soprattutto di integrarle all’interno di un sistema elettrico globale più efficiente.
Il CESE, dunque, non boccia le rinnovabili – che considera, al contrario, il cardine di un sistema energetico sostenibile – ma evidenzia che devono essere potenziate cum grano salis: per farlo, è necessaria una maggiore trasparenza dei dati, e coinvolgere maggiormente il pubblico, perché la partecipazione, la comprensione e il consenso da parte del pubblico per i diversi cambiamenti che dovranno essere apportati al nostro sistema energetico nei prossimi decenni sono elementi essenziali”.